Categoria : archeologia

Fenici e Cartaginesi nel Mediterraneo centrale fra VIII e V sec. a.C. Colonizzazione dell’Occidente mediterraneo di Piero Bartoloni

Già da qualche tempo e non da solo ho sostenuto e spero di aver potuto dimostrare come, al tramonto della talassocrazia micenea e immediatamente dopo i sommovimenti provocati nell’area vicino-orientale dall’insediamento dei cosiddetti “Popoli del Mare”, la colonizzazione nell’Occidente mediterraneo, fors’anche estremo, sia opera del progressivo e determinante apporto delle popolazioni filistee, nord-siriane, cipriote e, infine, fenicie, le quali tra il XII e l’VIII secolo a.C. riaprirono le rotte verso Occidente. Ho avuto modo inoltre di porre l’accento sul fondamentale contributo dell’ethnos cipriota nella fondazione di Cartagine, contributo assai più trasparente e rilevante di quanto non si possa immaginare. Particolarmente probante a questo proposito e in linea con il mito della fondazione della città è il rito funebre che a Cartagine era prevalentemente quello dell’inumazione, mentre in tutte le restanti colonie occidentali era quello dell’incinerazione. In ogni caso, la proposta per un quadro storico e archeologico della colonizzazione fenicia in Occidente tra lo scorcio della prima metà dell’VIII secolo e il 500 a.C. si può riassumere negli aspetti che seguono.

Scambi commerciali ad amplissimo raggio. Dopo la fondazione di Cartagine, da porre ragionevolmente non molto dopo la data tradizionale dell’814 a.C., la metà dell’VIII secolo a.C. vede la nascita dei primi centri urbani fenici, collocati principalmente là dove in precedenza erano situati gli impianti a carattere temporaneo utilizzati nell’espansione verso Occidente. La costa nord-africana, la Sardegna e la Sicilia, nell’ordine, vedono sorgere quelle che nei secoli successivi saranno le città attorno alle quali graviteranno le vicende del Mediterraneo centrale. Già verso la fine della prima metà dell’VIII secolo a.C. i primi impianti urbani fenici in Occidente, quali l’antica Sulky in Sardegna, rappresentano una realtà attiva nelle acque occidentali del bacino mediterraneo. Date per assodate le cause concomitanti dell’espansione fenicia in Occidente, che, di fatto, si verifica con due ondate successive, una durante la metà dell’VIII e l’altra nella seconda metà del VII, si deve osservare come, già nei momenti immediatamente successivi alla loro fondazione, queste città costituiscono i poli fondamentali di scambi commerciali ad amplissimo raggio. Faccio ovvio riferimento a Cartagine, i cui legami internazionali sono ben noti per l’ampio spettro di materiali allogeni, ma ricordo, tra l’altro, ancora una volta l’insediamento di Sulky, in Sardegna, che già attorno alla metà dell’VIII secolo a.C. intratteneva rapporti commerciali con la madrepatria, con l’estremo Occidente mediterraneo, con il mondo greco insulare e continentale e con la stessa Cartagine. A questa prima ondata colonizzatrice in Sicilia si devono certamente l’insediamento di Mozia e forse quelli di Panormo e di Solunto, mentre, in Sardegna, nel corso dell’VIII secolo a.C., oltre a quello di Sulky, risultano già attivi i centri di Nora, di Bitia, di Monte Sirai, di Portoscuso e di Tharros. In Sicilia l’elemento fenicio ben presto si confronta con quello greco, la cui ondata colonizzatrice, di poco posteriore, di fatto, occupa gran parte dell’isola. La presenza dei nuovi colonizzatori provoca mutamenti anche di grande consistenza, quali ad esempio il mutamento della rotta che dall’Oriente giungeva in Sardegna. Infatti, se fino all’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C. il naviglio commerciale transitava attraverso lo stretto di Messina, con la fondazione di Zancle e di Region, tale passaggio diviene impraticabile. A questa nuova situazione, sempre nel corso dell’VIII secolo a.C., si deve la nascita dell’insediamento di Mozia, che diviene scalo fondamentale e crocevia per Cartagine e la Sardegna.

Occupazione pacifica e capillare. Invece, appunto in Sardegna, le città fenicie, grazie anche all’apporto etnico locale, occupano pacificamente e in modo quasi capillare buon parte del territorio costiero del meridione dell’isola. Emblematiche a questo proposito sono alcune fattorie già attive nel circondario di Monte Sirai nel corso del VII secolo a.C. Gli impianti coloniali non coprono più l’intera fascia costiera, come si era verificato durante il periodo della precolonizzazione, ma si limitano alla parte centrale e meridionale dell’isola, con dei limiti che forse potrebbero anche essere caratterizzati dalla ricerca di isoterme prossime a quelle della madrepatria. In ogni caso, come accennato, ciò che caratterizza la colonizzazione fenicia è anche il rapporto sostanzialmente pacifico con le popolazioni locali, rapporto evocato da eventi leggendari, come nel caso di Cartagine, o da testimonianze archeologiche, come nel caso della Sardegna, oppure da antiche fonti, come nel caso della Sicilia. E’ certamente un forte indizio in questo senso la presenza preponderante, nello strato più antico del tofet di Sulky, di vasi-bollilatte di foggia nuragica, utilizzati come urne cinerarie per le ossa combuste dei bambini.

Fenici d’Oriente e Fenici d’Occidente. Con l’inizio del VI secolo a.C. la politica di Cartagine compie una svolta determinante per il Mediterraneo occidentale. L’oggettivo rarefarsi del rapporto di dipendenza con la madrepatria, conseguente alla oggettiva distanza, e delle transazioni commerciali dovute alle reiterate incursioni assire, alla presa di potere neobabilonese e, più tardi, dopo la conquista persiana, alla riduzione in satrapia con il nome di transeufratene della costa siro-palestinese e quindi dei centri della Fenicia, sanciscono, di fatto, la separazione dei destini tra i Fenici di Oriente e quelli di Occidente. Quindi, l’espansione territoriale di Cartagine nel territorio nord-africano risulta un dato di fatto già nei primi due decenni del VI secolo a.C. Egregio riscontro è offerto dalla fondazione di Kerkouane, la probabile Megalepolis menzionata da Diodoro, fondazione che archeologicamente si colloca attorno al 580 a.C. In questo caso specifico, la presenza di una forte componente etnica libico-berbera, evidenziata in modo particolare dall’onomastica delle epigrafi funerarie, dimostra una già avvenuta simbiosi con l’elemento locale. La contiguità non solo geografica con la Sicilia, nello stesso periodo porta Cartagine a sbarcare nell’isola per parare assieme agli Elimi la minaccia di Pentatlo. Occorre ricordare peraltro che non vi è traccia di una qualche attività dei Fenici di Mozia, città prossima all’area appetita dai Cnidi, o degli altri insediamenti della Sicilia occidentale. Siamo ai prodromi dell’ingerenza politica cartaginese nell’isola, che culminerà con la spedizione di Malco, che, come è noto, ha luogo in Sicilia attorno alla metà del VI secolo a.C. Oltre alle aride fonti storiche, di questa fortunata spedizione ci parlano in modo indiretto ma eloquente anche le mura di Mozia, la cui cronologia, almeno per quel che riguarda il nucleo iniziale, è da porre appunto attorno alla metà del VI secolo a.C. La successiva spedizione di Dorieo, con il suo infelice tentativo di insediarsi in un punto della costa occidentale della Sicilia, tra i centri di Drepanon e di Lilibeo e probabilmente in faccia alla stessa Mozia, trova Cartagine già saldamente padrona del triangolo occidentale dell’isola. Si è detto più volte nel passato che l’intervento cartaginese in Sicilia, così come in Sardegna, fosse dettato dal desiderio di proteggere i “fratelli” fenici, accreditando un’unità di intenti tra le città coloniali, che nella realtà non si era mai realizzata, neppure tra i centri della madrepatria. Pertanto, Cartagine attivò invece una vera e propria politica imperialista, volta alla conquista dei mercati dell’Occidente mediterraneo e al loro ferreo controllo. Contrariamente a quanto si è ritenuto fino a qualche tempo fa, malgrado la presumibile medesima origine, le singole città fenicie di Occidente svilupparono ciascuna una propria politica e una rete di commerci personale, senza particolari rapporti di simbiosi o di alleanza con le altre consorelle. In particolare, per quanto riguarda le campagne militari effettuate prima da Malco e poi da Amilcare e Asdrubale in Sardegna, alcuni studiosi avevano immaginato che questi interventi fossero stati motivati dalla necessità di soccorrere le città fenicie dell’isola sottoposte ad una supposta aggressione delle popolazioni locali. Tralascio di proposito l’esegesi di queste vicende che comunque ha potuto ben dimostrare come il reiterato intervento in Sardegna degli eserciti cartaginesi fosse volto non al soccorso delle città fenicie bensì alla loro conquista e sottomissione.

La battaglia di Alalia. Oltre alle ben note vicende di Malco, seguite dall’impresa dei Magonidi, che denotano il pervicace desiderio di Cartagine di impadronirsi della Sardegna, è senza dubbio da ricordare la battaglia di Alalia, episodio determinante per il controllo delle acque del Tirreno. Come è noto la vicenda si inquadra nei rapporti tra le città etrusche e Cartagine e nella repressione della pirateria focea, pirateria che si estrinsecava nelle acque sulle quali si affacciavano numerosi e importanti insediamenti sia etruschi sia fenici. È da ritenere che Cartagine, nel 535 a.C., data presumibile della battaglia, non avesse, o almeno non avesse ancora, soverchi interessi sulle sorti commerciali degli insediamenti disseminati lungo la costa orientale della Sardegna. È invece presumibile che alla metropoli nord-aficana stessero particolarmente a cuore i rapporti politici e commerciali con le città dell’Etruria meridionale e, in particolare, con Caere. Quanto alle modalità della battaglia, questa si deve essere svolta nelle acque antistanti la stessa Alalia, oppure, come suggerito recentemente, nel braccio di mare antistante Pyrgi. Taluno ha suggerito che lo scontro navale non può aver avuto luogo che in mare aperto e ciò sulla base di una presunta supremazia dell’areté greca, poiché, secondo questa ricostruzione, i Focei, percepito l’arrivo della flotta nemica, avrebbero preso il mare e avrebbero subito guadagnato il largo, affrontando gli avversari in alto mare. Ciò naturalmente, come è ovvio per chi ha una sia pur minima conoscenza delle regole non scritte dell’antica marineria, non è neppure minimamente plausibile. Infatti, a prescindere da una corretta esegesi del passo erodoteo, sarebbe sufficiente una sia qualche dimestichezza con quanto descritto da Tucidide e da Senofonte con riferimento ad analoghi fatti d’arme. Come è noto a chi si occupa di marineria antica, per tacito accordo le battaglie navali avevano sempre luogo in specchi d’acqua prossimi alla costa, al fine di consentire una via di salvezza agli equipaggi delle navi affondate. Costoro, infatti, non erano schiavi, bensì cittadini, e sarebbe quindi sufficiente una discreta conoscenza dei fatti occorsi durante e dopo la battaglia di Egospotami per comprendere l’importanza di questo assunto.

Il Mediterraneo centrale diventa un mare punico. In conclusione, da quanto riferito più sopra si può ben arguire come la volontà di espansione di Cartagine divenga nel corso del tempo una vera e propria politica imperialista. Per quel che riguarda il Mediterraneo centrale, nei cento anni che compongono il VI secolo a.C. si assiste prima all’espansione territoriale in terra africana, attorno alla metà dello stesso secolo avviene la conquista della Sicilia occidentale, mentre prende piede una forte presenza nel Mar Tirreno, rivolta ad un rafforzamento dei rapporti politico con le città dell’Etruria meridionale, alla progressiva eliminazione della minaccia focea e, infine alla totale conquista della Sardegna. Sintomatica è la constatazione che con la fine del VI secolo a.C. cessino totalmente le importazioni nei centri di Sardegna di vasellame etrusco da mensa e da toeletta, prima distribuito nell’isola in modo quasi capillare, e ciò ad esclusivo vantaggio della ceramica di produzione attica, in questo ciò a palese testimonianza dei nuovi rapporti tra Cartagine ed Atene. Con il 509 a.C., dunque con il trattato tra Cartagine e Roma, che di certo ricalca precedenti trattati stipulati con le città etrusche, la conquista del Mediterraneo centrale da parte della metropoli nordafricana è ormai un fatto compiuto.

http://www.archeologiaviva.it/index.php/events/42/Piero_Bartoloni.html

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