Premessa:
Questo romanzo giallo-noir-rosa è puro frutto della fantasia dell’autore. Personaggi e storie possono essere anche verosimili, ma l’autore avverte che non si tratta di quelle che qualche lettore vorrebbe ravvisare. Gli stessi luoghi e paesi, pur rassomigliando a luoghi e paesi esistenti, sono inventati di sana pianta e non sono da identificarsi con quelli.
Il lavoro è puro frutto di fantasia e lo stesso autore Ange de Clermont è scomparso nella nebbia dopo aver scritto questa storia.
Tocca a me continuare a correggerlo chissà per quanto tempo. D’altra parte non posso sottrarmi alla bisogna perché quel mezzo lestofante del compianto Ange de Clermont mi ha fatto giurare prima d’essere risucchiato dalla nebbia. (A. T.)
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Eravamo in periodo fascista (1941). Da bambino ero timido e silenzioso, ma, fin dalla più tenera età, sempre attento ad ogni episodio che si verificasse in casa. Abitavamo in campagna con tutta la famiglia che, allora, era composta dai miei genitori, da me e da un altro fratellino, in località Sas Baddes, a qualche centinaio di metri dal fiume Giunturas, affluente del Coghinas, ad un’ora di cammino da Chiaramonti (Sassari), in terreni presi in affitto per allevare circa 200 pecore, una cavalla bianca, un asino e pochi maiali. Mio padre era coadiuvato dal servo pastore, teracu, Portolu della famiglia Serra-Spanu.
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I benemeriti dell’Arma di Miramonti discussero fra loro le varie ipotesi sull’omicidio: questa volta non volevano rifugiarsi di nuovo nel mistero, dovevano a tutti i costi trovare l’assassino, a rischio di perdere non solo la faccia davanti al paese come tutori dell’ordine, ma anche di essere trasferiti nella zona delinquente dell’Isola.
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Mio nonno mi raccontò che un giorno del 1910, lui e suo fratello gemello lavoravano all’interno della chiesa di Santa Giusta, la chiesetta di campagna, dove in seguito si sarebbero sposati i miei genitori. Con l’ausilio di un argano manuale, dovevano ripulire il pozzo d’acqua, posto nel presbiterio della chiesa, proprio sotto l’altare maggiore. Scesi nel pozzo, mentre scavavano con picco e pala, ad un tratto, udirono una voce che chiamava:
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Miei dolci buoi
di tutoli
di granoturco
dalle corna di canne
dai gioghi di quercia
trainando
carri di sambuco
vi creai
bambino
evocando campi
sterminati
“Ah! Ah! Su o’ !”
ripetevo
imitando mio padre.
I compagni
frementi
un giro
mi chiedevano
e sull’acciottolato
giostravo
con le funi
arando
praterie
di sogno.
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L’intero mondo ai nostri giorni pare sia popolato da circa sette miliardi e settecento milioni di abitanti, ogni anno ne nascono circa cinquantuno milioni e ne muoiono circa ventun milioni e mezzo.
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Due anni fa, nel tardo pomeriggio, ad appena 71, moriva un carissimo amico di collegio Oreste Carboni. Era nato a Sorso nel 1946 ed era destinato a morire a Hong Kong il 10 maggio 2917. La sua vita come quella di tutti gli esseri umani fu abbastanza tribolata. A 3 anni affidato alle Figlie della Carità di Sassari della Casa Divina Provvidenza. Nell’istituto aveva frequentato le scuole elementari. A 12 anni era stato accompagnato presso un istituto professionale di Palermo. Successivamente aveva svolto il servizio miliare nella Marina e quindi dopo varie peripezie e malattie era riuscito ad entrare all’Università di Milano come impiegato. Aveva messo su famiglia con la nascita di un figlio maschio e due figlie femmine. Successivamente come spesso capita anche questa esperienza si era conclusa ed aveva sposato una stilista cinese che dopo sei mesi di matrimonio volle ricongiungersi alla madre ad Hong Kong.
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2 Maggio 2019
- Categoria:
storia
Pubblico, a distanza di 50 anni, (21 aprile 1969-21 aprile 2019), la mia tesi di laurea senza l’appendice documentaria. La stesi in 15 giorni e la mandai al professore torinese Narciso Nada che apportò delle correzioni, che non feci in tempo ad eseguire perché il professore per sbaglio la spedì ad altro studente. Io alla scadenza non ricevendo la corrispondenza la presentai ugualmente in segreteria nel febbraio del 1969.
La discussi il 21 aprile con prof. Nada, prof. Luraghi e prof. Costantini. Entrambi i primi due sono scomparsi. La cordialità dei primi due fu contrastata dal marxista Costantini al quale risposi abbastanza ingenuamente. Alla discussione, durata, 45 minuti, furono presenti mia moglie e la compianta mia cognata Teresa. Ebbi come votazione 8 punti, in genere non se ne davano più di 6. Sommando la media dei voti che era di 24, raggiunsi i 9 punti, cioè 99/110. Dal primo all’ultimo esame misi su famiglia, nacquero 3 figli, insegnai nelle scuole medie e frequentai per due anni Giurisprudenza dando 5 esami e frequentando 7 corsi. Passai a Lettere moderne nella Facoltà di Cagliari e mi trasferii a Genova per dare Storia romana e Epigrafia, nonché un altro esame di Storia della Lingua Italiana.
Nel complesso sostenni 28 esami. Per questa laurea bastavano 21, quindi ne diedi 6 in più senza contare altri 3 di Giurisprudenza, Mi furono tutti utili per la formazione culturale di base insieme allo studio della Filosofia Scolastica frequentato durante il Liceo ad Aversa (Caserta). Il mio corso di studi fu stilato dal prof. Giovanni Lilliu che come primo esame pose Atcheologia. Il lavoro ha indubbiamente varie debolezze dovute sia alla mia giovane età e agli approfondimenti che ebbi modo di portare avanti sul banditismo sardo, sdoganato da Antonio Pigliaru che ne rilevò la sua subculturalità, per cui doveva risolversi più con provvedimenti socio-economici che non con la semplice presenza dei carabinieri, utili anch’essi.
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