Categoria : politologia

Le elezioni amministrative del 22 maggio in Spagna e il dibattito in casa socialista di Alfonso Botti

Alfonso Botti

Le elezioni amministrative del 22 maggio hanno segnato l’ingloriosa fine dell’era Zapatero. Annunciato da tutti i sondaggi, il tracollo socialista è giunto puntuale come i treni dell’Alta velocità spagnola. In termini assoluti i socialisti hanno perso circa un milione e mezzo di voti, i popolari ne hanno guadagnati 600 mila e Izquierda Unida 220 mila, mentre alla formazione centrista di Rosa Díez, Unión Progreso y Democracia (UP y D), che si presentava per la prima volta in questo tipo di competizioni, ne sono andati oltre 400 mila. In termini percentuali i socialisti sono stati sopravanzati dai popolari di circa 10 punti, toccando il fondo dei consensi dal ritorno della democrazia. Delle 13 su 17 Comunità Autonome in cui si è votato, i socialisti hanno perso le 6 in cui erano al governo, mentre il PP ha incrementato i propri voti nelle rimanenti. Città come Barcellona e Siviglia per la prima volta da oltre trent’anni non avranno un sindaco socialista, mentre Cordova, unico capoluogo di provincia in mano a Izquierda Unida, avrà un sindaco del PP. L’astensione, solitamente alta in tutte le competizioni elettorali spagnole, non ha conosciuto significativi incrementi, essendo la partecipazione attestatasi sul 66%, mentre un lieve incremento si è avuto nelle schede bianche e nulle. Rimanendo ai dati, ve ne sono due ulteriori da segnalare. In primo luogo la notevole affermazione in Euskadi e nella Navarra del nazionalismo basco radicale presentatosi nella coalizione denominata Sortu, che oltre a San Sebastián ha conquistato la maggioranza assoluta in 88 municipi, quella relativa in 25, eleggendo 1138 consiglieri. Complessivamente oltre 276 mila voti, pari al 25,5%, con un significativo incremento rispetto alla migliore performance elettorale di quest’area politica, quella del 1999, quando Euskal Herritarrok aveva calamitato 223 mila voti ottenendo il 17,7% dei consensi. Un dato da mettere in relazione con la strada imboccata dall’organizzazione terrorista Eta, forse per la prima volta in modo credibile dalla sua nascita, di rinuncia alla lotta armata. In secondo luogo il relativo successo della formazione xenofoba Plataforma per Catalunya, capeggiata da un ex militante dell’organizzazione neofascista Fuerza Nueva che, presentatasi in varie località catalane, ha ottenuto quasi 66 mila voti, eleggendo 67 consiglieri. Un campanello d’allarme, più che una minaccia reale, almeno per ora, specie se comparato con il dilagare di movimenti xenofobi nel Nord Europa, in situazioni economiche nettamente meno traballanti di quella spagnola. Passando dagli effetti alle cause, i motivi del crollo socialista sono di abbastanza facile individuazione. Confermato con un discreto margine nelle elezioni del marzo 2008, Rodríguez Zapatero, che tanto aveva impressionato l’opinione pubblica internazionale con le sue riforme di ampliamento dei diritti civili, si è mostrato del tutto inadeguato di fronte al precipitare della crisi economica, la cui gravità non ha inizialmente percepito e sulla quale è intervenuto pertanto in modo tardivo, salvo adottare, su pressanti inviti delle istituzioni europee, misure draconiane poco attente ai redditi da lavoro dipendente, inefficaci sul piano dell’occupazione, quanto generose verso il sistema bancario. Il voto del 22 maggio è stato dunque politico: ha punito il governo socialista, le sue contraddizioni e il suo andamento ondivago. Più che vincerle i popolari, le hanno perse i socialisti. Ricorrente è stata la domanda se il movimento degli acampados o indignados, sui quali hanno indugiato i media, abbia inciso sull’esito del voto. Considerato il mancato decremento della partecipazione, la leggera crescita delle schede bianche e nulle e di Izquierda Unida, si può senz’altro concludere che la protesta dei giovani di Puerta del Sol e delle piazze di tante altre città spagnole, non è stata influente. Né avrebbe potuto esserlo, considerata la recente apparizione di questa originale forma di protesta, frettolosamente bollata dagli improvvisati analisti nostrani come manifestazione antipolitica e versione ispanica del “grillismo”. Altro discorso andrebbe fatto sul significato e le prospettive future di un movimento che intende battersi sul terreno democratico per rinnovare la democrazia spagnola, a cominciare dalla riforma della legge elettorale che, per favorire l’integrazione dei nazionalismi cosiddetti periferici (catalani, baschi, galiziani, ma poi anche andalusi, canari, ecc.), premia i partiti con radicamento territoriale forte ma circoscritto, a scapito delle formazioni presenti su tutto il territorio nazionale. Con analoghe perversioni del risultato ottenuto in voti sul piano delle Comunità autonome, dove, per esempio nella Comunità di Castiglia-La Mancha, un seggio costa oltre 22 mila voti ai popolari, 21 mila voti ai socialisti, mentre Izquierda Unida con poco meno di 45 mila voti è rimasta priva di rappresentanza. Le elezioni amministrative del 22 maggio hanno aperto una nuova fase politica e un acceso dibattito all’interno del PSOE. I popolari di Mariano Rajoy hanno chiesto subito elezioni anticipate. Essi, però, oltre a non avere credibili proposte alternative sul piano del risanamento economico e della lotta alla disoccupazione, continuano a non avere i numeri alle Cortes per presentare una mozione di censura che, nel caso fosse respinta, avrebbe un effetto-boomerang. Da parte loro i socialisti hanno assoluto bisogno di tempo per tentare di risalire la china e presentarsi agli elettori con un nuovo leader e un programma credibile, dopo la rinuncia di Zapatero, annunciata il 2 aprile scorso, a una nuova candidatura per le elezioni del 2012. D’accordo sull’obiettivo di prender tempo e sfruttare al meglio l’ultimo scorcio della legislatura, i socialisti si sono dapprima divisi su come raggiungerlo. All’idea di Zapatero di avviare un dibattito interno in vista delle primarie, si è inizialmente opposto il presidente della Comunità autonoma di Euskadi, Patxi López, fautore della convocazione di un congresso straordinario che, scavalcando le primarie, portasse immediatamente all’elezione di un nuovo segretario generale. Una proposta che, creando di fatto una diarchia, oltre a indebolire Zapatero, avrebbe sbarrato la strada all’attuale ministro della Difesa, la catalana Carmen Chacón, le cui possibilità di affermazione, considerevoli in caso di primarie, sarebbero state pressoché nulle in un congresso straordinario controllato dall’apparato del partito. È prevalsa alla fine la linea di Zapatero, che non solo è riuscito a scongiurare il congresso anticipato, ma che, con la collaborazione di vari “baroni” del partito, è riuscito a dissuadere Chacón dal presentarsi alle primarie, decisione che ha spianato la strada al vice presidente del governo e uomo di lungo corso del partito, Alfredo Pérez Rubalcaba, secondo alcuni il vero ispiratore della mossa di Patxi López. Ottenuta l’investitura dal Comitato federale del 28 maggio, in assenza di altre candidature, possibili fino al 13 giugno ma altamente improbabili, sarà dunque Pérez Rubalcaba a competere per la presidenza del governo con il leader popolare Mariano Rajoy nelle elezioni del marzo 2012. Per decidere come affrontare il prossimo futuro, al PSOE è bastata una settimana. Sconfitto nel paese, Zapatero ha vinto nel partito, riuscendo ad evitare il Congresso straordinario che avrebbe dato il colpo finale alla sua leadership, a evitare primarie che avrebbero lacerato i socialisti e a far prevalere l’uomo da molti considerato come il suo vero e unico candidato alla successione. Se sia stata una vittoria dell’apparato del partito per non mettersi in discussione e scavare in profondità alla ricerca delle cause della sconfitta o una prova di unità e rapidità, lo sapremo nei prossimi mesi.

Alfonso Botti
(Università di Modena e Reggio Emilia)

http://www.europressresearch.eu/html/focus.php?lang=ITA&id=74

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