“Due “inutili” figli di Dio” di Cristina Manca. Risposta di Angelino Tedde
23 giugno 2023 alle ore 20:04 | ||
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Su Donna Lucia Tedde Delitala o Delitala Tedde,data la liquidità dei due cognomi ereditati dal padre e dalla madre,sia nel cartaceo sia nel digitale si naviga tra tentativi di ricostruzione storica e leggenda..
La fantasticheria ce la presenta in primis come “banditessa” oppure femminista ante litteram o addirittura eroina. che cerca di contrastare l’azione portata avanti dai piemontesi in Sardegna. L’accademica di Cagliari, Maria Lepori e i cultori di storia locale Angelino Tedde, Andreina Cascioni, Giovanni Soro tentano invece, sulla base di documenti forniti da vari archivi, di fare una ricostruzione storica. Prima di tutto ka sua carta d’identità: nascita a Nulvi, dai 21/22 anni residente a Chiaramonti. I documenti rintracciati attestano il suo seppellimento nella cappella fatta costruire dai curatori testamentari della sorella maggiore Gerolama, nella chiesa del Carmelo di Chiaramonti, esattamente delle tre quella più vicina all’altare come si vede dalla fotografia. La prima cappella risulta acquisita per diritto dai Budrone nel 1730 [Coracensis], la seconda . dai Falchi (Coracensisi) e finalmente nel 1717 la terza dei Tedde Delitala, dove sono sicuramente sepolte in un baùl sia Donna Gerolama sia Donna Lucia.
Prof. Fabio Prùneri
Fresco di stampa esce il saggio sulla scuola in Sardegna del periodo preunitario dall’Editrice il Maestrale di Nuoro ad opera del professore dell’Università degli studi di Sassari Fabio Pruneri.
Narrare le peripezie con cui il professore, ormai sardo di adozione, sia riuscito a procurarsi le lettere del poliedrico teologo sardo Antonio Manunta Crispo indirizzate al famoso intellettuale lombardo Francesco Cherubini non è facile. La sua caparbietà alla fine è stata premiata e così oggi esce l’edizione critica di queste lettere che gettano i riflettori sulle vicende della scuola normale in Sardegna.
Già noto per il saggio sull’istruzione in Sardegna dal 1720 al 1840, premiato peraltro non solo dalla Regione Sardegna, con questo saggio Fabio Pruneri si colloca al primo posto sulla storia dell’istruzione sarda. Se nel primo saggio ha illustrato le vicende del periodo sabaudo ora getta chiara luce sui problemi concreti che la scuola normale sarda dovette affrontare per darsi un’ossatura non solo sabauda, ma anche lombarda ed ed europea.
Come in tutte le inculturazioni non mancarono difficoltà e contraddizioni, ma al tempo stesso, con i suoi intellettuali, in primis Giovanni Spano, e certamente non in secundis il teologo enciclopedico osilese Antonio Manunta Crispo fu una autentico promotore della scuola e della lingua sarda, fatta conoscere oltretutto fuori dell’Isola. Con queste poche righe, seguirà una recensione più corposa, vogliamo informare i nostri visitatori sulla pubblicazione di questo saggio che le persone non colte e tanto più quelle colte dovrebbero leggere e avere a portata di mano.
Io ringrazio Fabio Pruneri, sardo di adozione, che sta portando l’Isola fuori dell’Isola [qualche giorno fa era in Svezia a parlare della nostra Sardegna] e che sicuramente con ulteriori pubblicazioni si collocherà in ottima posizione tra gli storici della Sardegna contemporanea.
Amedeo Nasalli Rocca, Memorie di un prefetto,
Casa Editrice Mediterranea, Roma, 1946.
Amedeo Nasalli Rocca (1852-1926), funzionario del ministero dell’Interno, apparteneva a famiglia aristocratica di Piacenza. Nel corso della lunga carriera viaggiò in lungo e in largo per l’Italia, cosicché poté conoscere e giudicare realtà diversissime, da nord a sud. Nel 1946 fu pubblicato, postumo, un suo libro di ricordi, di grande interesse. Anche per lo stile piacevole e spesso ironico, esso è uno dei testi migliori per comprendere la classe prefettizia del tempo, le dinamiche dell’amministrazione pubblica, i vincoli e condizionamenti imposti ai funzionari dai vertici politici, i più gravi problemi sociali del tempo. Il rilievo, rivolto dalla storiografia ai prefetti dell’età liberale, d’essere stati succubi e innanzitutto agenti elettorali del governo, ha un fondamento di verità e tuttavia le singole personalità rendono ai nostri occhi ogni curriculum vitae simile e insieme diverso da tutti gli altri.
Leggi tuttoSOMMARIO. L’articolo ricostruisce la fase di fondazione del convento dei Carmelitani di Chiaramonti precisandone il periodo e rettificando i dati tramandati dalla tradizione locale. Nel contempo, individua i singoli promotori della costruzione dell’edificio, di ciascuno dei quali offre una scheda storica ed etimologica relativa al cognome. Inoltre, cita altri abitanti del luogo, tra cui qualche discendente della famiglia Doria, di origine genovese, che oltre duecentotrenta anni prima aveva fondato il medesimo borgo medievale.
Parole chiave: frati carmelitani, convento, famiglia Doria, cognomi locali.
ABSTRACT. (The founders of the Carmelite convent in Chiaramonti [Sassari]) The ar- ticle reconstructs the foundation phase of the Carmelite convent of Chiaramonti, specifying the period and rectifying the data handed down by local tradition. At the same time, it identifies the individual promoters of the construction of the building, for each of which it offers a historical and etymological profile relating to the surname. Furthermore, it men- tions other inhabitants of the place, including some descendants of the Doria family, of Ge- noese origin, who had founded the same medieval village about two hundred and thirty years earlier.
Keywords: Carmelite friars, convent, Doria family, local surnames. 0. Premessa
Partendo dal fatto circoscritto della maestra incriminata per le preghiere in classe, su cui non ho elementi per esprimermi, vorrei che si ampliasse il discorso perché comunque è stata spalancata una questione generale.
In una scuola – figlia di ideologie libertarie anni settanta e nipote di manipolazioni assolutiste fintamente liberanti più lontane – in cui si festeggia osannanti il carnevale dei mostri viventi di halloween, in cui alcuni genitori sognano per i propri figli una società GENDER come il più grande dono che gli si possa fare, in cui molte famiglie abdicano al loro dovere educativo e lasciano bambini e adolescenti in balia di sé stessi, di cartoni animati violenti, di film raccapriccianti, di musiche con messaggi più o meno subliminali di incitamento all’autodistruzione e al suicidio, di esperienze esistenziali deleterie o, nel migliore dei casi, superficiali; ecco, in una scuola e in una società così fatte, l’unico che sembra far loro paura, l’unico che reputano nemico da tener lontano, l’unico su cui si scagliano, si scandalizzano, su cui vengono permesse derisioni non politicamente corrette, l’unico verso il quale istigare indifferenza mista a disprezzo se non addirittura odio, l’unico intruso, sembra essere il Vangelo di Gesù Cristo.
Nella rivista 91 RION, XXIX (2023), 1, 91-111 è pubblicato un importante contributo di Mauro Maxia, articolo apparso anche nel suo sito sulla storia del Carmelo di Chiaramonti.
Il Monastero venne demolito negli anni sessanta, lasciando per fortuna intatta la chiesa con la pala d’altare centrale. Nel tempo si sono aggiunte le cappelle patrizie dei Budrone,con sulla nicchia la staua di San Sebastiano, dei Falchi e da ultima nel 1717 quella dei Tedde Delitala. In essa giacciono sia la nobildonna Gerolama Delitala Tedde, che fece costruire dai Carmelitani la cappella patrizia in tempi assai veloci dal momento che la finanziatrice giacque in un deposito dentro un “baùl” in attesa della fine della costruzione della cappella dedicata a Sant’Antonio di Padova,
Il nostro professore di Matematica Paolino Urgias, dopo il matrimonio contratto con una chiaramontese , si trasferì a Olbia dove visse e dove è passato ultranovantenne a miglior vita.
Oltre al ricordo degli studenti di Olbia abbiamo avuto la fortuna di rintracciare alcuni acquerelli su alcuni monumenti di Chiaramonti. In particolare preziosi sono quelli che ci hanno lasciato sia in paese sia ad Olbia presso i suoi due figlioli che ivi risiedono.
Riportiamo qui alcuni passa del libro scritto da Antonio Ledda sui Carmelitani in Sardegna
Antonio Ledda, Breve Storia dei Carmelitani, Stadium app, Muros 2007
Le prime tracce sicure della presenza dei Carmelitani in Sardegna risalgono ai primi anni del Cinquecento e precisamente al 26 maggio 1506 quando un ricco possidente, di nome Salvatore, del quale non si conosce altro offrì allo spagnolo padre Pietro Terrase, priore generale dell’ordine carmelitano di antica osservanza, la chiesa di san Pietro di Bosa e quella di santa Lucia di Trillu.
Il priore generale accettò l’offerta e incaricò lo spagnolo fra Silvestro di Stobel (nelle vesti di superiore) e altri tre religiosi della Catalogna, di recarsi in Sardegna per impiantarvi una nuova fondazione dell’ordine carmelitano, con facoltà di ricevere novizi e ammetterli alla professione.
Questi fissarono la propria dimora nei dintorni di Cagliari in un monastero in disuso, situato sul colle di sant’Elia, nelle vicinanze della Torre della Lucerna.
L’effettiva nascita e diffusione del Carmelo nell’isola coincise però con l’arrivo nel 1559 dei due carmelitani spagnoli padri Pietro e Felice, che in quella località fondarono il primo convento dell’ordine in Sardegna[1] (vedi nota 27 alla fine del VI cap.).
I sardi non si trovavano in condizioni molto felici, quando i due carmelitani arrivarono nell’isola: i barbareschi continuavano ad infestare le coste sarde, (e non solo le coste), contadini e pastori nonostante ricavassero tanto poco dalla loro terra da essere ai limiti della sussistenza, erano caricati di balzelli tanto dal governo spagnolo quanto dai feudatari sardi e spagnoli.
Il pericolo dei razziatori musulmani era sempre presente, ma divenne particolarmente incombente dopo il 1553 quando, con la caduta della rocca di Bonifacio (Corsica) in mano ai francesi, alleati dei turchi, questi ultimi poterono disporre di ottime basi per le razzie nella nostra isola.
Gli assalti s’intensificarono maggiormente in seguito alla sconfitta nel 1560 della flotta del viceré di Sicilia, duca di Medinacaele, da parte dell’armata di Dragut presso l’isola di Gerba: nello stesso anno fu saccheggiato il paese di Narbolia e poco tempo dopo nove galere turche assediarono la fortezza di Castellaragonese.
Nonostante la sconfitta subita dalla loro flotta nelle acque di Lepanto nel 1571 i mussulmani assaltarono il paese di Siniscola, mentre l’anno successivo trecento corsari tentarono l’assalto al paese di Villanova Monteleone, ma furono sconfitti dagli abitanti e dovettero fuggire dopo aver lasciato sul terreno più di cinquanta morti e numerosi prigionieri.
Sorte diversa toccò invece agli abitanti delle ville di Quartu, Quartucciu e Pirri che dovettero subire il saccheggio.
Nel Seicento la costruzione delle torri costiere fece diminuire il numero delle incursioni, ma non lo eliminò del tutto.
Nonostante il pericolo dei pirati che incombeva continuamente, soprattutto nelle zone costiere, i padri carmelitani Pietro e Felice animarono ancora di più la festa di sant’Elia che ogni anno il 16 luglio riempiva di fedeli l’intero promontorio.
Questi fedeli partivano con carriaggi, cavalcature e a piedi dai loro paesi fin dalle prime ore della notte precedente, (iniziando una tradizione che sarebbe durata in molti centri sardi fin quasi ai nostri giorni), per partecipare alle prime funzioni religiose che si celebravano in chiesa fin dalle prime luci dell’alba e che continuavano durante il giorno con solenni processioni.
La vicinanza del mare però rappresentava un pericolo, dovuto alle scorrerie dei barbareschi che con veloci incursioni continuavano ad assalire gli abitanti delle zone costiere e potevano profittare dell’annuale ricorrenza festiva in cui si concentrava un gran numero di persone.
I mussulmani erano informati sulla data di queste feste da rinnegati sardi che, dopo essere stati fatti prigionieri e venduti nel Nord Africa, avevano cercato nell’apostasia una via di scampo alle proprie sofferenze, mentre altri erano stati spinti dal desiderio di conseguire prestigio, onori e ricchezze che mai avrebbero potuto ottenere nella società d’origine.
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