Categoria : politologia

La marcia verso l’Eliseo: dallo “scontato perdente” agli ex sicuri vincenti” di Michele Marchi

 

Michele Marchi

Mancano circa undici mesi al voto che i francesi, dal 1965 in avanti, hanno eletto a momento privilegiato della loro vita politica. Complice anche una sempre più accentuata personalizzazione della politica, l’elezione presidenziale a suffragio universale diretto si è infatti tramutata nel “vero appuntamento” politico nazionale. Anche se ufficialmente la campagna elettorale si aprirà soltanto ad inizio 2012, il panorama transalpino è già proiettato verso la corsa all’Eliseo.

Se fino ad alcune settimane fa l’attenzione era rivolta all’imminente candidatura di Dominique Strauss-Kahn alle primarie del Ps, l’uscita di scena dell’oramai ex presidente del Fondo monetario internazionale ha riaperto una competizione che molti (probabilmente a torto) davano già per segnata. Il primo dato infatti da osservare accostandosi alla lunga “corsa all’Eliseo 2012” è offerto dai numerosi sondaggi che quasi quotidianamente inondano le cronache politiche francesi. Ebbene i principali istituti concordano nell’evidenziare l’impopolarità dell’attuale inquilino dell’Eliseo. Ancora prima che terminasse il primo anno di presidenza, il livello di gradimento di Sarkozy ha iniziato una costante discesa e da allora solo raramente è risalito oltre il 30%. Fatto ulteriormente inusuale nella storia della V Repubblica, il suo Primo ministro François Fillon, ben lungi dall’incarnare quel ruolo di “parafulmine” del Presidente sul quale, perlomeno secondo una certa lettura della Costituzione della V Repubblica, dovrebbero scaricarsi le tensioni politiche più divisive, ha costantemente superato il Presidente nei livelli di popolarità e di gradimento. È proprio da questa sorta di inversione dei ruoli tra Presidente e Primo ministro che si può partire per tracciare un breve bilancio degli oltre quattro anni di presidenza Sarkozy. Sarkozy è stato eletto nel maggio del 2007 al termine di una campagna elettorale tutta giocata sul tema della “rottura”. Ben presto egli ha evidenziato che l’attivismo e il volontarismo promessi avrebbero interessato la sua azione politica almeno quanto la sua pratica istituzionale. Da un punto di vista politico egli ha avviato un numero importante di riforme, che hanno cercato di intaccare, anche se spesso in maniera non coerente, il lungo periodo di stasi che aveva caratterizzato i due mandati di Jacques Chirac (1995-2007). Pensioni, fiscalità, università, ambiente, sanità, immigrazione, giustizia e politica di difesa sono stati solo alcuni degli ambiti toccati dal volontarismo del Presidente. Se ben presto l’accelerato riformismo di Sarkozy ha dovuto fare i conti con l’esplodere della crisi finanziaria ed economica e con una evidente difficoltà nell’ordinare e nell’aprire in maniera coerente i differenti cantieri di riforma, il vero punto di non ritorno per l’inquilino dell’Eliseo deve essere individuato nella decisione di stravolgere in maniera netta l’esercizio presidenziale del potere.

La sua scelta di incarnare una presidenza attiva, spesso sovraesposta, divisiva, per nulla attenta a quella pratica istituzionale non scritta che vede il Presidente intento a dettare le grandi linee politiche e il Primo ministro occuparsi della loro implementazione – dunque l’Eliseo al riparo dalle principali contese partigiane e Matignon pronto ad usurarsi nella lotta politica quotidiana –, ha finito per “de-sacralizzare” la sua presidenza. Se a questo dato si unisce poi il corollario dei cosiddetti mesi della presidenza “bling-bling”, quelli della notte post-elezione trascorsa da Fouquet’s sui Champs-Elysées, della settimana di ferie sullo yacht del magnate televisivo Vincent Bolloré e del “cambio” improvviso di première dame, non è difficile spiegarsi il costante livello di impopolarità del Presidente. Molti osservatori hanno accostato la situazione nella quale si trova Sarkozy a quella di Valery Giscard d’Estaing in vista del voto presidenziale del 1981. Per molti aspetti (e con tutte le cautele che ogni accostamento di questo genere richiede) anche Giscard aveva tentato di incarnare una “doppia rivoluzione” nel corso del suo settennato, sia da un punto di vista dell’accentuato riformismo, sia da quello della pratica istituzionale. E anche Giscard, come Sarkozy, è stato un Presidente mai completamente “accettato” dai francesi, nel suo caso in particolare per il profilo “liberale”, piuttosto avulso dalla tradizione politico-culturale del Paese. Ad undici mesi dal voto però la sua posizione era piuttosto salda. Era il suo Primo ministro, Raymond Barre, a pagare l’incapacità di portare il Paese fuori dalle secche economiche del post crisi petrolifera e inoltre a sinistra non si era ancora delineata in maniera netta la candidatura di François Mitterrand, formalizzata solo sul finire del 1980. Se dunque Sarkozy sta cercando faticosamente di risalire la china nel gradimento dei francesi puntando da un lato sul ritorno ad una pratica più “normale” del ruolo presidenziale e dall’altro su quello che ad oggi pare il suo migliore atout, la politica estera e la gestione delle crisi internazionali (attivismo nella crisi libica e la doppia presidenza di G8 e G20, nonché gestione della crisi dell’area euro in stretta sinergia con Berlino), è nel campo socialista che si deve guardare per cercare qualche indicazione ulteriore in vista del voto del prossimo anno. In quest’ultimo esiste un prima ed un dopo 15 maggio 2011. L’arresto di Dominique Strauss-Kahn e l’avvio di quello che si presenta come un complicatissimo caso giudiziario hanno segnato e segneranno in maniera profonda il tentativo socialista di riconquistare la presidenza della V Repubblica, dopo che solo François Mitterrand vi è riuscito per due volte in oltre un cinquantennio di esistenza delle istituzioni volute dal generale de Gaulle. Insomma il Ps si trova a vivere una situazione simile a quella del 1995. Allora fu la decisione di Jacques Delors di non correre per l’Eliseo a lasciare i socialisti orfani di un candidato unanimemente considerato quello vincente. Oggi è l’affaire DSK a gettare il Ps in una situazione di incertezza che, prima ancora di riguardare l’esito finale della corsa all’Eliseo, ne destabilizza il suo percorso di avvicinamento. Sul nome di Dominique Strauss-Kahn, complice anche l’altissimo livello di gradimento popolare riscontrato nei sondaggi e una competenza unanimemente attribuitagli, in particolare sulle questioni economiche, il Ps sembrava disposto, per una volta, a mettere da parte personalismi e divisioni interne. Le primarie previste per il 9-16 ottobre erano oramai definite “primarie di conferma”, con DSK pronto all’investitura a candidato della gauche socialista, piuttosto che a partecipare ad una vera e propria competizione sui programmi e sul diverso modo di incarnare il ruolo della sinistra riformista di fronte alle sfide della globalizzazione. L’uscita di scena forzata di DSK muta considerevolmente il quadro ed emergono perlomeno due rilevanti criticità per il Ps. La prima è tutta interna al partito. Le primarie di ottobre avrebbero dovuto investire DSK per la corsa all’Eliseo e l’ex presidente del Fmi avrebbe poi avuto sei mesi di tempo per offrire la sua personale declinazione di quel progetto socialista votato all’unanimità dagli organi di partito il 28 maggio scorso. A questo punto la discesa in campo obbligatoria del segretario del partito, Martine Aubry, che aveva rifiutato di presentarsi proprio a favore di una candidatura Strauss-Kahn, e quella giunta da alcuni mesi di François Hollande (segretario del partito per un decennio proprio prima di Aubry,) rischiano di mandare in pezzi l’instabile equilibrio del Ps. Peraltro per aspetti differenti le due candidature presentano oggettive debolezze. Hollande può contare su una forte presa sui militanti e sulla sua scelta di presentarsi come “candidat normal”, portatore di una sorta di doppia legittimità: “popolare e numerica”. D’altra parte egli paga però la totale inesperienza a livello di incarichi di governo. Da questo punto di vista Aubry, al contrario, può vantare la sua esperienza come ministro del Lavoro sia nel governo Cresson (in epoca mitterrandiana), sia nel governo Jospin (dal 1997 al 2000, in epoca di coabitazione). D’altra parte, però, la sua legittimità di candidata alle primarie è solo “istituzionale” (è il segretario del partito) e, fatto ancor più rischioso, rischia di presentarsi come “candidato di sostituzione”, considerata l’uscita di scena di DSK. A questo rischio di destabilizzazione interna deve poi accostarsi un secondo dato altrettanto preoccupante per il Ps. Strauss-Kahn, grazie al suo profilo riformista e socialdemocratico, alla sua competenza in materia economica e al suo presentarsi come erede della deuxième gauche poteva garantire, sin dal primo turno, un voto centrista, composto almeno in parte da delusi di Sarkozy o da quell’elettorato moderato, giovane e altamente scolarizzato, che alle passate presidenziali al primo turno si era riversato in massa su François Bayrou. Sia Aubry, sia Hollande, oltre a proporsi come l’anti-Sarkozy, faticano a mostrare un chiaro profilo politico-economico in grado di attrarre il più volatile elettorato centrista e senza dubbio spostano a sinistra l’asse della candidatura socialista. Non a caso i più recenti sondaggi, che danno comunque sia Hollande sia Aubry al primo posto del primo turno presidenziale rispettivamente con 27% e 24% delle intenzioni di voto, hanno però ricominciato a presentare Sarkozy al secondo posto (con valori tra il 20 e il 21%), mentre nelle settimane precedenti all’esplosione del caso DSK, l’inquilino dell’Eliseo si vedeva escluso dal ballottaggio a favore del candidato di estrema destra Marine Le Pen. Insomma senza dubbio lo spostamento a sinistra del probabile candidato socialista all’Eliseo, sia che si tratti di Aubry, sia che si tratti di Hollande, può contribuire a scongiurare quello che a destra si profilava come un possibile “21 aprile al contrario”, cioè la riproposizione, questa volta a destra, di quanto avvenuto il 21 aprile 2002, con il candidato del Fn al ballottaggio. La variabile Marine Le Pen resta naturalmente pericolosa per la “destra repubblicana” incarnata da Sarkozy. La scelta però del Presidente di attenuare la droitisation del suo discorso (in particolare in materia di immigrazione) e i recenti dati positivi a livello economico, potrebbero depotenziare la carica populista del messaggio di Marine Le Pen e renderla meno pericolosa proprio per Sarkozy e il suo Ump. Si è parlato molto di voto centrista e di elettorato di centro. L’uscita di scena di DSK potrebbe far decollare la candidatura centrista di Jean-Louis Borloo? L’ex ministro “forte” del governo Fillon ha intrapreso il complicato tentativo di federare tutte le sensibilità centriste del panorama politico francese, con l’esclusione del Modem di Bayrou, deciso a correre in autonomia anche alle prossime presidenziali. Al momento l’operazione che ha unito Parti Radical, Nouveau Centre, Convention Démocrate e Gauche Moderne sembra più l’incontro tra un notabilato politico radicato in alcune aree circoscritte del Paese, piuttosto che un reale progetto politico-culturale sul modello di quella federazione di centro che, per circa un ventennio, ha provato ad essere l’Udf. Insomma se il quadro non era fluido prima dell’esplodere dell’affaire DSK, oggi l’incertezza regna sovrana. Una volta depositate le candidature per le primarie del Ps (non è esclusa la presenza di qualche terzo incomodo, oltre ad Aubry e Hollande, come il rappresentante della sinistra socialista Arnaud Montebourg, la nota Segolène Royal o qualcuno degli “amici di DSK”, come Pierre Moscovici) e avviatasi la campagna, probabilmente qualche indicazione in più si potrà offrire. L’unico dato certo è che fino a poche settimane fa tutta la pressione era sulle spalle dello “scontato perdente”, l’attuale inquilino dell’Eliseo. Oggi molta di questa pressione si sta trasferendo nel campo di quelli che non sembra troppo ardito definire gli “ex sicuri vincenti”.

Michele Marchi

(Università di Bologna)

http://www.europressresearch.eu/html/focus.php?lang=ITA&id=73

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