Categoria : memoria e storia

II. “Quattro figli e quattrocento poponi, una vacanza da non dimenticare” di Ange de Clermont

TillaMia moglie pensò alle vettovaglie per 40 giorni, recandosi da signora Titina con un foglio di appunti lungo un chilometro, ché non bisognava dimenticare niente.

L’Isola Rossa (che poi era ed è una lingua di terra che cerca di lambire invano un isolotto di trachite  rossastra,  distante mezzo chilometro dalla terraferma) distava oltre settanta chilometri da Sassari e con la nostra Cinquecento bianca non sarebbe stato facile andare e tornare. Una volta preparate in casse, su misura della culla del piccolo, passai da signora Titina a ritirarle e dovetti portarle a casa per studiare la strategia di sistemazione nella culla, costituita da otto tubi in alluminio e da retine bianche. Fatta la prova e sistemate strategicamente le vettovaglie attendemmo con ansia il 20 luglio. I  bambini erano felici e in quei 10 giorni furono più irrequieti del solito.
Finalmente il 20 luglio fece capolino dalla finestra e noi dovevamo scappare presto per non essere bloccati in città dai vigili urbani. Vestiti i bambini, rispettivamente di 8, 7, 4 anni e uno di 6 mesi, aiutati da una cognata chiamata appositamente, prendemmo la culla delle vettovaglie e come Dio volle la collocammo sull’imperiale della Cinquecento, ricoprendola con un telone giallo, nella speranza che non si rovesciasse per conto proprio o con la Cinquecento. Affastellammo i tre piccoli autonomi dentro la Cinquecento, mentre al piccolo, perché non urlasse, una volta seduta in macchina, mia moglie cominciò a offrire più generosamente del solito le abbondanti mammelle.
Innescai la marcia e, quasi come ladri, verso le sette del mattino scappammo letteralemte da Sassari ancora sonnolente. La macchina reggeva la culla ripiena e studiatamente ondeggiante sull’imperiale. C’era assenza di vento e, con ruote felpate, scorremmo a velocità calibrata prima verso Marritza e poi affrontammo le curve per Castelsardo. Per fortuna il paese era mezzo addormentato e quando, nella pendenza ripida del centro paese, la macchina accennò ad una fermata e ad una rovesciata, invocando tutti gli angeli, riuscii indenne a raggiungere la strada più percorribile che ci fece raggiungere La Muddizza, Santa Maria Coghinas, dove fummo sorpassati da un pullman con un cartellone su cui era scritto TRINITA’. Pensammo a quel famoso film e ci sembrò ad un tratto di viaggiare verso il West del film Western. I bambini, forse consapevoli di qualche grave mancanza che stavamo compiendo erano  stranamente silenziosi. Ad un certo punto una macchina che ci seguiva cominciò a suonare il clacson. Mandai vari accidenti, Ma la macchina ci sorpassò, ci costrinse a fermarci, scese un signore che ci disse:
-Continuando così, con quel telone svolazzante legato alla culla, finirete come una mongolfiera.-
Scesi dalla macchina e l’uomo mi aiutò a camuffare la culla col telone che svolazzava. Non potevamo arrivare all’Isola Rossa con la macchina a vela o con la bandiera gialla! Un pò di dignità dovevamo pure averla. Ringraziammo il signore con ossequi di riconoscenza mentre ridevamo tutti per l’impiccio imprevisto.
Dovevamo affrontare la prova dei sei chilometri di curve prima di raggiungere l’Isola Rossa, il nostro Eldorado.
Con una strategia manovriera dello sterzo, benché appena al secondo anno di guida, riuscii a superare anche quest’ostacolo. Raggiunta Paduledda e sorpassatala, all’inizio dei tornanti in discesa, si squadernò l’Isola Rossa nel suo splendore di colori rossastri, di mare azzurro, di coste frastagliate e di piccole case sparse. I bambini. ormai scatenati e sordi ai richiami,  si misero ad urlare:
-Isola Rossa! Isola Rossa!-
Anche il piccolo di sei mesi, si svegliò e cominciò a sgambettare  appena trattenuto tra le braccia materne e non ci fu verso di fermarlo adescandolo con qualche poppata, vista l’abbondante colazione che gli era stata concessa.
Planammo, quasi, davanti alla casa che per 40 giorni sarebbe stata nostra. Il proprietario, Zio Dominigu, era in attesa con le chiavi in mano davanti alla casetta aperta. Restò allibito per quella culla carica di scatole che ormai pareva cascare da un momento all’altro dall’imperiale e con la bandiera gialla che aveva ripreso a svolazzare nei tornanti.  Ci diede una mano per calarla giù, mentre i bambini schizzavano dalla macchina e quasi impazziti correvano verso il mare.
All’Isola regnava un gran silenzio e le sessanta famiglie dei villeggianti, che poi avremmo conosciuto, si recavano a gruppetti sparsi verso la Spiaggia Longa.
Tolte le vettovaglie dalla culla, potemmo vedere il materassino del piccolo e finalmente poggiarlo su di esso.
-Adesso, sgambetta finché puoi, piccolo di mamma!- Gli  disse mia moglie, mentre rimetteva a posto camicetta e gonna che il piccolo euforico, con le gambette e le braccia aveva scomposto.
Aprendo la borsetta con la cautela con cui si apre una cassaforte, mia moglie diede le 120 mila lire, fresche di Banca, a zio Dominigu che, per superare l’imbarazzo della grossa cifra, ci disse:
– Non aveddi sindria e meloni, ma in chisti ciurrati  già veni da Santa Maria Cuzina un carru da boi, carriggu di poponi. Già so a bonu preju!-
Ringraziammo per la lieta novella e cominciammo ad organizzare la casa, in attesa del carro da buoi carico di poponi che, per i quattro piccoli, erano necessari, nel sole d’agosto, come il nutrimento. (II continua)

Commenti

  1. carriggu
    Correggi levando una erre sumar.
    In tattaresu,sussincu,gallurese e corsicano si dizzi.
    cariggu.

    oreste detto Gavino
    Febbraio 29th, 2016
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