29 Ottobre 2013 - Categoria: c'est la vie, memoria e storia

VI.Padova: gelosia retroattiva: Priscilla minaccia di andarsene, ma poi desiste di Ange de Clermont

Riprendo a trascrivere dal diario del “Viaggio di nozze di Priscilla e di Andrea”.

Basilica del Santo

Basilica del Santo

Il treno, diretto a Venezia, che da Firenze il 18 settembre del 1963 ci portò a Padova, si fermò alla stazione e noi scendemmo non senza notare subito la grassa attrice del film Amarcord. Era una donnona davvero pingue e il film non aveva esagerato. C’incamminammo sereni alla ricerca di un alberghetto e finalmente lo trovammo un pò lontano dalla Basilica del Santo. Ci sistemammo nella piccola, ma accogliente camera mansardata e dopo un pò uscimmo a mangiare qualcosa. Ci colpì subito l’offerta dei ristoranti. Si poteva mangiare con 500, 1000, duemila lire e su di lì. Non ricordo se mangiammo come primo piatto pasta oppure minestrone, fatto sta che ci riempimmo a sufficienza. Girammo per i portici e programmammo per l’indomani la visita alla basilica di Sant’Antonio, mentre il giorno successivo avremmo preso il treno per  Venezia da cui saremmo tornati all’albegheto di Padova.

La stanchezza cominciava a farsi sentire e così prendemmo sonno forse verso le 22, pensando ancora alle belle chiese, piazze e monumenti di Firenze. La sposina era gioiosa e in forza e fin lì non si era mai alterata, anzi aveva manifestato la sua felicità. L’indomani mattina, 19 settembre, ci svegliammo a buonora, purtroppo dalla finestra notammo che stava piovendo e così ci trattenemmo a conversare di più a letto. Tra i tanti discorsi toccati ce ne fu uno spinoso.

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18 Ottobre 2013 - Categoria: c'est la vie

I pascoli tornano ad ammantarsi di verde e Checco è felice di Ange de Clermont

CappelloUn’ora fa mentre mi vestivo, ho spostato la tenda dalla finestra e attraverso gli sportelloni che lasciavano intravedere lo colline mammillari della valle sottostante la mia casa, ho notato che pian piano i pascoli s’ammantavano di verde. Poi ho aperto gli sportelloni e lo spettacolo è davvero incantevole. Il verde leggermente conquista la valle, miracolo della pioggia abbondante dei primi giorni di ottobre. Tra una settimana sarà del tutto scomparso il giallo che ci ha accompagnato per tutta l’estate, ora si va verso l’autunno  accogliente e ad ogni sguardo nella valle rinascono le speranze nel cuore.

Il verde infatti è uno dei colori più riposanti nelle sue variazioni di verde-pisello, verde vescica, verde-smeraldo. Le greggi cominciano a brucare l’erba con piacere e il pastore mille volte stupito guarda con gioia al futuro dicendo tra sé:

-Tutto latte per il caseificio e acconti mensili per le mie tasche povere di contanti.-

Ha ragione Checco che osserva i suoi pascoli nella valle di Bados de Lové, ma son felice anch’io, chissà che visitando la valle si sbrigli la fantasia per portare a compimento il giallo noir rosa che ho lasciato a metà. Ho abbandonato da mesi, qui nel mio blog, il marchio dalla protòme taurina,con due archeologi accoppati nelle domus de Janas e non so ancora chi li abbia mandati all’altro mondo, sì, non pensiate che conosca già il killer, lo scoprirò negli ultimi capitoli, per ora gl’indiziati sono almeno tre, ma non so chi sia il vero. Ci vuole un pò di consultazione con la matriarca che non fa che leggere gialli su gialli che si ammucchiano sul suo comodino nella sua stanza da notte, anzi nella camera matrimoniale dove in quella che ogni morte di papa è la mia parte, si ammucchiano riviste e libri.

Io nella mia stanza ho soltanto una piccola Radio Maria, una lampada da comodino, il rosario e tre pacchi di fazzoletti e niente più, a letto non leggo, prego per le anime sante del Purgatorio del vicinato, del parentado, per gli amici defunti; per il papa, per i cardinali, per i vescovi, per i sacerdoti, per i cristiani perseguitati, per la salute spirituale e fisica delle donne, per i miei gravi peccati che in 76 anni di vita ho indubbiamente commesso (qui a Chiaramonti o a Sassari o in Sardegna mica fioriscono i santi come gli asfodeli) e quando dimentico d’esser peccatore c’è mia moglie, perfetta matriarca e contabile, che me li ricorda uno per uno.

Lasciamo però i miei peccati da parte e ritorniamo all’autunno verde del nostro suggestivo paesaggio e al pastore che finalmente  senza troppa fatica incasserà i pascoli che DomineDio gli manderà gratuitamente e che lui si dimentica spesso di ringraziare. Non Checco però che è diventato un buon cristiano. Non che prima fosse uno scavezzacollo, però qualche licenza se la prendeva, ma la bellissima Caterina lo ha condotto all’altare e presto presto gli ha regalato  tre figli. In parole povere Checco si è fatto serio, ha scoperto la bellezza della campagna e alleva ecologicamente il suo bestiame. Carne pregiata per i suoi figli (e per gli amici). Pochi, lo sanno, ma Checco è felice della sua piccola azienda e adesso che il verde è tornato si rallegra per le sue pecore pronte a ingrassare.

Non è solo Checoa a rallegrarsi perché più su, nelle valli di Oloitti, una sarda pastora, Maddalena, alleva i suoi vitellini con molta cura, levandosi presto, e provvedendo ai suoi animali: le mucche gravide, quelle bisognose di cure, i vitellini di sostenere e curare, i maiali e poi c’è il terreno da arare con le macchine che guida con la perizia di un uomo e cento altre cose da fare che chi non è vissuto in campagna con le bestie come me non riuscirà mai a capire.

Il tempo è mite se non si muove il vento, il sole, mister sole, colui che tutti i santi giorni ci prende in giro fingendo di sorgere e di tramontare, non è più caldo come durante l’estate. Le giornate s’accorciano e le notti man mano s’accrescono, si, perché si va verso l’inverno che certo non piace per il freddo, ma è necessario per la natura che si riposa, per esplodere poi  di nuovo a primavera. Non andiamo troppo in fretta, per ora fermiamoci all’autunno e se volete sentirlo vibrare nell’animo andatevi ad ascoltare e a leggere la canzone napolentana Malinconico autunno e poi fatemi sapere. La troverete su you tube, gratis.

Dimenticavo, non mancano molti giorni alla commemorazione dei defunti e la matriarca mi chiama perché vuol salire al cimitero dove io vado a meditare e lei a ripulire la tomba di famiglia. Quante Marte al mondo, bisogna avere pazienza! Io porterò i secchi d’acqua per lavare la tomba e lei la ripulirà e poi innaffierà i fiori.

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17 Ottobre 2013 - Categoria: c'est la vie, memoria e storia

V. Il viaggio di nozze: le prodezze della sposina a Firenze in Piazza delle Signorie di Ange de Clermont

Mi scuso con i visitatori del blog, ma tante cose mi hanno distratto ed io ho lasciato perdere il diario di nozze di Andrea e Priscilla di 50 anni fa, lo riprendo su rschiesta di più amici. (AdC)

ProserpinaI due sposini erano arrivati a Firenze e avevano trovato su indicazione dei passeggeri del treno una pensione all’angolo della stazione. Dopo aver pranzato e riposato lasciarono la pensione e si avviarono verso il centro della città dantesca. La prima chiesa che visitarono fu Santa Croce e così entrambi si entusiasmarono per le tombe dei grandi italiani: Galilei, Foscolo, Vittorio Alfieri e altri, ne ammirarono la facciata e il campanile e poi si diressero alla cappella medicea dove la sposina restò estasiata di fronte alle quattro sculture delle stagioni e alla ariosa costruzione michelangiolesca. Andrea finalmente fu soddisfatto, la sposa dopo i giorni di apnea col pupetto ora si dava all’arte, parlava d’arte e restava finalmente stupita di tanto genio.  Capitarono tra una chiesa e l’altra in Piazza delle Signorie. La sposina non ci pensò due volta a salire sul piedistallo del ratto di Prosperpina e farsi fotografare quasi aerea, non bastò, vide la mole di un leone e in men che non si dica, con un’agilità inusitata, salì sul monumento e vi si sedette sopra. Inutile dire le paure di Andrea sia perché la sposa appena diciannovenne rischiava di cadere sia per i vigili urbani che comparendo da un momento all’altro potevano affibbiarle una bella contravvenzione.

sul leoneSi sa che sui monumenti non si deve salire e tanto meno si possono usare come cavalli a dondolo. Per fortuna i vigili non comparvero, ma comparvero due sardi, uno giovane e l’altro più vecchio, per brevità li definiremo il gatto, quello grasso, e la volpe, quello magro. Erano due pubblicista del quotidiano locale che ci proposero di unirci a loro per raggiungere San Marino. Andrea subodorò il pericolo e declinò ogni invito dicendo che loro avevano una tabella di marcia e non potevano allontanarsi da quella e che soprattutto erano in viaggio di nozze e non in gita scolastica. A Firenze visitarono Santa Maria novelle e una serie di altri monumenti che qui non sto ad enumerare. Per farla breve Andrea fu davvero pieno di entusiasmo per la full immersion nell’arte fiorentina,  Gli sposini comprarono un servizio da tavola all’americana, una cravatta per Andrea e due capelli di paglia per la sposa e per lo sposo che in quanto a cappelli era un appassionato. Nella pensione furono compiti e gentilissimi, ma dopo tre giorni fiorentini il viaggio di nozze proseguì per Padova!  Di buon mattino salirono sul treno che li avrebbe portati nella città del santo dei miracoli e i due, dotati di buone speranze, di un pupo in viaggio, non possedevano altro; né casa, né mobili, né lavoro sicuro e tanto meno soldi all’infuori di quelli del viaggio di nozze recuperati durante il pranzo freddo organizzato dopo la cerimonia: centocinquanta mila lire. L’atmosfera mondiale, italiana e paesana erano pervase dall’entusiasmo, in America governava Kennedy, in Russia Krusciov, a Roma era papa Giovanni XXIII, insomma, si era in buona compagnia. Andrea guardò l’orologio: erano le 9 del mattino del  17 settembre 1963, luna nuova, martedì. Trovarono posto in uno scompartimento di gente sorridente, per lo più di mezza età. Gli anelli brillavano e la gente sorrideva e quasi accarezzavano gli sposini con gli occhi. La sposina, con abito dichiaratamente premaman, lasciò che fosse lo sposo a sistemare la valigiona, e si sedette accanto al finestrino. I suoi occhi cangianti brlllavano, i capelli castani ondulati erano ben sistemati su una fronte ampia e un volto romantico, il sorriso tra l’accogliente e l’ironico per via di due denti leggermente accavallati. Si sedette accanto anche lo sposo,   magro, dal volto ascetico e dal sorriso largo e gli occhi quasi neri penetranti. I compagni di viaggio sorridevano e non vedevano l’ora di sapere il perché di quegli anelli che brillavano. Il treno fischiò e lasciò Firenze, felicissima tappa nuziale.

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14 Ottobre 2013 - Categoria: cristianesimo, cultura, memoria e storia

Chi colma il cuore della donna di Costanza Miriano

img_1923Ecco il testo della relazione che avevo preparato per il Seminario per i 25 anni dellaMulieris Dignitatem, organizzato dal Pontificio Consiglio per i laici. Purtroppo poi non ho resistito e ho cominciato a raccontare di telefonate alle amiche incaricate di dirmi che sono magra e di mariti divanauri – figure mitologiche metà uomo e metà divano – incontrate in tutta Italia. Mi sono così giocata la possibilità, probabilmente unica in vita mia, di apparire autorevole davanti a donne venute dai cinque continenti. Aggiungo solo che il giorno dopo le partecipanti al seminario sono state ricevute in via eccezionale dal Papa, al quale ho dato “Casate y sé sumisa”, Sposati e sii sottomessa in spagnolo. Il Santo Padre mentre me ne andavo mi ha richiamata per ricordarmi come proseguiva la frase di San Paolo. Così gli ho dato anche “Sposala e muori per lei”. Credo che entrambi i volumi stiano già sostenendo le zampe di un tavolino traballante nella gendarmeria vaticana.

“Quando lessi la prima volta la Mulieris Dignitatem credo proprio che non ne capii praticamente nulla, nella sostanza: avevo diciassette anni, e idee tutte strampalate su come dovessero essere maschi e femmine, sul matrimonio, su una malintesa parità tra i sessi. Mi sembravano belle parole, ma destinate a rimanere su carta.

sposatiDieci anni dopo l’enciclica mi sono sposata, e i successivi quindici li ho passati praticamente a cercare di comprenderla. Piano piano, con il tempo, le parole del Santo Padre si stanno traducendo in carne, si sono incarnate nella storia della nostra coppia, hanno dato un nome a ciò che vivevo e anche in parte soffrivo.

Credo che in amore si soffra quando si dimentica che “C’è un paradosso nell’esperienza dell’amore: due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare”. (R.M:Rilke) “Solo nell’orizzonte di un amore più grande è possibile non consumarsi nella pretesa reciproca e non rassegnarsi, ma camminare insieme verso un Destino di cui l’altro è segno”. (C:S:Lewis)

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12 Ottobre 2013 - Categoria: eventi culturali, letteratura sarda, lingua/limba

CONCLUSA LA 54^ EDIZIONE DEL “PREMIO OZIERI” di Antonio Canalis

 

A. Canalis e V. Ledda

A. Canalis e V. Ledda

 Festa di poeti e di scrittori, ma anche delle tane personalità alla cerimonia pubblica di premiazione dei vincitori della 54^ edizione del “Premio Ozieri di Letteratura Sarda”. A giudicare dagli attestati di stima ricevuti e dall’affetto che ha circondato tutta la manifestazione, si ricava la cifra del prestigio e delle attese che la cinquantasettenne creatura di Tonino Ledda ha saputo conquistarsi in quasi sei decenni di duro e serio operare. Tangibile e sincera la soddisfazione degli autori e del pubblico presente. Come ormai succede da qualche anno, peraltro, l’attesa era forte. I dubbi e le incertezze, pure. Ma, come qualcuno ha opportunamente sottolineato, riuscire a navigare così a lungo in acque quasi mai serene, per il Premio è sintomo di “sana e robusta costituzione fisica” e, in definitiva, di una salute di ferro. Fortissima la stima e la considerazione che Ozieri riesce a calamitare dappertutto, in campo letterario e in tutte le branche ad esso legate. Perché anche il più acceso avversario non può fare a meno di riconoscere la primogenitura assoluta di un progetto culturale, che solo oggi è passato nella sua pienezza e annovera centinaia di imitatori ed epigoni.

La Giuria

La Giuria

Se un merito va riconosciuto al Premio ozierese, infatti, è proprio quello di essere una grande manifestazione di democrazia totalmente apolitica e apartitica: già dalle prime edizioni la partecipazione venne aperta a tutte le varietà di lingua sarda dell’Isola. Da quelle principali, fino alle più remote sfumature, comprese quelle che allora si definivano isole alloglotte (Alghero col catalano e Carloforte col genovese di Pegli, altrimenti detto tabarchino), e che oggi vengono definite, dagli esperti,  eteroglossie interne. I fatti, le proposte e anche le leggi più recenti, sia pure tardivamente, hanno dovuto prendere atto che l’unica linea valida, tracciata per la tutela della lingua e della cultura sarda, è quella portata avanti per lunghi decenni, in solitudine, dall’”Ozieri”. Ed oggi che il principio è passato “alla grande” e c’è una forte presa di coscienza generale sulla necessità di riscoprire le nostre radici per contrastare l’omologazione, è fin troppo facile navigare sulla scia. E proprio su questi temi si è indirizzata la linea del Premio in tempi di dibattito fin troppo acceso e guerra tra istituzioni nello spinoso settore della salvaguardia e tutela della “limba”, che ha acceso querelles ancora incandescenti e disorientato la pubblica opinione.

Nicola Tanda

Nicola Tanda

“Il momento è importante e in qualche misura strategico: come Associazione organizzatrice, sentiamo l’esigenza di essere ancora una volta protagonisti e “padri nobili” di un qualcosa che comunque ha lasciato tracce profonde nel mondo culturale sardo”, sostiene il presidente del sodalizio Vittorio Ledda. Un obbligo morale, di fatto, che ricade in capo a un’iniziativa che vanta una lunghissima e fiera militanza. Commozione e lunghi applausi sia per gli autori premiati che per le personalità che hanno ottenuto riconoscimenti che vanno ad arricchire il nutrito albo d’oro della manifestazione. Su tutti, l’emozione del Rettore dell’Ateneo Turritano Prof. Attilio Mastino, cui è stato consegnato dall’Assessore alla cultura della Città di Ozieri Giuseppina Sanna il “Trofeo Città di Ozieri”. Mastino ha sottolineato i meriti della antica rassegna ozierese e il prestigio di cui essa gode, non solo in Sardegna. Di forte impatto anche l’intervento dell’Assessore Regionale alla Cultura Sergio Milia, che ha indicato il Premio Ozieri quale motore instancabile a supporto di quella che è anche la linea del suo assessorato per un impegno e un’attenzione sempre maggiore nel solco della tutela e valorizzazione della lingua sarda e della cultura. Lo testimonia la collaborazione nella gestione delle tre ultime edizioni della Festa dei sardi: “Sa Die de sa Sardigna”. In sintonia l’intervento dell’assessore alla cultura della Provincia Daniele Sanna.

Cappellacci premia A. Longu

Cappellacci premia A. Longu

Sulla stessa linea il saluto del Presidente della Regione Ugo Cappellacci, che ha voluto essere presente a quello che egli ritiene un miracolo della cultura e della tradizione sarda interpretata in chiave moderna, autentico faro in un mondo tanto vicino al cuore di tutti i sardi. Momenti di pathos assoluto nella esibizione della formazione musicale “I Bertas”, cui è stato assegnato l’ambitissimo Trofeo “Provincia di Sassari”. Di prestigio assoluto i riconoscimenti conferiti al tenore Franceschino Demuro, ormai bandiera della lirica mondiale, partito dal canto a chitarra in limba sarda e al Professor Nicola Tanda, presidente della giuria, in occasione del trentennale della sua guida del Premio. A questi importanti riconoscimenti ed incoraggiamenti, si sommano le lettere di plauso, di auspicio e di incoraggiamento pervenuti da parte di Monsignor Angelo Becciu, Sostituto alla Segreteria di Stato Vaticana per gli Affari Generali. Ma i veri momenti d’attenzione e di emozione non sono mai mancati durante la recita dei lavori premiati nelle tre sezioni. Anche in virtù della folta schiera di giovani collocatisi nelle prime piazze: speranza, ma anche certezza per il futuro. In barba alle cassandre di turno.

È tempu…

Maria Teresa Inzaina

Maria Teresa Inzaina

Undi di tricu moini
ill’aria bacinata
li passi liceri d’una femina
spichi  suai mugghjendi.
S’abbampani di spantu li pappai
striscian’ in fua a lu tripittu salpii.
Curona di pòara regina,
lu fruntali fiuritu a celi pogli
colba piena di fruttuli cumpriti.
Sabaci  l’occhj  accesi
almuniosa anda e sigura
baddharina di campu
fissu lu miramentu a l’orizzonti:
a la fini  d’un’ampiosa lascura
asettu d’alburi cantu d’ei friscura
ricreu  d’una cansata  disiciata …
Ma  è schessa l’umbra assuitata:
bruchi si pendini da l’alburi sfruniti.
Un trìmini illa schina
illi puppii  accinni d’ inchiittù.
Mùitu di frina la carigna e canta:
Arà a murì la bruca  e li chimuci
orrarani a  nascì a la  stasgjoni
e a lu soli chi saetta umbri e luci
frondi noi spagliarani curoni…”
E più a chiddh’ala di lu tulbamentu
discansu  brunu  prummittini
a attésu cuppi di frundalizia
chi no timi bruca.
Ventu a li spaddhi licéri
spigni lu passu straccu
a l’ultima cansata.
Suma gréi sò li frutti
di li tanti stasgjoni traissati.
Sponi  la colba.
Lu fruntali fiuritu
è abà un capitaleddhu
la tarra un lettu.
È tempu di drummì..

Maria Teresa Inzaina di Calangiuanus I Premio

Traduzione dell’autrice (che ringraziamo)

  • È tempo..
    Onde di grano muovono
    nell’aria abbacinata
    i passi leggeri di una donna
    spighe chinando dolcemente.
    Stupiti avvampano i papaveri
    serpi strisciano in fuga al calpestio.
    Corona di povera regina
    il cercine fiorito porge al cielo
    la corba colma di maturi frutti.
    Occhi di nero acceso
    sinuosa va e sicura
    ballerina di campo
    fisso lo sguardo all’orizzonte:
    al di là di una vasta radura
    miraggio d’alberi
    canto d’acque frescura
    ristoro..sospirato riposo.
    Ma è rada l’ombra raggiunta
    bruchi pendono dagli alberi spogliati.
    E per la schiena un brivido
    nelle pupille lampi d’inquietudine.
    Soffio di brezza l’accarezza e canta:
    “Morranno i bruchi e i deserti rami
    rivivranno alla nuova stagione
    e al sole che saetta ombre e luci
    fronde nuove spargeranno corone..”
    E là oltre il turbamento
    bruna quiete promettono
    chiome lontane di fogliame
    che non teme bruchi.
    Vento alle spalle leggero
    sospinge il passo stanco
    all’ultima fermata.
    Pesano i frutti
    delle tante stagioni percorse.
    Posa la corba.
    Il cercine fiorito
    è ora un piccolo cuscino
    la terra il letto.
    È tempo di dormire..

 

 A s’ater’ala

Giamgavino Vasco

Giamgavino Vasco

Ma chie b’at a bènnere
a m’attoppare, cando
ap’a fagher su brincu a s’ater’ala?
Sa fortuna ap’a tènnere,
presentàndemi, tando,
de ti bier in chim’ ‘e cuss’iscala?
Ti dia narrer: «Fala,
beni a mi che pigare,
si dignu so de te»,
ca ses tue su re
chi calch’ ’orta proadu ap’a pregare,
cun paga fide e gana,
in mutas de turmentu e de mattana.
A notte o a de die
at a èssere a s’ora
chi s’ùltimu biazu at a finire,
giompìndeche a inie,
dae sa vida fora,
e fora da’ su tempus de patire?
Ma nessi a m’iscaldire
un’àlidu b’at àere,
po ch’ ‘ogare su frittu
de su male chi afflittu
m’at cando dadu m’as sa rughe a tràere,
chi como, ti cunfesso,
a baliare in palas non resesso.
Cale lughe ap’a bìere,
sa prus jara ‘e su chelu
o cussa de sas framas de s’inferru?
Su dimòniu rìere,
o sintzeru un’anghelu
ap’a intender lieru o in inserru?
Su frittu de s’ilgerru
o s’ ‘eranu prus tébiu
m’at a bintrare in sinu?
Sighinde su caminu,
s’ànimu meu, ‘olandesiche lébiu,
at’a chircare pasu
in d-un’antigu affranzu, in d-unu ’asu.

Nell’aldilà


Ma chi verrà
ad incontrarmi, quando
farò il salto nell’aldilà?
Avrò la fortuna,
presentandomi, allora,
di vederti in cima a quella scala?
Ti direi: «Scendi,
vieni a portarmi su
se degno son di te»,
perché sei tu il re
che qualche volta ho provato a pregare,
con poca fede e voglia,
in periodi di tormento e di fastidio.

Notte o giorno
sarà nel momento
in cui l’ultimo viaggio finirà,
arrivando lì,
fuori dalla vita
e fuori dal tempo di soffrire?
Ma almeno a riscaldarmi
un alito ci sarà,
per mandar via il freddo
del male che afflitto
mi ha quando mi hai dato da trascinare la croce, che ora, ti confesso,
non riesco a sopportare sulle spalle.

Quale luce vedrò?
La più chiara del cielo
o quella delle fiamme dell’inferno?
Il demonio ridere,
o un angelo sincero
sentirò libero o rinchiuso?
Il freddo dell’inverno
o la primavera più tiepida
mi entrerà nel petto?
Seguendo il cammino,
il mio animo, volando via leggero,
cercherà riposo
in un antico abbraccio, in un bacio.

Giangavino Vasco  – Bortigali I premio ex aequo

 

 

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10 Ottobre 2013 - Categoria: lingua/limba

Capofoglio sa muzere intamen che su maridu de Anghelu de sa Niéra

D. -Apo idu chi t'ant postu capofoglio!-<br />
A.- Ebbè non t'andat bene?-<br />
D.- No e malasorte, custu est maschilismu beru e propriu. Custas cosas devent finire pro sempre.-<br />
A. -Tando bae a sa Circoscrizione e nara a s'impiegadu chi ti ponzat capofoglio.-<br />
D. - Giustu, cando as chervidu ti che ses bessidu fora de domo, poi ses torradu e come cheres pure torrare capofoglio!-<br />
A. - Faghe su chi cheres sa matriarca ses tue, deo so innoghe  piu che atere pro atire sa pinzione.-<br />
D.- No l'ischis, maccarrone, chi contas cantu una puma?-<br />
A.- No l'ischio, ma como mi lu ses nende!-<br />
D.- E tando o faghes su chi cherzo deo o mi brincas sa gianna, intantu sa legge mi lassa totu  sa parte ona de sa pinzione e domos e mobilia._<br />
A. _- Bella cristiana ses e deo chi creio chi m'aisi perdonadu.-<br />
D.- Su perdonu b'est, ma capofoglio cherzo esser deo no sia chi ti enzant torra sos ziripiculos.-<br />
A. - Ma si so diventende etzu cadruddu ite ziribiculos mi devent bennere.-<br />
D. -Ohi no sia chi no ti connosca, giradore peus de giau tou in Franza. Su sambene no est abba, no b'at nudda ite faghere, cand'unu naschit feminarzu feminarzu restat.-<br />
A.- A mi finis sa matana. Unu podet isbagliare una borta, duas finas a tres, ma poi ponet carveddu!-<br />
D.- Giradila comente cheres, deo ap'a esser capofoglio e non b'at nudda ite fagher. Anzi dami su restu de sa cariasa.-<br />
A,- Ap'ipesu totu!-<br />
D. Puru ibaulidore ses. Narami tue comente devo fagher cu cust'omine. Deus meu ite rughe!-
D. -Apo idu chi t’ant postu capofoglio!-
A.- Ebbè non t’andat bene?-
D.- No e malasorte, custu est maschilismu beru e propriu. Custas cosas devent finire pro sempre.-
A. -Tando bae a sa Circoscritzione e nara a s’impiegadu chi ti ponzat capofoglio.-
D. – Giustu, cando as chervidu ti che ses bessidu fora dae domo, poi ses torradu e come cheres pure torrare capofoglio!-
A. – Faghe su chi cheres sa matriarca ses tue, deo so innoghe piu che atere pro atire sa pintzione.-
D.- No l’ischis, maccarrone, chi contas cantu una puma?-
A.- No l’ischio, ma como mi lu ses nende!-
D.- E tando o faghes su chi cherzo deo o mi brincas sa gianna, intantu sa legge mi lassa totu sa parte ona de sa pintzione e domos e mobilia.-
A. – Bella cristiana ses e deo chi creio chi m’aisi perdonadu.-
D.- Su perdonu b’est, ma capofoglio cherzo esser deo no sia chi ti enzant torra sos tziripiculos.-
A. – Ma si so diventende etzu cadruddu ite tziribiculos mi devent bennere.-
D. -Ohi no sia chi no ti connosca, giradore peus de giau tou in Frantza. Su sambene no est abba, no b’at nudda ite faghere, cand’unu naschit feminarzu, feminarzu restat.-
A.- A mi finis sa matana. Unu podet isbagliare una borta, duas finas a tres, ma poi ponet carveddu!-
D.- Giradila comente cheres, deo ap’a esser capofoglio e non b’at nudda ite fagher. Antzis dami su restu de sa cariasa.-
A,- Ap’ipesu totu!-
D. Puru ibaulidore ses. Narami tue comente devo fagher cu cust’omine. Deu meu ite rughe!-
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8 Ottobre 2013 - Categoria: cultura

Accademia sarda: 5 anni esatti di attività (8.10.2008-8.10. 2013) di Angelino Tedde

Tedde bisSon passati esattamente cinque anni dagl’inizi di attività del nostro blog, nel corso dei quali, visibile a tutti, ad oggi contiamo 102.036 visite, di cui grosso modo l’80 % dall’Italia e il 20% dall’estero, supponiamo da italiani o da stranieri. Le città più presenti sono Roma e Milano, le città del Nord più di quelle del Sud e del Centro. Le discipline più ricercate sono la storia, con particolare riguardo l’archeologia; la filologia e la storia della scuola e delle istituzioni educative, seguono le categorie dei versi  e dei racconti in limba. Le pagine viste sono state 213.458.  Tra gli autori storico-scientifici sono molto ricercati gli articoli di Paolo Amat di San Filippo; ricercatissimi gli scritti filologici di Massimo Pittau e di Mauro Maxia e naturalmente i versi e le prose sarde degli autori pubblicati. Gli autori dei quali abbiamo i profili sono inseriti nelle 38 pagine. Apprezzate le ricerche delle nostre laureate e dei colleghi di storia della scuola e delle istituzioni educative. Gli articoli pubblicati sono 925, i commenti ammessi 260; gl’inglesi cercano in genere di farsi pubblicità, ma noi decisamente li cestiniamo. I Tag sono 72. Peccato che i contributi dei docenti universitari abbiano come scopo la carriera e gli scaffali polverosi, lo stesso dicasi della maggior parte delle ricerche di tesi di laurea. Quest’esperienza dimostra ancora una volta che la scienza non è fatta per essere conosciuta da tutti, ma soprattutto dagli addetti. Insomma i professori universitari studiano per i loro colleghi e per le loro carriere, fatte  alcune eccezioni, più che per diffondere il sapere ai vari strati delle classi sociali. Che tristezza! E siamo agl’inizi del terzo millennio. La tenebra, il nascondimento come per i vecchi stregoni è lo scopo dei nostri docenti. Motivazioni: i diritti delle case editrici delle riviste, dei saggi, ma le case editrici sono pagate con i nostri soldi per tenere al buio e per le istituzioni addette il sapere che dovrebbe essere di per se stesso diffusivo. Conosco vecchi e giovani colleghi universitari che quando chiedo i contributi dei loro studi sorridono sardonicamente, alla fine penso che siano contenti di essere conosciuti dalla cerchia dei cultori della loro disciplina ad uso carriera e basta. Io credo che compiano gravi peccati di omissione non ribellandosi alla routine. Internet può essere l’occasione per far conoscere il progresso della tecnica e della scienza, ma questi avari soggetti son tagliati così ed io non ci posso fare niente. Cerco di portare avanti un lavoro di convincimento paziente nella speranza che capiscano.  Mi pare che sia dovere di chi sa qualche briciolo di sapere seminarlo e farlo moltiplicare e non tenerselo nei granai ad ammuffire.

Fatta questa breve premessa non ho che da ringraziare tutti coloro che in italiano e in sardo, studiosi e cultori delle discipline, poeti e prosatori, ci hanno dato la materia prima senza i quali non avremmo potuto raccogliere tanti pregevoli contributi. Un grazie anche agli amici blogger come Luigi Ladu, Carlo Moretti, Mario Unali, e numerosi altri  che ci hanno aperto le porte e ci hanno fatto sedere alla loro tavola. Per nostra fortuna, salvo qualche eccezione, nessuno ci ha fatto cancellare il loro contributo in nome della privacy che ormai, mentre siamo tutti sotto controllo in mille modi, si richiamano a questa fenomenale sciocchezza che è la legge sulla privacy. In nessuna epoca questa è stata platealmente violata da quando esiste la legge.

Un grazie anche al buon Dio che, in primis, tenendoci in vita e ispirandoci ci dà la possibilità di scrivere e di propagandare la conoscenza e il sapere sia pure limitatissimo attraverso le nostre pagine.

Noi, per meglio chiarire, ci siamo fatti questuanti presso i nostri collaboratori, che ancora ringraziamo, per la diffusione della conoscenza. I contenuti appartengono a loro che generosamente mettono nella bisaccia-blog i frutti del loro ingegno.

Un ultimo grazie ai visitatori che c’incoraggiano ad andare avanti nel nostro cammino e che apprezzano le nostre fatiche di volontariato intellettuale e quando dico volontariato lo dico nell’ultima accezione che vuol dire nel nostro dovere di diffondere la conoscenza.

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1 Ottobre 2013 - Categoria: memoria e storia

La claramontana d’Africa, licenziata, si allontana dal paese, stimata e onorata di Ange de Clermonta

Hamsa 1La vedemmo arrivare circa sette anni fa la nostra bella claramontana d’Africa che, prima o poi, oltre che cittadina residente meriterebbe la cittadinanza onoraria. Il datore di lavoro si fidanza ed è quasi normale che dia il ben servito a chi lo ha assistito con scrupolo di governante, con la professionalità di una ottima massaia, con le competenze di casa e di cucina  propria delle nostre mamme e delle nostre nonne. Canta la Sacra Scrittura:- Sono bella e nera, figlie di Gerusalemme.- Così potrebbe dire Fatima(il nome è nostro):- Sono bella e sono nera figlie di Claramonte!-  Già la splendida africana per sette anni l’abbiamo vista aggirarsi nel paese, per la spesa quotidiana, per le pratiche in comune, per le  spedizioni alle poste, ma soprattutto per permettere ad un ammalato del tutto paralitico d’essere presente alle feste, di partecipare alle merende, di socializzare. Una ragazza d’oro che sicuramente molti avrebbero voluto sposare se lei non avesse scelto il rispetto scrupoloso della sua fede che vieta i matrimoni misti. Cinque volte al giorno in comunicazione con Allah e poi a riordinare, pulire, cucinare con tratto molto signorile una casa non certo piccola e con i suoi problemi. Ultimamente, quando giungevano familiari dell’ammalato, si accontentava di dormire su un divano. L’abbiamo conosciuta in tanti e l’abbiamo apprezzata. L’hanno conosciuta bene le coetanee del paese e l’hanno  apprezzata. Chi non ha voluto bene e stimato Fatima che fin dagli esordi si è dimostrata una di noi?  Nessuno notava più il pur meraviglioso colore della sua pelle e poco mancava che parlasse pure il sardo. Eppure le sofferenze non sono mancate né le malattie sopportate con decoro e riservatezza e mai senza far pesare queste sulla tabella di marcia quotidina.

Santa Bakhita

Santa Bakhita

Io, da quando, attraverso un film, ho comnosciuto la storia meravigliosa di Santa Giuseppina Bakhita, una schiava africana, riscattata e passata attraverso umiliazioni di ogni sorta, innamoratasi di Cristo e sua ardente seguace da meritare la canonizzazione, ho chiamato Fatima, Bakhita, tante sono le doti di questa meravigliosa e virtuosa ragazza musulmana. Ora si allontana per un pò e debbo dire che ci mancherà. Certo è però che Fatima è stata un modello di professionalità a casa e un modello di donna nella socializzazione in paese. Di lei non si può dir che si è integrata, di lei si deve dire che da quando è venuta qui ha acquisito le migliori doti di ragazza di buona famiglia che ha compiuto il suo dovere e che è vissuta da claramontana esemplare.

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