Categoria : toponomastica

Unu idrònimu sardu de Mauru Maxia

mauro-2Custu saggiu est essidu in su volùmene Toponímia Romànica de s’Universidade de Valencia in Ispagna (Quaderns de Filologia – Estudis Lingüístics, 20, 2015) èditu dae Germà Colón, Dieter Kremer e Emili Casanova. Su volùmene cabet 15 cuntributos de istudiados nòdidos e sun iscrittos in frantzesu, asturianu, sardu, ispagnolu, catalanu, rumenu e galegu.

INDICE

1. Unu idrònimu sardu

2. Toponimi ricorrenti nel Mediterraneo occidentale

3. I possedimenti logudoresi dei Thori nelle fonti dell’XI-XIII secolo

4. I confini del villaggio di Perfugas in un verbale spagnolo del Settecento

5. Il villaggio medioevale di Gavazana o Battana

6. L’orizzonte geografico delle schede 256 e 257 del Condaghe di San Pietro di Silki

1. Unu idrònimu sardu

Custu saggiu est essidu in su volùmene Toponímia Romànica de s’Universidade de Valencia in Ispagna (Quaderns de Filologia – Estudis Lingüístics, 20, 2015) èditu dae Germà Colón, Dieter Kremer e Emili Casanova. Su volùmene cabet 15 cuntributos de istudiados nòdidos e sun iscrittos in frantzesu, asturianu, sardu, ispagnolu, catalanu, rumenu e galegu. In custu artìculu si chistionat de sos isviluppos de su latinu pelăgu(m) in Sardigna. Si trattat de unu de sos pagos artìculos in sardu iscrittos cun terminologia iscientìfica. Ultres de su tema chi bi est trattadu, s’artìculu cheret esser finas unu cuntributu a sa creschida de sa limba sarda.

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foto 1. Su Flùmini Pelàu cun su pelau chi format innantis de sa foghe

foto 2. Unu palàu in Gaddura

foto 3. Sa funtana narada Lu Palàu in su Monte Limbara

2. Toponimi ricorrenti nel Mediterraneo occidentale.

Il saggio riflette la relazione presentata al XXV Colloquio Internazionale di Onomastica tenutosi nel 2008 a cura della Societat d’Onomàstica Catalana. La discussione riguarda i rapporti tra la toponimia sarda e quella delle altre regioni rivierasche del Mediterraneo occidentale in epoca preistorica. Un cenno ulteriore è riservato al lascito della presenza iberica (catalana e spagnola) durante il periodo in cui la Sardegna fu sottoposta alla dominazione della Corona d’Aragona e dell’Impero Absburgico.

Per leggere l’articolo premere sul collegamento – Pro lègere s’artìculu abatigare su liòngiu – To read the article click on the link Toponimi ricorrenti nel mediterraneo occidentale compressed (2.09 MB)

3. I possedimenti logudoresi dei Thori nelle fonti dell’XI-XIII secolo (Atti del Convegno Nazionale di Studi “La civiltà giudicale in Sardegna nei secoli XI-XIII. Fonti e documenti scritti”, Sassari, Aula Magna dell’Università degli Studi, 16-17 marzo 2001 – Usini, chiesa di S. Croce, 18 marzo 2001); saggio pubblicato da Stampacolor, Sassari – Muros 2002.

Premessa.[1] Dei Thori, importantissima famiglia dell’età giudicale, nota anche con le varianti Sori, Thuri, Thurio, Tori, Çori, Zori, Zoris, si era interessato Alberto Boscolo in un articolo comparso in una miscellanea di studi dedicati a Francesco Loddo Canepa,[2] articolo in seguito ripubblicato in una raccolta di saggi.[3] L’origine del casato si perde nei secoli altomedioevali. Il cognome, nelle sue attestazioni storiche, denota un’origine toponomastica come gran parte dei gentilizi dell’età giudicale, formati come erano dai nomi dei villaggi di Lacon (= Làconi), Gunale (centro gallurese scomparso da cui deriva il cognome Onàli, Unàli, Nali; csso, ss.vv.), Athen (= Atzène, centro arborense scomparso da cui deriva il cognome Attène, Atzèna, Atzéni; csso, ss.vv.), Gitil (centro logudorese scomparso, da cui deriva il cognome Vìdili, Ìdili; csso, ss.vv.), Serra (= Serramanna?). Esso rimanda all’antico toponimo Thori, Zori, Thuri che corrisponde al centro arborense di Zuri, piccola villa della curatoria di Gulcier (corrigecsso, 88, 224, 250). Il cognome vige tuttora con le forme Zori, Zuri nella stessa area arborense (corrigecsso, 251, s.v. Zurì) e con la variante Dettori in area logudorese. Una variante aferetica di quest’ultima forma, Ettóri, già documentata nel Cinquecento si è cristallizzata nella toponimia di alcuni comuni (Osilo; punta Marettóri; Nulvi: nuraghe Marettóri; Villanova Monteleone: punta Ettóri). In seguito essa si èambientata anche in Corsica dove, nell’estremo sud, vige tuttora con elevata frequenza. I Thori sono ricordati in gran parte delle fonti dell’XI-XIII secolo. Esse documentano circa centotrenta personaggi, una ventina dei quali sono donne. Quattro quinti degli esponenti conosciuti sono originari del Logudoro, mentre un 20% risulta oriundo dell’Arborea. Ciò non significa meccanicamente che il nostro casato fosse di origine logudorese. Il cognome, che è di origine toponomastica, presenta infatti le varianti Zóri e Thuri che appaiono formate dall’elemento Zuri. Questo corrisponde a unQQcorr toponimo che denomina un villaggio arborense situato nella curatoria di Guilcier, del quale la famiglia sembra appunto originaria.[4] Riguardo alla frequenza del cognome nelle fonti dei primi tre secoli del secondo millennio, i rapporti quantitativi fra i due giudicati – largamente favorevoli al Logudoro – oltre che da una popolazione più numerosa, sembrano determinati da una analoga proporzione fra le fonti logudoresi e quelle arborensi. Vale a dire che i documenti logudoresi dell’XI-XIII secolo sono più numerosi di quelli arborensi: basti pensare che dei cinque condaghi che si sono conservati, ben quattro provengono dal Logudoro e il quinto dall’Arborea mentre nessun di essi proviene dagli altri due regni giudicali. Tale aspetto può chiarire, da solo, la ragione per cui il nostro cognome ha una maggiore frequenza in Logudoro. Nel casato le numerose omofonie nei rami collaterali costituivano occasione per l’insorgenza di soprannomi che rappresentano uno degli aspetti più intriganti dell’antroponimia sarda medioevale.[5] Senza considerare gli individui che venivano riconosciuti a seconda del luogo di nascita, la nutrita serie dei Comita, per esempio, veniva distinta da etichette personali quali Gardis, Leriane, Thipircu, Camba Curtha, Gavisatu, Perras. Nella serie dei Gosantine spiccavano Errecane, Variu, Coke e Mandica, Divite, Ispentumatu, Radongiu. In quella dei Mariane, si notavano Aspru, Bardeiu, Cavallare, Grassu, Mannu, Mutatu,Zurrumpis, Oglospintos,Pedinkellu, Cantarellu e, quanto alle professioni, clericu e previteru. Fra i Gunnari mette conto ricordare Pellincari; fra i Barusone è singolare Iudas; fra i Dorgotori è notevole Manosvarias; fra gli Ithocor si notano Rubiu e i due cugini Errecane e Calcafarre. Il semplice elenco dei soprannomi, sui quali si ritornerà con uno studio specifico, rende l’idea di quanto fosse articolata la situazione genealogica della famiglia. La sua ricostruzione – come ha evidenziato il Casula[6] – risulta complessa. Lo dimostra, del resto, l’albero riportato nel volume delle genealogie medievali, nel quale trova posto soltanto il 15% dei Thori documentati nelle fonti.[7] Al contrario, della maggior parte degli esponenti di questo casato non si conoscono i relativi rapporti di parentela. Uguale considerazione deve farsi per le discendenze di questa famiglia che ancora agli inizi del XIII secolo conservava il suo antico prestigio. Ancora oggi, del resto, a distanza di molti secoli, qualche ramo locale, vigente con la variante agglutinata Dettóri,non tradisce l’antica gloria se è vero che nell’area che corrisponde alla curatoria di Caputabbas sono ancora notevoli le estensioni fondiarie possedute da questa famiglia. Le genealogie dei primi due secoli del secondo millennio vedono contemporaneamente, soprattutto nel settantennio compreso fra il 1065 e il 1135, i Thori ai vertici di tutti e quattro i regni sardi. In questo periodo circoscritto essi espressero ben sei re nei giudicati di Arborea, Gallura e Torres e altrettante regine, due delle quali si unirono con la dinastia dei Lacon-Gunale che allora regnava nel giudicato di Calari. Il potere e il prestigio politico espresso da questa grande famiglia poggiava, in larga misura, su una solidissima base fondiaria. Dei possedimenti in Gallura e Calari non sappiamo quasi nulla. Sono poche anche le notizie relative alle proprietà dei Thori nell’Arborea. Il quadro cambia invece, e radicalmente, per quel che concerne il regno di Logudoro. Ed è questo, appunto, l’oggetto dello studio.

2. Il Codice diplomatico sardo-cassinese e la curatoria d’Anglona. Un ramo del casato sembrerebbe specifico dell’Anglona o, almeno, mostra di avere un nucleo consistente dei propri possedimenti in questa curatoria logudorese. L’esame delle fonti può mettere in luce questo aspetto che Boscolo aveva intuito esaminando un’epigrafe funeraria che si può ancora notare nelle rovine della facciata della chiesa di S. Nicola de Soliu (Sedini). Altro conto è quello di mettere in relazione geografica la valle di Silanis, dove sorgono i resti di questa chiesa, col distrutto villaggio medioevale di Cherchi. Le incertezze del Boscolo su questo argomento sono da imputare al fatto che nessuno studio di carattere storico-onomastico e topografico è stato eseguito finora sulle proprietà dei maiorales, fra i quali al casato dei Thori spetta un posto di rilievo assoluto. Appare utile ricordare il livello di parentela, e dunque di coinvolgimento, che i Thori avevano con la dinastia regnante in Logudoro, cioè quella dei Lacon-Gunale. Quest’ultima infatti si innesta nel tronco dei Thori dopo che Mariano de Thori, figlio di Barisone I di Torres e a sua volta giudice d’Arborea,[8] lascia vacante il trono avendo avuto tre figlie femmine, una delle quali, Susanna, va sposa a Mariano de Lacon-Gunale, “giudice” di Logudoro. La linea dinastica rappresentata dal “giudice” Gunnari, figlio di Costantino I, si identificava pienamente in questa famiglia. Da questa angolazione si può valutare che probabilmente i beni peculiari che Gunnari possedeva in Anglona de parente gli provenivano dall’avo Mariano de Zori. Si trattava, peraltro, di proprietà fondiarie la cui formazione poteva rimontare anche ad alcuni secoli prima. Non che i Lacon e i Gunale fossero privi di una solida base fondiaria ma le fonti dimostrano chiaramente che in Logudoro i Thori non temevano il confronto né con i più notevoli casati di maiorales né con la stessa famiglia regnante. Non a caso Boscolo osservava che i Thori costituivano la più importante famiglia del Logudoro.[9] Le fonti che consentono di ricostruire, con sufficiente approssimazione, i possedimenti dei Thori in Anglona sono diverse e coprono un arco cronologico compreso fra il 1113 e il 1210. Il nucleo di tali fonti è costituito dal Codice diplomatico sardo-cassinese edito dal Saba[10] dopo la pubblicazione che in parte ne aveva curato il Tola sessanta anni prima nel suo Codex Diplomaticus Sardiniae.[11] Il corpus sardo-cassinese, a differenza dei condaghes, offre una serie di datazioni che, se non sono sempre univoche, nell’insieme risultano sufficientemente coese e circoscritte a un preciso periodo. In tale contesto risultano utili, per il presente discorso, i seguenti documenti nei quali un Thori figura come attore principale o co-attore di importanti oblazioni.

2.1 Di rilievo è la donazione ai Benedettini cassinesi della perduta chiesa di S. Pietro di Simbranos, le cui rovine fino al 1796 sorgevano al limite settentrionale dell’abitato di Bulzi. Questa chiesa spesso viene confusa col più celebre S. Pietro delle Immagini o del Crocifisso o di Flùmine[12] che le più recenti acquisizioni attestano come originaria cattedrale della diocesi di Flumen o Impuriu o Ampurias.[13] Il documento è datato fra il 1113 e il 1120.[14] Fonti successive ricordano S. Pietro di Simbranos per la presenza di un monastero.[15] Alcuni autori, perpetuando la confusione cui si è accennato, hanno finito con l’associare erroneamente il monastero di Simbranos alla chiesa di S. Pietro delle Immagini. Il S. Pietro di Simbranos sorgeva nella località oggi detta Simbrànis e distava circa tre chilometri in linea d’aria da S. Pietro delle Immagini. Essa era di proprietà di Costantino di Carbia e della moglie Giorgia de Zori. Ora, non si danno altri casi di proprietà dei Carbia in Anglona. Inoltre, se si considera che il sito in discussione risulta interposto fra il territorio di Coghinas, dove i Thori vantavano il possesso di due domos, e le vaste proprietà che la stessa famiglia possedeva nell’attigua valle di Silanos, si può ritenere sensatamente che la chiesa donata dalla coppia in questione fosse stata costruita all’interno delle proprietà di Giorgia de Zori. Nell’atto non si fa menzione di pertinenze, ma si dovrà supporre che la chiesa di Simbranos, come le altre chiese donate dai Zori ai Cassinesi, fosse stata edificata nel contesto di estensione fondiaria adeguata alle esigenze della relativa comunità monastica.

2.2 Un documento riflette la donazione di una domo posta nei pressi di Bosove, un centro una volta situato in corrispondenza dell’odierno quartiere sassarese del Latte Dolce.[16] Questo complesso edilizio veniva annesso con le sue pertinenze ai beni della chiesa di S. Maria de Iscalas, le cui rovine si possono ancora osservare nel territorio di Osilo. La donazione, datata fra il 1120 e il 1126, risulta effettuata da Comita de Azzen e dalla moglie Musconiona de Zori. Le fonti attestano che il nucleo dei possedimenti fondiari degli Athen si trovava nelle curatorie di Nùrcara, Valles e Frussia. Questo aspetto è avvalorato dal fatto che la donazione in questione era condizionata all’invio di un monaco presso la chiesa di S. Michele di Ferrukesos, la quale era situata nei pressi di Sagama all’interno delle proprietà di quest’altra grande famiglia. Anche in questo caso è probabile che il bene donato appartenesse alla citata rappresentante degli Zori, Musconiona, per la quale da altro documento (v. infra) sappiamo che possedeva estese proprietà in Anglona.

2.3 Di rilievo è una donazione effettuata nel 1121 da Mariano de Zori e dalla moglie Giusta de Serra alla chiesa di S. Maria di Bonarcado.[17] L’atto è lacunoso ma proprio alla fine vi è citata per la prima volta la chiesa di S. Maria di Tergu, della quale viene disposta l’affiliazione al monastero di Bonarcado. Siamo in un periodo in cui la chiesa di Tergu, situata al confine fra l’Anglona e la Romangia, non è ancora assurta alla dignità di abbazia e non ha assunto la supremazia sugli altri monasteri cassinesi della Sardegna. La circostanza per cui Mariano de Zori ne disponeva l’affiliazione testimonia che essa doveva rientrare fra i suoi personali possedimenti. Nel medesimo documento è menzionata la porzione dei beni che Mariano possedeva in Cannas e che, insieme alla chiesa di Tergu, annetteva alla citata chiesa di Bonarcado. Orbene, Cannas è ancora oggi la denominazione di una località vicina a Tergu;[18] essa è citata anche all’interno dei vasti possedimenti che Gunnari de Lacon confermerà nel 1153 all’abbazia di Montecassino (v. infra).

(chiesa di San Nicola di Soliu, Sedini)

2.4 Un atto del 1122 ricorda la donazione alla congregazione cassinese, da parte di Furatu de Gitil e della moglie Susanna de Zori, della chiesa di S. Nicola de Soliu che entrambi avevano fatto costruire. Come si è osservato riguardo agli attori dei primi due documenti, anche i Gitil, sebbene Furatu risiedesse nella Silanos anglonese (csnt, 220), non erano originari dell’Anglona ma della parte meridionale del regno logudorese, dove sorgeva il villaggio di Gitil. La moglie Susanna invece, come altri esponenti della famiglia Thori, vantava vasti possedimenti in Anglona. Da ciò può desumersi che Furatu de Gitil – come già Costantino di Carbia – doveva, sì, avere concorso a costruire la chiesa di S. Nicola, ma all’interno dei possedimenti che appartenevano alla consorte.

2.5 Un altro documento ha per attrice Vera de Thori, figlia di Gunnari de Thori e nipote del re Gunnari de Lacon-Thori. L’atto è datato dal Saba al 1122.[19] L’oggetto è costituito dalla donazione ai Cassinesi di una domo e un salto situati a Cocinas (l’attuale S. Maria Coghinas).

2.6 Di grande interesse è la vastissima dotazione che i citati Furatu e Susanna dispongono nel 1122 a favore della chiesa di S. Nicola de Soliu.[20] Si tratta di una fonte molto importante per inquadrare i possedimenti appartenuti a Susanna de Thori e che, senza soluzione di continuità, accompagneranno tutta la vicenda storica dei villaggi di Soliu (Silanos) e di Speluncas fino al definitivo abbandono di quest’ultimo, avvenuto nel 1662.[21] Fra gli altri beni citati nel documento si ricordano una vigna situata a Barranca, toponimo ancora vitale che denomina una località situata nella valle di Silanos o Silanis;[22] la domestica di Pruna Zonca, toponimo che designava un tratto in pendio posto al di sotto delle rovine dell’antica parrocchiale di Speluncas; la terra di Concas, che corrisponde al toponimo Cònchi,[23] relativo a una località situata a metà strada fra le rovine di Speluncas e l’abitato di Sedini; la terra di Laccos, che corrisponde alla località oggi detta Pala di li Lacchi;[24] il salto di Nuse, toponimo che ancora denomina la non lontana chiesa di S. Pancrazio di Nusi o Nursi.[25] Il contesto geografico descritto da questi toponimi circoscrive un territorio che corrisponde al bacino superiore del rio Silanis, che attualmente rappresenta, in buona sostanza, il settore meridionale del territorio comunale di Sedini.

2.7 Anche Musconiona de Zori fu generosa con i Cassinesi.[26] La domo che possedeva a Soliu non va confusa con quella già donata dalla nipote Susanna col marito Furatu de Gitil. Dell’insediamento non si conosce l’ubicazione ma è verosimile ritenere che il suo fulcro fosse costituito da una delle chiese che costellano la piccola valle e, cioè, S. Barbara, la cui ricorrenza è ricordata nel condaghe di Silki a proposito di una corona de iudike tenuta a S. Nicola di Silanos;[27] S. Giovanni di Silanos, che un tempo sorgeva a poche centinaia di metri dalla chiesa di S. Nicola di Soliu,[28] la suddetta chiesa di S. Pancrazio, quella di S. Pantaleo di Petra Lata e un’altra chiesa di cui restano gli anonimi ruderi presso l’orlo del pianoro di Bena de Crabas, quasi a strapiombo sulla scenografica parete calcarea della Marmorata.[29]

2.8 Molto significativa è la donazione effettuata nel 1122 da parte della suddetta Susanna di tutti i suoi beni in cambio di vitto e vestimenta per sé e per i suoi servitori da parte del preposto della chiesa di S. Nicola de Soliu.[30] Dall’esame onomastico dell’atto si rileva che i possedimenti della nobildonna avevano due fulcri rispettivamente in Anglona e nel Montiferru, ciò che concorda col contenuto della citata donazione di Mariano de Zori. Fra i beni situati nel Montiferru l’atto ricorda la domo di Iscanu (Montiferru). Fra i possedimenti anglonesi spiccano la domo e il salto di Mulana, un toponimo che corrisponde a Moddàna, località attigua alla conca di Silanos oggi compresa nel comune di Laerru; la domo col salto di Coronas[31] che corrisponde a una località attigua a quella precedente e alla conca di Silanos nel cui contesto spiccano le rovine di una chiesa romanica intitolata a S. Michele; un’altra domo con relativo salto a Cocinas che va ad aggiungersi a quella donata da Vera de Zori (v. supra).

2.9 Da un atto del 1134 traspare una situazione di comproprietà o di co-patronato dei Thori e degli Athen sulla chiesa di S. Giorgio di Barace (oggi Baratz, nella Nurra) affiliata all’abbazia di S. Pietro di Nurki.[32]

2.10 Di grande rilevanza, infine, è un documento del 1153 col quale Gunnari de Lacon confermava tutte le precedenti donazioni fatte ai Benedettini di Montecassino dettando i punti confinari delle pertinenze spettanti all’abbazia di S. Maria di Tergu.[33] Nell’atto si fa esplicita menzione della corte di Tergu (i cui resti si rinvengono sulla sommità della collina detta Monti di Tergu che domina l’abbazia) che probabilmente costituiva il nucleo della cennata donazione eseguita da Mariano de Thori. Il territorio stralciato da parte di Gunnari dal demanio regio documenta le notevoli estensioni di pertinenza degli stati “giudicali”. Nel caso in questione la superficie trasferita dal demanio alla congregazione cassinese si aggira sugli ottomila ettari.[34] Al suo interno, lungo il limite occidentale, sorgevano i monasteri cassinesi di S. Pietro de Trecinglo o Trighinzos[35] e di S. Pietro d’Othari.[36] La vasta estensione si interponeva fra i possedimenti che i Thori avevano in Anglona e quelli di minore consistenza, ma pur sempre ragguardevoli, di cui disponevano in Romangia. La circostanza dimostra l’infondatezza del quadro prefigurato dal Boscolo riguardo a una presunta continuità territoriale dei possedimenti del casato dei Thori fra Sedini e il distrutto villaggio di Cherchi.[37] Dall’insieme di tali fonti è difficile ricostruire il tessuto territoriale di cui i Thori si spogliarono a vantaggio dei monaci cassinesi. Il documento più ricco di riferimenti geografici, cioè quello che promana da Gunnari de Lacon nel 1153, descrive i limiti di una notevolissima estensione che tuttavia riguardava una porzione del rennu fra Anglona e Romangia ma non possedimenti privati. Per quanto riguarda l’Anglona si ha la fortuna di disporre di una serie di fundaghes del Cinquecento che allargano di molto gli scarni dati che si possono desumere dalle fonti del XII secolo.

3. I condaghes. Nell’arco cronologico abbracciato dalle fonti cassinesi si inseriscono oltre cinquanta schede dei condaghes di Silki, Trullas e Salvennor in cui sono ricordate le proprietà che una lunga serie di esponenti dei Thori, formata da sessantadue individui, che donarono, scambiarono o vendettero. Si tratta di una massa ingente di dati relativi a proprietà per le quali risulta arduo risalire al numero esatto. Tuttavia le unità fondiarie ricordate nei condaghes superano largamente il centinaio. Se poi si aggiungono le proprietà documentate nelle altre fonti cui si accennava il loro totale supera le centosessanta. Eppure una grande parte delle estensioni territoriali appartenute al nostro casato sfugge a un primo tentativo di abbracciare il complessivo problema. Questo aspetto è reso evidente dal fatto che i personaggi coinvolti in trasferimenti di proprietà sono poco meno della metà (sessantadue su centotrentadue) rispetto all’insieme degli individui documentati. Del patrimonio immobiliare dell’altra metà, infatti, non si hanno notizie. Oltre a ciò si deve considerare che i rari condaghes e i documenti cassinesi probabilmente costituiscono una parte minoritaria dell’insieme delle fonti che, per la maggior parte, devono ritenersi perdute. Nonostante ciò, la base di partenza resta significativa. L’esame delle schede dei condaghes risulta piuttosto complesso e difficile da sintetizzare. L’aspetto più evidente è rappresentato dal fatto che un ramo della famiglia era fortemente radicato nella curatoria di Figulinas. Qui i Thori possedevano quasi da soli i territori di Salvennor e Agustàna che, a seguito delle numerose donazioni fatte all’abbazia di S. Michele di Salvennor, finirono per entrare a far parte delle proprietà della congregazione vallombrosana. Anche una parte del territorio di Ploaghe rientrava nelle disponibilità dei Thori ed è probabile una originaria continuità territoriale con i vasti possedimenti che, a cavallo fra i secoli XII e XIII, Maria de Thori vantava nella confinante curatoria d’Anglona.

(chiesa di S. Michele di Salvennor, Ploaghe)

4. Il Codex Diplomaticus Sardiniae. L’edizione del Tola di alcuni documenti cassinesi è stata perfezionata dal Saba, al quale qui si fa riferimento. Dalla citata Maria de Thori proviene l’ultima donazione di un’esponente del nostro casato. Essa risale al 1210 ed è l’unica, allo stato delle conoscenze, a non essere compresa né nel codice diplomatico sardo-cassinese né all’interno dei condaghes. Il relativo atto costituisce una donazione alla congregazione di Camaldoli di un vasto territorio che corrisponde in larga parte al settore sud-occidentale dell’Anglona.[38] Dal relativo atto non si rileva con precisione il contesto territoriale che, al contrario, traspare chiaramente da due documenti in catalano e in sardo-logudorese del XVI secolo di cui si è data notizia pochi anni fa.[39] Si tratta di un’area compatta vasta all’incirca duemila ettari.

5. Le proprietà dei Thori nelle curatorie. Si esamineranno ora le proprietà dei Thori ripartite per curatorie. In tal modo risulterà più agevole l’individuazione delle rispettive località.

5.1 Anglòna. Come si diceva, per la curatoria anglonese, a differenza della maggior parte degli altri distretti territoriali, è meno difficile imbastire un discorso articolato. Esso è reso possibile da una serie di fonti che, rispetto alle laconiche registrazioni dei condaghes, spesso sono più generose quanto a descrizione dei contesti geografici. Per questo antico dipartimento, inoltre, disponiamo di fonti successive che permettono di approfondire lo studio dei documenti del periodo giudicale. Alcuni fundaghes cinquecenteschi, conservati nell’Archivio del Capitolo della Cattedrale di Ampurias (Castelsardo), consentono di chiarire con buona approssimazione i limiti di alcuni possedimenti donati dai Thori a Montecassino. Uno di questi documenti,[40] intitolato Lo salt de la badia de Speluncas,[41] cita i più notevoli punti confinari del priorato di S. Nicola de Soliu che nell’atto viene ricordato col titolo di badia diSpeluncas. Il fundaghe in questione rende coesi i possedimenti che, attraverso le varie donazioni della prima metà del XII secolo erano andati a formare la complessiva dotazione territoriale del priorato di S. Nicola de Soliu e della pieve fondata dal re Costantino I, la quale era costituita da quest’ultima chiesa e da quella poco distante di S. Maria de Soliu. La relativa superficie si aggira intorno ai millecinquecento ettari e attualmente rientra per la maggior parte nel comune di Sedini mentre, in misura inferiore, interessa anche quelli di Laerru e Nulvi. Nella carta 131 della medesima fonte cinquecentesca sono citati alcuni saltos di Nulvi, fra i quali è possibile riconoscere le località di Piantàios, Ladaràios, Abba Fritta, Càligas e Funtana Arghéntu.[42] In particolare, quello di Càligas oggi è conosciuto più comunemente come Càligas Fédu,il cui secondo termine rimanda alla origine feudale di una sua porzione rispetto a un’altra che forse non era soggetta ad analoghi gravami. L’unità fondiaria corrisponde al sito dove la tradizione locale ricorda l’antica chiesa di S. Nicola di Nugulvi che Gunnari de Lacon aveva fatto costruire e poi donato a Montecassino. Il salto di Funtana Arghentu, a sua volta, corrisponde in larga parte alle località di Baldosa e Barraghe[43] in cui la toponomastica e la tradizione nulvese ricordano la perduta chiesa di S. Pietro di Nugulvi che lo stesso donnicellu Gunnari, dopo averla ricevuta dal padre Costantino, aveva donato insieme alla citata chiesa di S. Nicola. È legittima l’ipotesi che una parte di questi possedimenti, un tempo appartenuti all’abbazia di S. Maria di Tergu, corrispondano alla domo e alle pertinenze territoriali che il donnicellu Gunnari aveva donato al priorato di S. Pietro di Nurki. Un distinto documento contenuto nella medesima fonte elenca i contorni del Salt de Serra de Palmas en les territoris de Coguines dela mensa e(pisco)pal de Ampurias. L’atto, redatto in catalano, è datato 20 maggio 1566.[44] L’estensione fondiaria che si può ricostruire attraverso i toponimi citati nel documento corrisponde in larga parte a quella che nelle tavole precatastali del 1847 veniva denominata Demaniale Coghinas.[45] Si tratta di una superficie che dai limiti dell’odierno abitato di S. Maria Coghinas si espande abbracciando tutta la dorsale disegnata dal monte Vìgnoli fino ai limiti degli abitati di Sedini e Bulzi. Sul versante interno essa inglobava località abitate come Villa Nova (oggi Biddanòa). Sull’altro versante si spingeva quasi a ridosso dell’odierna borgata di La Muddizza. Questo estesissimo salto probabilmente era la risultante di tre distinte donazioni dei Thori rappresentate, per il versante settentrionale, dalle due domos di Cocinas donate da Susanna e da Vera de Thori e, per il versante meridionale, dalle pertinenze che dovettero essere donate da Iorgia de Thori e dal marito Costantino de Carbia al priorato di S. Pietro di Simbranos. Fu appunto il nostro casato a dare il maggior contributo per la formazione di questo esteso latifondo. Che i fundagues in questione riflettano abbastanza fedelmente le donazioni effettuate ai Cassinesi dai Thori nella prima metà del XII secolo è confermato da un atto, forse il più antico, riportato nella stessa fonte. Alla carta 10 un elenco in parte frammentario di siti confinari ricorda in catalano quella che era l’estensione del canonicato di Orrea Manna e Orrea Pitzinna, due antichi villaggi scomparsi poco dopo la metà del Trecento. Il territorio di quest’ultimo corrispondeva a quello donato da Maria de Thori all’abbazia toscana di Camaldoli. Un’altra redazione dell’atto, in sardo-logudorese, descrive con maggiore chiarezza i contorni della grande unità fondiaria in cui erano confluiti gli antichi territori dei due villaggi. Nel rimandare questa analisi a un volume di prossima pubblicazione, si può stimare che la superficie delle proprietà anglonesi trasferite dai Thori ai Cassinesi e ai Camaldolesi fosse compresa fra i 4.000 e i 4.500 ettari.

5.2 Anèla. Nella curatoria che corrisponde all’odierno Gocèano è possibile localizzare – non senza qualche dubbio – il salto di Ysaìa, unità fondiaria che nella fonte è associata alla località di Loccorro.[46] Questa forma probabilmente, a causa della facile confusione che in paleografia si produce fra i grafemi c e t, può corrispondere alla località di Lottoro, situata nel comune di Anela.

5.3 Caputàbbas. In questa curatoria, in cui i Dettóri possiedono ancora vaste proprietà, il nostro casato era titolare di due domos situate a Favùles[47] (Padria) e di altre due domos con una corte e due saltos in territorio di Pozzomaggiore, uno dei quali a ridosso della Campeda.[48] Ad esse si aggiungevano tre saltos dislocati nelle località di Andrónike[49] (fra Semestene, Cossoine e Pozzomaggiore), Muros[50] (Pozzomaggiore) e Nurànari[51] (Giave). Ad Andrónike e a Favùles i Thori possedevano anche altri appezzamenti di terra. Infine vantavano il possesso di vigne a Cosedin (l’odierna Cossoine) e nella località detta Vingia Maiore[52] (sempre in territorio di Cossoine). Secondo le stime di Virgilio Tetti, le proprietà donate dai Thori all’abbazia di Salvennor in questa curatoria si aggiravano sui 1.200 ettari.

5.4 Còros.[53] In questo distretto le proprietà dei Thori sono rappresentate da una serie di saltos situati nelle località di Aràve,[54] Làuros,[55] S. Imbìricu di Biosévi,[56] Uréi[57] e Flumen Minore.[58] Da questo corso d’acqua prendono nome tre saltos. Sono da ricordare, inoltre, quattro appezzamenti di terra situati nelle citate località di Aràve e di Làuros nei pressi di Usini.

5.5 Figulìnas. Nei condaghes, specie in quello di Salvennor, la curatoria di Figulinas, relativamente all’oggetto della nostra discussione, è quella maggiormente rappresentata. Per questa curatoria risultano documentate tutte le categorie fondiarie, dalla corte alla domestica al cannetu. Notevole è il numero delle domos, sette in tutto, delle quali sei localizzate nel territorio di Salvènnor e una in quello di Agustàna. Nel territorio di Salvènnor risultano attestate anche due cortes. Veramente notevole è il numero di quattordici domesticas, per lo più concentrate fra Salvennor e Ploaghe.[59] I saltos erano rappresentati da sette unità, di cui due localizzate nei territori di Agustàna e Salvènnor; altre tre erano situate presso il nuraghe Màffaru[60] (Codrongianos) e nelle località di Gurèlle[61] e Làuros[62] (Ploaghe); le restanti due, Ducònes[63] e Monticlu Alvu,[64] non sono state localizzate. Sono da ricordare, ancora, cinque appezzamenti di terra: due nel territorio di Salvènnor, gli altri nei pressi del villaggio di Uriece[65] (= Urgeghe), un tempo situato a circa quattro chilometri da Florinas,[66] e nelle località di Pira Inserta e Soriquellu,[67] già comprese nel territorio del villaggio di Agustàna, un tempo situato a metà strada fra Ploaghe e Salvennor. Infine, un cenno è dovuto a tre vigne che i Thori possedevano nei pressi di Salvènnor e nelle località dette Ispitàle[68] (Agustàna) e Valle[69] (Salvènnor). Come ha dimostrato Virgilio Tetti, nella curatoria di Figulinas i Vallombrosani stanziati a Salvennor, grazie soprattutto alle donazioni dei Thori, possedevano gli interi territori dei villaggi di Salvènnor e Agustàna e una parte non trascurabile del territorio di Ploaghe.[70]

5.6 Lèrron. In questa curatoria le proprietà dei Thori erano limitate alla località di Nènnor,[71] la quale corrisponde alla zona oggi detta Nénnuri e situata nell’odierno territorio comunale di Pattada.[72]

5.7 Màrghine. In questa curatoria si ricorda solo un appezzamento situato nei pressi di Mularia,[73] denominazione che corrisponde all’odierno villaggio di Mulàrgia (Bortigali).

5.8 Meilógu.In questa curatoria delle proprietà dei Thori si conoscono il salto di Ostitthe, situato fra Siligo e il Monte Santu,[74] e un appezzamento a Pelagu,[75] toponimo che corrisponde al Monte Pèlau o Pèalu, un’altura che domina l’abitato di Borutta.

5.9 Montivérru. In questa curatoria le fonti ricordano due domos a Iscanu,[76] un tempo possedute da Susanna de Thori e da Comita de Thuri.

5.10 Nurra. Nella Nurra sono documentati la domo di Linta[77] e, forse, il salto di Surtallo.[78] Sono da ricordare, inoltre, quattro appezzamenti destinati a salina e il probabile co-patronato della cappella di S. Giorgio di Barace.[79]

5.11 Ogianu. In questa curatoria poco nota,[80] che in seguito confluì nell’incontrada di Monteacuto insieme a quelle di Lerron e Nughedu, i Thori possedevano una domo e una corte ad Ogóthi[81] (= Otti,Oschiri), due domos con un salto a Tula[82] e un altro salto a Gutherva[83] (non localizzato). Alcune unità di minore importanza, rappresentate da due appezzamenti e da una vigna sempre a Ogóthi, completano il quadro.

(chiesa di Nostra Signora di Otti, Oschiri)

5.12 Oppia. In questa curatoria si ricordano alcune proprietà possedute da Susanna de Thori ad Améndulas,[84] un villaggio che un tempo sorgeva nell’odierno territorio di Mores. Esse erano costituite da una domo col relativo salto e una vigna.

5.13 Romàngia. Nella Romangia e nelle sue articolazioni di Fluminargia e Montes i Thori possedevano numerose unità di varia importanza. Esse erano rappresentate da una domo a Bosòve,[85] un’altra domo a Domos Novas,[86] una corte a Silki[87] e otto saltos situati nelle rispettive località di Domos Novas (Sassari), Bubui,[88] Gènnor[89] (Sennori), Rivu de Turthebi[90] (Sassari), Sediles[91] (Osilo) e tre a Berbequiles nella zona di Calvarida[92] (Osilo). Il panorama fondiario era completato da una serie di terras situate nelle località di Barusone[93] (Sennori), Corte,[94] Domos Novas, Ersitali,[95] Gènnor, Iscala de Fustes (2)[96], Padule de Cherchi,[97] Petras Nigellas[98] e Silki. Tre vigne localizzate nei pressi di Silki, a Domos Novas e nel distrutto villaggio di Gènnor completano il quadro.

5.14 Ulumétu. Per la piccola curatoria di Ulumetu le fonti ricordano soltanto il salto di Sinona,[99] il cui sito non è stato localizzato.

5.15 Valles. In questa curatoria le fonti ricordano cinque saltos, tre dei quali situati nei pressi di Trullas[100] e gli altri nella valle d’Orçeni[101] e in località Castiàriu[102] (Semestene).

Per quanto riguarda le altre curatorie (Dore, Nughedu, Nugor,[103] Nulàuro, Nùrcara, Frussìa) le fonti non ci hanno conservato notizie. Ciò non significa che i Thori non vi avessero dei possedimenti. Non viene mai sottolineato abbastanza che i pur numerosi dati che ci sono pervenuti sono contenuti in un numero di fonti che, sebbene molto importanti, è bassissimo. Si tratta infatti di quattro condaghes(cinque col Condaghe di Barisone II, dove la presenza di Thori è ridotta a due occorrenze ininfluenti per il nostro discorso). Né sono molti gli altri documenti conservatici dalle congregazioni benedettine che operarono in Sardegna fra l’XI e il XIII secolo. Viceversa, insieme a quasi tutti i documenti delle cancellerie giudicali, sono andati perduti i condaghes che altri importanti monasteri dovettero possedere.

In conclusione, le fonti del periodo giudicale consentono di individuare la maggior parte dei possedimenti che il casato dei Thori donò alle congregazioni benedettine. Di una parte di tali proprietà – concentrata nelle curatorie d’Anglona, Figulinas e Caputabbas – è possibile individuare le relative località e stimare con buona approssimazione anche le relativi superfici. Per la gran parte delle proprietà sparpagliate nelle altre curatorie, viceversa, gli scarsi dati a disposizione non consentono, almeno per il momento, un’analisi altrettanto esauriente. Saranno necessarie ulteriori ricerche per le quali i dati, pur sommari, qui esposti vogliono rappresentare una base di lavoro.

Mauro Maxia

[1] Il testo riflette la relazione svolta al convegno con i necessari apparati (note e bibliografia) e alcune precisazioni in relazione ad aspetti emersi durante il dibattito. L’esiguità dello spazio editoriale rispetto alla vastità del tema non rende possibile affrontare alcuni aspetti meritevoli di approfondimento, per cui si tornerà sull’argomento per renderlo più esauriente anche sotto i profili antroponomastico e cartografico.

[2] Aa.Vv., Studi storici in onore di Francesco Loddo Canepa, Firenze, 1959, 1.

[3] A. boscolo, Studi sulla Sardegna bizantina e giudicale, Sassari, 1985; 67 segg.

[4] Il dato corregge la proposta di M. Pittau, I cognomi della Sardegna. Significato e origine di 5.000, Roma, 1992, pp. 88, 250.

[5] G. Paulis, Studi sul sardo medioevale, “Officina Linguistica”, I, Nuoro, 1997; xxi.

[6] L. L. Brook, F. C. Casula, M.M. Costa, A. Oliva, R. Pavoni, M. Tangheroni, Genealogie medioevali di Sardegna, Roma, 1984; 211-216.

[7] Brook, Genealogie medioevali, 88-89.

[8] Brook, Genealogie medioevali, 88-89.

[9] boscolo, Studi sulla Sardegna, 71.

[10] A. Saba, Montecassino e la Sardegna medioevale. Note storiche e codice diplomatico sardo cassinese, “Miscellanea cassinese”, n. 4, a cura dei monaci di Montecassino, Montecassino-Sora 1927, al quale si rimanda anche per le fonti edite dal Gattola e dal Tola.

[11] P. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, Historiae Patriae Monumenta (X), II tomi, I, Torino, 1861; ristampa anastatica, Roma, 1990.

[12] G. Pulina, Edoardo Benetti, il mondo fantastico di un cavaliere dell’Anglona, Cagliari, 2001; G. M. Salis, S. Pietro delle Imagini o del Crocifisso di Bulzi, Tempio, 1969; 123-128.

[13] M. Maxia, La Diocesi di Ampurias. Studio storico-onomastico sull’insediamento umano medioevale, Sassari, 1997, 43 segg; E. Basso-A. Soddu, L’Anglona negli atti del notaio Francesco Da Silva (1320-1326), Perfugas, 2001, p. 42.

[14] Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, sec. XII, 11; Saba, Montecassino; doc. IX, 147.

[15] G. Piras, I santi venerati in Sardegna, Cagliari, 1958; 72; D. Panedda, Il Giudicato di Gallura. Curatorie e centri abitati, Sassari, 1978; 192.

[16] Saba, Montecassino, doc. X, 149; Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, sec. XII, 46.

[17] Saba, Montecassino, doc. XI, 151-152.

[18] Istituto Geografico Militare Italiano, Carta d’Italia alla scala di 1:25.000, Firenze (foglio 180 I S.O).

[19] Saba, Montecassino, doc. XIV, 157-159.

[20] Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae; sec. XII, 16; A. Saba, Montecassino, XVI, 162-165.

[21] L’abbandono di Speluncas fra il 1662 e il 1663 si desume dai Quinque Libri dell’Annunziata, sua antica parrocchia, il cui titolo corrisponde a quello della medioevale S. Maria de Soliu; la fonte secentesca, nella quale i Tori rappresentano ancora uno dei cognomi più frequenti, si conserva nell’Archivio Parrocchiale di S. Andrea (Sedini).

[22] M. Maxia, I nomi di luogo dell’Anglona e della bassa valle del Coghinas, Ozieri, 1994; 91.

[23] Maxia, I nomi di luogo, 282.

[24] Maxia, I nomi di luogo;320.

[25] Maxia, I nomi di luogo; 385-386; La Diocesi di Ampurias; 97-107 e pass.

[26] Saba, Montecassino; doc. XVII, 165-167)

[27] csp =Il condaghe di San Pietro di Silki. Testo logudorese inedito dei secoli XI-XIII, pubblicato dal Dr. Giuliano Bonazzi, Roma, 1900; ristampa anastatica a cura di Salvatore Diana, Sassari, 1979; n. 248.

[28] Maxia, La Diocesi di Ampurias, 174-175.

[29] Devo la segnalazione al prof. Giancarlo Pes che ringrazio.

[30] Saba, Montecassino, doc. XVIII, 168-170.

[31] Corrige Saba, Montecassino, doc. XVIII: “Coramas”.

[32] Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, sec. XII, 38; A. Saba, Montecassino, doc. XX, 173-174.

[33] Saba, Montecassino, doc. XXXI. E. Cau, intervenendo al Convegno, ne ha ribadito la dichiarazione di “falso in forma di originale” già pronunciata nella relazione “Peculiarità e anomalie della documentazione sarda tra XI e XIII secolo”, Scrineum 1 (1999), 1-53 <URL:http://dobc.unip.it/scrineum/Cau/cau1.htm> (relazione svolta al Primo Convegno Internazionale di Studi “Giudicato d’Arborea e Marchesato di Oristano: proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale”, Oristano, 5-8 dicembre 1997; in corso di edizione). Agli effetti del presente discorso tale aspetto non è dirimente perché le forme attestate nel documento trovano corrispondenza sia nell’odierno tessuto onomastico del relativo territorio sia nelle testimonianze del sec. XVI, dalle quali risulta che diverse località situate lungo i confini orientale e occidentale del territorio descritto nell’atto del 1153 furono effettivamente di proprietà cassinese (cfr. Maxia, La Diocesi di Ampurias, 234-235, 242; Anglona medioevale. Luoghi e nomi dell’insediamento umano <in corso di edizione>, parte I, capp. 1.33, 2.25; parte II, cap. 1.6; 1.9; parte III, cap. 3.8). Dati determinanti vengono da un documento inedito del 1617, relativo a un processo di amojonamento fra la Baronia di Sorso e la Contea di Osilo. I siti citati nella fonte cassinese con le forme “foke de Palmas” e “sol lakellos d’Othare” ancora cinque secoli dopo fungevano da confine fra le due entità feudali costituite nel frattempo (Archivo Histórico Nacional, Toledo, fundo Osuna, legajo 632/1, c. 25: “la U[c]ca de Palma”; c. 47: “cara a la iglesia de Sant Pera dita de Otari”). In questa fonte non mancano accenni alla presenza di antichi segnali confinari, sui quali ne vennero costruiti di nuovi (cfr. c. 40: “hont se troba un peal de mollo antich”), fra cui sono notevoli “Funtana de Tumba” (cc. 8, 16) e “Rocadorju de la Patada” (c. 28) che corrispondono a due località dell’antico salto di Acketas, che nella seconda metà del XII secolo spettava al villaggio di Tilickennor (Condaghe di Barisone II di Lacon, f. 9v, ll. 4, 11). La stessa fonte chiarisce il contenuto della scheda 221 del condaghe di Silki consentendo di localizzare il saltu de Murteu che venne spartito fra i monasteri di Silki, Gennor e Tergu. La motivazione del falso, rispetto alla proposta del Cau, che vede una “necessità di avvantaggiare in qualche modo la parte cassinese” (ibid., n. 70), sembra da ricercare nell’esigenza di riscrivere il contenuto di un “originale” esemplato forse a causa di deterioramenti che potevano parzialmente compromettere i diritti della congregazione cassinese sul territorio in questione. Le problematiche di carattere paleografico, storico, giuridico, linguistico e onomastico poste da questa fonte richiederebbero un’apposita sessione di confronto interdisciplinare.

[34] Maxia, La Diocesi di Ampurias, 72-77.

[35] Maxia, La Diocesi di Ampurias, 90 segg.

[36] Maxia, La Diocesi di Ampurias, 107 segg.

[37] boscolo, Studi sulla Sardegna; 67 segg.

[38] Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, sec. XIII, 18, 20; G. Zanetti, I Camaldolesi in Sardegna, Cagliari 1974; 113-121.

[39] Maxia, La Diocesi di Ampurias; 224-228.

[40] Il termine fundaghe sostituì il sinonimo condaghe agli inizi dell’Età Moderna; cfr. M. L. Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, I, Heidelberg, 1960, p. 371.

[41] Maxia, La Diocesi di Ampurias; 236.

[42] Maxia, La Diocesi di Ampurias; 238)

[43] Maxia, I nomi di luogo, 87, 90-91; La Diocesi di Ampurias; 87.

[44] Maxia, La Diocesi di Ampurias; 234 (f. 93v).

[45] Archivio di Stato di Sassari, fondo “cessato Catasto”, foglio d’unione del Comune di Sedini alla Scala di 1 al 50,000.

[46] csp, 242.

[47] csnt = Il Condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di Paolo Merci, Deputazione di Storia Patria per la Sardegna, Roma, 1992, n. 182.

[48] csms = Il condaghe di S. Michele di Salvennor. Patrimonio e attività dell’abbazia vallombrosana, a cura di Virgilio Tetti, Roma, 1997; n. 28.

[49] csnt, 316.

[50] csms, 178.

[51] csms, 196.

[52] csms, 264.

[53] Si ringrazia il dott. Alessandro Soddu per la cortese consulenza prestata riguardo alle fonti in cui occorrono toponimi relativi alle curatorie di Coros, Figulina e Ogianu.

[54] csp, 5.

[55] csp, 377.

[56] csp, 202.

[57] csp, 430.

[58] csp, 187.

[59] csms, 44.

[60] csp, 56, 192, 247: “Mafalu”.

[61] csms, 264.

[62] csms, 174.

[63] csms, 264; il toponimo sembra corrispondere alla località di Su Tuccòne (Siligo).

[64] csms, 169.

[65] csnt, 233.

[66] csms, 26.

[67] csms, 174.

[68] csms, 7

[69] csms, 183, 323.

[70] csms, 36.

[71] Saba, Montecassino, doc. XVI.

[72] M. Maxia, Una curatoria dell’antico regno di Logudoro, in “Rivista Italiana di Onomastica”, anno VII (2001), n. 1, p. 31.

[73] csnt, 277.

[74] cps, p. 155.

[75] csnt, 302.

[76] Saba, Montecassino, doc. XVIII.

[77] csms, 186.

[78] csp, 256, 257; A. Soddu inclina a identificare il toponimo con la località di Suldàddu della Nurra di Sassari.

[79] Saba, Montecassino, doc. XX.

[80] Sull’ubicazione di Ogianu cfr. A. Soddu, Le curatorie di Nughedu, Ogianu e Lerron, in “Progetto Signum”, sito Internet: «http: //www.anglona. monteacuto.it/ signum/italiano/curatacuto.htm».

[81] csp, 256, 257.

[82] csms, 196.

[83] csp, 256, 257.

[84] Saba, Montecassino, doc. XVIII.

[85] Saba, Montecassino, doc. X.

[86] csp, 82.

[87] csp, 355.

[88] csp, 206; forse il toponimo corrisponde alla località di Badùi, situata fra i territori di Osilo e Tergu.

[89] csp, 206; il toponimo corrisponde alla località oggi denominata Zennos.

[90] csp, 189.

[91] csp, 145, 381.

[92] csms, 213.

[93] csp, 376; corrisponde alla località di Barisone.

[94] csp, 247.

[95] csp, 172.

[96] csp, 180, 186.

[97] csnt, 124.

[98] Csp, 140; il toponimo corrisponde probabilmente alla località sassarese di Prèdda Niédda (A. Soddu).

[99] csp, 399.

[100] csnt, 117, 155.

[101] csnt, 82.

[102] csnt, 315, 317.

[103] Sulle curatorie di Nughedu e Nugor, che alcuni autori considerano un solo distretto, cfr. Maxia, Una curatoria, cit.

4. I confini del villaggio di Perfugas in un verbale spagnolo del Settecento [saggio edito in Studi storici sui dialetti della Sardegna settentrionale, Sassari 1999)

1. Caratteri del documento

1.1 – Il documento. E’ un manoscritto che occupa le prime tre pa­gine di una carta bollata. Si tratta di una copia autenticata, stilata a Cagliari il 13 gennaio 1818, di un verbale compilato a Perfugas il 15 maggio 1779.

All’atto della copiatura, l’originale, così come dichiara il notaio Francesco Stin Segni che rilascia la copia, era depositato a Cagliari negli archivi della Podaria degli stati di Oliva[1]. La copia, invece, si conserva nell’archivio storico municipale di Perfugas.

Il documento, come si ricava dai numeri 17 e 18 riportati in capo, rispettivamente, alla prima e alla terza pagina, era inse­rito all’interno di una raccolta. Esso venne redatto dal Secreta­rio de visita Agustín Murroni il quale, per motivi che risulte­ranno chiari nell’illustrazione del contenuto, doveva essere sas­sarese.

1.2 – Il contenuto. Il contenuto è rappresentato da un verbale compilato sulla scorta delle dichiarazioni rese da parte di sette giurati perfughesi, probabilmente anziani, che vengono definiti Prohombres (‘probiviri’).

Le motivazioni che indussero alla stesura della perizia giu­rata non vengono dichiarate. Tuttavia, poiché a partire dalla me­tà del Settecento la nuova amministrazione piemontese aveva isti­tuito i consigli comunitativi nei singoli villaggi sardi, è pre­sumibile che la definizione dei confini comunali fosse un atto connesso a tali decisioni di natura politico-amministrativa.

Peraltro la questione dei limiti territoriali fra le comuni­tà sarde costituiva in quel periodo un problema rilevante. Di questo aspetto, infatti, si trova un accenno nella relazione sti­lata dieci anni prima da Vicente Mamely de Olmedilla[2] anche se le preoccupazioni di quel funzionario della casata dei Gandia di­scendevano unicamente da motivazioni di ordine fiscale.

L’interesse del documento, sotto questo profilo, è rappresentato dal fatto che i confini tramandati dalle tradizioni dei singoli villaggi fino al Settecento risalgono molto probabilmente agli stessi limiti che dovettero fissarsi dopo l’ultima grande fase degli abbandoni, collocabile fra la seconda metà del Trecento e gli inizi del Quattrocento. Dopo tale periodo infatti i villaggi abbandondati furono assai pochi e determinarono delle rettifiche limitate a territori abbastanza circoscritti. In Anglona, ad esempio, si verificò l’unico caso di Speluncas, abbandonato nel 1662, i cui territori passarono quasi interamente a Sedini.

1.3 – La lingua. Il documento venne stilato in un castigliano no­tarile che, aldilà della formale correttezza burocratica, lascia trasparire notevoli interferenze logudoresi di carattere morfolo­gico, fonetico e lessicale.

A livello morfologico si colgono dei costrutti tipici del sardo quali l’iterazione dei vocaboli laddove sia necessario ren­dere una continuità di tipo geografico. Per esempio, pur nella sua relativa esiguità, il verbale abbonda di locuzioni avverbiali quali camino camino, ladera ladera, rio rio. Significativa è an­che la costruzione a hilo derecho che trova esatta corrispondenza nel logudorese a fílu ‘eréttu.

Riguardo alla fonetica, si ha un quadro abbastanza chiaro della effettiva pronuncia dello spagnolo regionale sardo in uso nell’isola durante il Settecento. Esso presenta caratteristiche sorprendentemente simili al castigliano parlato oggi in Andalusia e nei paesi ispanici del centro-america.

I segni grafici -s-, -c-, -z- sono trascritti talvolta in modo corretto, ma più spesso vengono ridotti alla semplice sibi­lante s. Ad esempio, l’avverbio así viene trascritto assí; il verbo decir viene trascritto desir, empiezar diventa empiessar. Appare evidente che la pronuncia delle consonanti fricative in­terdentali sorde castigliane (c, z) in Sardegna era unificata at­traverso la sibilante sorda.

Bisogna opportunamente osservare che gli stessi errori com­paiono anche in altri documenti compilati nel medesimo periodo storico da notai e scrivani isolani.

Un’annotazione va fatta anche per il segno ñ del corrispon­dente suono palatonasale. Esso nel documento viene reso con il gruppo italiano gn, un particolare che denota il progressivo al­lontanamento dell’elemento acculturato dall’orbita del castiglia­no e il suo contemporaneo avvicinamento alla nuova lingua uffi­ciale.

A livello lessicale si ha nel documento una duplice interfe­renza. Da un lato, per esempio, si ha usa il vocabolo cola per rendere il logudorese coa, termine relativo a un ‘lembo’ di un determinato e ben circoscritto contesto geografico. Dall’altro lato, diversi toponimi logudoresi e galluresi vengono trascritti impropriamente seguendo la fonetica del dialetto sassarese. Si tratta di un importante indizio per ipotizzare la provenienza dell’estensore del documento, Agustín Murroni, il quale, come si è già accennato, doveva essere sassarese.

2. Aspetti di linguistica sarda.

Nonostante si tratti di un documento scritto in castigliano, numerosi sono gli aspetti che interessano la linguistica sarda sotto diversi profili. Oltre che a livello lessicale, l’interferenza del logudorese con la lingua usata nel verbale agisce in modo inevitabile all’atto della citazione di alcune de­cine di toponimi. Ne deriva che il documento rappresenta una testimonianza non del tutto trascurabile in materia di fonetica storica del sardo logudorese. Ma su questo aspetto, oltre che sotto il profilo morfosintattico, lo studio dell’influsso castigliano merita complessivamente di essere rivisitato[3].

2.1 – Una toponimia bilingue. L’aspetto più notevole che emerge dalla lettura dei singoli toponimi è dato dal fatto che nel 1779 la toponimia del territorio perfughese era già bilingue o, se si preferisce, bidialettale. In particolare, sono logudoresi quei toponimi che ricadono nell’ambito geografico del dominio logudo­rese mentre sono galluresi quelli che risultano all’interno dell’ambito linguistico gallurese che, allora come oggi, riguar­dava la quasi totalità della superficie del Monte Sassu.

Questo quadro linguistico pone alcuni interessanti interro­gativi fra cui quello relativo al periodo in cui il dialetto gal­lurese, frutto dell’incontro fra il còrso e il sardo, iniziò ef­fettivamente ad essere parlato in Anglona e quindi, ed ancor pri­ma, in Gallura.

L’attestazione di toponimi galluresi nella toponimia anglo­nese già verso la metà del Settecento (poiché anche la citata re­lazione del Mamely de Olmedilla, stilata nel 1769, è infarcita di toponimi galluresi) dimostra che l’elemento linguistico còrso è presente ormai da lungo tempo. Questa deduzione è conseguente al fatto che di norma un nuovo toponimo non si sovrappone a quello precedente se non dopo un congruo periodo che può variare da al­cune decine di anni fino ad un secolo e spesso anche oltre.

2.2 – Mantenimento della velare sorda intervocalica. Un altro im­portante aspetto che emerge dalla lettura del documento è dato dalla conservazione della consonante velare sorda (k) in posizio­ne intervocalica. Questa particolarità della fonetica storica lo­gudorese si rileva dalla trascrizione del vocabolo nuraghe che è presente nove volte. In otto occasioni compare la forma nuraque mentre la forma nurague è attestata una volta soltanto.

Non si tratta di una convenzionale trascrizione dell’attuale pronuncia nuraghe, poiché la presenza della forma nurague testi­monia l’avvenuta innovazione del passaggio della velare da sorda a sonora e la contemporanea vitalità delle due varianti.

Del fatto che, almeno relativamente al vocabolo nuraghe, il documento corrisponda in modo veritiero a quella che era la pro­nuncia della velare intervocalica durante la seconda metà del settecento si ha una prova diretta attraverso il toponimo perfu­ghese runáke áivu che continua a conservare sorprendentemente la propria vitalità. Non solo, i sardofoni perfughesi correggono in­variabilmente gli interlocutori quando costoro, per ignoranza o per innovazione, pronunciano questo stesso toponimo nella forma ufficiale Nuraghe Alvu[4].

Altre osservazioni relative a singoli toponimi vengono ri­portate in nota. É’ da avvisare che il testo originale presenta molti termini abbreviati. Per renderne più agevole la comprensione, nella pre­sente trascrizione essi sono stati opportunamente completati con caratteri normali all’interno di quelli in corsivo.

TESTO

‘Limites de la presente Villa de Perfugas con las Villas circum­vecinas designados[5] de los Prohombres Gavino Pes, Juan Maria de Carbini[6], Jorge Piga[7], Francisco Antonio Capecha[8], Salvador Casu[9] y Pedro Pablo Cubeddu[10] de esta Villa todos congredados de orden del infrascripto Illustre Señor Regidor[11] de los Estados de Gan­dia en el presente dia 15. Mayo. 1779.

Los limites de esta Villa de Perfugas con la Villa de Sedini empiezan desde el Nuraqueddu de Frassina[12] avanzando en de­rechura al Nuraque de la Ruginosa[13], y de halli se va a hi­lo derecho a lu Quercu Mannu sutta de Serra Iscogas[14], y de halli en derechura a Nurague Ruyu[15] de donde se va assibien a hilo derecho al Nuraque de Cabriles[16] donde cessa el li­mite de la Villa de Perfugas con Sedini, y empiessa el limi­te de la Villa de Perfugas con Bulci.

Del referido lugar Nuraque de Cabriles se va en dere­chura a un chico Nuraque desecho[17] que esta bajo del Nura­que de Pedru Longu[18] de donde se baja a la Iscalitedda de Iscortiu[19], y de halli se baja a hilo derecho hasta la mar­gen de Corona Columba[20] de donde se sube, y se avanza lade­ra ladera[21] hasta sa Sueredda, y de este lugar se avanza a hilo derecho al richuelo[22] llamado dili Corruddi[23], donde cessa el limite de Perfugas con Bulzi, y empiessa[24] el li­mite de Perfugas con Lahirro[25].

Del espressado richuelo di li Corruddi se avanza ri­chuelo richuelo[26] á su Quercu Mannu de Calistra[27], y de este lugar se sube ladera ladera á su Eligue Bentosu de cuyo lugar se baja por la pedra pertunta hasta la Iglesia de San Pedro Puligosu entrando el limite en una Puerta lateral de dicha Iglesia, y saliendo en la otra puerta lateral[28]. De la referida Iglesia se avanza en derechura por la margen ha­sta la Escala de Bangius[29], donde cessa el limite de Perfu­gas con Lahirro, y empiessa el limite de Perfugas con Mar­tis.

De la sobredicha Escala de Bangius se baja al vado Codinatu[30] donde cessa el limite de Perfugas con Martis, y empiessa el limite de Perfugas con Claramonti.

Del Vado Codinatu se avanza subiendo en la Escalita de Suerzunis[31] hasta el richuelo de Suerzunis, y de hallí se vá al Nuraque de la titinosa[32] passando de tras de dicho Nuraque[33], y de esse lugar se sube al rio di Pedra in boca[34] de donde se avanza rio rio de tetili[35] hasta al ri­chuelo de Cuoni[36], y avanzando subiendo por dicho richuelo hasta la fuente de Pubatu[37], y assi se sube a hilo derecho a la canal[38] de Pira maseda[39], de donde se avanza à la co­la de la Ena de su Filigu[40], donde cessa el límite de Per­fugas con Claramonti y empiessa el limite de Perfugas con Ocier.

Del espressado lugar de sa Ena de su Filigu se vá a la punta di la Mandra d’Ilebbi[41], subiendo a hilo derecho á la punta di la Fioridda[42], y de hallí se vá ladera ladera ha­sta la punta de arriba di lu Baddarianu[43], y assi mismo a hilo derecho hasta la roquita de arríba di la Baddi di l’Omo[44] á la punta di la contra di lu sonnu avanzando a hi­lo derecho a la funtana di Pala Cannarza, de donde se vá a hilo derecho a la piedra escrita[45] di li Turrini[46]. De este lugar se baja á la punta di la Ginestra[47] de donde se baja camino camino di li terri rui[48] hasta al rio grande de la Escafa[49], donde hay un Nassero llamado Brotu[50], donde cessa el limite de Perfugas con Ocier, y empiessa el limite de Perfugas con Gallura y territorios de Tempio.

Del dicho Nassero llamado Brotu se baja rio rio hasta al vado de Giunturas porque hallì desemboca el rio de Puddina[51] que esta en los territorios de Gallura en donde cessa el limite de Perfugas con Tempio y empiessa el limite de Perfugas con Bortigiadas.

Del sobredicho Vado de Giunturas se baja rio rio hasta la Escafa y de hallí bajando en el mismo rio al lugar dicho Mazzoni[52] que es donde entra el río de Perfugas[53] en el rio grande y de este lugar se vá torsiendo hasta al mencio­nado Nuraqueddu de Frassina.

Estos son los límites de la presente Villa de Perfugas con las otras Villas circumvecinas designados de dichos Pro­hombres por haverlos assí conocido siempre y oydo de sus Mayores, que es quanto pueden desir y se subscriven los men­cionados Gavino Pes, y Pedro Pablo Cubeddu unidamente con los infrascriptos Illustre Señor Regidor y Secretario, no però los demas porque disen no saberlo – Gavino Pes – Pedro Pablo Cubeddu – Musso Regidor Agustin Murroni Secretario de Visita’.

La presente copia di limiti, che và munita del sigillo, ed armi maggiori delli Stati d’Oliva[54], concorda fe­delmente in tutto, e per tutto coll’originale, da cui si è estratta, esistente nelli archivi di questa Poda­ria ed in fede ecc.

Cagliari lì 13. Gennaio 1818.

Notaio Francesco Stin Segni

TRADUZIONE

‘Limiti del presente villaggio di Perfugas con i villaggi circo­stanti indicati dai probiviri Gavino Pes, Giovanni Maria de Car­bini, Giorgio Piga, Francesco Antonio Capece, Salvatore Casula, Giuseppe Andrea Casu e Pietro Paolo Cubeddu di questo villaggio tutti riuniti per ordine dell’infrascritto illustre signor reggi­dore degli stati di Gandia nel presente giorno 15 Maggio 1979.

I limiti di questo villaggio di Perfugas con il villaggio di Sedini cominciano dal nuragheddu de Frassina avanzando in linea retta al nuraghe sa Ruinosa, e da lì si va in linea retta al Chércu Mannu sotto Serra Iscòbas, e da lì (si va) in linea retta a nuraghe Ruju da dove si va così in linea retta al nuraghe Cra­biles dove termina il limite del villaggio di Perfugas con Sedini e inizia il limite del villaggio di Perfugas con Bulzi.

Dal citato sito nuraghe Crabiles si va in linea retta a un piccolo nuraghe rovinato che si trova sotto il nuraghe de Pedru Longu da dove si scende alla iscalitedda de Iscortiu e da lì si scende in linea retta fino al ciglio di Corona Columba da dove si sale e si procede lungo il pendio fino a sa Sueredda e da questo sito si procede in linea retta al ruscello chiamato de sos Cor­rúdos, dove termina il limite di Perfugas con Bulzi e inizia il limite di Perfugas con Laerru.

Dal citato ruscello de sos Corrúdos si procede lungo il suo corso a su Chércu Mannu di Calístra, e da questo sito si sale lungo il pendio a su Élighe Bentósu dal cui sito si scende attra­verso sa Pedra Pertúnta fino alla chiesa di San Pietro puligósu entrando il confine da una porta laterale di detta chiesa e uscendo nell’altra porta laterale. Dalla riferita chiesa si pro­cede in linea retta lungo il ciglio fino alla iscála de ‘Anzos, dove termina il limite di Perfugas con Laerru e inizia il limite di Perfugas con Martis.

Dalla succitata iscala de ‘Anzos si scende al badu Codináttu dove termina il limite di Perfugas con Martis e inizia il limite di Perfugas con Chiaramonti.

Dal badu Codináttu si procede salendo per la iscalítta de Suelzúnis fino al ruscello di Suelzúnis e da lì si va al nuraghe sa Tettinòsa passando attraverso detto nuraghe e da quel sito si sale al riu de Pedra in búcca da dove si procede lungo il riu de Téttile fino al ruscello di Cuòni e si avanza salendo lungo detto ruscello fino alla fonte di Pubáttu e così si sale in linea retta a lu Canáli di la Pira maséda da dove si procede (fino) al lembo de sa ‘Ena de su Fílighe dove termina il limite di Perfugas con Chiaramonti e inizia il limite di Perfugas con Ozieri.

Dal citato sito di sa ‘Ena de su Fílighe si va alla punta della Mandra di l’Ebbi salendo in linea retta alla punta de la Fiuríta e da lì si procede lungo il pendio fino alla punta supe­riore de lu Baddariánu e così stesso (si va) in linea retta fino a la Rocchítta di súpra della Váddi di l’òmu alla punta della Còntra di lu Sònnu procedendo in linea retta alla fontana di Pala Cannárza da dove si va in linea retta alla Pedra Iscrítta di li Turríni. Da questo sito si scende alla punta di la ‘Inístra da dove si scende lungo il cammino de li Pétri rúi fino al fiume grande de s’Iscáffa dove c’è una peschiera detta de Brótu in cui termina il limite di Perfugas con Ozieri e inizia il limite di Perfugas con la Gallura e (i) territori di Tempio.

Dalla detta peschiera detta de Brótu si scende lungo il fiu­me fino al badu de Giuntúras (chiamato così) perché lì sfocia il riu Puddínu che scorre nei territori di Gallura dove termina il limite di Perfugas con Tempio e inizia il limite di Perfugas con Bortigiadas.

Dal suddetto badu de Giuntúras si scende lungo il fiume fino a s’Iscáffa e da lì scendendo lungo il medesimo fiume alla loca­lità detta Matzòne che è (situata) dove confluisce il rio di Per­fugas nel fiume grande (Coghinas) e da questo sito si procede in curva fino al menzionato nuraghéddu de Frássina.

Questi sono i limiti del presente villaggio di Perfugas con gli altri villaggi circostanti indicati dai detti probiviri per averli (essi) così conosciuti sempre e sentiti dai loro avi, che è quanto possono dire e si sottoscrivono i menzionati Gavino Pes e Pietro Paolo Cubeddu unitamente con gli infrascritti illustre signor reggidore e segretario, tuttavia non la maggior parte (di essi) perché dicono di non esserne capaci – Gavino Pes – Pietro Paolo Cubeddu – Musso reggidore – Agostino Murroni segretario di visita’.

[1]Gli stati sardi della casata spagnola di Oliva erano costituiti dal Marchesato del Marghine, dal Ducato del Monteacuto, dal Princi­pato di Anglona e dalla Contea di Osilo e Coghinas. Cfr. BUSSA I.., 1) La Relazione di Vicente Mameli de Olmedilla sugli Stati di Oliva (1769): la parte generale e il Marchesato del Marghine, in ‘Quaderni Bolotanesi’, n. 10, 1984, pp. 129-229; 2) La relazione di Vincenzo Mameli (1769): il Ducato del Monteacuto, in ‘Quaderni Bolotanesi’, n. 11, 1985, pp. 189-259; 3) La relazione di Vincenzo Mameli (1769): il Principato di Anglona e la Contea di Osilo e Coghinas, in ‘Quaderni Bolotanesi’, n. 12, 1986, pp. 277-351.
[2] BUSSA I., La relazione di Vincenzo Mameli, cit., p. 60.
[3] Sull’influsso catalano cfr. PAULIS G., Le parole catalane nei dialetti sardi, in AA.VV., I Catalani in Sardegna, Cinisello Balsamo 1984, pp. 155-166.
[4] IGM, fg. 181 I NO Perfugas: Nuraghe Alvu.
[5] Si noti l’adozione del segno grafico italiano gn in luogo di quello castigliano ñ.
[6]E’ un cognome còrso che denota un origine dall’omonimo villaggio. Esso è particolarmente diffuso in Gallura e in Anglona anche con la variante Cálbini.
[7]Si tratta di un nome personale tuttora in uso. Probabilmente la persona in questione era il nonno di fra Giorgio Piga, nato nel 1800 e morto nel 1886, consigliere personale di Papa Pio IX e capo dell’ordine francescano dei Minori Conventuali.
[8]Questo cognome, con la forma Capèce, è tuttora attestato a Perfugas, specialmente fra le famiglie che risiedono nell’agro. Probabil­mente deriva dallo spagnolo cabeza.
[9]Pronuncia Cásgiu (sg come il francese j di jour). Questa forma, in luogo di quella corretta e attualmente diffusa Cásu, si rileva in altri documenti inediti dello stesso periodo. Probabilmente la pronuncia di questo cognome nelle comunità anglonesi era la medesima del vocabolo gallurese casgiatína, attualmente attestata Bulzi e Chiaramonti nella forma casgiadína. Questo cognome, diffuso sia a Perfugas sia a Bulzi, è il medesimo della famiglia che fondò il villaggio di S. Vittoria, frazione di Osilo. Cfr. G.Casalis, Dizionario geografico degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, voce Osilo, pp. 631-2.
[10]E’ un cognome che a Perfugas si è estinto nella prima metà di questo secolo mentre sopravvive a Bulzi.
[11]Era il reggidore Musso, rappresentante in Sardegna della casata spagnola dei Gandia.
[12] Oggi Nuraghe Frássina; cfr. IGM, fg. 180 II N.O, Perfugas. Per questo monumento e tutti gli altri nuraghi citati nel documento cfr. MAXIA M., Un tesoro riscoperto, Nuoro 1991; ID., NLAC, pp. 274-305. Fino al 1961 questo nuraghe ha costituito un punto confinario fra i comuni di Perfugas e Sedini.; da tale anno l’exclave sedinese di Su Crabiléddu – Sa Ruinòsa è passata per referendum a Perfugas.
[13]Oggi Nuraghe sa Ruinòsa; il simbolo indicato nella tavoletta IGM (fg. 180 II N.O) è decentrato di oltre un centinaio di metri rispetto al sito reale.
[14]Trascrizione errata di Serra Iscòbas; per questo e per i toponimi successivi cfr. NLAC, alle voci.
[15]Oggi Nuraghe Ruju.; IGM fg. 181 II NO Perfugas.
[16]Oggi Nuraghe Crabiles; IGM fg. 180 I NE Bulzi.
[17]Probabilmente si tratta del nuraghe di Contra Aíni, detto anche di Codínas Nieddas; meno probabile che si tratti del nuraghe sas Ladas che risulta più decentrato.
[18]Di un nuraghe sulla sommità del Monte Pedrulongu (IGM fg. 180 I S.E. Bulzi) oggi non restano tracce evidenti anche se persone del posto asseriscono che alcune decine di anni fa erano ancora visibili i suoi resti. Forse col termine nuraghe i giurati vollero indicare le rovine ciclopiche che coronano l’altura, la quale anche con la sua forma troncoconica evoca il profilo del nuraghe.
[19] Si tratta di un toponimo, ormai dimenticato, derivato dal nome personale medievale Iscórti; poiché esso viene citato prima di Corona Columba, si deve ritenere che la salita in questione sia quella che fiancheggia da Ovest il colle di Contra Aguda oppure la stretta discesa a tornanti che dalla strada comunale Perfugas-Bulzi porta al mulino de sas Ròccas, oggi in rovina.
[20]Oggi Coròna Culúmbas. Il toponimo non compare né in IGM né nella mappa catastale.
[21]Letteralmente ‘costa costa’, cioé ‘lungo il pendio’.
[22]Trascrizione errata di riachuelo; probabilmente in questa forma scorretta influisce il vocabolo sardo rizólu ‘ruscello’; l’abitudine di elidere nel parlato la vocale finale del termine riu è comunque attestata dalla pronuncia ri’Corona (Laerru) e ri’Attana e ri’Anzos (Perfugas).
[23] È un’arbitraria traduzione, da parte del trascrittore, in dialetto sassarese; infatti il sito è detto sos Corrudos e ricade esclusivamente nell’ambito geografico del dominio linguistico logudorese.
[24]Trascrizione errata di empieza.
[25] Denominazione ufficiale del centro di Laerru durante il periodo delle dominazioni spagnola e sabauda; essa si conserva ancora vitale con la forma Laírru (con la vocale i proporzionale) presso gli anziani della Gallura.
[26]Il ruscello in questione è conosciuto come riu Chidònzas; cfr. IGM, fg. 180 IV SE Chiaramonti.
[27] Nella mappa del territorio di Laerru, compilata nel 1847, il toponimo risulta con la forma Galista; oggi esso non è più ricordato neanche dai più anziani. Il documento si conserva nell’Archivio di Stato di Sassari, Fondo ‘Cessato Catasto’, Foglio di Unione del Comune di Laerru alla scala di 1 al 20m. e Tavoletta 4.
[28]L’utilizzo delle chiese campestri come punti confinari corrisponde all’analoga consuetudine relativa ai nuraghi e già documentata nei condaghi; peraltro, la divisione di una chiesa fra più villaggi deriva spesso da una sua passata appartenenza ad un villaggio abbandonato. In questo caso di S. Pietro puligósu probabilmente la divisione si deve ad una sua precedente appartenenza ad uno dei due vicini villaggi abbandonati di Bangios o di Battana. La particolare descrizione dell’attraversamento della chiesa testimonia che il monumento, del quale oggi residuano i soli monconi dei muri laterali, aveva una porta su entrambi i lati.
[29] Il medesimo toponimo è attestato anche nelle mappe dei territori di Martias e Perfugas compilate nel 1847; cfr. Archivio di Stato di Sassari, Fondo ‘Cessato Catasto’; Foglio di Unione del Comune di Martis alla scala di 1 al 20.000 e Foglio di Unione del Comune di Perfugas alla scala di 1 al 20.000.
[30]Oggi Bádu Codináttu (‘Guado roccioso’).
[31] Vedi quanto detto nella precedente nota n. (.) a proposito dei monumenti confinari; a partire da questo sito il confine descritto nel documento differisce in modo abbastanza significativo rispetto al limite odierno. Oggi infatti il confine tocca il Nuraghe Suelzúnis, che ricade in territorio di Perfugas, e da questo monumento segue il ruscello che, separando le località di Corra meána e Baldédu, conduce al limite con il nuovo comune di Erula.
[32]Oggi Nuraghe sa Tettinòsa; cfr. IGM fg. 181 I SO Monte Sassu.
[33]Oggi questo nuraghe è compreso all’interno del territorio di Perfugas per circa un chilometro rispetto al territorio di Chiaramonti.
[34]Oggi riu de Pèdra in búcca o riu de Corrameána. In IGM (fg. 181 I SO Monte Sassu) è indicato come R. Cannalza.
[35]Oggi riu de Téttile. In IGM (fg. 180 I SO Monte Sassu) è indicato R. Cannalza.
[36] È un torrentello che scende dalla località Cabrána e attraversa la conca di Téttile e di Frati Uttina, tutte località del comune di Etula. Il significato del toponimo è da far risalire o ad un soprannome oppure ad una denominazione apotropaica della volpe (letteralmente ‘quello che si nasconde’).
[37]Cfr. IGM fg. 180 I SO Monte Sassu.
[38] È notevole, salvo non si tratti di un errore dell’estensore, il genere femminile riferito al castigliano canal; forse questa forma si deve all’influsso del sardo lácana e ad una sua aggettivazione *lacanále; cfr. il gallurese allaccanánti (‘confinante’).
[39]Letteralmente ‘i peri innestati’.
[40]Letteralmente ‘piccola valle delle felci’.
[41]Trascrizione errata di la Mandra di l’èbbi (‘il recinto delle giumente’).
[42] Forma sassarese di la Fiuríta.
[43]Sull’etimologia di questo toponimo cfr. il saggio in questo stesso volume Il paese dei Balari nella toponomastica della Sardegna settentrionale.
[44] Oggi Vaddi di l’òmu; in IGM (fg. 180 I S.O, Monte Sassu) è presente il toponimo Montiggiu e s’Omini, trascrizione errata sia delle forma logudorese Montíju ‘e s’ómine sia di quella gallurese Muntíggju di l’òmu.
[45] Letteralmente ‘l’epigrafe’, significato che depone a favore della completa romanizzazione del Monte Sassu.
[46] A partire da questo sito, e precisamente da su ‘Acchíle de Bolonga, il villaggio di Perfugas non doveva più confinare con ozieri ma con Tula, un fattoche sembra sfuggire inspiegabilmente ai giurati. Il comune di Tula era infatti titolare della parte superiore dell’altopiano del Sassu, come risulta nelle levate precatastali dell’Esercito Sardo; con una causa amministrativa promossa nel 1842, documentata da atti dell’Archivio Comunale di Perfugas, rivendicò anzi per trent’anni anche la località perfughese di Sa Mela, oggi frazione del nuovo comune di Erula.
[47] Si tratta di un italianismo; oggi il sito è denominato Púnta di la ‘Inístra o de sa ‘Inístra.
[48]Letteralmente ‘le terre rosse’, denominazione dovuta all’affioramento di argilla.
[49] Letteralmente ‘fiume grande della Scafa’; si tratta del Coghinas, localmente detto infatti Riu Mannu ‘fiume grande’; in quel tratto il fiume prendeva nome da una barca (sardo iscáffa) che traghettava i passeggeri all’incirca all’altezza della cantoniera ‘Coghinas’ della S.S. n. 127; cfr. CASALIS G., Dizionario geografico, cit., vol. VII (1840), p. 183; la località è conosciuta tuttora col toponimo s’Iscaffa.
[50] Oltre a questa peschiera ve n’era un’altra, documentata nella Mappa catastale del Comune di Perfugas, che era conosciuta come Nassalzu ‘e Lizu, denominazione derivata forse dal cognome del pescatore che la realizzò oppure dalla presenza nel sito di gigli selvatici.
[51]Oggi riu Puddínu o di Puddína.
[52]Oggi Matzòne; è il promontorio nella località Monte Rénnu descritto da una grande ansa del fiume.
[53] È il riu Giobaduras che, dopo aver raccolto le acque dei torrenti ‘Anzos e ‘Attána (o di Battana), confluisce nel fiume Coghinas all’altezza del lago artificiale di Castel Doria. [54] Nella terza pagina, a fianco dell’autenticazione e alla sinistra della firma del notaio Segni, il documento reca il sigillo cartaceo della casata di Oliva, che si conserva insieme alla copia. Il documento è riprodotto nell’opuscolo curato dal prof. Giuseppe Meloni, Dall’archivio tradizionale all’archivio multimediale, presentato nella conferenza tenutasi a Nulvi il 3 marzo 1996.

5. Il villaggio medioevale di Gavazàna o Battàna (l’articolo riflette un capitolo del volume Anglona medioevale. Nomi e luoghi dell’insediamento umano, Magnum-Edizioni, Sassari 2001)

Il villaggio di Battàna o Gavazàna era situato presso l’attuale confine dei comuni di Laerru e Perfugas[1]. Esso occupava un terrazzo calco-siliceo inciso ad Est dal rigagnolo detto riu Chidònzas e a sud dal riu ’Attàna, che ha tratto la propria denominazione proprio da questo centro demico.
L’erronea attribuzione del toponimo Gavazana (pron. Gavatzàna) alla chiesetta di S. Vittoria di Campos d’ùlimu risale al 1945. Essa si deve ad una personale supposizione di Pietro Sella, trascrittore delle collettorie pontificie. Il medesimo errore è stato poi replicato da quanti si sono interessati sia di questo centro sia di quella chiesetta[2].
Che si tratti di nomi riferiti sempre al medesimo villaggio – nonostante la ricchezza di varianti – si deduce, oltre che dal tema e dai suffissi comuni a tutte e quattro le grafie medievali conosciute attraverso le collettorie pontificie, dal fatto che il centro è sempre citato fra quelli ricadenti nella diocesi di Ampurias[3]. Altre conferme provengono dalla citazione della sua parrocchiale intitolata a S. Vittoria (nn. 245, 838), dal nome del suo rettore Nicholao (nn. 245, 838, 1717, 2024) e dalla grafia Fatana (?) riportata in un documento inedito[4].
Sull’etimo del toponimo conviene articolare il discorso in due fasi: la prima relativa alla denominazione attestata durante l’arco vitale dell’abitato, che è documentato per la quinta decade del Trecento; la seconda relativa alle varianti documentate a partire dalla fine del Cinquecento.
Sia la radice Gavaz-/s(s)- sia il suffisso prediale -àna(s), -ànis indicano l’origine latina del toponimo Gavazàna, -ssàna, -sànis e la sua probabile insorgenza in relazione ad un fondo o ad un latifondo durante il periodo repubblicano oppure durante quello imperiale[5]
Fra i nomi personali da cui questa denominazione potè derivare si segnala il gentilizio Gaviatius[6], da cui arva, terra, villa, domus *Gaviatiana.
Circa la fondazione dell’abitato di Gavazana durante l’età romana, si può ipotizzare che in origine la denominazione si riferisse non già alla collina su cui sorgeva il villaggio medievale ma alla sua base. Qui si ritrovano di frequente reperti risalenti al periodo romano, fra cui grossi frammenti di dolia che in passato, durante alcune arature, hanno restituito antichi residui di grano. Tuttavia se ne potrebbe ascrivere l’ascendenza anche all’età nuragica per l’antica presenza nella località di un nuraghe, ora scomparso, segnalato in questo sito da G. Spano[7].
Il medesimo toponimo, peraltro, in forma identica o attraverso delle varianti è attestato più volte nella toponimia della Padania. Si tratta, per esempio, del minuscolo comune di Gavazzàna (Alessandria) e di Cavazzàna, frazione di Lendinara (Rovigo).
Probabilmente la radice del toponimo in questione e l’originario nome personale latino sono da far risalire all’antico centro abitato di Gabii, del cui aggettivo etnico Gavinates il nome Gaviatius appare un derivato col significato di “abitante di Gabii, persona proveniente da Gabii”[8].
La parentela delle grafie medievali del nostro toponimo con l’antica voce toscana gavassare, gavazzare, a sua volta derivata dal termine gavassa[9] o gavàzza[10] “gozzo”, può essere dovuta ad una casuale omofonia.
Riguardo all’omofonia fra la radice gav- del toponimo e la base idronimica *gab-[11] non sembra di scorgere alcun nesso causale. Il sito del villaggio infatti è relativo alla sommità di una collina dove non si osserva alcuna presenza d’acqua.. D’altra parte il suffisso prediale -àna rappresenta una prova sufficiente per sostenere un’origine antroponomastica del toponimo.
L’esito Gavazana(pron. Gavatzàna) < Gaviatius si presenta regolare per il normale dileguo, nella fonetica latina, della vocale i in posizione debole pretonica. Parimenti, l’esito -ts- <lat. -ti- si presenta regolare secondo le leggi della fonetica storica del sardo[12].
Identica considerazione va fatta per la grafia con esito -ss-. In proposito sarà sufficiente citare, sempre per il settentrione sardo, i quattro distinti esiti del toponimo Sassari e cioè Thàthari e Tzàtzari (entrambe attestate a Nule); 2) Tàttari (attestato nell’area linguistica logudorese); 3) Sàssari (attestato nelle aree dialettali sassarese e gallurese).
Per la grafia con una sola -s- va fatta la medesima considerazione svolta per la grafia con la -z. Che la sibilante vada letta con suono sordo aggeminato si deduce, oltre che dalle argomentazioni fin qui sviluppate, dalla frequente attestazione di toponimi logudoresi medievali in cui il valore della sibilante viene spesso confuso dagli estensori dei documenti. Si cita, a titolo di esempio, l’attuale toponimo Posada, che compare in documenti medievali anche con le grafie Posada, Posata, Possata, Bossata[13].
Riguardo all’esito moderno Battàna si puo osservare che nel logudorese sett. l’esito -tt- < lat. -tea-, -thi-, -aceu- è perfettamente regolare, come è dimostrato dai seguenti esempi: lat. platea > piàtta, thius > tìu; coriaceus > corriàttu.
Pertanto, lo svolgimento fonetico del toponimo sarà stato verosimilmente il seguente: *Gavathàna > *Bavathàna > *Baattàna o *Vaattàna > Battàna. Quest’ultima forma è quella attestata fin dalla seconda metà del Cinquecento[14] e si mantiene tuttora vitale. Si propone pertanto la derivazione del toponimo da un’originaria forma (villa) *Gaviatiana, da localizzare nel sito dove vennero rinvenuti i dolia cui si è fatto cenno.
Riguardo alla variante Gavassanas è da osservare come la struttura e la veste fonetica siano simili al toponimo antico Capathennor, Gabazennar. Le differenza fra queste due denominazioni sono date dai rispettivi suffissi -an- ed -enn- e dalle desinenze -as e -or. Ma si tratta probabilmente di differenze soltanto apparenti, in quanto i citati suffissi sono qualitativamente simili[15]. Riguardo alle desinenze -as e -or, si ha ugualmente motivo di ritenere che esse differiscano nella forma ma non nel valore, in quanto alla desinenza moltiplicativa paleosarda, costituita da una vocale atona seguita dalla consonante -r, fa riscontro la desinenza di origine latina costituita ugualmente da una vocale atona seguita dalla consonante -s[16]. La derivazione di Gabazennar da *Capatennius <Capatius[17] rafforza la proposta etimologica qui avanzata.
Il passaggio dalle forme tardomedievali a quelle moderne è documentato in modo significativo dalla citata grafia Fatana. Con quest’ultima probabilmente il trascrittore ha voluto rendere una forma *Vatàna nella quale è già operante l’aferesi della seconda sillaba -ba-. L’esito v- per b- si presenta del tutto congruo per via della nota oscillazione fra queste due consonanti labiali[18].
Esso testimonia efficacemente della promiscuità nell’uso della bilabiale e della labiodentale sonore, tanto è vero che nella stessa Anglona l’uso della prima si è attestato in quattro centri (Chiaramonti, Laerru, Martis e Perfugas) mentre quello della seconda si è affermato negli altri due centri sardofoni (Bulzi e Nulvi). Sulle implicanze di questa grafia agli effetti della datazione del documento nel quale essa compare si ritornerà più avanti.
La grafia Battare riportata dal Fara[19] deve essere considerata un errore di interpretazione da parte degli studiosi ottocenteschi che hanno trascritto i manoscritti fariani. Infatti, appare del tutto evidente che la forma corretta debba corrispondere a Battane, che rappresenta il genitivo della denominazione in argomento secondo la tradizione grafica medievale.
Per le tre grafie riportate da Giovanni Spano[20] occorre fare un discorso a parte. La prima (Babtana), è una variante della forma Baptana riportata dal Fara. In entrambe le forme le due consonanti bilabiali hanno l’evidente funzione di rafforzare il suono della dentale sorda secondo una tradizione largamente attestata durante il Medioevo e poi proseguita negli ambienti colti, specialmente presso eruditi di estrazione ecclesiastica quali erano il Fara e lo Spano. La seconda grafia, Batahna, non può avere alcuna ragionevole attinenza con il nostro toponimo salvo una fortuita omofonia. Probabilmente si tratta di una forma che il benemerito canonico potè trarre da qualche fonte di cui è sconosciuta la provenienza. Ancora più probabile sembra che essa sia una forzatura dello studioso ploaghese in vista della fantasiosa etimologia che egli riconduce puntualmente all’ambito semitico.
La terza grafia, Baltana, appare il frutto di un atteggiamento paretimologico che sarà insorto successivamente alla citazione del Fara e di quella dello Zabarayn[21]. L’esito -lt- < -tt- sarà verosimilmente derivato da una ricostruzione della dentale sorda aggeminata nella quale il locutore avrà riconosciuto un nesso -rt- o -lt-. É altresì probabile che l’insorgenza di tale forma sia dovuta alla sua omofonia con il termine italiano e gallurese altàna “altana, terrazzo”[22] e con il cognome sardo Altàna[23], per cui ai cartografi ottocenteschi la pronucia (B)attàna sarà sembrata errata. Sta di fatto che la variante aferetica di questa errata denominazione, cioè ‘Altàna, si è attestata fin dall’Ottocento nella cartografia ufficiale e rappresenta ormai la versione più conosciuta dell’idronimo riu ‘Attàna, che nelle tavolette dell’IGM e nelle carte da esse derivate compare invariabilmente come rio Altana.
Altro discorso va fatto per il toponimo Calizzàna, che qualche studioso ha confuso con il toponimo in questione[24]. Esso dal punto di vista fonetico non ha nulla a che vedere con il toponimo di cui si discute. Il toponimo Calizzàna, in effetti, si riferisce ad una località della Gallura situata a poca distanza dall’abitato di Trinità d’Agultu[25]. Non si vede come questa denominazione, la quale verosimilmente rappresenta un esito prediale del nome latino Calicius[26], possa essere stata attribuita al villaggio anglonese di Gavazana. Quest’ultimo, infatti, era situato nella diocesi di Ampurias mentre, come è noto, tutta la Gallura fino al fiume Coghinas, e quindi anche l’intero territorio comunale di Trinità d’Agultu e Vignola e il sito di Calizzana, ricadevano nella diocesi di Civita (Olbia).
Un accenno merita anche la localizzazione errata che dell’abitato di Gavazana hanno fatto finora gli studiosi che se ne sono occupati. La sua parrocchiale, che come si è accennato era dedicata a S. Vittoria, fra il 1341 e il 1347 era governata dal rettore Nicholao. Va posto in evidenza, a proposito dell’attribuzione del toponimo Gavazana alla chiesa di S. Vittoria di Campos d’ùlimu, che quest’ultima, essendo stata una probabile sede di una casa benedettina, non poteva essere officiata da un rettore. Risulta evidente, infatti, che alla sua conduzione doveva sovrintendere un priore o un subpriore.
Della parrocchiale di Gavazana al presente non è rimasta alcuna traccia, tanto che essa non è più rilevabile neanche planimetricamente. I ripetuti spietramenti meccanici, cui il sito dell’antico villaggio è stato sottoposto anche di recente, hanno ridotto la collina sulla quale essa sorgeva ad una nuda altura.
Del titolo di questa chiesa, tuttavia, si conservano in primo luogo una citazione di Vittorio Angius nella forma Santa Vittoria di Battàna, risalente alla quarta decade dell’Ottocento e con la quale quello studioso informava che l’edificio al suo tempo era già demolito[27].
L’agiotoponimo Santa ’Ittória è ancora ben vivo nella tradizione laerrese e perfughese. Agli agricoltori della zona dove esso è attestato non sfugge l’esatto sito in cui il monumento sorgeva. Di tale attestazione rimane una chiara prova documentale nella mappa catastale del comune di Laerru. Nel foglio n. 15, mappale n. 38, infatti, si rileva la denominazione “S. Vittoria”.
Se occorresse un’ulteriore conferma che proprio all’interno dell’area compresa nel foglio catastale n. 15 sorgeva l’antico villaggio di Gavazana o Battàna, sarà sufficiente riferire che nel contiguo mappale n. 28 si rileva un altro agiotoponimo relativo ad una seconda chiesa dedicata a S. Leonardo, di cui restano ancora poche pietre di fondazione disposte planimetricamente a formare un rettangolo orientato. A monte della località dove sorgeva l’abitato, infine, si conserva una labile memoria di un sito denominato Santu Nigòla, forse connesso con una perduta chiesa intitolata a tale santo. La chiesa di S. Leonardo potrebbe essere connessa con l’antica strada che attraversava la valle centrale dell’Anglona sin dall’età romana e poi durante il Medioevo e l’Età Moderna, quando essa veniva denominata Caminu baddulesu “strada gallurese” per il fatto che collegava Turres con lo stato gallurese. Per questo argomento si rimanda a quanto riferito a proposito delle chiese di S. Leonardo di Martis e di Viddalba.
Dopo il Fara e prima dell’Angius di questa località si interessarono, ma sotto il profilo fiscale, lo Zabarayn[28] e il Mameli de Olmedilla[29], entrambi visitatori della casata spagnola di Gandia incaricati, l’uno a distanza di sessantasei anni dall’altro, di riferire sulla situazione del Principato d’Anglona e degli altri stati che quella famiglia possedeva in Sardegna.
Sotto il profilo storico, notevole appare il fatto che nelle schede delle collettorie pontificie relative all’anno 1346 il rettore Nicholao compare con le qualifiche di officiante (scheda n. 1717) e di cappellano (scheda n. 2024). Si tratta di significativi indizi per sostenere che già durante quell’anno il villaggio doveva essere abbandonato e che il parroco doveva versare le decime relative a redditi prodotti nelle terre già di pertinenza di Gavazana. In occasione della pandemia del 1348, dunque, questo centro doveva essere verosimilmente disabitato. Questo aspetto è confermato da un documento del 1513 dal quale risulta che il territorio di Perfugas confinava ormai con quello di Laerru e non più con quello di Gavazana.[30]
La citata grafia dubbia Fatana risulta incongrua rispetto al quadro storico ora prospettato. Una conferma in tal senso proviene anche dal fatto che il toponimo non accompagna più il titolo della rettoria di S. Vittoria, bensì quello della chiesa di S. Maria. Quest’ultima, che era distante circa cinquecento metri dal luogo dell’abitato, forse svolse per qualche tempo la funzione di parrocchia. É da osservare che, per il fatto che essa si trovava lungo la strada che collegava Battàna a Laerru, forse ospitò nei suoi immediati pressi i superstiti del villaggio ormai abbandonato. É possibile, sempre a livello di ipotesi, che l’architettura a portico che ancora residua di quell’edifico[31] fosse relativa ad una struttura pertinente ad un monastero. Tale elemento, se confermato, sarebbe utile per rafforzare l’ipotesi di una stanziamento temporaneo.
L’apparente contraddizione esistente fra la qualifica di parroco e quella di cappellano del rettore Nicholao, può essere risolta osservando che le collettorie pontificie, mentre riportano per ben cinque volte il toponimo Gavazana o sue varianti, non fanno mai menzione del villaggio di Laerru, che era distante soltanto tre chilometri e che, dopo l’estinzione del vicino abitato, ne inglobò gran parte dei territori.
Lo stesso discorso andrà fatto per il citato documento in cui compare la grafia Fatana. In effetti, nei documenti relativi alla prima metà del Trecento la presenza di Gavazana esclude sempre quella di Laerru. Viceversa l’abitato di Laerru compare, con la forma Lajrro, in un altro documento aragonese coevo[32] mentre, a sua volta, scompare in modo definitivo la forma Gavazana.
Riguardo all’attestazione alternativa dei due villaggi nei documenti trecenteschi, si sa per certo che l’abitato Laerru esisteva già da almeno due secoli. Tale circostanza è provata indirettamente nel Condaghe di S. Pietro di Silki, in cui compare un personaggio nominato Petru de Lauerru o Lauirru, maiore de guluare d’Innoviu[33]. Il cognome de Lauerru, attestato anche con la variante Lauirru, attesta che si tratta proprio del centro in questione. L’avere quest’ultimo villaggio dato origine a un cognome è segno evidente di vitalità demografica almeno fin dal XII secolo. Inoltre, la comunità laerrese alla fine di gennaio del 1388 elesse, insieme agli altri villaggi anglonesi, il delegato Nicolò de Vare a rappresentare l’incontrada di Anglona o Çaramonte all’atto di pace fra gli Arborea-Doria e la Corona d’Aragona[34].
Tali attestazioni di vitalità portano ad escludere che durante quel lasso di due secoli il villaggio di Laerru potesse essere disabitato. Da ciò si può dedurre che nel medesimo periodo esso doveva essere vitale parallelamente a quello di Gavazana. La spiegazione più accettabile e congrua consiste nel ritenere che Laerru fino alla metà del Trecento avesse costituito una cospicua frazione di Gavazana e che, dopo l’abbandono di questo centro, ne abbia a sua volta ereditato il territorio[35].
Il territorio di Gavazana risultava incastonato fra quelli di Perfugas, Flùmine, Laerru, Sévin e Bangios. Esso occupava i fertili terrazzi che oggi si frappongono fra i centri di Perfugas e Laerru e l’ubertosa valle del rio di Battana nel tratto compreso fra le rovine di S. Maria di Subràbbas e la dorsale di S’Attalza. La sua superficie, calcolabile sul migliaio di ettari, corrisponde in gran parte al sito assurto a recente notorietà per le emergenze paleobotaniche della cosiddetta “Foresta Pietrificata” e del Paleolitico inferiore.

[1] RDS, nn. 245, 838: Gavazana; n. 1717: Gavassanas; n. 2024: Gavasanas; n. 2259: Gavasanis; CS, p. 176: Baptana (Battare); AHN, Fundo Osuna, leg. 1005,n. 67: Batana.
[2]Marras P., “L’Anglona”, in Le chiese nel verde, cit., pp. 86, 166; Coroneo R., Architettura romanica dalla metà del Mille al primo Trecento (d’ora in avanti Architettura romanica), “Storia dell”arte in Sardegna“, Nuoro 1993, pp. 186, 188, 320.
[3]RDS, nn. 245, 838, 1717, 20.
[4] TBRS, f. 11; tale grafia si rileva nella quindicesima riga, dove compare il toponimo la cui lettura sembrerebbe corrispondere a S(ant)a M(ari)a Fatana.
[5]Sulla formazione dei latifundia romani cfr. Meloni P., “La Sardegna e la repubblica romana”, in Storia dei Sardi e della Sardegna, vol. I, pp. 228 segg.; “L’età imperiale”, pp. 245 segg.
[6]RNG, p. 86. Da questo stesso nome possono essere derivati gli attuali cognomi italiani Gavazzi, Gavazzuti, Gavazzeni.
[7]Spano G., Vocabolario sardo geografico patronimico ed etimologico, op. cit., p. 27.
[8]Cfr. Pittau M., I recinti di bestiame dei nuragici, in Chi siamo – Nuoro e la sua provincia, raccolta di inserti del quotidiano La Nuova Sardegna, 1983-84, n. 45.
[9]AEI, pp. 183-184.
[10]Cortelazzo M. – Zolli P., DELI = Dizionario etimologico della lingua italiana, 1-5, S. Lazzaro di Savena 1980, vol. 2, p. 480.
[11]Cfr. Bertoldi V., gava e derivati nell’idronomastica tirrena, “Studi Etruschi”, 3 (1929), pp. 293-320.
[12]HLS, §§ 166 sgg.
[13]RDS, nn. 191, 691, 1055, 1073, 1257, 2000, 2003, 2255, 2708. Per la medesima osservazione cfr. De Felice E., Le coste della Sardegna. Saggio toponomastico storico-descrittivo, Cagliari, 1964, p. 98.
[14]IFFO, I, p. 176.
[15]Cfr. Serra G., Etruschi e Latini in Sardegna, in “Mélanges de Philologie Romane offerts a M. Karl Michaëlsson”, Göteborg 1952, pp. 407-450; Hubschmid J., Paläosardischen Ortsnam, in “Atti del VII Congresso Internazionale di Scienze Onomastiche”, II, 2, pp. 145-180, Firenze 1963; Pittau M., OPSE, § 67.
[16]Cfr. Terracini B., Osservazioni sugli strati più antichi della toponomastica sarda, “Atti del Convegno archeologico sardo” (1926), p. 159; Pittau M., OPSE, § 66; La desinenza del plurale nel paleosardo e nell’etrusco, in “Sardegna Antica”, Nuoro, marzo 1992, pp. 22-23 e in “AStSS”, XVI, 1992, pp. 145-149.
[17]Schulze W., Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlino 1933, p. 145.
[18]HLS, pp.149 segg.
[19]IFFO, cit., vol. I, p. 176.
[20]Spano G., Vocabolario sardo geografico patronimico ed etimologico, cit., pp. 24, 25, 27.
[21]Bussa I., Le rendite feudali dello stato di Oliva in Sardegna in una relazione di Geronimo de Zabarayn (1701), in “Quaderni Bolotanesi”, n. 13, anno XIII (1987), p. 445.
[22]Usai A., Vocabolario tempiese-italiano italiano-tempiese, Sassari 1977, p. 50.
[23]Pittau M., CdS, p. 6.
[24]Terrosu Asole A., L’insediamento umano medievale e i centri abbandonati tra il secolo XIV ed il secolo XVII, supplemento al fasc. II dell’Atlante della Sardegna, Roma, 1974, p. 40; Casula F. C., Giudicati e curatorie, in Atlante della Sardegna, a cura di R. Pracchi e A. Terrosu Asole con la direzione cartografica di M. Riccardi, Roma 1980, fasc. II, p. 105.
[25]IGM, f. 180 I N.E: Stazzo Calizzana; cfr. Paulis G., NLS, p. 377.
[26]RNG, p. 42.
[27]Dizionario geografico, cit., IX (1841), p. 619.
[28]Bussa I., Le rendite feudali dello stato di Oliva in Sardegna in una relazione di Geronimo de Zabarayan (1701), cit., p. 445.
[29] RMO, p. 297.
[30] aca, Canc., Reg. 1022, ff. 69v-71.
[31]Il Taramelli riteneva che tali rovine risalissero ad un tempio romano; cfr. TCI 1919, p. 188.
[32]MELONI G., Insediamento umano nella Sardegna settentrionale, cit., p. 455.
[33]CSPS, nn. 82, 140.
[34]CDS, I, sec. XIV, doc. CL.
[35]Sul medesimo argomento cfr. Maxia M., Il villaggio medievale di Gavazana. Aspetti storici e linguistici, “Sacer”, Bollettino dell’Associazione Storica Sassarese, anno I, n. 1, Sassari 1994, pp. 111-125.

6. L’orizzonte geografico delle schede 256 e 257 del Condaghe di San Pietro di Silki

(Abstract) (The geographic horizon of the cards 256 and 257 of the condaghe of San Pietro di Silki) The paper begins from the analysis of a toponym in a 19th century manuscript in the parochial archive of Berchidda, which invites comparison with the graphic form Surtallo, cited in the condaghe of San Pietro di Silki (11th-13th centuries). By confronting the graphic forms attested in the cards 256 and 257 of that codex with the toponomastics of Monteacuto, it becomes evident that the content of those cards is not to be referred to the territory of Siligo, as scholars commonly had thought up to now, but to an area situated south of the village of Oschiri and to the south-east part of the municipality of Berchidda.

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