Categoria : cristianesimo, storia

Padre Giovanni Serafino Taddei (1916-1991) di Angela Baio

Padre G. S. Taddei

Si è potuto vedere come, fin dagli anni Sessanta, nella realtà socio-economica torinese, impegnati operatori religiosi di fronte ai mutamenti sociali, abbiano sentito l’urgenza di rispondere ai bisogni delle famiglie creando, il Centro, divenuto poi Punto Famiglia. Allo stesso modo in Sardegna, particolarmente nei centri maggiormente influenzati dai poli industriali, altri operatori religiosi hanno avvertito l’esigenza di avviare iniziative analoghe a quella di Torino: tra questi operatori si distinse, per la sua instancabile operosità e per la sua particolare attenzione ai tempi, il domenicano Giovanni Serafino Taddei che diede vita al “Centro di preparazione alla famiglia”,in Sassari, avviando sin dal 1967 corsi di preparazione al matrimonio per fidanzati e di formazione permanente per le coppie. Ci è parso utile, pertanto, prima di trattare la storia del Centro, soffermarci sulla figura del suo fondatore.

Giovanni Mario Taddei nacque a S. Miniato (PI) il 16 ottobre 1916 da Serafino ed Annunziata Rossi. Terzo figlio della coppia dopo Giovacchino e Luigi , gli fu messo nome Giovanni per riverente stima verso il dottor Flaminio Ceccherelli, medico chirurgo molto amato da tutti in paese, e verso il figlio di questi che, appunto, si chiamava Giovanni.

Le famiglie Ceccherelli, padre e figlio, abitavano il primo e il secondo piano di un vecchio stabile dove, al piano terra, Serafino Taddei aveva la sua “bottega di spezie”, come allora veniva chiamato un piccolo negozio dove si vendeva thé, caffè e qualche dolce casalingo, assieme a rosolio, gazzose e birra, ed anche caramelle e cioccolati tirati fuori a numero da vasi di vetro.

Dopo il parto di Giovanni, la madre fu colpita da dolori artritici che la bloccarono a letto per lunghi periodi e la costrinsero a dare il bambino a balia. Giovanni fu tenuto a baliatico presso una famiglia fino a che non compì un anno e mezzo, poi fu affidato ad una zia materna. Ritornò in famiglia all’età di tre o quattro anni circa.

Mentre il bambino frequentava le elementari, nel novembre del ‘24 la mamma, che nel frattempo si era aggravata, morì.

Giovanni, dopo la quinta elementare, preferì aiutare in bottega. Spesso lo mettevano a schiacciare chicchi di pepe con un mortaio di bronzo, in un angolo della piazza S. Domenico (in seguito chiamata “Piazza dell’Impero” e, dopo la guerra, “Piazza del popolo”) .

Il padre, dopo due anni dalla morte della moglie, decise di risposarsi, ma la seconda moglie morì dopo solo sette mesi.

Fu in questo periodo che Giovanni cominciò a frequentare la Chiesa di S. Domenico, che era vicino alla sua casa. Il curato, Padre Reginaldo, andò a parlare con Serafino per metterlo a conoscenza del fatto che il ragazzo voleva entrare in convento e che aveva appreso il latino in breve tempo, dimostrando anche di essere molto dotato, questi rimase molto perplesso: Giovanni aveva 12 anni ed inoltre appariva un giocherellone, amante degli scherzi (caratteristica che sarà in lui sempre presente), per cui pensava che quella del ragazzo fosse una infatuazione ma alla fine acconsentì a che il ragazzo seguisse la vocazione religiosa .

Giovanni entrò nella Scuola Apostolica di San Miniato per frequentare cinque anni della scuola ginnasiale, secondo la riforma Gentile .

Intanto, nel 1928, il fratello Giovacchino, tornato dal servizio militare, si sposò. Tutti si affezionarono alla moglie Adelaide, che chiamavano affettuosamente “la Nina”; Giovanni le voleva molto bene e in lei vedeva un po’ la mamma.

Nel ‘31 Serafino morì di angina pectoris e Giovanni ebbe un altro grande dolore.

Al convento, essendo il ragazzo ancora minorenne, si presentò necessità di un tutore. Il dottor Flaminio, medico curante dei frati, non era più in vita e si prestò come tutore il figlio, il sig. Giovanni Ceccherelli .

Dopo l’anno di Noviziato, che coincise con l’anno scolastico 1933-34, Giovanni intraprese il Corso di Filosofia-Teologia, nello Studio Generale di S. Domenico di Fiesole.

Ivi ebbe come compagni di studi Cipriano – Ricotti – Coi e Antonio Lupi , ai quali fu legato da una profonda amicizia che durò tutta la vita.

Non conseguì nemmeno il titolo di baccelliere, d’altronde il giovane domenicano si sentiva portato più alla pratica pastorale che alla vita di studio .

Il 23 luglio 1939, nella Chiesa di S. Domenico di Fiesole, Giovanni fu ordinato sacerdote e scelse il nome di Serafino in ricordo del padre; assieme a lui ricevette l’ordine ministeriale l’amico Cipriano. Completò gli studi istituzionali due anni dopo nel 1941.

Esercitò il suo ministero sacerdotale prima a Fiesole, poi (1941-42) a Montepulciano e in seguito fu trasferito a S. Marco di Firenze, in qualità di vice-parroco, tornando a S. Miniato solo nel periodo estivo.

Durante la guerra, il convento di S. Marco ospitò tanti sfollati e contemporaneamente si prendeva cura dei poveri emarginati. Con essi si prodigava il Prof. Giorgio La Pira , che cercava di soccorrere gli stessi, scoprendo casualmente un giorno, che alcuni poveri uscivano dal convento con quel pane che lo stesso professore aveva portato ai frati, perché si sfamassero.

Nascevano in quel clima amicizia e collaborazione: p. Taddei e Giorgio La Pira divennero grandi amici. Tra gli sfollati c’erano anche i due giovani figli della famiglia Giovannoni, Giorgio e Gianni, che sarebbero diventati attivi collaboratori di La Pira nella sua azione culturale e politica .

I Giovannoni divennero, anche, editori titolari della Casa Editrice “Cultura” di Firenze, nata intorno agli anni ‘50 su ispirazione della rivista di p. Balducci: “Testimonianza”.

In epoca fascista e durante la guerra, la comunità dei frati di S. Marco seppe andare contro corrente già da alcuni anni essi pubblicavano una loro rivista di ascetica e mistica La Vita Cristiana, mentre vigoreggiava il consenso popolare al fascismo, la rivista fu arricchita dal supplemento Principi, eludendo la richiesta di un permesso dalle autorità e pubblicato articoli “intorno alla struttura e alla finalità della vita” , piuttosto che esaltare la mistica del dittatore.

Secondo il carisma dell’Ordine dei Predicatori, i Domenicani erano molto vicini all’ambiente universitario e dediti all’apostolato fra gli studenti: la sede centrale dell’Università di Firenze era geograficamente vicina al convento di S. Marco. Essa aveva mantenuto sempre una base culturale religiosa. P. Taddei, sin dall’inizio del suo sacerdozio, aveva curato in quell’ambiente i contatti con ogni genere di persone, di qualsiasi provenienza religiosa: protestanti, ebrei e laici.

Tale apostolato che non consisteva in dibattiti e conferenze, ma piuttosto nell’incontro con le persone, gli permetteva di visitarle e avviando conversazioni costruttive in un clima di cordialità. Talvolta i colloqui, soprattutto alla sera, si protraevano a lungo, tanto che, spesso, accadeva che p. Taddei uscisse da una casa e si recasse in S. Marco a celebrare la prima Messa .

Durante la persecuzione razziale , nel periodo dell’occupazione nazista, i Padri Domenicani di San Marco si prodigarono anche per salvare gli ebrei, collaborando all’espatrio clandestino assieme a G. La Pira e ad altri.

Tante volte, dopo qualche scontro nelle strade, restavano feriti bisognosi di un soccorso materiale e spirituale. In mezzo alle cannonate si faceva avanti un drappello di poche crocerossine, una delle quali portava una bandiera bianca, che attraversavano le strade per curare i feriti, e spesso tra loro c’era anche p. Taddei .

Dal convento le tre “staffette” più utilizzate, per i collegamenti e i vari “incarichi”, erano proprio i giovanissimi Padre Cipriano, Padre Antonio e Padre Serafino. I tre sacerdoti erano, comunque, animati da spirito allegro e con affetto combinavano scherzi agli altri frati, soprattutto ai più anziani, che li consideravano dei nipoti un po’ scapestrati ma buoni. Il gruppetto si era dato il nomignolo di “Sertonci”, dalle iniziali dei tre nomi.

In seguito p. Taddei parlò ad altri amici degli scherzi, degli affetti, delle persone che, come diceva, aveva avuto la fortuna di incontrare nella sua vita, raccontò vicende ed episodi ma mai parlò di sé .

Dal ‘39 iniziò a trascorrere le vacanze in Trentino, anche per motivi di salute. Infatti durante gli anni della guerra e quelli successivi, a causa del freddo e dello scarso nutrimento, soffrì di broncopolmoniti.

Lo ospitava ad Imer, nella valle di Primiero, il parroco. Conobbe da subito Albino Doff Sotta, che suonava l’organo della chiesa, di cui divenne molto amico. Quando, durante la guerra nel 1940-41, Albino si trovò in Grecia e in Albania e, durante la prigionia, in Germania, la corrispondenza epistolare con p. Taddei fu per lui un prezioso sostegno e accrebbe la reciproca stima e amicizia .

Dal 1948 p. Taddei ritornò a Imer per le sue vacanze e, da allora, divenne parte della famiglia Doff Sotta: il “Padre Bianco” tutte le estati era atteso da tutti ed arrivava per ritemprarsi e ricaricarsi. Successivamente, dal 1971, dopo la morte di Albino, fu ospite della famiglia Bott.

Nel ‘50, si ebbe necessità di un parroco a San Miniato. Il Padre Provinciale di allora, p. Luigi Romoli, che fu poi vescovo di Pescia, fu costretto a richiamare il p. Pio Grassi da Sassari, in quanto il Vescovo di San Miniato si era espresso contrario alla nomina di un parroco sanminiatese e, poiché Padre Serafino colà aveva ancora i propri familiari, fu mandato in Sardegna.

Fu per lui e i suoi amici un grande dolore . La Pira mosse persino le sue conoscenze in Vaticano perché p. Taddei restasse a Firenze, dove aveva stabilito tanti fecondi rapporti di direzione spirituale nei più svariati ambienti, con persone di ogni livello culturale, dai più semplici ai più dotti. Fu anche fatta una petizione, con raccolta di firme, per impedire il suo trasferimento in Sardegna, ma più firme c’erano più i Padri Domenicani, suoi superiori, lo ritenevano “adatto” ad affrontare l’incarico assegnatogli. Le sue parole ad una persona amica, quando seppe del suo trasferimento in Sardegna furono:

“…vado per obbedienza, ma è tanto il dolore di lasciare Firenze e gli amici, sono sicuro che là ci morirò. Accetto dunque con sofferenza la prova del distacco” .

Nel gennaio 1950 intraprese il viaggio con il “piroscafo” per recarsi in una terra dove, “per chilometri e chilometri” , non c’era segno di vita.

La mattina del 1 febbraio 1950, arrivò alla stazione di Sassari e prese una carrozza per recarsi al convento dei domenicani. Il cocchiere anziché per via Coppino, lo condusse per via Delle Conce. Quella strada era, allora, una delle vie più disastrate di Sassari, per cui tale fu lo sgomento per P. Taddei, che aveva lasciato la stazione di Firenze con la vicina S. Maria Novella che, al momento di scendere dalla carrozza, esclamò “Dio mio dove sono capitato!” .

In seguito egli racconterà agli amici più vicini episodi e impressioni come queste, commentandole scherzosamente e a qualcuno confiderà che per un anno non disfece del tutto i suoi bagagli nella speranza segreta che fosse richiamato “in continente” .

Nella sua ultima lettera ai parrocchiani (di cui diremo più avanti) lascerà scritto:

“In quei giorni mi sentii come schiacciato da un peso enorme. Mi sorpresero la fede e la bontà di molti che mi accolsero con tanto amore. Se fossi tornato indietro ed avessi fatto la mia volontà in qualunque luogo, il mio lavoro sarebbe risultato sterile e vuoto” .

La Parrocchia di S. Agostino all’epoca, pur comprendendo nel proprio territorio Viale Italia e Via Porcellana, gravitava soprattutto attorno al popolare quartiere via delle Conce e di Corso. G. M. Angioj. L’impatto del domenicano fu ancora più forte per il contrasto con l’ambiente di provenienza, culturalmente ricco, con una realtà sociale povera, con disagi di ogni genere, comprese la difficoltà di capire il “sassarese” .

Il superamento di questo iniziale stato di cose fu favorito dalla presenza, nel convento , di confratelli di un certo spessore culturale: Padre R. Cai, il quale tradusse in italiano e annotò il Commento di S. Tommaso alle Lettere di S. Paolo e al Vangelo di S. Matteo, fra Giovanni Verona , uomo di grande bontà e molto attivo anche nell’azione pastorale con i ragazzi; padre Girolamo Caratelli , autore di varie opere tra cui un commento alla Divina Commedia, una vita di San Domenico, una vita su S. Caterina da Siena; padre Francesco Ramacciotti , che succederà nel 1951 a p. Cai come superiore del convento di S. Agostino e sarà, fino alla fine della sua vita, prezioso e umile collaboratore, sostenendo p. Taddei nelle sue molteplici iniziative e affiancandolo silenziosamente soprattutto nei momenti difficili.

In convento p. Taddei trovò, dunque, un ambiente aperto alla cultura e mai interruppe i contatti con il mondo culturale fiorentino, che per diversi anni era stato il luogo del suo apostolato.

Dal 7 marzo dello stesso anno in cui arrivò, divenne parroco, il secondo, di S. Agostino.

P. Taddei si ripromise di scrivere almeno un paio di lettere all’anno ai suoi parrocchiani, in periodi particolarmente significativi quali comunioni, cresime e feste religiose come Natale, Pasqua, in modo da raggiungere contemporaneamente e personalmente tutti i suoi fedeli, quale espressione della sua missione di parroco e uomo di fede .

La sua passione pastorale lo porterà, sempre più, a moltiplicare le occasioni per raggiungere tutte le famiglie della parrocchia e, dopo, quelle che gravitavano attorno al CPF .

La sua prima preoccupazione fu l’avvertire lo stato di degrado della Chiesa S. Agostino In quel periodo, nel novembre dello stesso 1950, l’edificio fu dichiarato pericolante e, addirittura, se ne ravvisò la necessità di chiusura.

La prima attenzione del parroco fu rivolta ai parrocchiani, per informarli e per coinvolgerli attivamente, per una immediata opera di restauro. È quanto viene detto in una delle sue prime lettere, inviata ad essi per la Festa di Ognissanti. Anche in un’altra lettera, indirizzata alla famiglia Doff Sotta, egli fa riferimento a tale situazione e afferma che per i lavori sono stati stanziati 12 milioni di lire e che è anche prevista la ricostruzione del campanile, che “ha da essere demolito” e che egli, nel frattempo, ha provveduto a reperire tre nuove campane .

Per ottenere aiuti e collaborazione, p. Taddei fece riferimento a vecchie e nuove conoscenze, dando vita a nuove amicizie e a scambi umani fecondi. Un amico fiorentino realizzò il portico antistante la Chiesa, poiché la facciata della stessa era in serio pericolo. Man mano che si procedeva al restauro della stessa, si pensò anche alla costruzione del convento, dal momento che quello antico era irrecuperabile.

Nel ‘57, fu benedetta la prima pietra del nuovo convento.

Più tardi, poiché la popolazione parrocchiale andava sempre più incrementandosi, padre Taddei sentì la necessità di reperire altri locali, soprattutto per le lezioni di catechismo e, anche, perché i ragazzi avessero spazi per i loro giochi. Lo dice ai parrocchiani nella lettera inviata nel dicembre 1957 con gli auguri per il S. Natale e per il Capodanno, riferendo i costi per la costruzione e incoraggiando alla generosità .

Nel ‘58 acquistò dal Comune e dall’Istituto Ina-Casa un’area fabbricabile situata fra Via Sardegna e Via Amendola e, verso la fine del ‘59, poté iniziare la costruzione di un edificio che comprendeva due saloni, le aule per il catechismo, locali accessori e uno spiazzo antistante abbastanza grande per i giochi dei ragazzi all’aperto.

I lavori furono eseguiti dall’Impresa Corti e capitò, talvolta, che Padre Taddei, raccolte le offerte della questua, si recasse dall’impresario con tutti gli spiccioli e li ponesse sul tavolo per il pagamento dei lavori .

La costruzione fu ultimata nel ‘61 e fu battezzata col nome di “Angelicum”.

Via via furono realizzati anche il fonte battesimale, l’altare e il tabernacolo della Chiesa. Più tardi, in occasione del 25 anniversario di erezione della parrocchia, nel ‘64, l’instancabile parroco, si interessò a far progettare una bellissima vetrata-mosaico, da collocarsi al posto del finestrone dell’abside. La progettazione e l’esecuzione dell’opera (affidata alla ditta “La Diana” di Giuseppe Menci di Siena) richiese del tempo e la vetrata fu sistemata nel ‘66.

Oltre l’impegno rivolto alla costruzione materiale della chiesa, p. Taddei non trascurava di dedicarsi ai suoi parrocchiani. Come riferiscono molti testimoni, egli si recava in visita nelle case, specie dove c’erano malati o anziani, con particolarmente attenzione a coloro che, per vari motivi, non frequentavano la Chiesa; chiedeva collaborazione per la parrocchia a chiunque si recasse da lui e ogni persona veniva accolta con calore e ascoltata con attenzione.

Era un uomo di grande fede e, secondo quanto diceva fra Tarcisio Lombardi , suo confratello a S. Agostino dal 1971, spesso si alzava a pregare anche durante la notte.

Dette inizio alla tradizione di invitare al “Te Deum” tutti coloro che, nell’anno, avevano frequentato per svariati motivi la parrocchia: i genitori dei bambini battezzati, le coppie che si erano unite in matrimonio, i familiari delle persone morte e i bambini che avevano ricevuto la Prima Comunione o la Cresima, con le loro famiglie.

Nel ‘63 venne costituita la parrocchia di S. Vincenzo, con conseguenti modifiche territoriali. Anche in quella circostanza, p. Taddei volle raggiungere tutti coloro che non sarebbero stati più suoi parrocchiani e scrisse loro una lettera di saluto e di conferma di comunione .

Nella costante e acuta attenzione alla vita delle persone e alla realtà sociale nel suo insieme, egli sviluppava la convinzione personale che si stava delineando un atteggiamento culturale e politico destabilizzante per la famiglia .

Nella lettera scritta per il suo ventennale della parrocchia (gennaio 1964), fa cenno proprio al “pericolo di sfaldamento al quale è sottoposta la famiglia”. Da qui la necessità, per lui, che la famiglia fosse aiutata a mantenere una cura costante nella propria crescita spirituale e che avesse opportunità di appoggiarsi ad altre famiglie per la “realizzazione della propria vocazione” (v. Statuto CPF).

Nella società sempre più materialista, in cui si diffondevano utilitarismo ed edonismo , la famiglia era attaccata nei valori umani di cui è portatrice, quali la gratuità, l’aiuto reciproco, la dedizione; p. Taddei avvertiva la necessità che nei momenti difficili le persone, le coppie, le famiglie trovassero aiuto.

Intorno al ‘62 p. Taddei aveva conosciuto p. Valerio Ferrua, di passaggio a Sassari nel recarsi da Torino a Carloforte, lo invitò insieme all’altro domenicano suo amico p. Lupi nel ‘65 per predicare una Missione in parrocchia .

P. Ferrua gli parlò dell’attività che stava avviando a Torino col Punto Famiglia.

Qualche tempo dopo, a Roma per un Convegno della CEI, incontrò Suor Germana Consolaro, impegnata in prima linea nello stesso PF

P. Taddei si entusiasmò per tutto ciò e fu spinto a seguire quell’esempio. Secondo il suo stile di concretezza si accinse a ristrutturare ed ampliare dei locali all’interno del cortile del convento, per avere un luogo dove i fidanzati e i giovani potessero incontrarsi, per ricevere informazioni e aiutarsi reciprocamente .

Da qui mosse i primi passi per la nascita del Centro Famiglia.

La germinale realtà del Centro di Preparazione alla Famiglia venne inaugurata nel febbraio del 1967.

Il CPF appare una realtà nata all’interno di un’ampia visione e azione ministeriale che, date le trasformazioni sociali, riteneva centrale, la cura e la protezione della famiglia. Veniva così a concretizzarsi una delle aspirazioni di p. Taddei: un ambiente allargato dove, appunto, ciascuno trovasse e rafforzasse convinzioni di valori umani naturali e di fede. “La famiglia da sola non ce la fa”, erano le sue parole, rendendosi conto che la vita di coppia e la funzione parentale veniva a trovarsi debole contro la spinta culturale di massa sempre più secolarizzata.

Il Centro doveva poter essere un punto di riferimento per rispondere ai nuovi bisogni. Padre Taddei era convinto che nella vita ognuno si sarebbe orientato secondo i modelli ricevuti nel corso dello sviluppo all’interno della famiglia nonostante errori, debolezze e momentanee deviazioni, l’impronta educativa genitoriale sarebbe rimasta sempre fondamentale punto di riferimento .

Col ‘67 il Centro iniziò la sua attività organizzando dei corsi per i giovani e i fidanzati, che avevano la durata di diversi mesi. Inizialmente furono utilizzati i programmi e le lezioni del Punto Famiglia di Torino, mentre, per quanto riguardava i docenti, p. Taddei li contattò sia tra le sue conoscenze in città, per gli aspetti medici si rivolse ai professori delle cliniche universitarie frequentanti la parrocchia di S. Agostino sia fra le sue conoscenze nella penisola. Non vi fu mai alcuna dipendenza da Torino, ma sostegno, con presenze e consigli.

P. Taddei accentrava nelle sue mani tutta l’organizzazione innovando, ma guardando anche quanto veniva realizzato altrove. Perquanto la sua azione per la famiglia fosse vista con interesse dall’ordinario diocesano, monsignor Carta, il clero in genere non manifestava per queste iniziative una grande attenzione.

Alcune coppie di fidanzati del ceto medio accolsero con entusiasmo le proposte del Centro e cominciarono un cammino di riflessione sulle problematiche familiari, utilizzando quale mezzo di comunicazione per la soluzione dei problemi di coppia, la fede, costantemente creativo ed aperto, alle molteplicità delle esperienze pastorali familiari sapeva cogliere buone indicazioni da qualunque ambito provenissero e dimostrava perspicacia, e curiosità per conoscerle. Era sempre in contatto con molte persone di vari ambiti culturali della penisola e si teneva aggiornato sulle varie iniziative ed esperienze, nel campo del servizio alla famiglia. Attraverso i contatti con Sandro Palamenghi e Mario Cattaneo conobbe la realtà dei Consultori Familiari e dell’Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali (in sigla UCIPEM) . Avendo a cuore la stabilità e la serenità delle relazioni familiari si orientò a progettare un servizio che offrisse sostegno in tal senso.

Ancor prima di far decollare i corsi per i consulenti familiari, aveva sollecitato alcuni collaboratori che gravitavano attorno al Centro, a prepararsi ad un atteggiamento di sostegno alla persona, alla coppia e alla famiglia .

Quando, intorno agli anni Ottanta, si notò che i giovani non rispondevano a momenti di formazione tenuti sotto lo stile della lezione e si riconobbe la necessità di modificare la modalità di lavoro dei Corsi di preparazione al matrimonio, p. Taddei inviò alcuni operatori a Prato, dove C. Vella organizzava degli workshop sulla materia in questione (luglio 1982). Così furono sperimentati incontri con fidanzati secondo la modalità indicata nei “Quaderni di Vella”.

Nell’84, p. Taddei fu messo a conoscenza di corsi per genitori organizzati a Milano, dall’associazione Famiglia e Scuola (in sigla FAES), e fu ben contento che vi si recassero tre coppie di coniugi. Al rientro, contenuti e metodologia furono riportati ad un numero più esteso di collaboratori, che si impegnarono nello specifico studio.

Alcuni operatori del Faes vennero, in seguito, a Sassari per una supervisione apprezzando il servizio e la preparazione dei collaboratori del CPF, cosicché concessero nella realizzazione dei corsi l’utilizzo del loro materiale.

Da allora il CPF dette il via ai “Corsi di orientamento familiare per genitori”, secondo quel metodo.

Sempre attento ai segni dei tempi, p. Taddei si muoveva guidato da principi valoriali, per questo sapeva distinguere gli aspetti peculiari, secondari; Nori Galli, sua grande amica fiorentina sin dalla giovinezza, sintetizzò questa dimensione di lui con queste parole: “p. Taddei era un uomo libero perché legato alle verità fondamentali”. Anche in ciò incarnava lo spirito dei domenicani, come è descritto da loro stessi in un opuscolo di presentazione dell’Ordine: “…tutto ciò che è vero, da chiunque sia detto, in qualsiasi contesto, polarizza la loro attenzione e attira il loro consenso” .

Senza dubbio p. Taddei si rivelò un precursore. Organizzò dibattiti pubblici su problemi ormai incombenti, ma ancora non trasformati in “senso comune”, neppure da parte degli intellettuali, degli amministratori e del clero locale.

Nel ‘67 cominciò ad impostare il servizio del Consultorio Familiare del Centro di Preparazione alla Famiglia, con anticipo di otto anni sulla legge italiana istitutiva dei Consultori Familiari (1975).

Nel ‘68, a due anni dall’approvazione della legge, organizzò un dibattito sul divorzio.

Nel ‘75, sul problema aborto mise a confronto voci cattoliche e voci laiche in una tavola rotonda, in cui spiccava il nome di Giovanni Berlinguer che si espresse a favore del rispetto della vita, p. Taddei lottò su questo fronte con tutte le sue energie, spinto dall’amore alla vita e al bene dell’uomo. Scrisse personalmente a uomini politici (…), si espresse in più modi pubblicamente, inviò, per parlare su questo argomento in vari paesi della provincia di Sassari, alcuni collaboratori del CPF; la legge sull’interruzione volontario della gravidanza sarà confermata attraverso il referendum del 17-05-81.

Nel ‘90 accadde un avvenimento senza precedenti, il Re Baldovino di Belgio, appellandosi all’art. 82 della Costituzione, sospese le sue funzioni di re, per il tempo necessario alla firma e alla promulgazione della legge sull’aborto, da parte del Governo, alla quale egli era contrario.

P. Taddei, in quell’occasione, come in tante altre che denotavano la sua attenzione ai problemi nazionali e internazionali, sentì la necessità di esprimere, a nome personale e a nome del CPF, la propria solidarietà al Re Baldovino, attraverso un telegramma che venne inviato il 9 aprile di quell’anno.

Con altrettanta sensibilità di operatore religioso, si poneva di fronte alle problematiche dell’eutanasia e della manipolazione genetica, affermando che fossero momenti consequenziali di un disegno determinato a minare alle radici la dignità dell’uomo.

Lo stesso atteggiamento lo esortava a porre l’attenzione sulla manipolazione psicologica e sul pericolo droga, mentre in Sassari, soprattutto di fronte a questo fenomeno vi era scarsa presa di coscienza.

Talvolta il suo operato non fu capito ed egli fu oggetto di critiche e persino attacchi . Probabilmente proprio a causa della sua apertura verso tutti e per il fatto che vedeva “oltre”.

I sostenitori di una cultura materialistica e quelli che egli chiamava “fautori di una certa laicità” comprendevano di aver di fronte un intelligente ed attivo “avversario”; d’altra parte nell’ambito ecclesiastico in genere, non era stata colta l’importanza della famiglia quale base per la tutela della persona e della società.

Nella sua ultima lettera ai parrocchiani (di cui diremo più avanti) p. Taddei dice:

“È anche possibile che un sacerdote che ha delle responsabilità, non sia sempre compreso e che le finalità di bene che si propone, possano non essere comprese o male interpretate…” ,

e continuava richiamando a considerare la “coscienza che deve specchiarsi davanti al Signore”, ad ogni modo fu stimato ed apprezzato sia nell’ambiente cattolico, sia in ambito laico. La validità delle sue iniziative suscitava considerazione e apprezzamento e chi lo avvicinava senza pregiudizi nutriva subito, per l’uomo, profondo rispetto e affetto.

La sua attenzione pastorale risultava vasta e portata avanti senza sosta. Aveva pensiero e cura costanti per gli ammalati, gli anziani, le persone sole. Richiamava soprattutto i giovani e i bambini ad avere questa sensibilità. Era tradizione portare un fiore alle vecchie di via Delle Conce e c. M. Angjoi per la festa della mamma e i dolci agli ospiti della Casa Divina Provvidenza , il giorno delle Prime Comunioni e delle Cresime. Il parroco era del parere che ogni giovane sacerdote dovesse dedicare molto tempo agli anziani e agli ammalati perché ne avrebbe ricevuto grande vantaggio nella sua crescita personale umana e ministeriale.

Nell’83 organizzò, presso l’Aula Magna dell’Università di Sassari, un incontro per ricordare l’amico Giorgio La Pira, nel sesto anno dalla sua morte. L’incontro “Giorgio La Pira uomo di speranza e costruttore di pace”, fu condotto con la presenza di Fioretta Mazzei e Giorgio Giovannoni, collaboratori e amici dello scomparso.

Dall’86 aveva intrapreso la consuetudine, nel mese di settembre, di andare in vacanza con i giovani e precisamente i diciottenni, figli dei collaboratori del Centro.

Con essi si recava in visita turistica a Firenze e tale piacevole tradizione fu ripetuta altre volte. Questi ed altri avvenimenti contribuivano a cementare ancora di più l’amicizia che legava p. Taddei ai ragazzi e della quale troveremo testimonianza nelle numerose lettere che egli indirizzava ad essi, nonché nella memoria che i ragazzi hanno conservato dei suoi insegnamenti e del suo amore. D’altronde, aveva a cuore la formazione dei bambini attraverso il catechismo e curava ogni aspetto della relativa scuola. Ogni domenica mattina lo si poteva trovare alle scuole di catechismo.

Nei giorni delle celebrazioni, la chiesa si presentava particolarmente addobbata: piena di fiori e con i banchi rivestiti di rosso dove risaltavano “gli abiti bianchi”; voleva un clima di silenzio e invitava al raccoglimento; affidava le letture e le preghiere ai genitori, figli e padrini. Anche queste occasioni erano per lui favorevoli per instaurare legami di unione e solidarietà con le famiglie.

Aveva colto l’occasione della consumistica Festa della Mamma per risvegliare in tutti i parrocchiani i sentimenti di considerazione e gratitudine verso la maternità e per dire grazie a tutte le mamme, in particolare, a quelle sole o anziane. E non dimenticava mai le donne che avevano scelto “la maternità spirituale” .

Accoglieva tutti: chiunque e da qualunque ambiente provenisse. In ogni persona e in ogni storia umana vedeva aspetti positivi e da valorizzare. Da tutte le testimonianze raccolte scaturisce che proprio l’accoglienza fu la caratteristica peculiare di p. Taddei.

Riteneva che i parrocchiani lo dovessero trovare disponibile il più possibile e perciò lavorava nel suo studio al piano inferiore del convento. Di fatto veniva continuamente interrotto ed era sempre impegnato con qualcuno; a detta di chi gli era molto vicino, per sé doveva cercare “le ore piccine” (sua espressione che indicava le ore del pieno della notte).

Aveva molto a cuore di raggiungere i lontani dalla fede. Molte persone che rifiutano ogni rapporto con la Chiesa e con i sacerdoti, erano legate a p. Taddei da sincera amicizia.

Per questo, egli riteneva che il Consultorio Familiare del CPF dovesse restare aperto il più possibile ad un carattere di missionarietà: doveva sì, ispirarsi fedelmente al Cristianesimo, ma non doveva avere etichette di sorta, per non creare pregiudizi e per non limitare, quindi, la possibilità di approccio a persone “lontane”. Il suo dire era questo:

“l’Uomo deve aiutare l’uomo a divenire tale: a vivere da Uomo, il resto è Grazia… l’Uomo può aiutare il suo simile a realizzare la sua dignità di Uomo, la Grazia si unisce alla natura per rendere l’uomo figlio di Dio, quale egli è” .

Nell’89 veniva organizzato il cinquantenario della istituzione della parrocchia di S. Agostino, per l’occasione il Taddei aveva previsto un Corso di educazione alla preghiera e, come celebrazione conclusiva, la liturgia degli anniversari di matrimonio, iniziativa che si prolungò fino all’8 dicembre 1990 .

Il 23 luglio, sempre dell’89, per una coincidenza fortuita, p. Taddei compiva i 50 anni di sacerdozio. Egli, rifuggendo da ogni commemorazione, si recò ad Empoli, in ritiro presso le suore di clausura Domenicane della Santissima Annunziata, presso le quali era stato in ritiro altre volte. Successivamente si recò ad Imer per le sue vacanze e là venne festeggiato dalla comunità .

Al suo ritorno, la comunità del Centro lo rimproverò amorevolmente, perché aveva impedito ad essa di poterlo festeggiare; in tale occasione, comunque, una famiglia gli dedicò una lettera molto significativa che esprimeva pienamente la gratitudine di tutte le altre che gravitavano attorno a lui, per l’incessante opera da P. Taddei prodigata a favore dell’istituzione familiare e dei suoi membri .

Le iniziative curate in tutti gli aspetti e il coinvolgimento all’impegno nel servizio erano continui; era appena terminato un corso, un convegno, un incontro, ed egli già stava comunicando un nuovo tema e stava prospettando ai collaboratori una nuova iniziativa, tant’è che venne da tutti definito un “Vulcano” e spesso capitava che i collaboratori non venissero adeguatamente consultati prima di ogni programmazione di lavoro.

P. Taddei cominciò a mostrare i primi segni di stanchezza nel dicembre 1990. Egli aveva la consuetudine di andare ad Abano, per le cure termali, ai primi di gennaio. Anche quell’anno andò, ma al rientro ricominciò ad avvertire la stanchezza.

Continuò a svolgere il suo ministero con la cura e la dedizione di sempre e affrontò, così, tutto il particolare impegno della Quaresima, del tempo pasquale con le benedizioni delle case e la preparazione e le celebrazioni alle Prime Comunioni e Cresime, occasione in cui spendeva tutte le sue energie.

Arrivò alla fine di maggio sfinito. Aveva inoltre subito un intervento di sostituzione del cristallino ad un occhio (presso l’ospedale di Ozieri).

Per riposare almeno un paio di giorni, pensò di fare come l’anno precedente: si ritirò in una casa messa a disposizione da una famiglia amica nel villaggio Listincanu (Olbia), ancora non abitato, data la stagione; nella solitudine e nel silenzio avrebbe potuto pregare e studiare.

Lì, il 29 e 30 maggio scrisse ai suoi parrocchiani, rivolgendosi loro così: “Ad ogni famiglia e ad ogni fratello nel Signore”. Era una lettera di saluto, considerando che in quell’ottobre, compiuti 75 anni, avrebbe presentato le dimissioni da parroco. Lo scritto apparirà, in seguito, quasi profetico di un saluto definitivo. Soltanto il 2 luglio successivo, resosi conto che veniva a mancargli la parola, p. Taddei aveva affidato tale lettera ad alcuni amici perché fosse distribuita ai parrocchiani dopo la sua morte.

Ritornò in parrocchia sempre estremamente stanco. Si rivolse ai medici a cui riferì anche altri disturbi di cui invece non aveva parlato con nessuno. Fu deciso il suo ricovero per accertamenti presso la clinica universitaria di medicina interna per la metà di giugno. Il giorno 13, il padre superiore Giuseppe Mangeri improvvisamente fu colpito da ictus cerebrale e morì il 21 dello stesso mese. P. Taddei uscì dall’ospedale per il funerale, ma le sue condizioni erano molto gravi: poteva deglutire solo cibi liquidi e il braccio destro era ormai quasi paralizzato.

Rientrò in clinica e temeva di non essere dimesso prima della fine del mese, dato che aveva in programma un pellegrinaggio a Lourdes, luogo dove non era mai riuscito a recarsi.

I medici e i superiori, considerando il suo grande desiderio, nonostante lo stato fisico e la degenza ospedaliera, gli concedessero il permesso al viaggio.

A Lourdes, al mattino del primo giorno, il 27, la prima visita fu alla grotta assieme al suo gruppo; p. Taddei aveva il volto segnato dalla sofferenza e da una profonda tristezza.

Dopo aver partecipato alla S. Messa, fu accompagnato a fare il bagno nelle acque miracolose; a detta dei testimoni, ne uscì trasfigurato: il suo volto magro, segnato ancora di più per i capelli bagnati che aderivano alla testa, era illuminato da un sorriso colmo di gioia. E da allora apparve sempre sereno e sorridente, nonostante il continuo peggioramento dello stato fisico. Al ritorno a Sassari, apparve a molti addirittura migliorato. Nell’omelia della S. Messa esequiale, il padre Provinciale, Angelo Urru, disse che p. Taddei aveva fatto nelle acque di Lourdes un “bagno di fede” .

Rientrò in clinica la sera del 30 giugno. L’indomani mattina, seppure con incertezza e fatica di movimenti del braccio destro, scrisse la lettera di invito e di introduzione al Convegno di Spiritualità Familiare (il 13°), “La famiglia educa e prepara alla vita e alle scelte” . Il giorno 2, rendendosi conto che stava perdendo l’uso della parola, volle affidare ad una persona amica la lettera-testamento perché fosse custodita ed inviata a tutti solo “dopo”.

In seguito, della parola gli rimase solo un “sì”, che ripeté innumerevoli volte con insistenza e forza: un sì di accettazione sofferente.

Intanto il numero delle persone che andavano a trovarlo cresceva sempre più; la mattina in cui ricevette il sacramento degli infermi, la gente riempiva l’andito della corsia della stanza fino alla porta d’ingresso, unita in preghiera.

Fu necessaria una regolamentazione delle visite e una turnazione di assistenza. Gli amici più vicini, in particolare le famiglie del CPF, si avvicendarono al suo capezzale per una presenza continua di giorno e di notte, ma tutti avrebbero voluto stargli vicino a lungo e ciascuno entrava nella stanza e si accostava a lui, con l’atteggiamento sicuro di una conoscenza particolare .

Arrivarono parrocchiani, giovani, adulti, anziani, bambini, sacerdoti e laici, da Sassari e da altre località; vennero dal Trentino, da Firenze, da Torino alcuni amici, e vi fu chi, persino, non potendosi trattenere perché impegnato nel lavoro, arrivò con l’aereo al mattino e dopo un saluto carico di affetto e commozione ripartì immediatamente. Da tutte le parti d’Italia giungevano richieste di notizie sulla sua salute.

Egli accoglieva tutti con affetto, sorridendo finché il volto lo consentiva. Non potendo parlare cercava di comunicare cose essenziali, che gli stavano a cuore, con gesti del braccio sinistro e del volto. Voleva che si pregasse sempre intorno a lui. Fu vigile fino quasi alla fine e rifiutò i farmaci che avrebbero potuto alleviare la sofferenza ma gli avrebbero impedito di gestirla con consapevolezza .

Si spense il 20 agosto e la sua salma fu esposta nella cappella “delle anime” (la prima a destra) della Chiesa di S. Agostino e fu vegliata ininterrottamente fino al momento del suo funerale, avvenuto il 22 agosto.

La breve sintesi, riportata sul retro di una sua foto-ricordo per il trigesimo della morte, a cura dei confratelli, precisa che “partecipò alle solenni esequie una folla tanto grande da non poter essere contenuta nella chiesa” .

La celebrazione Eucaristica fu presieduta dall’arcivescovo di Sassari mons. Isgrò e concelebrarono, oltre il Vescovo di Tempio e di Ampurias, il P. Provinciale, il p. Provinciale dei Frati Minori, l’Abate di S. Pietro di Sorres, e circa 70 sacerdoti .

L’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, volle essere rappresentato alle esequie dal Prefetto di Sassari ed inviò un messaggio, poi pubblicato anche sul quotidiano “La Nuova Sardegna”, che ricordava l’amico e compagno di tante iniziative […] nel segno di una fedeltà piena all’insegnamento della Chiesa, lo dice: “apostolo e parroco (…) guida consolatore di tanti. Sacerdote esemplare, cittadino integerrimo (…) animatore instancabile di impegno di servizio e di verità…” .

Riconoscimento e gratitudine furono espressi in modi diversi e da moltissime persone: una parrocchiana, in una lettera scritta il 14 ottobre 1991, lo definisce “pastore eccezionale’ e fa richiamo al suo’ esempio di un cristianesimo inteso nel senso più vero, ideale e concreto insieme” e a non smarrire la lezione da lui trasmessa nell’operosità della vita, nell’umiltà della morte; un anziano sacerdote, don Clerici, suo parrocchiano, parlò di lui con questa sintesi: “uomo di profonda dottrina, di instancabile zelo pastorale, che è arrivato al cuore di molti come pochi sanno fare”.

Si chiudeva così, l’esistenza terrena di p. Taddei, la sua idea, invece, il Centro di Preparazione alla Famiglia, da lui tenacemente portata avanti, ha continuato l’attività.

Egli, talvolta, pensando al futuro, soleva dire: “se il Centro è opera mia, finirà, se è opera di Dio, come io credo, continuerà”.

 

Angela Baio, Cattolici per la famiglia a Sassari nel secondo Novecento. Il centro di preparazione alla famiglia di padre Giovanni Serafino Taddei (1967-1991) Associazione culturale ” A. De Gasperi”, Stampacolor, Sassari 2006. cap. III

 

 

Commenti sono sospesi.

RSS Sottoscrivi.