Pubblichiamo, con affetto fraterno, l’addio al padre Giovanni, appena scomparso a 95 anni, dell’amico. Mario Unali, cultore non solo di archeologia chiaramontese.
Uomo burbero, ma profondamente umano, dalla vita laboriosa e dalla memoria vivace. Mentre abbracciavo Mario gli ho sussurrato “Adesso hai un santo contadino che in Cielo prega per te e per la tua famiglia”. In effetti zio Giovanni ha tribolato nel corso della sua esistenza, lasciando nei due figli e nella figlia un patrimonio di affetti, di laboriosità, e una ricca memoria storica che il figlio Mario sta utilizzando magistralmente a vantaggio della memoria e storia del paese. Un testimone del Novecento se n’é andato, ma grazie a Mario, di quel periodo restano racconti, eventi ed episodi di un mondo contadino con le sue fatiche, contrassegnato dalla vita dei campi, dall’economia del suino domestico, del grano, dei legumi, della frutta e del vino. Che il Signore doni al caro scomparso la beatitudine eterna! (A.T.)

Il 23 maggio 2014 è mancato mio padre Giovanni, aveva novantacinque anni e avrebbe compiuto il 96°, il 13 di Novembre prossimo. Di forte carattere, burbero e introverso manifestava con difficoltà atteggiamenti affettivi con noi familiari e con gli altri, perché li riteneva femminei e non adatti a un uomo. Sono rari gli episodi che mi vengono alla mente di un padre che evidenziava il suo benvolere, in un certo senso “si vergognava” di darci carezze e abbracci che, secondo lui erano solo debolezze femminili. Nacque nel 1918 a Chiaramonti e solo quando aveva tre anni, restò orfano di mia nonna Maria Chiara Manca. Mio Nonno Foeddu si risposò per altre tre volte, lui crebbe con la matrigna e come un piccolo pacco tra la famiglia del fratello maggiore zio Antonino e quella di zia Maria. Ragazzo di pochi anni fu accolto nella casa della sorella di mia nonna Gavina Manca condividendo l’infanzia con il cugino Giuseppe e Sebastiana Cossiga. Per questo motivo io e i miei fratelli chiamavano “giaja” quella che era solo una zia ma, che allevò babbo come un figlio. Presto ancora giovanotto andò teraccheddu pastore a lavorare con tiu Chiccu Cossiga, cugino di nonna Manca. Poco più che sedicenne andò a lavorare alla bonifica nella piana di Chilivani; vi andava a piedi e rientrava alla fine della settimana in paese, sempre apiedi, per rinnovare le misere provviste. Fu in quell’attività lavorativa, che nonostante la sua giovane età, percepiva il compenso giornaliero uguale agli adulti. Non si lesinava negli sforzi lavorativi e anzi qualche adulto con la scusa di fumare una sigaretta gli scaricava la sua parte di lavoro. Impiantò e coltivò amorevolmente il vigneto di Giombachis con annesso frutteto e oliveto. Non vi mancavano la coltivazione di fave e piselli, lenticchie e fagioli, con pattate, cipolle, aglio e prezzemolo con discrete quantità di camomilla.
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Agghju diversi galitài di frutta illa cólti, ma mi mancani li chiriàsgi…Però..cantu mi piàcini e cantu n’agghju magnatu, cand’eru steddha, di dugna scéra ( primaticcia, ghinda , carruffali, nieddha, aresta) da l’alburi illa ‘igna di zia Marietta. E tantu mi so’ filmati chiss’ammenti e chissi saóri, ch’agghju scrittu una puisìa. No vi possu uffrì un piattu di chiriàsgi ma vi dedichigghju la puisìa.

Cilegie per voi…Ciliegie
E quando le colline
sorridono di macchie acquerellate
e sui balconi si rinnovano i fiori
vivo com’era allora di tutti i suoi colori
mi si risveglia dentro
in un viaggio a ritroso del cuore
il ricordo del tempo felice
tra corse giochi scrosci di risate
l’eco che rimbalzava per le strade
fino a quando felpata la sera
serena scivolava e leggera
lungo il piano inclinato del giorno
spargendo lembi di nuvole rosate
per affidarli al vento e alla sorte.
Quel tempo ardito
delle scalate agli alberi
nel fitto del fogliame fino ai rami
più carichi e svettanti delle ciliegie rosse
da cogliere e mangiare a guance piene
i semi sputati poi per sfida
nella mira a un bersaglio lontano.
Quel tempo poi dei pomeriggi languidi
quando l’estate nuova credevo senza fine
sfogliati pigramente a occhi chiusi
i sensi all’erta l’orecchio a carpire
il canto di un cucù da interrogare:
– Cucù dai piedi belli
Cucù dalle belle mani
fra quanti anni mi potrò sposare?-
E già correvo con la fantasia
inseguendo miraggi nei bagliori
che con gli stormi in volo
saettavano tra il cielo e l’orizzonte
così vicini sbalzati contro il sole
che quasi li toccavo con le mani.
Come quelle ciliegie sui rami..
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Maria Sale
Deviamus pubblicare sos cabidulos 7 e 8, ma pro isbagliu amus pubblicdos custos e pro non fagher meda fadiga oe l’amus a fagher apena podimus. (AdsN)
Qoèlet – Capitolo 9
La sorte
[1]Infatti ho riflettuto su tutto questo e ho compreso che i giusti e i saggi e le loro azioni sono nelle mani di Dio.
L’uomo non conosce né l’amore né l’odio; davanti a lui tutto è vanità.
[2]Vi è una sorte unica per tutti,
per il giusto e l’empio,
per il puro e l’impuro,
per chi offre sacrifici e per chi non li offre,
per il buono e per il malvagio,
per chi giura e per chi teme di giurare.
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Maria Bonaria Monni (Maribò)
Maria Bonaria nasce a Dorgali il 30 maggio 1930. Aveva solo 18 mesi quando mamma Elena se ne va in paradiso lasciando 8 figli, la maggiore dei quali ha 19 anni, e sarà lei la nuova mamma di M.B. coadiuvata dalle altre sorelle e dalla zia materna Caterina.
In età scolare frequenta l’Azione Cattolica e già in quegli anni comincia ad accusare mancanza di vista. Quando aveva 11 anni la sua famiglia lascia Dorgali per prendere residenza a Iglesias dove M.B. coltiva le prime amicizie e fa lunghi percorsi a piedi per recarsi in Chiesa in città.
Dopo la morte del padre (1945) vive per qualche anno a casa della sorella maggiore (sempre a Iglesias) che consulta diversi specialisti senza trovare alcuna cura efficace contro il glaucoma che procedeva. Questo suo stato, comunque, non le impediva di incontrare ragazzi e ragazze che abitavano in campagna, ai quali parlava di Gesù e insegnava loro il catechismo di base preparandoli così alla Prima Comunione e alla Cresima. Queste persone ancora oggi sono grate a M.B. per quanto hanno da lei ricevuto.
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SUDAN-ISLAM» 16/05/2014 15:52
La donna sudanese, educata nel cristianesimo, è stata condannata a morte per apostasia e a ricevere 100 frustate per adulterio, avendo sposato un cristiano. Il radicalismo islamico sta diffondendo la violenza nel mondo. Per i musulmani è tempo di denunciare questo islam violento, scegliendo “l’islam della città”, non “l’islam beduino del deserto”.

Beirut (AsiaNews) – Una donna sudanese è stata condannata ieri all’impiccagione per apostasia. Essendo incinta di sette mesi, la sentenza sarà ritardata di due anni. Ma intanto la donna dovrà anche ricevere 100 frustate per adulterio, avendo lei, considerata musulmana – contratto matrimonio con un cristiano, ciò che non è permesso dalla legge islamica. La vicenda definita “stupefacente e orribile”, è un concentrato di umiliazioni per i diritti della persona.
Meriam Yehya Ibrahim Ishag – questo è il nome della donna, 27enne – è nata da padre musulmano. Ma avendo l’uomo abbandonato la famiglia alla sua nascita, la piccola è stata educata dalla madre, un’etiope ortodossa, alla religione cristiana. La donna ha poi sposato un cristiano del Sud Sudan. Dal 1983 a Khartoum vige la sharia e un tribunale islamico ha condannato Meriam alla morte. La condanna è avvenuta l’11 maggio, ma i giudici le hanno dato quattro giorni per ripensarci e tornare alla fede islamica. La donna, nella gabbia degli accusati, ha risposto: “Sono cristiana e non ho mai fatto apostasia [dall’islam]”. Alla sentenza di morte i giudici hanno aggiunto la pena di 100 frustate per “adulterio”. La donna era stata arrestata nell’agosto 2013 proprio per adulterio. La corte islamica vi ha aggiunto l’accusa di apostasia dopo che la donna si era dichiarata cristiana, e non adultera.
Dopo la sentenza, alcune decine di persone amiche di Meriam hanno manifestato per chiedere la sua liberazione. Gli avvocati della donna pensano di ricorrere in appello e fanno notare che la sentenza (e la legge islamica) contraddice la costituzione. Sul caso di Meriam, che sta suscitando forti interessi e critiche nella comunità internazionale, AsiaNews ha chiesto il parere dell’islamologo Samir Khalil Samir. Ecco quanto ci ha detto.
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Guerrieri di Monte Prama
Nei due quotidiani della Sardegna, il 14 maggio, è stata pubblicata la notizia di una nuova scoperta a Monti Prama di Cabras: il ritrovamento di due blocchi scolpiti di arenaria, i quali escludono che le statue dei Guerrieri fossero in un cimitero. Io, in un libretto del 2009, avevo già scritto e dimostrato che nel sito c’era un tempio, quello del Sardus Pater, già segnalato dal geografo greco-alessandrino Claudio Tolomeo e del quale ho perfino presentato una ricostruzione verosimile. Quel mio libretto andò esaurito in soli 6 mesi, tanto che che subito dopo la Editrice Democratica di Sassari (EDES) pubblicò una seconda edizione ampliata e migliorata. In questa II edizione, a pag. 53, ho perfino pubblicato l’ombra satellitare di una probabile grande tomba di gigante esistente nel sito.
Rispetto a quanto ho scritto in quel mio libretto intendo fare oggi queste precisazioni:
- La pianta ricostruita del tempio arieggia chiaramente il “tempio etrusco” (si veda quello ricostruito a Villa Giulia di Roma).
- La interpretazione delle statue come quelle di altrettanti “guerrieri-pugilatori” è una “baggianata” che offende l’intelligenza di noi Sardi, dato che in nessun luogo e in nessun tempo i guerrieri hanno fatto la guerra coi “guantoni da pugili”. Il bronzetto di Dorgali che aveva dato lo spunto a questa baggianata non è quello di un “guerriero-pugilatore”, bensì è quello di un “cuoiaio” che muove sul capo un cuoio che ha lavorato, come giustamente aveva scritto l’acuto e autorevole archeologo Doro Levi.
- La ricostruzione che è stata fatta di recente di un “guerriero-pugilatore”, che avrebbe sul capo lo scudo per parare i pugni dell’avversario – ricostruzione che fa bella mostra di sé nel Museo e in tutte le raffigurazioni pubblicitarie – è un’altra “baggianata”, questa costruttiva: lo scudo posto sopra il capo, come una specie di “parapioggia”, risulta adesso fatto col cemento armato, fornito della relativa “struttura metallica”: ma – obietto io – non sono tutte le statue dei guerrieri di Monti Prama fatte esclusivamente di pietra arenaria, la quale mai avrebbe consentito quella specie di parapioggia?
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Commenti disabilitati su I guerrieri di Monti Prama. Nuova scoperta che però non lo è del tutto di Massimo Pittau . Leggi tutto

di Costanza Miriano
Ore 19 e 02. Calcolando che la strada è rallentata dai lavori, basta uno in doppia fila che faccia scendere la nonna finta invalida e posso contare ancora in un’ora e diciotto minuti prima che gli ospiti arrivino. Devo solo: preparare la cena, tutta tranne la carne – quella l’ho già bruciata (ho dovuto mettere la muta alla Barbie surfista nel momento decisivo, e secondo me lei era un po’ ingrassata) – apparecchiare (ho solo sei forchette uguali, ma pare che la tavola spaiata faccia molto degagee), correggere due dettati e riascoltare storia, fornire a quattro figli quattro travestimenti da ragazzi a modo, possibilmente della taglia giusta o con una ragionevole approssimazione, più alcune rapide formalità tipo demolire il fortino costruito sul divano con le insegne delle femmine (“io mi lamento per principio” e “vietato ai maschi”), nascondere con poche abili mosse orsi dentro a ripostigli e furetti sotto i letti.
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Maria Cristina Manca, Porta di speranza, Grafica del Parteolla, Dolianova (Ca), 2012 pp. 116 €.12
Ben poco sappiamo dell’autrice Maria Cristina Manca al di fuori di quanto è scritto nella retrocopertina del libro.
Ideatrice e fondatrice della Casa Editrice Abbà in cui ha pubblicato man mano i suoi lavori: I.La via stretta che conduce al Cielo,II. Alzati e rivestiti di luce, III. Santi e preghiere, breve raccolta (di profili) di santi beati e servi di Dio,IV. Possa tu avere molta gioia, ricerca di versetti biblici e spirituali sulla gioia.
Da quest’esperienza emerge chiaramente una delle tante storie di Sardegna che contava numerosi piccoli editori, spinti più dalla passione per le opere da pubblicare che per far denaro. Ci voleva l’insipienza politica di qualche presidente della Regione Sarda, per farli fuori tutti, negando i contributi e favorendo i grossi editori che se indubbiamente diffondono i libri, per tanti versi si dimenticano degli autori non remunerandoli, spesso facendo pagare loro le pubblicazioni e incassando i guadagni per crescere.
A Cristina Manca va indubbiamente il plauso per questa iniziativa che per tanti versi ci accomuna. Siamo stati anche noi piccoli ideatori e piccoli editori a favore di parecchi colleghi universitari e non e possiamo capire le ansie e le fatiche della scrittrice.
Del resto noi come tantissimi altri, attraverso il blog, continuiamo a mandare avanti libri, studi e contributi vari di numerosissimi autori. I libri come i blog ti danno delle evidenti soddisfazioni. Quale ad esempio il numero dei lettori, ma anche il consistente numero dei visitatori quotidiani
Dal contenuto dei titoli delle opere pubblicate dalla scrittrice emerge subito la tematica trattata che è quella dello spiritualismo cristiano che non solo abbraccia la conoscenza dei principi e della pratica della fede, ma quell’itinerario dell’anima verso Dio che è la mistica.
L’ambizione di Maria Cristina Manca è proprio quella di scavare nelle forti contraddizioni che agitano l’anima umana contemporanea, la stessa vita umana, la quotidianità del vivere e condurre tutto verso la porta della speranza umana e trascendente.
L’autrice non ha scritto un trattato mistico, né un saggio spirituale o la biografia di santi, ma un breve romanzo la cui lettura è avvincente, la cui scrittura è gradevole e la cui trama è quel filo d’oro che conduce i protagonisti ad affrontare la vita e nelle piccole e grandi tragedie dell’anima a varcare una soglia, che è la soglia della porta della speranza.
Non ci si trova di fronte ad uno strumentale movimentato romanzo giallo come si usa di frequente fare dagli scrittori di gialli più o meno improvvisati o alla ricerca di descrivere la fenomenologia degli eventi personali o delle saghe familiari, ma di fronte ad una delicatissima scrittrice che percorre le vie dell’anima, quasi chiedendo il permesso di entrare negli eventi lieti o tristi di una famiglia e dei singoli protagonisti. Le soluzioni alle difficoltà del vivere, con gli eventi favorevoli o contrari, le si trovano in fondo all’anima: la saggezza umana e quella cristiana.
L’autrice, dotata di particolare perspicacia introspettiva, sicuramente attinta alle fonti di qualche grande maestra spirituale, scava con maestria nei misteri dell’anima dei protagonisti che finiscono per risolvere nella speranza cristiana i loro conflitti e problemi.
In questa breve recensione sarebbe fuori luogo riassumere le peripezie dei protagonisti dello “speciale” romanzo, occorre leggerlo per intero.
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Commenti disabilitati su Il romanzo “Porta di speranza” di Maria Cristina Manca a cura di Angelino Tedde . Leggi tutto