Mario Nieddu nacque a Nulvi   il 3 gennaio del 1943 da una famiglia di pastori. Perse la madre a 4 mesi dalla nascita.e fu allattato da una balia. Ad un anno dalla vedovanza il padre si risposò e il ragazzo fu allevato dalla matrigna Mariangela Scarpa. La sua infanzia non fu molto facile data la gracilità del bambino che tra un ricovero in ospedale e l’accudimento domestico riuscì a sopravvivere. Frequentò regolarmente l’asilo e le scuole elementare e come tanti suoi coetanei fu avviato al lavoro precocemente  nei campi e nella pastorizia apprendendo dall’esperienza di lavoro non solo a coltivare la terra, ma anche ad accudire agli animali.
A vent anni abbandò la  campagna alla ricerca di un lavoro nell’industria.  Apprese il mestiere di saldatore e con questa qualifica svolse attività lavorativa sia in Italia che all’estero.
Si iscrisse al PCI  fin da  giovane per tutelare il suo lavoro.  A 31 anni si sposò ed ebbe dalla moglie Chiara tre figlie e un figlio che seppe allevare con sollecitudine favorendo la loro istruzione per il conseguimento di un diploma superiore.


Dopo vent anni di  girovagare per le centrali nucleari e industrie per tutto lo stivale, si fermò a Porto Torres dove organizzò lo sciopero più lungo della storia sarda. Con altri tre o quattro compagni  rimase in cima alla torre ciminiera per 33 gg  ottenendo il blocco dei licenziamenti. Andato in pensione ripresee la passione della sua giovinezza curando un piccolo podere a Orria Manna.
Fu poeta estemporaneo brillante, ma siccome carmina non  panem si preoccupò di portare avanti la famiglia anche se nel tempo disponibile si curò di lingua e letteratura sarda nel versante dei poeti estemporanei. Coltivò egli stesso la poesia di penna e partecipò e promesse eventi culturali.
Recantosi la sera del 17 marzo ultimo scorso ad accudire il bestiame la morte lo colse improvvisamente davanti all’ingresso della sua azienda prima di scendere dall’auto. 
Il paese ne fu scosso e la Nuova Sardegna gli ha dedicato un quarto di pagina.
Ma ora  diamo la parola al cugino omonimo scultore e letterato. (La Redazione)-

A s’oru ses arrividu cun affannu
ue babbu tou ti fud’ isettendhe
cun Antoni, su tiu pius mannu,
tiu Pedru e i sas sorres preghendhe.

“Piga, chi mama tua es de fronte”,
ti narana, “ti chered’abbrazzare!”
Nulvi has’abbaidau dai su monte,
s’ultima ojada primmu de andare.

De mama tua pro sa primma olta
su carignu ei sa oghe has’intesu,
l’hais’ in s’ammentu chi fu’ molta
dendhedi sa manu dae attesu.

Tandho l’hasa ida dae vicinu,
in ojos e in cara l’has basada.
Hazis leadu umpare su caminu,
cun tegus pro sempre abbrazzada.

Gai accunoltadu, ti ses drommidu.
Dae Nostru Segnore gloriosu
sias tue pro eternu beneidu
e inoghe ti cunzeda’ su reposu.

A sero has dizisu de andhare
a bidere si inie puru in beranu
faghed’erva alta irde e fiores,
si bi cala’ s altrore a manzanu;

a bider’ ancora ijos naschende,
o abba frisca, ciara ‘e funtana,
o anzones chi giogan brinchendhe,
s’inie puru tocca’ sa tramuntana…

A nois lagrimas has lassadu
a familia, parentes e amigos,
e mutos, rimas e calchi contadu
durche de su mundhu ‘e sos antigos.

Pesadinde e acceradi manzanu,
in Monte Orria est arbeschende,
torra, amigu caru, in beranu
non bides chi semus pianghende?.

Torra carchi olta pro amore,
in su sonnu a de notte assunessi,
a Monte Orria o a Santu Sevadore
e nos podimus abbrazzare su matessi.

Mio cugino Mario Nieddu e Monte ‘e Orria

Le vicende della vita ci hanno allontanato anche per lunghi periodi, però tutte le volte in cui ci si incontrava si rinnovava l’affetto particolarissimo che ci ha da sempre legato. Non penso fosse
soltanto perché eravamo cugini e accomunati dallo stesso nome e cognome…
Sul finire degli anni ’90 e i primi anni 2000 ho insegnato a Lu Bagnu e a Santa Maria Coghinas, nei Corsi di Formazione, prevalentemente l’arte della Scultura, della ceramica e della Pittura, con cadenza trisettimanale, sempre di pomeriggio. Finita la lezione, considerato he tutto sommato non ero lontano da Nulvi, ne approfittavo ad andare da mio cugino Mario, a Monte Orria. Questo almeno due volte alla settimana. Sentivo una sorta di euforia a mano a mano che arrivavo in prossimità della sua campagna e della casa nella sommità del monte.

La mia macchinona, nella salita tortuosa, stretta ed accidentatissima, emanava lamenti lancinanti e sbuffi sino a riposare esausta sul misurato altopiano pietroso. Mio cugino era lì, sempre in movimento accarezzato dal vento, a volte un po’ troppo, indaffarato tra bestiame e terreno, ma aveva sempre tempo per fermarsi con me e quando accennavo ad andar via mi bloccava… Passavamo qualche ora insieme. Io mi sentivo bene, bene come non mai. Per anni ho avuto modo di fare questa esperienza salutare, respirando a pieni polmoni l’aria pura di fronte al panorama del mio paese…

Affettuoso e concreto, non mancava certo di offrirmi il buon vino, nelle case dei nulvesi non manca mai il buon vino, e una pezza ‘e casu o ricotta mustia e saltizza come solo a Nulvi la sanno fare… Gli argomenti che trattavamo tra un bicchiere e l’altro variavano di molto, dai racconti dei nostri eroici antenati alla sua militanza nelle file dei Comunisti. Di quei comunisti che non si interessavano dei massimi sistemi, né dell’ateismo insito nella teoria immanentista di Marx, a loro interessava una società senza disuguaglianze in cui l’operaio avesse dignità di uomo, alla pari di tutti gli uomini, liberi per natura e resi schiavi da Sistemi disumani di lavoro. Insomma, quei Comunisti non scomunicati da Giovanni XXIII, per intenderci… E per quei principi aveva lottato e lottava ancora…
Era per me un prezioso punto fermo nella memoria storica della nostra famiglia, una fonte da consultare a piacimento, ma mi colpiva particolarmente la “Cultura” che aveva accumulato negli anni, nonostante non avesse potuto proseguire gli studi oltre le elementari. Come le vicissitudini avevano portato me per studio a Roma, così le traversie del lavoro avevano portato lui in diverse località lontanissime, a volte, geograficamente e culturalmente dal luogo natio. Nonostante appartenessimo a mondi diversi, la vita ci aveva forgiato fondamentalmente uguali; nonostante differenze di ideologia, i nostri pensieri collimavano, forse perché avevamo sviluppato la tolleranza, l’ironia e l’intelligenza dei “distinguo”. La posizione su lati opposti, a pensarci bene solo in apparenza, piaceva ad entrambi in quanto ci arricchiva delle esperienze differenti dell’altro… Ed era proprio con il contatto reale con il mondo, con le varie realtàdel lavoro, tra mani nodose e calli, sudore, manifestazioni sindacali e speranze che la sua cultura era nata. Preparatissimo dai Corsi di Cultura agro-pastorale della Scuola paterna, aveva saputo ottimizzarei grandi silenzi della notte, la solitudine, le sofferenze fisiche e morali, le fatiche. Tutta quella ricchezza, mista alle esperienze lavorative, alla naturale tolleranza del suo temperamento e all’ironia, fu la base, ilfondamento del suo sapere. Cultura direi, vasta in particolar modo sulla poesia sarda. La  sovrabbondanza di conoscenza del ramo, gli permetteva di entrare facilmente in argomento con rima magistrale ed endecasillabo perfetto da ottimo Poeta Improvvisatore. Il modo piacevole di esprimersi, amabile ma senza fronzoli, conquistava subito l’interlocutore. Una sera di una primavera del 2004, se non ricordo male, facemmo una manifestazione nel teatro di Cunventu ‘e Josso, a Nulvi, sulla Poesia sarda.Non ricordo come nacque l’idea. Locale affollato, serata frizzante in cui ho fatto il moderatore. Mio cugino Mario autentico padrone della scena, con la sua voce vellutata, gesti ampi e ammalianti, sorriso sereno, immancabile sotto i suoi folti baffi chiari, descriveva le vicissitudini della poesia sarda passando senza alcuna difficoltà o interruzione da un poeta all’altro, citando a memoria ora Cubeddu, ora Barore Sassu o Remundu Pira di Villanova, e poi Maria Farina, Murenu e tanti altri… Molti dopo qualche anno mi avevano chiesto di ripetere quell’evento. Ci stavo pensando seriamente, ma ora non sarà più possibile.

Mario Nieddu