Quasi alla fine della vita, pensionato statale, perseguitato dalla malasorte, abbandonato dalla moglie e dai figli, il poveruomo è riuscito a rifarsi una vita all’estero, sposando una cinese. Ha cercato una delle tante isole dell’estremo Oriente, dopo aver venduto una casa ormai allo sfacelo in Brianza. Da dieci anni vive in volontario esilio, pregando d’esser dimenticato da tutti e non tornerebbe in Italia per nessun motivo. Nella nuova patria la sua modesta pensione si decuplica, ma il costo della vita gliela mortifica. Questo miserabile, questo reietto di una nazione che spreme e succhia l’ultimo sangue ai suoi cittadini non vuol sentir parlare, chiede solo d’esser dimenticato. Così il fisco, autentico boia di tempi andati, ma operante in tempi presenti, quel fisco che dimentica che medici, avvocati, vaterinai, liberi professionisti di ogni sorta, fregano milioni e miliardi alla sua “bramosa canna che mai non resta”, frugando nei suoi archivi, scopre che il poveretto non ha dato la disdetta del ritiro dell’immondezza da una casa che non c’è più da anni perché è stata demolita, scopre anche qualche altra quisquilia riferibile al fuggiasco. Indaga su tutte le associazioni AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero) i cui nominativi sono depositati presso le ambasciate che, pare, servano solo a questo, e dopo lunghi dieci anni, acciuffa il malcapitato, notificandogli che, sebbene si sia rifugiato in un luogo sperduto, lui, il fisco-boia italiano, per quella imperdonabile dimenticanza gli spedisce sei bustone di richieste di pagamenti. Al poveretto viene quasi da piangere perché qualcuno in Italia si è ricordato di lui; non i parenti, non gli amici o i vecchi compagni di lavoro, ma il fisco-boia, dall’aspetto grifagno, che si scomoda fino alle lontane isolette dell’estremo oriente, per recuperare il presunto maltolto.
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3 Luglio 2014
- Categoria:
storia
Il Goceano ed Illorai nella società feudale .
1L’arrendamento della Contea del Goceano(1431-1824).
1.1.Joan De Cardò da Illorai , fabbricante di mulini ad acqua(1613).
2.I diritti feudali sull’allevamento:Libro de sas gamas et sinnos de Illoray:1666,1668
3.Diritti feudali nel 1749.
3.1. Diritti feudali nel 1795 .
3.2..Diritti feudali nel 1779.Questa ricerca non è esaustiva : può costituire lo stimolo per uno studio monografico su Illorai ed il Goceano.Il lavoro deve utilizzare le fonti demografiche, i rogiti notarili, le cause civili e criminali , le carte dell’Intendenza Generale nei vari secoli ed altre fonti che sarebbe lungo enumerare. Viene qui delineata la gerarchia feudale nel feudo regio della Contea del Goceano e nella comunità di villaggio di Illorai ed il pagamento dei diritti feudali. I poteri nel paese sono: maggiore di giustizia( oltre a problemi di ordine pubblico si occupa delle liste feudali per pagare i diritti feudali i), il vice, detto scambio ,ed i giurati del luogo. A livello della Contea del Goceano vi è un giudice feudale. Il sindaco, il segretario del consiglio comunitativo, i maggiori di vidazzone e di prato completano il quadro delle autorità.. Il parroco , il censore dell’agricoltura fanno parte del Monte Granatico. E’ interessante la figura dei probi uomini o saggi che intervenivano anche per “acomodai” le faide e” asetiai is mortis” ,anche con atti notarili rogati per la pace(il desistiment dal clam criminal) , con la cornice del perdono evangelico e dove i matrimoni ,combinati o meno, potevano essere il solvente della vendetta, dato che gli omicidi per rivalsa non potevano durare in eterno.
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Commenti disabilitati su “Illorai, Goceano e dintorni” di Francesco Carboni . Leggi tutto

PREMESSA ALLA II EDIZIONE
Questa II edizione della presente opera è caratterizzata dal fatto che vi sono comprese tutte le mie nuove scoperte che ho effettuato sulla lingua etrusca in questi ultimi anni; scoperte che ovviamente risultano già quasi tutte registrate nelle mie opere successive.
Circa il modo in cui è stata accolta la mia opera, tralascio ovviamente i numerosi consensi che sono venuti da parte della stampa quotidiana o di quella settimanale oppure dalla comunicazione radiofonica e da quella televisiva. Mi limito invece a riportare ciò che mi aveva scritto, in una lettera da San Lorenzo di Moriano in data 18 novembre 2005, Riccardo Ambrosini, professore di Linguistica nell’Università di Pisa, nonché Presidente della «Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti». In questa egli mi aveva chiamato per fare due conferenze, una sulla Tabula Cortonensis e l’altra su questo mio Dizionario: «Carissimo Pittau, ho appena ricevuto il Tuo stupendo Dizionario della Lingua Etrusca e mi sono affrettato a leggerne alcune pagine che attraevano la mia immediata curiosità. Non posso non congratularmi con Te per la sapiente disposizione del materiale e per la prudenza di alcune proposte, che ben sottolinei nella chiarissima introduzione. (….) Complimenti vivissimi e, scusami una sentita invidia per questo Tuo magnifico lavoro, e, insieme con questi, i ringraziamenti più vivi e i saluti più cordiali. Tuo [firmato]». Un mese dopo (1 dicembre 2005) mi aveva ancora scritto: «Qui la tua conferenza è stata molto apprezzata dagli echi cittadini. Rileggendo il tuo bellissimo dizionario, ho notato che, ecc.».
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Pa Valentina: ogghj è lu so’…..esimu compleannu. Chista poesia la scrisi candu era cumincendi a fassi signorinetta…E inn’iddha mi vidìa eu, cu li matessi sonnii e spiranzi. Auguri fiddhola, a cent’anni!
Chissa me’ palti d’anima
( a Valentina)
Fiddhola
d’impruisu m’avvicu
chi ti sei fendi manna
e dilicati premini
frueddhi di folmi
sutt’a li ‘istiri toi.
Andarài
lu socu
attraissendi
tennari stasgjoni
e ghjà t’accendi
fochi illi puppìi
lu celu limpiu
di chista primmaera
nóa e prummissa
luciósu spantu
di frisca mela
illi to’ mani.
Cussì ancor’eu
siriàa franetichi
e inchiittugghjni dulci
brusgiendi illi pinseri
sirintini di ‘arru
troppu lenti a passà.
E abà timu
lu tempu chi curri
e lassa signi
sempri più accarrati
ma.. m’agghjuta
la to’ brama di ‘ita
palchì s’annóani
illi spiranzi tói
li mei mattessi di tandu
e insemb’ a te camina
chissa me’ palti d’anima
filmata ancora steddha.
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Commenti disabilitati su “Chissa me’ palti d’anima” di Maria Teresa Inzaina . Leggi tutto
Come è abbastanza noto, nella massima parte le iscrizioni in lingua etrusca sono funerarie, sono cioè “epitaffi”, che, in quanto tali, riportano spesso anche il nome delle magistrature che i defunti avevano ricoperto in vita e inoltre le volte in cui le avevano ricoperte.
In primo luogo è da osservare che delle magistrature degli Etruschi una sola era ereditaria, quella di luχumu «lucumone», due erano elettive e temporanee, quella di zilc, zilac(-), zilat «console» e anche «pretore», come fa intendere il frequente participio passivo zilaχnu = «fatto o eletto console oppure pretore», due venivano nominate o assegnate, quella di maru, marunuc «marone» e quella di camthi, canthe «censore».
È quasi del tutto certo che le elezioni dei due citati magistrati, console e pretore, era effettuata dai soli cittadini maschi in possesso, nella città-stato etrusca, di tutti i diritti di cittadinanza. Pur avendo la donna etrusca di certo una emancipazione superiore a quella delle donne greca e romana, essa non aveva il diritto di elezione e tanto meno il diritto di essere eletta ad una magistratura.
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“Lager Rhapsodie” , musical realizzata dalla Cooperativa Teatro e/o Musica di Sassari. regia a cura di Emanuele Floris, regista e attore nel ruolo di un ufficiale nazista Klaus Uberein , l’arrangiamento musicale a cura di Luca Sirigu. Sul palco anche i musicisti Matteo Desole (Adam) Luca Chessa (Moishele), Diego Desole (David) e Elena Idini (Rebecca O Sara), Jasmin Ghera (Bambina) Silvia Marinu (Soldato russo). Luci Marcello Cubeddu, effetti sonori e Fonica Eliana Carboni, Claudio Dionisim costumi. Il musical è stato presentato al teatro civico di Sassari agli studenti delle scuole di Sassari e Provincia. Le migliori critiche sono state premiate in denaro. L’azione si svolge in un lager tedesco, in Germania, nel 1945 poche ore prima dell’arrivo dei soldati russi, americani e inglesi. Gli eserciti di liberazione alleati sono già entrati in Germania e gli altoparlanti e la radio lanciano l’ultimatum per chiedere la resa delle forze naziste. Il furer è morto. La guerra è finita, ma non gli orrori del regime hitleriano. Nel lager il delirante Ubrain continua ad accanirsi contro tre musicisti ebrei, inermi e rassegnati costretti a suonare la loro lugubre sinfonia d’addio: Chopin, Wagner, Gershwin, Berlin, Beethoven, Grieg e Prokofiev. Il pezzo che pubblichiamo è stato premiato (La redazione).
Lager Rapsodie
L’opera “Lager Rapsodie” racconta gli ultimi giorni di potere dello spietato ufficiale nazista Klaus Uberein; Il 30 aprile del 1945, Adolf le truppe alleate si stanno avvicinando e le SS scappano dai lager.
La rappresentazione è ambientata proprio in un campo di concentramento. In apertura della scena appare il protagonista, l’ufficiale Uberein, con una bandiera nazista in mano, inginocchiato in adorazione pensando alla grandiosità e superiorità dei nazisti, obbliga i tre musicisti ebrei all’esecuzione di un concerto d’addio. Ripercorre brevemente la sua vita, ricordando che prima di essere un ufficiale lavorava come postino. Con il pensiero si sofferma sulla sua carriera di adorazione e devozione del semidio Hitler sulle note di una propria, personalissima, rapsodia. Il personaggio ha un carattere duro, egoista, da superuomo, a volte assume un aspetto allo stesso tempo comico e drammatico. Uberein non potrà sfuggire alla colpa, alla consapevolezza degli orrori compiuti, ai ricordi del male commesso. In questo momento predominano in lui sentimenti contrastanti come orgoglio, dolore, rammarico e rabbia. Con l’aiuto di un carrello porta sul palcoscenico una ragazza ebrea, con la quale ha una relazione amorosa segreta, che alla fine.
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Qoèlet – Capitolo 11 

Maria Sale
[1]Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai. [2]Fanne sette od otto parti, perché non sai quale sciagura potrà succedere sulla terra.
[3]Se le nubi sono piene di acqua,
la rovesciano sopra la terra;
se un albero cade a sud o a nord,
là dove cade rimane.
[4]Chi bada al vento non semina mai
e chi osserva le nuvole non miete.
[5]Come ignori per qual via lo spirito entra nelle ossa dentro il seno d’una donna incinta, così ignori l’opera di Dio che fa tutto.
[6]La mattina semina il tuo seme
e la sera non dar riposo alle tue mani,
perché non sai qual lavoro riuscirà,
se questo o quello
o se saranno buoni tutt’e due.
[7]Dolce è la luce
e agli occhi piace vedere il sole.
[8]Anche se vive l’uomo per molti anni
se li goda tutti,
e pensi ai giorni tenebrosi, che saranno molti:
tutto ciò che accade è vanità.
[9]Stà lieto, o giovane, nella tua giovinezza,
e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù.
Segui pure le vie del tuo cuore
e i desideri dei tuoi occhi.
Sappi però che su tutto questo
Dio ti convocherà in giudizio.
[10]Caccia la malinconia dal tuo cuore,
allontana dal tuo corpo il dolore,
perché la giovinezza e i capelli neri sono un soffio.
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Allo spuntar
di giugno
va levandosi
immensa
di nebbia
nube
dall’immacolata
valle
che diventa un lago.
Dorme
affogato
di rosso nepente
il borgo antico.
Un cane
impertinente
abbaia
senza sosta
rompendo
la solitudine
silente.
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