“Gente di Arzachena: la storia dei nostri padri” di Francesco Cossu. Lettura di Angelino Tedde

don CossuFrancesco Cossu, Gente di Arzachena: la storia dei nostri padri, Parrocchia di Arzachena, Roma 2014 pp.752 s. p.

Quando si parla di Sassari non si può non fare riferimento alla monumetale opera di Enrico Costa. Quando si scriverà di Arzachena nel presente e nel futuro non si potrà fare a meno di parlare del grande lavoro del parroco don Francesco Cossu.

Non è questo il momento di citare le opere della nuova collana iniziata con la pubblicazione di Azzachena di Santa Maria della neve del 2006. Una grafica ineccepibile e una cura tutta speciale sia negli scritti sia nelle fotografie.

L’ultima fatica di Francesco Cossu, un librone di 752 pagine, rievoca con grande maestria la gente di Arzachena: un’interminabile sfilata di personaggi degni di un film d’epoca.  Entrano in scena in ordine alfabetico, presentano le credenziali, salutano personalmente con la fotografia espressiva, pronunciano qualche frase o detto in gallurese e se ne vanno. Da quanto dicono viene fuori con spontaneità la loro saggezza e cordialità. A volte cantano, a volte sentenziano, a tratti citano proverbi e detti; nessuno di questi personaggi è simile all’altro, ognuno ha i suoi tratti. Compaiono uomini, compaiono donne, più anziani o meno anziani

Apriamo  il volume a caso e ci viene incontro don Michelangelo   At<ori (Oschiri, 1910-Roma, 1956), sacerdote e parroco di Arzachena per 19 anni (1936-1956). Autore colto del Chronicon Parrocchiale per tutto il tempo che fu parroco. Devotissimo della Madonna, costruttore della più vasta Chiesa di San Pietro, rispetto alla precedente parrocchiale. attivissimo nel promuovere le associazioni cattoliche, specie quelle caritative. Promosse l’Armadio del povero, per la raccolta e la distribuzione di abbigliamento ai parrocchiani bisognosi e acuto osservatore dei predicatori speciali che chiamava ad Arzachena, tra questi notò il grande acume di mons. Ciboddo, teologo e letterato tempiese. Favorì ad Arzachena, tra i suoi parrocchiani il chierico don Columbano che divenne sacerdote. Assistette cristianamente gli uomini inquadrati nella milizia fascista e curò l’educazione della gioventù maschile e femminile. Avversò i balli in maschera delle giovani nei locali pubblici e permise loro di organizzarli nelle famiglie sotto lo sgurdo dei genitori o se partecipavano alle sfilate volle che fossero accompagnate da almeno tre bravi giovani da lui conosciuti.

All’arrivo della democrazia si mise a piantare dei fiori in un vasetto della sua finestra, quasi a dire “se son rose fioriranno”.

Era molto arguto e molti anziani ricordano ancora le sue belle espressioni. Restano di lui, di un certo valore storico-letterario le cronache del Crronicon.

Nel 1956, colpito da commozioen cerebrale, smise di officiare e fu ricoverato in una clinica romana dove morì santamente e purtroppo prematuramente.

Sfoglio ancora il volume ed eccoti in bella posa forografica con un bambino in braccio  la ferrarese  Delfina Brancaleoni, levatrice condotta dal 1950.  Questa voce  è particolarmente interessante perché l’autore elenca le levatrici precedenti e le infermiere arzachenesi.

Altra donna di rilievo, benché di modeste condizioni, fu Lucia Chiodino nota Lucia Russa. Madre di sei figli de quali uno infermo, morto a vent’anni, dama di carità, divenne punto fi riferimento morale, spirituale e caritativo: la sua casa era visitatissima e sempre aperta a tutti. Aveva un figlio arruolato in marina e per questo motivo accolse i militari come se fossero dei figli.
Donna intemerata e anima religiosissima che si fece apprezzare da tutti finché visse.

Passando alla lettera D, incontriamo il benemerito medico condotto Giovanni Francesco Decandia (1906-1982), che giunse ad Arzachena dopo aver esercitato in altri paesi della Bessa Valle del Coghinas e della Gallura. L’alto commissario per l’igiene e la sanità pubblica gli conferì la medaglia di bronzo anche se era meritevole di quella d’oro, per aver segnalato, non creduto, per primo, la presenza del vaiolo (1948). La medaglia d’ora se la prese il medico provinciale immeritatamente. A suo merito va anche la totale assenza di congedi annuali con la motivazione che gli ammalati gravi non potevano andare in ferie.

Era noto anche per le sue battute argute di cui ne  citiamo alcune.

Recatosi in casa di una madre di 12 figli, per visitarne uno che stava poco bene, la madre chiese al medico qualche medicina, per sedare nella loro vivacità tutti gli altri, il medico rispose:
-E comu l’ariti vuluti? Lu sai chi l’isteddi si stani felmi o so malati o so macchi!”
Altra risposta venne data agli ammalati che sostenevano che quando mangiavano non si sentivano bene:-Si si magna, ancora si  faci mali, si campa, chena magnà si mori.-

La schiera dei personaggi, in odine alfabetico, continua ancora fino a pagina 377, sempre in ordine alfabetico. Particolare spazio vengono dati ai benemeriti fratelli Ruzzita, ai bravi parroci di Arzachena anche se accanto a questi personaggi non mancano arzachenesi, uomini e donne, umili, ma esemplari.

La seconda parte del voluminoso lavoro viene dedicata alla “sapienza dei nostri padri, aneddoti ed aforismi arzachenesi sotto le seguenti titolature: affari e onestà, alzachinesi e montimulesi, amore, bambini, cibo, destino, Dio dei nostri padri, donna-uomo, educazione, elezioni, famiglia, fede dei nostri padri, guerra, igiene e pulizia, invidia, lavoro, malattia-salute, morte, ospitalità, scuola, tempo, terra-turismo, vecchiaia, violenza (elenco e date delle morti violente a volte una o due o tre o cinque l’anno).
Pare quasi che il nostro autore vada ad evocare le ombre del passato, ma che lui ha ascoltato nel corso del suo lungo ministero sia sacerdotale sia culturale.
La fatica di questo studio si può dire che è durata una vita e ottimamente concluderebbe la mole di studi di Francesco Cossu che affetto non dal male di vivere, (gli auguriamo i cento anni e più) ma dal “male”  di scrivere per cui non è detto che non ci riservi su Arzachena altri lavori. Scherzando gli diciamo che come capitò a San Gerolamo che il Signore apparendogli gli disse “Ciceronianus es!” a don Francesco quando si presenterà a San Pietro, gli dirà “Arsachenensus es!” e lui per non scontare la pena del tempo dedicato a scrivere risponderà;-Badesanus sum!- Ma a San Pietro non si possono  dire bugie.

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