Categoria : archeologia, cultura

Quante sorprese al Quirinale di Raffaele Alessandrini

A colloquio con Louis Godart

Il complesso architettonico del Quirinale ha ormai compiuto il mezzo millennio di vita. Il ragguardevole arco di tempo non esaurisce peraltro la storia del complesso che sorge su un’area ricca di precedenti fondazioni e di insediamenti anche molto antichi. Ne parliamo con Louis Godart – archeologo e specialista delle civiltà egee, consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico del presidente della Repubblica Italiana – che ha appena inaugurato la terza edizione di “Roma nascosta. Percorsi di archeologia sotterranea” promossa dall’Amministrazione di Roma Capitale e realizzata da Zètema. Fino al 5 giugno sarà possibile visitare i più importanti siti sotterranei della Capitale con un programma di oltre quattrocento appuntamenti consultabile in rete (www.museiincomune.it). “Il compito del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica – dice Godart – è anche di riportare alla luce le antiche pagine di storia di un palazzo come il Quirinale che, da sempre, è associato al concetto latino di auctoritas. Grazie a un impegno costante molti capolavori che interventi maldestri in passato avevano nascosto o cancellato sono tornati alla luce sia nel sottosuolo del Colle, sia nel Palazzo stesso”.

Cominciamo dal sottosuolo. Che cosa c’era qui prima del Palazzo attuale?

Nel 1998-1999 gli scavi intrapresi nei giardini per la posa di impianti tecnologici hanno restituito varie strutture abitative risalenti a un periodo databile tra la fine del I secolo antecedente l’era cristiana, e il III secolo, in piena età imperiale. Nell’estate del 2004 un secondo scavo nei pressi della Porta Giardini ci ha restituito un vasto complesso di abitazioni databili tra l’ultimo periodo della Roma repubblicana e l’VIII secolo. A tale complesso si associa uno stabilimento termale di notevoli proporzioni che non si è potuto indagare.

E non sono state trovate tracce d’insediamenti precedenti?

Negli strati inferiori sono state scoperte tre tombe a incinerazione databili tra la metà del III e l’inizio del II secolo prima dell’era cristiana.

Ma c’è stato qualche ritrovamento archeologico di rilievo specifico nel corso degli scavi effettuati?

Senz’altro il ritrovamento di una statua femminile seduta, coperta da un mantello e con la testa cinta da un diadema. Uno studio preliminare ha permesso di ipotizzare che si tratti di una statua di Giunone che presumibilmente faceva parte di un più articolato gruppo scultoreo comprendente Giove e Minerva. E poi, giusto tre settimane fa, durante un controllo in uno dei cunicoli scavati nel sottosuolo del Colle, i carabinieri hanno individuato una straordinaria statua d’età romana: una divinità, risalente forse al II o al III secolo. Fu utilizzata, presumibilmente nel Seicento, come architrave del cunicolo quando Bernini fece scavare le fondazioni del primo tratto della Manica Lunga.

Siamo così giunti alle vicende del Palazzo. Una delle ultime scoperte più rilevanti pare sia stata quella degli affreschi di Pietro da Cortona.

Fino all’occupazione napoleonica, nell’ala prospiciente la piazza del Quirinale si poteva ammirare una grandiosa Galleria edificata intorno al 1588 sotto Papa Sisto V. Ma fu Alessandro VII che nel 1655 diede incarico a Pietro da Cortona di decorare le pareti della Galleria. Poi durante l’occupazione napoleonica, tra il 1811 e il 1812, le finestre che danno sul Cortile d’onore furono murate e le pareti ricoperte con uno strato d’intonaco e una carta fodera; la Galleria fu divisa in tre saloni poiché Napoleone intendeva destinare tali ambienti alla famiglia imperiale. Si temeva che gli affreschi fossero andati irrimediabilmente persi, ma in occasione del rifacimento per la messa a norma degli impianti elettrici si scoprì con grande emozione che le pitture si erano perfettamente conservate sotto l’intonaco. Le finestre furono smurate e la Galleria recuperò la sua originaria luminosità. Le pitture di Pietro da Cortona sono ormai tornate tutte alla luce e oggi, grazie anche all’intervento della Fondazione Bracco, siamo in grado di completare i lavori avviati nel 2002. Si prevede che per la fine del prossimo agosto la Galleria di Alessandro VII Chigi, potrà essere di nuovo ammirata dai visitatori.

È stato questo l’unico “guasto” al Quirinale provocato dai capricci di Napoleone?

Anche la Sala Regia o Salone dei Corazzieri che dir si voglia, ha passato analoghe vicissitudini. Voluta da Papa Paolo V Borghese ai primi del Seicento, era una sala di rappresentanza dove il Pontefice riceveva le delegazioni diplomatiche straniere: ambascerie raffigurate nella parte alta della sala ornata da tre maestri del Seicento: Agostino Tassi, Giovanni Lanfranco e Carlo Saraceni. Il fregio seicentesco che sosteneva l’apparato iconografico sotto Napoleone fu sostituito da un cornicione a tempera più alto, ricco di simboli militari ed emblemi imperiali. Nel 1814, dopo la caduta di Napoleone, Pio VII riprendendo possesso del Quirinale si adoperò per cancellare ogni traccia degli odiati invasori, ma solo in tempi recenti dopo una sistematica campagna di sondaggi il fregio del Seicento ricoperto dai francesi è tornato alla luce e dalla fine del marzo 2006 la Sala Regia di Paolo V ha ripreso l’aspetto di quattro secoli fa.

Quali altri ritrovamenti artistici meritano di essere menzionati nel corso dei restauri effettuati all’interno e nell’area del Quirinale?

Anzitutto ricorderei gli affreschi della Sala dei Parati Piemontesi scoperti quasi per caso nel 2005, dopo l’improvviso distacco d’intonaco della volta di fine Ottocento che rivelò l’esistenza di un fregio seicentesco sempre dell’epoca di Paolo V. Sulle quattro pareti della sala allora ricomparvero le istantanee pittoriche di alcune delle realizzazioni architettoniche realizzate da Papa Borghese. Affreschi che rivelano uno scorcio prezioso della Roma Cinque e Secentesca in gran parte scomparsa, mentre su tutto spicca naturalmente l’ampliamento della basilica di San Pietro. Non dimenticherei infine le decorazioni araldiche ritrovate nel Passaggetto di Urbano VIII e soprattutto i resti di un ciclo pittorico quattrocentesco rinvenuto in un locale di passaggio accessibile dal terzo cortile del complesso di San Felice in via della Dataria. In un cielo a fondo stellato sfila una teoria di sante racchiuse entro la mistica mandorla. Tra queste sembra riconoscibile santa Apollonia identificabile per l’attributo della tenaglia. L’ex-lavatoio doveva essere in origine un piccolo oratorio o una cappellina che nel Cinquecento era forse inglobata nelle strutture conventuali del monastero dei benedettini di San Paolo e nel Seicento sarebbe stata assorbita dal fabbricato di San Felice completamente ristrutturato sotto Papa Urbano VIII. Significativa è la mancata distruzione dell’ambiente nonostante i continui interventi architettonici; il che potrebbe far supporre che la cappellina abbia a lungo rappresentato un rilevante luogo di culto. Ma tutta la storia di questo ambiente è ancora completamente da studiare se messa in relazione alle complesse vicende urbanistiche e architettoniche dell’intera area che, non dimentichiamolo, anticamente ospitava le strutture del tempio di Serapide.

 

(©L’Osservatore Romano 2 giugno 2011

 

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