Categoria : recensioni, storia

Fermezza e diplomazia di Pio XII nelle carte della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari di Vincente Càrcel Ortì

Il cardinale Pacelli e la seconda Repubblica spagnola

Dai documenti inediti la conferma dei difficili rapporti tra Chiesa e Governo nel corso degli anni Trenta

Il cardinale E. Pacelli

Nel primo decennio del pontificato di Pio XI, la Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (Aes) si occupò di alcune provvisioni di diocesi spagnole e di altre questioni. Fu però a partire dal 1931 che questo dicastero dovette riunirsi regolarmente per esaminare la complessa situazione della Chiesa in Spagna dopo la proclamazione della Repubblica e poi durante la guerra civile, finita il 15 aprile 1939.

Tale attività è stata ampiamente analizzata e documentata da Roberto Regoli, della Pontificia Università Gregoriana, in uno studio presentato al congresso internazionale promosso dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche – tenutosi nella Città del Vaticano dal 26 al 28 febbraio 2009 – nel volume La sollecitudine ecclesiale di Pio XI a cura di Cosimo Semeraro (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pp. 183-229). Gli interventi elaborati per le congregazioni plenarie furono in generale molto voluminosi e vennero suddivisi in due parti: la prima comprendeva la relazione e la seconda il sommario, pieno di documenti, generalmente dispacci della Nunziatura di Madrid e altri testi che permettevano ai cardinali di studiare la questione e di redigere i corrispondenti voti scritti, che si conservano rilegati insieme al rispettivo intervento in Aes, Rapporti delle Sessioni.

Tutti i voti dei cardinali sono interessanti, ma alcuni rivestono un’importanza particolare per l’autorevolezza di chi li emise, per esempio il cardinale Pietro Gasparri che, malgrado non fosse più segretario di Stato, nell’esporre il tema dava prova della sua straordinaria esperienza e competenza, rafforzate da una prodigiosa memoria storica sul modo di procedere della Santa Sede in situazioni simili a quella spagnola.

In questo insieme di voti si distinguono però quelli del cardinale Eugenio Pacelli per la sua duplice funzione di segretario di Stato e di prefetto della suddetta Congregazione. Di solito interveniva per ultimo, dopo aver ascoltato gli altri cardinali, e i suoi testi autografi riassumevano la questione fondamentale, riprendendo le opinioni già espresse e completandole con contributi originali, innovativi, molto particolareggiati e autorevoli, in quanto Pacelli disponeva di maggiori informazioni su ogni tema e inoltre aveva alle spalle molti anni di esperienza diplomatica.

Per questo i suoi voti sono una fonte inedita per approfondire la conoscenza della movimentata storia spagnola degli anni Trenta, in quanto Pacelli intervenne in tutte le plenarie tenutesi dal 1931 al 1938. Cinque di esse ebbero luogo nel 1931. La prima, il 23 aprile, per dibattere il tema del riconoscimento della Repubblica proclamata pochi giorni prima.

Pacelli lesse il seguente voto: “Intorno alla questione della attuale situazione religiosa nella Spagna sembra che debbano considerarsi tre punti: 1) Il primo punto è l’attitudine da tenersi dalla S. Sede di fronte al Governo Provvisorio della Repubblica spagnola. Gli E.mi hanno già indicato i criteri che devono ispirare l’azione della Santa Sede di fronte al Governo di fatto, sebbene sia nell’origine illegittimo. 2) A questi criteri mi sembra quindi che debba anche praticamente ispirarsi la condotta della S. Sede. Alla nota dell’Ambasciatore si potrà rispondere accusando ricevimento, ringraziando della comunicazione ed aggiungendo forse anche che la S. Sede è disposta ad assecondare il Governo provvisorio nell’opera del mantenimento dell’ordine, nella fiducia che anche il Governo vorrà da sua parte rispettare i diritti della Chiesa e dei cattolici, massime in una nazione in cui la quasi totalità della popolazione professa la religione cattolica. Simile istruzione converrebbe dare al Nunzio e per di lui mezzo ai Vescovi. Non eventuali eccessivi entusiasmi né passi comuni; ma rispetto dell’autorità costituita e richiamo al dovere di assecondarla per il mantenimento dell’ordine. Già qualche vescovo, ad es. il Vescovo di Barcellona ha fatto qualche cosa di simile, come risulta dalla circolare al Clero pubblicata dalla Vanguardia.

3) Questione del Patronato. Il diritto di Patronato è evidentemente caduto. Appena è necessario di pensarlo. Basta ricordare l’allocuzione di Benedetto XV. Inoltre il diritto di presentazione è di stretta interpretazione (can. 1471) e quindi si considera come concesso alla persona. Praticamente mi sembrerebbe che si potesse procedere in modo analogo a quello che fu seguito in Germania oppure dopo la rivoluzione. Per ora – ed in ogni caso e prima delle Cortes Costituenti – i Vescovi si contentino di provvedere ai benefici di loro libera collazione e riservati alla S. Sede. Quanto alle parrocchie, per le quali il Re aveva il diritto di nomina, si potrebbe interinalmente provvedere per mezzo di concorsi parrocchiali. Quindi delle due l’una, o il Governo va alla separazione dello Stato dalla Chiesa, ed allora tutto cade da sé ed entra il diritto comune. Ora il Governo vuole venire a trattative ed eventualmente ad un Concordato ed allora si potranno proporgli i sistemi addottati nei Concordati moderni, i quali escludono diritto di nomina o di presentazione (salvo il caso di patronati fondati su legittimo titolo canonico), ma ammettere, ad esempio, l’interrogazione al Governo per conoscere se vi sono difficoltà di ordine politico”.

La seconda plenaria si celebrò il 1? giugno per studiare la situazione religiosa, dopo un mese e mezzo di regime repubblicano.

Secondo la sintesi fatta da monsignor Giuseppe Pizzardo, il cardinale Pacelli: “Si associa completamente alle sapienti osservazioni e risoluzioni proposte dagli Em.mi Padri. Non tedierà quindi gli Em.mi col ripeterle, tanto più che l’ora è già tarda. Crede tuttavia necessario di aggiungere, riferendosi a qualche critica fatta per le insufficienti informazioni date dal Nunzio, aver egli fatto sapere che attendeva una favorevole occasione per inviare le sue relazioni alla S. Sede. D’altra parte non si potevano attendere i detti rapporti per radunare la Congregazione, perché l’E.mo Segura insisteva di avere al più presto le richieste istruzioni. Interesserà forse agli Em.mi di conoscere alcune notizie avute ieri dal Vescovo di Vitoria giunto testé da Roma. La “Spagna cattolica” è pur troppo un mito. Il Vescovo diceva che nelle provincie basche il popolo nella grande maggioranza è attaccatissimo alla religione; ed è perciò che ivi gli elementi sovversivi non hanno ardito di incendiare e saccheggiare chiese e conventi. Ma nelle altre regioni non è così. Cattiva è la situazione, specialmente in Andalusia, ove il popolo non ha fede: ed anche nella Castiglia e nell’Estremadura è poco buona. Quanto ad una restaurazione monarchica, il sullodato Vescovo la ritiene per ora impossibile e assai poco probabile anche per l’avvenire; anche nella sua diocesi, in cui la popolazione è, come si è detto, attaccatissima alla religione, essa però non si interessa affatto alla monarchia, salvo eccezioni. Il Vescovo ha detto pure che non vi è nulla di buono da sperare dal Governo attuale. Nel Gabinetto vi sono tre soli candidati cattolici: l’Alcalá Zamora, il Maura (del resto discolo figlio del defunto celebre uomo politico conservatore) e il Ministro della Gobernación; ma si dice che probabilmente saranno messi fuori del Ministero. Gli altri sono tutti atei e nemici della Chiesa – Vi è anche da sperare poco di buono dalle future elezioni, sempre secondo il Vescovo di Vitoria, giacché non vi sarà nessuna libertà, ma saranno fatte colla violenza – Si prepara dal Governo la espulsione degli Ordine delle Congregazioni religiose, e a tal scopo si provocano petizioni degli Ayuntamientos o Municipi, affinché il Governo possa qui dire che è stata voluta dal popolo – L’Ecc.mo spiega anche come accade la partenza dell’E.mo Segura, secondo la relazione fattagli dallo stesso E.mo. Si attende però di conoscere quella che invierà il Nunzio. L’E.mo è ritenuto come un santo; propone quindi che la S. Sede lo lasci libero di tentare di tornare in diocesi – Quanto al Vescovo di Vitoria, egli ha narrato che il Governatore, nel comunicargli l’ordine di espulsione, gli disse che la sua assenza sarebbe stata breve; egli attende quindi una comunicazione del Governo. Ma verrà? Come egli ha riferito, tutta la diocesi, assai buona, è dalla sua parte, eccetto pochi socialisti e comunisti (…)”.

La terza Plenaria si tenne il 3 settembre per analizzare la complessa situazione creata dal cardinale primate Pedro Segura. La quarta si celebrò il 15 dello stesso mese per completare quella precedente e giungere a una decisione definitiva, che fu di consigliare al cardinale di dimettersi per il bene della Chiesa. In queste due plenarie si evidenziarono le forti tensioni esistenti fra il cardinale primate e il nunzio. La Santa Sede era disposta a togliere a Segura la giurisdizione nominando un amministratore apostolico sede plena di Toledo, lasciandogli semplicemente il titolo di arcivescovo. Ma il Governo esigeva le dimissioni del primate e lo faceva con sempre maggiore insistenza e con minacce intollerabili. Perciò la plenaria fu rinviata al 15 settembre e in essa si decise di mandare una nota all’ambasciata di Spagna precisando l’atteggiamento della Santa Sede di fronte al “caso Segura”, che si poté risolvere solo quando lo stesso porporato presentò liberamente le dimissioni, subito accettate dal Papa.

Nell’acta corrispondente leggiamo che Pacelli: “Aderisce alle osservazioni fatte dagli Em.mi Padri ed in particolar modo alla proposta dell’E.mo Cerretti d’inviare all’Ambasciatore di Spagna una Nota per fissare l’attitudine della Santa Sede. In detta Nota dovrebbe dimostrarsi come sia del tutto infondata la sorpresa e la disillusione del Governo. Infatti il telegramma cifrato del 25 agosto non parlava affatto di deposizione o destituzione del cardinale Segura dalla sede arcivescovile di Toledo, ma diceva soltanto con frase generica che la Santa Sede era “disposta a prendere analoghi provvedimenti quanto al Governo dell’arcidiocesi”. Inoltre questa stessa concessione era fatta a condizione che “il Governo desse serie garanzie che la Costituzione fosse modificata in termini conciliabili coi diritti essenziali della religione e della Chiesa”. Che anzi la S. Sede è andata ancora più innanzi, giacché, malgrado la mancanza di tali garanzie, e quindi di tale condizione, si è dichiarata disposta a proceder subito alla nomina di un Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis, con obbligo per il Cardinale di astenersi senz’altro da ogni atto o apparenza di governo diocesano. Non è quindi una burla, come si è espresso il Governo, e la S. Sede deve quindi protestare altamente contro questa insinuazione. La nomina di un Amministratore Apostolico sede plena è provvedimento gravissimo, che si prende assai raramente anche per l’ultimo Vescovo, e non è mai per breve durata. La S. Sede, facendo ciò per un arcivescovo e cardinale, fa cosa assai straordinaria e grave. La domanda di rimozione pura e semplice è inaccettabile. Nessun Governo, anche fra quelli che hanno colla S. Sede relazioni normali oserebbe di avanzare simile domanda. Forse si potrebbe dire in fine della Nota che, dopo le tristi cose avvenute, sembra alla S. Sede di essere nel diritto e nel dovere di veder quale piega prendono le cose, prima di dare un passo avanti. L’Em.mo cita l’esempio del Card. Ledóchowski. Sospettato durante il Kulturkampf, egli ebbe (24.11.1873) dal Governo Prussiano l’ordine di rinunziare alla sua arcidiocesi di Gnesen e Posen; avendo egli respinto tale pretensione, nella notte del 3.2.1874 fu arrestato e internato nella prigione di Ostrovo e il 15 aprile fu deposto dal Tribunale prussiano per gli affari ecclesiastici. Ora, sebbene si trattasse del potentissimo Impero Germanico e del Cancelliere di ferro, la S. Sede non solo non ratificò tale deposizione, ma anzi, mentre egli era ancora in carcere fu elevato da Pio IX alla S. Porpora (13.2.1874). Nel 1876 fu liberato dal carcere ed espulso dalla Prussia, egli venne a Roma, ove fu ricevuto con tutti gli onori e continuò ad amministrare la sua diocesi, malgrado le nuove condanne inflittegli per ciò dal Governo (9.2 e 26.5.1877; 7.11 1878), così sotto il pontificato di Pio IX come sotto quello di Leone XIII, e fu soltanto nel 1886 che, per le difficoltà di tale governo diocesano e per i danni che la diocesi ne risentiva, che egli diede spontaneamente la sua rinunzia all’arcivescovato di Gnesen e Posen.

“È stato ben detto dagli E.mi che solo una rinunzia spontanea dell’E.mo Segura potrebbe ammettersi, ma non suggerita dalla S. Sede. Così fece già S. Gregorio Nazianzeno, il quale rinunziò spontaneamente alla Sede di Costantinopoli, dicendo col Profeta: “Si propter me commota est ista tempestas, dejicite me in mare, ut vos jactari desinatis”.

“Occorre poi che i Vescovi facciano qualche dimostrazione ed elevino la loro voce contro gli attentati commessi ai danni della Chiesa. A ciò può dare formale occasione la prossima Conferenza degli Arcivescovi, cui si riferisce il telegramma di Mons. Nunzio Nº. 233, e la quale potrà trattare anche i punti indicati dal Card. Segura nella sua recente lettera”.

La quinta plenaria, celebrata il 12 novembre, esaminò la proposta di nominare ambasciatore presso la Santa Sede Luis de Zulueta, che fu respinto, perché, a giudizio unanime dei cardinali, non riuniva le condizioni richieste in quel momento per tale incarico. Sarà però accettato nel maggio del 1936.

Questo ultimo tema richiamò l’attenzione dei cardinali, che si opposero alla sua nomina perché sarebbe stato umiliante per la Santa Sede accettare un ambasciatore al quale era stato formalmente negato il placet e la cui situazione personale si era ulteriormente aggravata dopo il discorso pronunciato nelle Cortes alla fine di agosto, discorso in cui aveva apertamente criticato la Chiesa, chiudendosi da solo la porta che gli avrebbe permesso di accedere all’ambasciata. Pacelli suggerì pertanto che al momento la risposta più prudente fosse di chiedere al Governo di non insistere ulteriormente su un candidato che era già stato dichiarato non gradito e di proporne un altro più accettabile. Solo dopo la risposta del Governo si sarebbe potuto decidere come agire in futuro e solo allora si sarebbe potuto valutare se era opportuno che a Madrid restasse il nunzio o un semplice incaricato d’affari.

I voti emessi dai cardinali in questa ultima plenaria furono particolarmente estesi, ma il voto di Pacelli sintetizzò i pareri favorevoli e quelli contrari a ognuna delle ipotesi che furono fatte sui diversi temi trattati, in quanto alcuni porporati erano fautori di una linea più dura ed energica di fronte alle pretese sempre più intollerabili del Governo, mentre altri preferivano che si negoziasse fin dove possibile. I primi chiedevano che il nunzio venisse richiamato, come gesto forte che avrebbe colpito l’opinione pubblica; i secondi erano favorevoli a continuare le relazioni diplomatiche, pur non facendosi grandi illusioni su eventuali risultati favorevoli alle esigenze della Santa Sede.

Dinanzi alle proposte di alcuni cardinali che chiedevano il richiamo del nunzio perché ritenevano inefficace la sua azione, Pacelli sostenne l’opposto e monsignor Pizzardo, segretario della Congregazione, lasciò scritto nell’acta corrispondente: “Per ciò che riguarda la questione generale, gli E.mi hanno già largamente e sapientemente esposti gli argomenti pro e contra. Il Card. Pacelli è per il mantenimento delle relazioni medesime. Egli anzi non sarebbe almeno per ora per il richiamo del Nunzio, il quale ha mostrato recentemente di voler prendere una attitudine più energica. Una volta chiamato o richiamato, sarà ben più difficile di mandarne un altro, anche perché l’accreditare un nuovo Nunzio sembra che aumenterebbe nel momento attuale ancor maggiormente gli inconvenienti segnalati dagli E.mi. D’altra parte, sembra utile la persona del Nunzio, sia per impedire mali maggiori nell’avvenire per opera del Governo, sia per la direzione ed il consiglio così necessari per l’Episcopato e per i cattolici, mentre un semplice incaricato d’affari non avrebbe la stessa autorità. L’ammirazione e lo scandalo, che la persona del Nunzio potrebbe suscitare dopo le inique leggi già votate e l’attitudine del Governo, sembra che sarebbero tolti colle già avvenute manifestazioni della S. Sede e soprattutto colla progettata Lettera Enciclica, la quale non potrebbe lasciare più alcun dubbio sulle vedute della S. Sede”. Per questo motivo, il nunzio Tedeschini rimase a Madrid fino al giugno del 1936, quando tornò a Roma dopo essere stato creato cardinale.

Il 14 maggio 1934 e il 4 marzo 1935 la plenaria si riunì nuovamente per esaminare la proposta di modus vivendi con la Repubblica, che non si concretizzò a causa del mancato conseguimento di un’intesa fra le parti. Pio XI decise di sospendere il complesso negoziato perché il Governo non offriva le garanzie richieste dalla Santa Sede.

 

(©L’Osservatore Romano 9 giugno 2011)

 

Commenti sono sospesi.

RSS Sottoscrivi.