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L’Anglona e la Gallura protagoniste del saggio di Maria Lepori recensione a cura di Angelino Tedde

 

Maria Lepori, Bande, fazioni, trame: La nobiltà rurale tra violenza e giustizia nella Sardegna del Settecento, Viella, Roma 2019 €. 15,99

Questo secondo saggio sulla Sardegna settentrionale esce a dieci anni dal primo  (2010) intitolato Faide. Nobili  e banditi nella Sardegna sabauda del Settecento e non dico che ne è la continuazione, ma piuttosto il completamento rispetto al primo ecco perché molti protagonisti del primo rintracciamo nel secondo.

Il focus della storica abbraccia un pò tutto il settentrione dell’Isola quello che generalmente chiamavano il Logudoro.
Le regioni storico culturali interessate non riguardano solo l’Anglona e la Gallura, ma toccano il vasto feudo dei Gandia, per circa 40 anni sottratto alle eredi legittime Pimentel. Ma andiamo con ordine. Nella prima parte la nostra storica mette in chiara luce la lotta feroce, ma anche scomposta della giustizia sabauda che ha difficoltà coi suoi funzionari viceregi piemontesi  a capire quel mondo di nobiltà rurale in genere filospagnola che guarda con diffidenza o addirittura la ignora questa nuova dominante della Sardegna che dopo vari tentativi di barattare l’isola con domini di terraferma comincia a prendere a cuore le sorti di questo suo possedimento oltremare che sembra un peso, ma che ha pure l’industria del sale, le vaste foreste e un certo traffico con la Francia per mezzo della vicina Corsica ormai francese della quale teme anche eventuale invasione attraverso l’impiego dei rifugiati numerosi sia anglonesi sia galluresi. Timori che tutto sommato si rivelano infondati.
La nobiltà dei centri rurali, già per tanti versi mortificata dal viceré Marchese di Castagnole e Barolo, vistisi i beni confiscati, che essendo numerosi, finiscono per non produrre un gran profitto per l’erario e la stessa presenza ingombrante dei dragoni ,inadatti ad un territorio vasto e aspro finisce per pesare enormemente sulle ville abbandonate dalle grandi famiglie, ma non  dalle donne e dai minori che vi abitano. D’altronde anche la tracotanza e l’alterigia dei militari non fa che rendere insopportabile la faccia del nuovo potere. Nelle campagne anglonesi, invece, bande numerose e armate scorrazzano facendo giustizia sommaria dei nemici e dando scacco matto sia ai vari commissari come Oggiano e Cadello, ma anche ad altri locali inaffidabili  investiti di incarichi  che non riescono ad esercitare per via di legami di ogni tipo che li lega al territorio e ai suoi abitatori.
Si capisce finalmente che forse occorre una tattica compromissoria con la nomina di nobili e notabili locali a capo del barracellato e con incarichi che servano a ingraziarsi i favori sia presso la corte viceregia cagliaritana sia a Torino. Possiamo in modo banale chiamare questa tattica del chiodo scaccia chiodo, del discolo solo di classe fatto capoclasse, del mariolo maggiore che seda il minore. Con questo metodo che per tanti versi semina stragi e vendette sia il depauperamento sia di nobili come di notabili che a loro volta verranno ugualmente eliminati mano mano che la dominante capisce che è necessario sia in modo brusco sia in modo subdolo dislocare nel territorio forze che garantiscano il potere sabaudo. Questo tema viene sviluppato nella seconda parte:le fazioni tra giustizia regia e arbitrato vicereale. La giustizia regia viene a compromesso con indulti per i reati minori, con premialità e con promesse di nobilato per la fedeltà al nuovo potere. Si cerca di non calcare la mano e nel frattempo d’essere presenti con stazionamenti  di dragoni in quelli che erano i punti forza dell’anomia  dilagante: Ozieri, Nulvi, Aggius per citare soltanto ad esempio i punti di rafforzamento della presenza del dominio.
Le fazioni, già mortificate con provvedimenti di giustizia sommaria o quanto meno sedativa come nel caso della nobildonna chiaramontese Donna Lucia Tedde, allontanata per due anni dai suoi territori e dal suo palazzotto in Chiaramonti e dopo due anni rientrata in paese e a quanto pare “convertita” alla cura degli affari col sistema delle rendite perpetue dai censi ugualmente perpetui e a continuare a far da madrina ai suoi conduttori e non ad altri.
D’altra parte in questo secondo e movimentato affresco brilla per crudeltà astuzia e forse un pò di millanteria il famigerato per i sardi viceré Marchese di Rivarolo che si prepara alla visita dell’intera isola facendo sistemare strade e ponti e facendo arrestare tutta una serie di cosiddetti banditi o bandeados probabilmente di seconda categoria e portandoseli a Cagliari come bottino.
In questo contesto indubbiamente l’amazzone chiaramontese, sicuramente consigliata dal cognato Juan Maria Satta, se ne sta buona e forse piangendo i suoi trascorsi. D’altra parte Giovanni Fais e i maggiori sostenitori familiari se ne vanno in Corsica e se visitano le famiglie lo fanno con la connivenza di coloro che erano legati in vario modo ai commissari locali. Ci sarà tempo per Giovanni Fais per i rientri e per movimenti in concomitanza con altri banditi del Monteacuto. Minore di tre anni di Donna Lucia, tra il matrimonio con Baingia Unali e la carrellata di figli, avrà modo d’imperversare nel territorio quando il Rivarolo prese nave nonostante la linea politica seguita dai successivi viceré.  E qui il focus della storica si sposta verso i fuoriusciti politici e banditi tra Sardegna e Corsica che pare vivano la fantasia di un’invasione francese e di un ritorno in forze, ma si tratta di un sogno di mezza estate.
Ha ben altri problemi la Francia da risolvere. In fondo l’Isola era a due passi, ma le rivolte di Pasquale Paoli erano ben più stringenti per la Francia che non desiderava certo immischiarsi sulle cose della Sardegna curandosi dei  nemici ai confini della Savoia.  Un gran bluff smontato dai fatti.
Il requiem finale  delle fazioni e dei protagonisti che erano rimasti sulla scena la nostra acuta storica lo coglie nello strumento micidiale di cui vanno a fare le spese i commissari come Gioanni Valentino e   Gerolamo Detory all’apice del loro operare e della loro potenza: la scrittura. Maledetta scrittura di scrivano pagato o di nobile alfabetizzato.  Le lettere  diffamatorie su governatori, magistrati commissari mettono i funzionari viceregi in condizioni di conoscere, anzi di apprendere che tanti uomini a cui erano stati affidati incarichi di prestigio erano nudi: delinquenti di primo conio in ordine genealogico e storico, ancora sopraffattori arricchendosi illecitamente con azioni degne dei più esperti pirati.  Trame di sovversione e di diffamazione questo lo scenario della quarta parte dell’affresco. Chi muore di crepacuore alla destituzione come Gioanni Valentino e chi deve darsela a gambe e chi incappa nella giustizia reale. Il tocco finale di questo film è la sfida tra nobili e notabili per il controllo delle comunità rurali  per rosicchiare quanto resta delle antiche faide, nobili, banditi. Le comunità o le Comuni, istituite nel 1771, saranno preda di possidenti e di notabili, ma ormai il sangue corre verso una convivenza che, annientate le grosse fazioni nobiliari, si farà più vivace nel sonnolento dominio dei lontani feudatari e degli aggressivi podatari.
Il finale di questa ricostruzione storica è l’imperativo categorico: reprimere e disciplinare e con questo sistema la Sardegna si prepara alla breve epopea della sarda rivoluzione o meglio all’insurrezione per uscire dalle secche dell’età moderna ed entrare nell’età contemporanea. Conclude la storica:
“Il momento più aspro degli scontri tra alteri gentiluomini incuranti di ogni provvedimento regio ha costituito l’argomento di un mio precedente lavoro.Il presente volume sposta piuttosto l’attenzione sui nobili di villaggio all’interno del processo di radicamento del potere sabaudo (…)”
Tanto il primo quanto il secondo volume, a nostro avviso, possono offrire occasione  ad un abile regista per narrare il consolidamento dei Savoia in Sardegna avviandola nel tempo alla completa fusione col Piemonte in vista del processo unitario. Non solo per i sardi settentrionali, ma per tutti i sardi, questi due saggi costituiscono l’humus per la conoscenza  del processo  di piemontesizzazione dell’Isola ben prima dell’Unità.
La lettura dei due volumi è necessaria per i cultori della storia dell’Anglona e della Gallura, ma anche del Montecuto. Ignorarli significa perdere l’occasione
per conoscere le vicende nostrane del Settecento.

 

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