8 Novembre 2014 - Categoria: memoria e storia

Quei prolifici nostri quadravoli di Matteo Tedde -Pinna e Domenica Cossiga di Chiaramonti di Ange de Clermont

alberoNelle ore pomeridiane in cui la gente se ne sta in casa a pennicare a volte me ne vado a spasso per il mio paese natale. Paese mio, ma anche dei miei antenati fino alla quarta generazione di ascendenti[1].
In una di queste passeggiate pomeridiane, il primo degli antenati a venirmi incontro in Carruzzu Longu è Matteo Tedde-Pinna. Costui, nacque il 3 settembre 1756, a 28 anni, il 13 maggio 1784, sposò Domenica Cossiga, nata l’8 ottobre 1764,  più giovane di lui di 8 anni e quindi ventenne. 

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7 Novembre 2014 - Categoria: memoria e storia

I. L’esposizione in Sardegna di Cristina Sotgia

 bambinoIl problema dell’infanzia abbandonata assume rilevanza in Sardegna nei primi anni dell’Ottocento e stimola una più vasta presa di coscienza che investe soprattutto le amministrazioni civiche.

Infatti, le autorità comunali sono coinvolte direttamente nel sostenere le spese per il mantenimento degli esposti, secondo quanto sanciva una disposizione ministeriale del 6 giugno 1807[i].

Viene spontaneo domandarsi quali istituzioni provvedessero all’assistenza dei trovatelli nell’isola prima di questa data.

Un apporto significativo per poter dare una risposta esauriente in merito ci è dato dalla consultazione della tesi di laurea svolta dalla dott. Carmelana Nuvoli sul tema “L’infanzia abbandonata ad Alghero dal Settecento al Novecento”. Nel suo lavoro l’autrice sottolinea come nel Settecento il fenomeno delle esposizioni non rappresenti per l’isola un problema preoccupante, dato il numero relativamente limitato degli esposti.

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5 Novembre 2014 - Categoria: Chiaramonti e dintorni, narrativa

Su Tribunale de sa Pubblica Ciarra de Idda de Anghelu de sa Niéra

Foto di Mario Unali

Foto di Mario Unali

-Compare Braghe’ abba’ ite estire mutzu cussa pitzinna.-
-Compa’ no c’at pius pudore. Ello in tempos antigos sas feminas non ti faghiant bidere mancu sos pes.-
-Ello, narat compare Frassetto, deo las aia custrintas a torrare a sas muddeddas de su tempus de sa grande gherra.-
Abbascende sa oghe su vicesindigu narat:-Malasorte su fascismu at arruinadu totu, A bos ammentades cando in Cudinarasa andaimus a fagher s’adunada, Ite bellas coscias comare Pedrutza!-
Palombaro:- Tando si chi fimus allipuritzados. Bellas coscias cando faghiant sos brincos!-
-Abbaidade custa pitzinna ch’est passende como, s’ident finzas sa tittas.-
Narat su Nuvvesu.
-Male da ogni dolle dolle, compares mios, custa però est frantzesa.-
Ripicat tiu Braghetta.
Tiu Matzone:- Deo, a custu puntu, las aia custrintas a si covacare e poi si sos piseddos allipuritzados li si etant che su trau a s’aca…ma lasssamus perdere. Ma fiza de chie est cussa?
-Sa mama est frantzesa! narat tiu Palombaro.-
-Custas frantzesas faghent s’agamu!- Ripicat tiu Frassetto.
Su rellozu de cheja sonat mesudie.
Su vicesindigu s’inde pesat e:- Como est ora de ustare est. Bastat cun custos loroddos, ello chi parimus feminas!.-
Compare Palombaro:-Compa’ nois semus omines e su chie est un imbagliu lu devimus zuigare.-
-Beru beru, como andamus a bustare! A istasero!-
Su Pubblicu Tribunale de sa Ciarra at finidu su dibattimentu e como andant totu a domo a mandigare che sette canes, a matta franca.

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5 Novembre 2014 - Categoria: cristianesimo

La Regina della Pace parla a Medjugorje, ma il mondo è sordo di Ange de Clermont

imgresMolti uomini e donne, per credere, chiedono segni dal cielo, ma le voci dell’aldilà ripetono che chi non ha fede continua a non averne anche con i segni come preferisce dire San Giovanni, miracoli come dicono altri evangelisti.
I segni o miracoli servono a corroborare la fede, ma di per sé non danno la fede. Personalmente, ho creduto e credo  senza badare ai segni o ai miracoli, e non ho pellegrinato nei santuari riconosciuti dalla Chiesa cattolica. Sono stato a Medjugorje, in un enclave croata della Bosnia, abitata intorno soprattutto da musulmani, luogo di pellegrinaggi da tutto il mondo che la Chiesa non ha riconosciuto come luogo di particolari segni, per quanto ci siano sei veggenti che dicono di vedere quotidianamente la Vergine che si proclama Regina della Pace e che ha più volte dato  segni con guarigioni del corpo e dello spirito.

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4 Novembre 2014 - Categoria: memoria e storia

Donna Lucia Tedde di Chiaramonti (Nulvi,1705-Chiaramonti,1760 (?)) di Angelino Tedde

amazzoniDa qualche settimana il Dipartimento di Storia ecc. ha voluto “glorificare” lo storico della Chiesa Raimondo Turtas, ormai ottantatreenne e sempre impegnato affannosamente alla revisione del suo libro sulla storia della Chiesa in Sardegna. In quell’occasione è stato presentato il volume Mauro Sanna ( a cura di) Historica et Philologica, Studi in onore di Raimondo Turtas,AM&D EDIZIONI, Cagliari 2014.
Il titolo d’interesse è quello di Mons. Francesco Amadu,Le scuole dei Gesuiti a Ozieri (1690-1773) da p.472 a p.482. Tra le altre notizie si legge:”In tale situazione, i Gesuiti non potevano ovviamente rinchiudersi nelle aule scolastiche per insegnare a ragazzi e giovani. Effetti più fruttuosi e duraturi si ebbero infatti con l’opera di persuasione mandata avanti nella Sardegna settentrionale dai Padri, il più famoso dei quali fu sicuramente il padre Giovanni Battista Vassallo.

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1 Novembre 2014 - Categoria: narrativa

“Amóri cuàtu e ..miciuràtu” di Maria Teresa Inzaina

Una coppia di anziani-Tandu stanotti drommi in casa toia?- Sapia ghjà la risposta Paulina ma, primma chi Vitu aissia fattu torra di sì cu lu capu e dittu calchi cosa, aìa agghjuntu cun tonu dulci e primurosu:

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28 Ottobre 2014 - Categoria: cristianesimo

La commemorazione dei defunti del 2 novembre di don Marcello Stanzione

Foto di Mario Unali

Foto di Mario Unali

Riportiamo di seguito l’articolo dell’autore sopra citato facente parte del sito Cei, per offrire ai visitatori del blog un’idea dell’origine e del significato di questa festa che si celebra il giorno successivo alla festa di Ognissanti.

“La commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi che erano già in cielo. E’ solo con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio.

La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. Nella professione di fede del cristiano noi affermiamo: “Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi…”. Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In questa vita d’assieme la Chiesa vede e vuole il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede, la realizzazione dell’amore. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra i i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in nome della stessa figliolanza  di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti durante l’anno liturgico e nei riti religiosi quotidiani.
Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei defunti, che dal popolo viene chiamato semplicemente anche “festa dei defunti”. Ma anche nella messa quotidiana, sempre riserva un piccolo spazio, detto “memento, Domine…”, che vuol dire “ricordati, Signore…” e propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio. La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto prega per i  morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. La Chiesa, inoltre, sa che “non entrerà in essa nulla di impuro”.
Nessuno può entrare nella visione e nel godimento di Dio, se al momento della morte, non ha raggiunto la perfezione nell’amore. Per particolari pratiche, inoltre, come le preghiere e le buone opere, la Chiesa offre lo splendido dono delle indulgenze, parziali o plenarie, che possono essere offerte in suffragio delle anime del Purgatorio. Una indulgenza parziale o plenaria offre alla persona interessata una parziale o plenaria riduzione delle pene, dovute ai suoi peccati, che sono già stati perdonati. Tale riduzione può essere fruita anche dai defunti, i quali possono essere liberati dalle loro pene parzialmente o totalmente. La commemorazione dei defunti ebbe origine in Francia all’inizio del decimo secolo.
Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone.
Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d. C. Da allora, quindi, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno. Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via, il bene che coloro che ci hanno preceduti sulla terra hanno lasciato all’umanità, e il loro contributo all’aumento della fede, della speranza, della carità e della grazia nella chiesa. Il 2 Novembre, poi, ci riporta alla realtà delle cose richiamando la nostra attenzione sulla caducità della vita. Questo pensiero richiama il fluire del tempo intorno a noi e in noi.
Ci accorgiamo facilmente della trasformazione e del cambiamento del mondo a noi circostante: vediamo con indifferenza il passaggio delle cose e delle persone quando queste scivolano lentamente davanti a noi o non fanno rumore o non portano dolori e dispiaceri. Ogni passaggio, ogni spostamento comporta l’impiego del tempo, dice la dinamica della fisica.  Che non è come quello del martello o di un qualsiasi strumento: dopo l’uso può essere ancora utilizzato. Il tempo no. Il tempo va via per sempre. Non ritornerà mai più. Resta il frutto maturato in quel tempo: quel che abbiamo seminiamo in quel tempo produce frutto. Se si è seminato vento si raccoglierà tempesta, recita il proverbio antico.
Quel che viviamo è altro, non quello di prima. Con maggiore indifferenza non notiamo il fluire del tempo in noi. Il nostro “io” si erge in noi come persona fuori dal mondo e, quindi, estranea al mutare delle cose e al susseguirsi delle stagioni.
Il nostro “io” è l’essere pensante che fa vivere e muovere le cose, che gioca con il giorno e con la notte e spinge le lancette dell’orologio e dona emozioni nella gioia e nel dolore. Questo dicono alcuni filosofi che hanno il culto dell’Idea e che per questo si chiamano idealisti. Ma poi l’io aggiorna le idee e si adegua ai nuovi pensieri e scopre il fluire del tempo in sé. L’io eterno entra nel tempo, si fa per dire, e avverte il suo logorio.
Il presente appare provvisorio, tanto provvisorio da non contare, da “non essere” in sé: conclusione o epilogo di ieri, anticipo o prologo del domani. Tutta passa. Giorno dopo giorno il tempo va via. Passo dopo passo il cammino si affatica sempre più. Atto dopo atto il logorio delle forze fisiche che invecchiano  si fa sempre più sentire. Passano le gioie e passano pure i dolori. Poi passeremo anche noi; e finiranno su questa terra anche i nostri giorni. Il richiamo alla realtà della nostra morte ci invita, pure, a dare importanza alle cose essenziali, ai valori perenni e universali, che elevano lo spirito e resistono al tempo. “Accumulate un tesoro nel cielo, dove né tignuola e né ladro possono arrivare”, consiglia Gesù Cristo ai suoi discepoli.
Se tutto passa, l’amore di Dio resta. Il pensiero ritorna a noi. La certezza della morte deve farci riflettere, affinché possiamo essere pronti all’incontro con essa senza alcuna paura. Sarebbe un grande errore dire: “Mi darò a Dio quando sarò vecchio”, ed aspettare di cambiare i nostri cuori al momento della morte. Così come nessuno diventa all’improvviso cattivo, allo stesso modo nessuno diventa in un attimo buono.
E ricorda che la morte può arrivare senza alcun preannunzio, improvvisamente. Si dice che la morte sia spaventosa: ma non è tanto la morte in sé a terrorizzarci, quanto piuttosto l’atto del morire ed il giudizio susseguente di dannazione o di salvezza eterna.
E’, infatti, il terrore di un attimo e non dell’eternità a spaventarci. Dunque sorgono molte domande: come sarà quel momento? Quanto durerà? Chi mi assisterà? Sarò solo? Dove sarò? In casa, per strada, al lavoro, mentre prego o sono distratto in altre faccende? Quando mi sorprenderà? Il pensiero di trovarsi soli, faccia a faccia con la morte, vittima ed esecutore, può produrre disagio e paura mentre si è in vita. Eppure per i veri cristiani non dovrebbe essere così.
La vita è un cammino che comporta il passaggio da una condizione all’altra, si passa dall’infanzia alla fanciullezza, dalla fanciullezza alla giovinezza, alla maturità, alla vecchiaia e dalla vecchiaia all’eternità attraverso la morte. Per questo, vista nella luce di Dio la morte diventa o dovrebbe diventare un dolce incontro, non un precipitare nel nulla, ma il contemporaneo chiudersi e aprirsi di una porta: la terra e il cielo si incontrano su quella porta. Del resto il pensiero della morte ritorna ogni volta che ci rivolgiamo alla Madonna con la preghiera del Rosario: “Santa Maria, madre di Dio prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte”. Si è detto che la morte sia la prova più dura della vita, ma non è vero.
E’ l’unica cosa che tutti sanno di dovere affrontare! Il giovane e il vecchio centenario, l’intelligente e l’idiota, il santo ed il peccatore, il papa e l’ateo. Come passiamo dall’infanzia alla giovinezza, dalla giovinezza alla maturità e poi alla vecchiaia, così si passa dalla vita alla morte. Vista nella luce di Dio la morte diventa un dolce incontro, non un tramonto, ma una bellissima alba annunciatrice della vita eterna con Dio insieme agli angeli e ai santi che ci hanno preceduto in terra.”


Autore:
Don Marcello Stanzione

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27 Ottobre 2014 - Categoria: cristianesimo

Voci del cattolicesimo indiano. Presupposti per un nuovo cammino di Claudio Ferlan

18.10.2014

John Dayal

Oltre le polemiche tra cardinali, oltre la resistenza della parte tradizionalista alle aperture ipotizzate dagli innovatori, il sinodo sulla famiglia offre l’occasione per volgere lo sguardo a parti della Chiesa universale geograficamente e culturalmente molto lontane da Roma. Una di queste realtà è l’India.

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