Categoria : storia

VII Gli ospiti della Casa dal 1910 al 1970 di Baingia Bellu

I registri d’ingresso hanno dato l’opportunità agli studiosi di calcolare la dinamica della Casa dal 1910 al 1967, quando restarono soltanto ospiti anziani di entrambi i sessi, e le generazioni giovani abbandonarono man mano la Casa[1].

Nonostante le lacune delle singole schede, (che se diligentemente compilate in tutte le parti avrebbero potuto offrire una maggiore e più compiuta massa di dati), è stato possibile ricavare elementi utili per l’identificazione di gran parte dei ricoverati.

Le schede hanno potuto dare una consistente quantità di dati così da poter conoscere il numero degli ospiti, loro nome e cognome, l’età, la provenienza, l’ente di mantenimento, la professione, il giorno d’ingresso, e l’eventuale destinazione.

Da questi registri mancano, infatti, circa 103 registrazioni di ingresso dal 1910 al 1921.

Dalla rilevazione dei registri disponibili la popolazione che ha soggiornato nella Casa assomma a 1450 unità di cui 63% anziani e 37% bambini e ragazzi di entrambi i sessi; per l’esattezza 922 anziani di cui 647 femmine e 275 maschi, 528 bambini di cui 183 maschi, 345 femmine[2].

Questi dati portano ad alcune considerazioni sugli scopi della Casa, nata per ospitare “cronici  derelitti” é diventata ad un certo punto della sua storia una comunità-villaggio in cui sia pure in reparti separati convivevano vecchi e vecchie, bambini e bambine, sotto la direzione amministrativa delle Dame e la direzione assistenziale ed educativa o formativa delle Figlie della Carità[3].

Il ciclo comunitario plurigenerazionale è tuttavia limitato nel tempo, esso va infatti dal 1931 al 1967, allorché la componente giovanile gradualmente abbandonò la Casa, lasciando spazio unicamente alle vecchie e ai vecchi.

Nell’istituto, infatti, soggiornarono per un periodo che va da qualche mese ad un massimo di 25 anni, ragazzi e ragazze, anche se c’é da sottolineare che i ragazzi comunemente abbandonavano l’istituto alle soglie dell’adolescenza, mentre le ragazze, data la loro utilità nei laboratori di maglieria e nei servizi di vario genere venivano trattenute fino a venticinque anni, allorché lasciavano l’istituto per convolare a nozze, per un’attività lavorativa o per rientrare in famiglia[4].

Nella Casa hanno soggiornato circa 922 anziani la cui destinazione è stata naturalmente la morte, mentre la maggior parte dei 528 ragazzi, a parte alcuni decessi, sono stati dimessi per varia destinazione: ritorno in famiglia, trasferimento in istituti di formazione professionale, immissione nel mondo del lavoro, avviamento allo studio, eventuale adozione[5].

Per meglio capire le dinamiche di questa piccola comunità che a momenti ospitò contemporaneamente circa 400 disagiati  si è provveduto alla predisposizione di vari indici: indice cronologico degli ingressi, indice cronologico dell’età, indice dei nomi,  indice dei luoghi di provenienza, indice degli enti di mantenimento, indice delle professioni, indice delle destinazioni, indice dello stato civile[6].

Da questi indici risalta la varietà dei componenti di questa piccola comunità, non solo sassarese, ma anche di varie località della Sardegna, con qualche presenza peninsulare.

I cognomi contraddistinguono anziani appartenenti a famiglie anonime, ma anche a famiglie note, tanto che può dirsi che con  l’andare del tempo non vennero accolti soltanto cronici derelitti, ma cronici abbienti provenienti da famiglie aristocratiche e borghesi.

Non si può dire la stessa cosa per i ragazzi e le ragazze appartenenti quasi tutti al mondo del disagio familiare: alcuni figurano illegittimi, altri orfani di entrambi i genitori, altri orfani di un solo genitore, altri con entrambi i genitori, ma separati, tutti comunque aventi come unica connotazione lo stato di disagio o di abbandono[7].

Le provenienze dei ricoverati sono soprattutto sassaresi, non mancano tuttavia provenienze provinciali e di altre zone della Sardegna.

Le professioni degli anziani sono quelle più svariate degli strati più umili della società, sebbene si tratti in genere di casalinghe, tuttavia, tra quelle dichiarate, per gli uomini, figurano pastori, agricoltori, bidelli, braccianti, calzolai, conciatori, falegnami, materassai, minatori, muratori, panettieri, ma vi figurano anche due avvocati, uno registrato come “avvocato delle cause perse”, due insegnanti, un professore; quest’indice per quanto incompleto, sembra rispecchiare un campione valido dei ricoverati[8].

Gli enti di mantenimento, per quanto non sempre indicati, tuttavia, hanno permesso la predisposizione di un indice significativo: i più vengono ricoverati a carico dei comuni dei vari centri di provenienza, tra i quali figura  con i  comuni sardi anche  quello di Padova; altri enti sono la Provincia, il Consorzio Antitubercolare, un Comitato Fascista, una “Mater Infanzia e Fascio”, l’Opera Nazionale Orfani di Guerra, il Partito Nazionale Fascista, la Questura, la Prefettura, ma anche l’Ente Tracomatosi e molti privati; cento figurano ricoverati gratis[9].

I dati rilevati mettono in chiara luce le più svariate dinamiche di questa popolazione, la cui analisi ha fatto risaltare soprattutto la peculiarità della Casa che, sorta per accogliere vecchi cronici, si è poi trasformata in una  vera e propria comunità plurigenerazionale, per rispondere alle emergenze sociali prodotte dalla crisi del primo dopoguerra, dalla caduta del fascismo, dalla crisi del secondo dopoguerra e dai sussulti conseguenti alla ricostruzione postbellica.

Questa peculiarità ha fatto di essa non un istituto assistenziale monogenerazionale o monosessuale per anziani, ma una vera e propria comunità-villaggio in cui per anni, esattamente dal 1931 al 1967, i vecchi sono vissuti accanto alle vecchie, i ragazzi accanto alle ragazze ed entrambi, grandi e piccoli nei momenti delle cerimonie religiose, nella stessa cappella, hanno potuto sentirsi una famiglia sotto la guida delle Figlie della Carità e delle benefiche signore dell’aristocrazia e della borghesia sassarese che si preoccuparono di non far mancare a questo piccolo “paese” di emarginati un letto, un pasto, un po’ di calore umano e i conforti della fede per gli anziani, un’educazione ed istruzione per gli orfani[10].

L’assistenza medica era garantita dall’Ufficiale Sanitario del Comune dr. Giommaria Sotgia, che prestava servizio gratuitamente alle ricoverate fin dalla fondazione. Infatti nel verbale dell’assemblea datato 10 febbraio 1922 si stabiliva che ogni ricovero dovesse essere preceduto da una visita medica[4].

Nel decennio 1920-30 furono accolte ottanta vecchie inferme dell’età media di 73 anni, e circa una decina di donne più o meno giovani affette da gravi malattie croniche. La maggior parte risultavano ricoverate gratuitamente, una parte per conto del Comune di Sassari e della Provincia, soltanto qualche caso di ricovero risultava a carico dei familiari[5].

Con il Regio Decreto del 19 maggio 1930 l’istituto fu eretto in ente morale.

Il 29 luglio dello stesso anno un assemblea  elesse il consiglio di amministrazione, secondo le norme dettate dal Decreto Regio e conseguentemente dallo statuto approvato in forma ufficiale in data 19 maggio 1930, ma già in funzione per quanto riguarda le linee generali dal 3 maggio 1928[11].

Una volta diventata ente morale la Casa della Divina Provvidenza poteva svolgere  la propria attività sotto il controllo della Prefettura.

In base allo statuto il prefetto rinominò Maria Pittalis Zirolia presidente della Casa che mantenne questa carica per vent’anni consecutivi.

In questa attività fu coadiuvata da 9 Figlie della Carità: alcune si occupavano delle donne anziane, altre  dell’asilo che cominciò a funzionare a beneficio del quartiere popolare delle Conce.

Molta importanza ebbe l’opera svolta da due suore, Suor Fontana, col nome religioso di Suor Caterina che si occupò per quasi un trentennio dell’educazione delle ragazze che passavano nell’istituto avviandole all’apprendistato di un mestiere artigianale femminile e suor Brambilla,  col nome religioso di suor Luisa, che si occupò dell’educazione dei ragazzi.

Alla fine del 1934 il personale accolto nella Casa, compreso quello religioso ed infermieristico, aveva raggiunto il numero   di oltre cento persone.

In quattro anni essa era diventata per Sassari e provincia un punto di riferimento per anziani che trascorrevano gli ultimi anni della loro vita cristianamente e civilmente assistiti.

Le quasi trecento Dame azioniste che rappresentavano il fior fiore della nobiltà e della borghesia sassarese, vedevano con piacere il rapido sviluppo di questa iniziativa, incoraggiata da padre Manzella.

Al termine del 1935 erano presenti settanta anziani di ambo i sessi, e quarantacinque tra bambini e bambine tracomatosi, mentre settanta bambini esterni frequentavano insieme agli interni l’asilo, istituito per dare risposta alle esigenze del quartiere operaio delle Conce.

Al 31 dicembre 1938 il bilancio figurava raddoppiato rispetto alla fine del primo quadriennio. A partire da questi anni si ebbe il primo inizio di pensionato per anziane signore prive o lontane dalle famiglie di origine.

Tra il 1939 e il 1942 nella Casa aumentò il numero degli assistiti e divenne un rifugio non solo per i vecchi, ma anche per i malati provenienti da tutte le parti dell’Isola. In quello stesso periodo cominciarono a configurarsi i seguenti reparti: quello geriatrico femminile, sistemato nel fabbricato di viale San Pietro; quello geriatrico maschile, sistemato in via Sardegna; quello dei ragazzi sistemato nei locali che davano in via Sant’Anna; quello delle ragazze ubicato al piano terra di via San Pietro e infine quello delle pensionanti abbienti sistemato nei piani superiori della Casa in via Sardegna[12].

Il cortile e la cappella diventarono i luoghi d’incontro della comunità-villaggio.

Vicino al reparto dei vecchi era ubicato un orto dove alcuni di essi ritrovavano il gusto del ritorno ai campi lasciati nei loro paesi.

Una piccola falegnameria artigiana era gestita da qualche anziano, utile per le piccole manutenzioni dell’istituto[7].

Durante gli anni della guerra l’istituto era stato messo a dura prova, in quanto bisognava sovvenire alle necessità degli ospiti che già vi dimoravano, ed anche perché in quegli anni si era incrementato il numero dei ricoverati accrescendo di conseguenza i bisogni della casa.

Il numero delle  suore raggiunse le dodici unità, guidate dalla bresciana Suor Pia Biassoni, coadiuvata dalla bergamasca Suor Brambilla.

La formazione religiosa dei minori e dei giovani nonché dei vecchi era assicurata dai Preti della missione.

Si era provveduto anche all’apertura di un ambulatorio per tracomatosi, poiché erano numerosi i bambini e le bambine con handicap fisici o mentali non gravi, che vivevano insieme a quelli normali.

Gli anni del secondo dopoguerra furono quelli in cui gli enti locali presero atto di quanto fosse utile per la città la Casa Della Divina Provvidenza.

Tra il 1947 ed il 1950 furono ospitate simultaneamente circa quattrocento persone tra ragazzi, ragazze vecchi e vecchie.

A questi si aggiunsero una trentina di handicappati ed altrettanti pensionati abbienti tra cui alcune figure di spicco del movimento femminile cattolico sassarese[13].

Grazie agli aiuti degli americani e degli enti locali migliorò anche il cibo ed il vestiario per tutti.

Le prime bambine entrate negli anni Trenta, diventate ormai grandi, lavoravano nel laboratorio di maglieria e ricamo apprendendo un mestiere che le rendeva produttive.

I ragazzi diventati adolescenti, o ritornavano in famiglia, se queste esistevano ancora, o venivano collocati in strutture artigianali o nel settore dei servizi, così da potersi avviare ad un sicuro avvenire.

Per i più volenterosi grazie alle buone conoscenze delle Dame si aprivano buone opportunità di studi e di impieghi[14].

Nel gennaio 1951 Maria Zirolia Pittalis si dimise dalla carica di presidente ed al suo posto verrà nominata Donna Laura Carta Segni, appartenente ad una delle più cospicue famiglie della borghesia sassarese, moglie di Antonio Segni, esponente di spicco del movimento cattolico sassarese, essa rimase in carica fino al 1972[15].

L’azione della nuova presidente non si fermò all’ordinaria amministrazione della casa, ma si esplicò con l’ampliamento dell’istituto.  In tal modo i ricoverati poterono essere accolti in locali più idonei, nei locali in via San Pietro di fronte a Sant’Agostino e all’infermeria presidiaria.

Con la graduale definitiva scomparsa delle malattie endemiche, quali la malaria e il tracoma si ridusse a poco a poco la richiesta di ricovero di minori.

Cominciarono a diminuire anche le richieste di ricovero per gli anziani, mentre si incrementò la presenza delle anziane. Stazionario rimase il numero dei portatori di handicap.

I quattro anni successivi 1955-58 furono contrassegnati dall’aumento del bilancio, dalle iniziative di ampliamento della casa e da ulteriori iniziative per le attività dell’istituto, grazie all’amministrazione e direzione della presidente che, essendo la moglie del ministro e presidente del consiglio Antonio Segni, riusciva ad ottenere oltre che alle numerosissime offerte anche un notevole apporto finanziario regionale, sia a mezzo di contributi sia a mezzo di mutui.

Nel corso di questo quadriennio una parte delle Dame volle riportare l’ente alle sue origini, facendo dell’istituto un ricovero per anziani, ecco perché a partire da questo periodo sia gli adolescenti che le ragazze cominciavano a lasciare la casa senza che altri vi subentrassero e al loro posto cominciarono ad arrivare più anziani nel quadriennio successivo.

Nonostante l’opposizione, da parte delle suore educatrici dei ragazzi e delle ragazze, continuarono le loro dimissioni dato che per essi  la Casa non poteva offrire più una formazione adeguata .

Con il quarto quadriennio di presidenza di donna Laura Segni Carta continua l’ampliamento della casa, continuano le donazioni e i lasciti dei privati[16].


[1] Archivio Casa Divina Provvidenza (in sigla A CDP), Registri d’ingresso. colloc. provv-

[2] Ivi.

[3] A. TEDDE, La Casa Divina Provvidenza, cit. pp. 113-116

[4] Ivi, p. 117.

[5] A.  TEDDE, Cattolici per l’infanzia in Sardegna tra Otto e Novecento, Il Torchietto, Ozieri 1997 .

[6] G. FODDE, Gli ospiti della Casa Divina Provvidenza in Sassari (1910-1967), Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Magistero, Corso di laurea in Pedagogia, a. a. 1995-96.

[7] Ivi,  pp. 244- 379.

[8] A. TEDDE (a cura di) Cattolici per l’infanzia, cit. p.

[9] Ivi, p.

[10] Ivi, p.

[11] A. TEDDE, La Casa Divina Provvidenza, pp. 77-82

[12] Ivi p. 90.

[13] Ivi,  p. 87.

[14] Ivi,  p.

[15] Ivi,  p.

[16] Ivi, p.

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