Categoria : narrativa

Una botte di gloria di Ange de Clermont

Una botte di gloria

Una botte di gloria

In un paese dell’isola di Sardegna, ai tempi dei tempi, viveva un uomo che, a causa delle sue origini modeste, anzi quasi anonime, bramava, periodicamente, di essere glorificato.

-Glorificano i santi del ciclo liturgico dell’anno con le processioni; glorificano Gesù Cristo e la Madonna con feste alle quali tutti accorrono; perché non posso essere glorificato anch’io, in fondo sono il notabile più dovizioso e più intelligente del paese, mi pare giusto che ogni tanto qualche processione, qualche evento i miei compaesani riescano ad organizzarlo per me. –

L’aspirante alla gloria non pensava che bene o male i santi erano passati a miglior vita e che quindi era giusto onorarli, anzi venerarli mentre lui era vivo e vegeto.
Ci pensò e ci ripensò, passò notti insonni finché non trovò la soluzione per raggiungere il suo obiettivo.
Decise così di organizzare la sua vita al rovescio rispetto a tutti gli altri uominie soprattutto ai suoi compaesani che erano timorati di Dio, recandosi in chiesa la domenica per la Santa Messa, partecipando alle processioni, battezzando i loro figli, cresimandoli, celebrando le nozze in chiesa e infine celebrando in chiesa pure i funerali che diventavano l’unica grande festa organizzata per ogni singolo individuo. Nessuno aveva niente da ridire per queste usanze, solo l’uomo cominciò a predicare, nei botteghini, tra un bicchiere e l’altro, che la domenica non bisognava andare in chiesa, che i figli non andavano battezzati, che non bisognava sposarsi in chiesa, anzi, episodio ancora più scandaloso, che non bisognava credere in tutte le prediche dei preti, dei frati, dei vescovi e soprattutto del papa, che tanto meno occorreva organizzare delle vere processioni per i defunti.
– Queste bare, lucide, sagomate con vari disegni floreali e soprattutto con borchie lucenti mi danno fastidio. Aggiungi le corone di fiori e poi ancora fiori sfusi e nastri!-
Riuscì così mugugnando a catturare un po’ di menti deboli che iniziarono a costituire la sua corte.
Quando compariva nella piazza i suoi seguaci cominciarono a stargli intorno, a battere fortemente i piedi con scarpe chiodate, in modo sincopato, a battere le mani e a gridare:
-Gloria! E più suo nome. L’uomo sorrideva felice rallegrandosi di queste manifestazioni.
La gente si accorse del fatto, ma non vi diede molto peso: l’uomo se ne adombrò.
Bisognava fare qualcosa di più forte per allontanare la gente dalle processioni e attirarle a sé.
-Cominciamo dal vestiario- disse- tutti questi burrichi vestono come pastori o contadini, giornalieri o in tuta come gli operai, cerchiamo di darci un contegno.-
Si recò nella città più vicina, facendosi accompagnare da uno dei suoi fedeli adulatori; entrò nei negozi d’abbigliamento e cominciò a provare abiti su abiti, finché non trovò quelli che gli parvero più adatti.
Il giovane seguace esclamò: – Sembrate San Costantino in processione.-
-Zitto, animale, ma ti pare che debbo rassomigliare a San Costantino, io voglio essere il suo contrario!-
Il poveretto tacque e l’uomo, caricati sul calesse gli abiti acquistati, procedette verso il paese, sicuro del successo.
Passò la settimana durante la quale i giornalieri andavano a zappare, le donne a lavare, i bambini a giocare nelle strade popolate di asini e di cavalli. Venne la domenica e l’uomo si fece trovare sfrontatamente nella piazza antistante la chiesa all’uscita della messa, vestito di tutto punto: ben stirato, bene incravattato, con scarpe lucenti dal fondo chiodato.
I pochi uomini frequentanti, vistolo vestito in pompa magna, gli andarono incontro e cominciarono a dargli pacche sulle spalle, complimentandosi con lui per il bell’abito, la bella cravatta, l’aristocratico borsalino che gli rendeva dieci centimetri d’altezza, aggiungendoli ai cento sessanta che, con i tacchi e il soma, innalzavano l’uomo.
Sfollata la gente si ritrovò solo. Battè i tacchi e le scarpe chiodate sui ciottoli e pago del momento di attenzione tornò a casa a pancia piena.
-Sicuramente la gente parlerà di me-diceva-
-Lo sistemo io il parroco , in breve, verranno tutti in piazza a stringermi la mano invece di andare in chiesa o in processione, certamente non mi farò battere da San Costantino Imperatore.-
Passò del tempo e l’uomo andò sempre più ingegnandosi per attirare folla, un giorno uscendo con una cravatta sgargiante, un altro con degli stivali da cavallerizzo, un altro con un capello alle ventitrè un altro con il capello alle ventiquattro.
Quei due o tre bicchieri di gloria aveva modo di berseli quotidianamente. Nonostante tutto l’uomo restò insoddisfatto.
Le processioni intorno ai santi del paese erano più numerose del gruppo che, vedendolo, batteva i tacchi in modo sincopato, si sbucciava le mani con fragore e aveva imparato a gridare: -Gloria ! più il suo nome .
Divenne triste e sentì sete di gloria e si sa che i bisogni aguzzano l’ingegno. Pensò e ripensò e disse tra sé:
-Questi santi hanno una grande chiesa, la gente entra e li guarda e poi li porta in processione procurandosi tanta folla e tanta compagnia ed io che cosa debbo fare?-
Pensa che ti ripensa, l’uomo, che di soldi ne possedeva tanti, comprò un terreno al centro del paese e vi fece edificare un imponente edificio a somiglianza dell’aula della chiesa parrocchiale, al posto del presbiterio fece costruire una grande sedia in legno, intorno alla quale fece costruire, mezzo metro più giù, in semicerchio, dei posti a sedere riservati alle autorità: esattamente sei da una parte e sei dall’altra. Di fronte, nel bel mezzo dell’aula, sempre mezzo metro più giù, fece piazzare delle sedie con i sedili leggermente inclinati in modo che le persone fossero costrette ad un’involontaria posizione di inchino; abbellì le pareti con fregi rococò un rosa-antico; lasciò la volta a botte in bianco. L’ingresso lo fece costruire a semicerchio facendo collocare, tra la porta e il semicerchio in muratura, un archetto in ferro con al centro stampigliato l’iniziale del suo nome e del suo cognome.
Mentre ultimava il suo tempio pensava tra sé:
-Qui faccio accorrere tanta gente da far crepare d’invidia San Costantino Imperatore. Qui, non solo tre bicchieri, una botte di gloria mi bevo, alla faccia di tutti i santi.-
In effetti, fissato il giorno dell’inaugurazione, sia pure per curiosità vi accorse tanta gente che appena si vide nel locale, pensava, ma non lo diceva:
– Questa è la copia dell’oratorio di San Costantino Imperatore.-
L’uomo, con molta sagacia, aveva fatto predisporre alla parete destra del suo tempio tre porte d’ingresso, comunicanti con un passaggio interno, così da potersi mostrare tre volte, prima di raggiungere la poltrona e, con gli applausi ai quali avrebbero pensato gli amici, potesse bersi almeno tre fiaschi di gloria.
La botte di gloria l’avrebbe riservata al raggiungimento della sedia regia, nel momento in cui avrebbe arringato la folla, quella stessa che accorreva alle processioni e ai funerali.
Giunto il giorno dell’inaugurazione, l’uomo si presentò inaspettatamente dalla prima porta della parete destra: gli amici ballando sincopato e sbucciandosi le mani urlarono per la prima volta gloria e il suo nome ed egli sentì gorgogliare nella strozza un bel fiasco di gloria; si nascose e ricomparve sulla seconda porta: l’uomo assaporò un fiasco e mezzo di gloria:
– Troppo – esclamò – mi devo controllare-
Scomparve e riapparve sulla terza porta: uno scroscio di applausi gli fece tracannare due fiaschi di gloria, tanto che vacillò mezzo ubriaco.
Barcollando, raggiunse, un po’ in alto, la regia sedia, si voltò verso la folla per bersi tutta di colpo la botte di gloria ormai a portata di mano.
Una beghina in prima fila, distratta, appena lo vide, con fervore, intonò :

Già chi sezis collocadu/In cussa sedia de onore
Siades nostru avvocadu./Costantinu Imperatore

(Già che siete collocato/In quella sedia di onore
Siate nostro avvocato/Costantino Imperatore)

L’uomo si rabbuiò, illividì, barcollò, stramazzò per tutta la sua lunghezza sugli scalini fino ai piedi delle autorità e dei presenti , ebbe solo tempo di mormorare:
– La botte… di gloria… è avvelenata- e spirò.




La sua anima, tradita dall’invidia per il Santo Imperatore, fu presa da una masnada di diavoli e rinchiusa in un’enorme botte di gloria sotto vuoto spinto.
I funerali furono mesti. Per volontà dei parenti la sua salma, collocata in una bara di cristallo, a forma di botte, trainata da una carro da buoi, fu collocata in cima al monte più alto del paese quale esempio alle future generazioni.
Essendo l’uomo stravagante, nessuno obiettò, nemmeno il parroco che per volontà dei parenti non potè benedire la salma.
Non passò molto tempo. In un giorno di tempesta, un fulmine si abbattè sulla bara a forma di botte e, ridottala in frantumi, sparse la polvere di cristallo, insieme alle misere spoglie sminuzzate, lungo il pendio del monte, costellato di spuntoni di trachite che, da bruna, si fece rossastra.
I compaesani, presi dal panico, dal giorno dopo chiamarono il monte ” Sa Punta de sa Paza”.
Il lettore che non crede a questa storia, provi a invidiare i santi, così potrà verificare di persona.Anima mia libera, naturalmente!

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