Comune di Sassari Circoscrizioni n. 2 – 3 – Sesto concorso di poesia in lingua sarda a cura di Domitilla Mannu

Verbale della giuria

  Il giorno 14 marzo dell’anno 2012 alle ore 9,30 ha avuto luogo presso i locali della Circoscrizione n° 3, in via Era a Sassari, la riunione della giuria del 6° concorso di poesia in lingua sarda per esaminare le poesie pervenute e stilare una graduatoria di merito.

   La giuria risulta così composta:

 

Nino Fois Presidente

Giovanni Fiori Componente

Domitilla Mannu Componente

Vanna Giagheddu Componente

Antonello Bazzu Segretario con diritto di voto

 

…Il segretario da lettura del verbale di apertura delle buste: risultano pervenuti numero 91 plichi per un totale di numero 144 poesie cosi ripartite:

  • per la sezione A numero 86 plichi per un totale di numero 89 poesie
  • per la sezione B numero 5 plichi per un totale di numero 55 poesie

Il presidente, prende atto con soddisfazione della grande partecipazione e della qualità di buona parte delle poesie pervenute rappresentanti pressoché tutte le area linguistiche della nostra isola e invita i giurati a segnalare, ciascuno, una quindicina di opere per la sezione A e una decina per la sezione B per poi procedere alla lettura comune e alla successiva discussione di merito.

Ciascun giurato presenta quindi una sua personale selezione di poesie e dopo una prima attenta lettura e un commento collegiale si perviene ad una rosa di 15 opere per la sezione A e di 6 per la sezione B.

Una reiterata e successiva lettura, seguita da un’appassionata e approfondita discussione porta la giuria , a stilare, con voto unanime, la graduatoria di merito che si trascrive:

Sezione A: poesia in lingua sarda, inedita e mai premiata, aperta a tutti

Istajones                                                Gonario Carta Brocca – Dorgali                                    1° Premio

Riu tramposu                                                Domenico Mela – Castelsardo                                    2° Premio

Bola runduledda                                    Maddalena Spano Sartor – Valledoria                        3° Premio

Sa ‘oghe de su mudine                        Maurizio Faedda – Ittiri                        Premio Spec. Poesia Tradizionale

Oje…Non so de custu mundu                        Antonio Brundu – Orani                        Premio Spec.e Maria Chessa Lai

 

Da luntanu                                                Domenico Battaglia – La Maddalena                        Menzione d’Onore

In s’aera neulosa                                    Tetta Becciu – Ozieri                                                Menzione d’Onore

Jazz                                                            Pier Giuseppe Branca – Sassari                                    Menzione d’Onore

Sillabàriu                                                Pier Giuseppe Branca – Sassari                                    Menzione d’Onore

Umbra ‘e monte                                    Salvatore Fancello – Dorgali                                    Menzione d’Onore

A fumà pinsamenti                                    Gianfranco Garrucciu – Tempio                                    Menzione d’Onore

Chirca                                                            Vincenzo Mura – Pattada                                    Menzione d’Onore

Les inquietes habitacions                        Anna Cinzia Paolucci – Alghero                                    Menzione d’Onore

Fràgulas                                                Marinella Sestu – Iglesias                                    Menzione d’Onore

Primmu schjarià furisteri                        Giuseppe Tirotto – Castelsardo                                    Menzione d’Onore

 

Sezione B: poesia in lingua sarda, inedita e mai premiata, riservata agli alunni scuola dell’obbligo

Ti cherzo ammentare                        Giuseppe Era – 2ͣ  media – Florinas                                    1° Premio

Àlbure ‘e ierru                                    Cristina Borrodde – 4ͣ  elementare – Santu Lussurgiu            2° Premio

Su nie                                                Giulia Chessa – 2ͣ  media – Florinas                                    3° Premio

 

S’abba                                                Luca Cossu 2ͣ  media – Florinas                                                Menzione d’Onore

Poesia                                                Alice Deriu – 1ͣ  media – Santu Lussurgiu                                    Menzione d’Onore

Su criadu                                    Elisa Guspini – 1ͣ  media – Santu Lussurgiu                        Menzione d’Onore

 

In ossequio alla rotazione fra gli Enti Organizzatori si stabilisce che quest’anno la cerimonia di premiazione si terrà nel quartiere del Latte Dolce a Sassari, sabato 21 aprile alle ore 16,00 presso i locali dell’Oratorio Salesiano in via Kennedy, 1. Tutti i concorrenti sono invitati.

 

I lavori si sono conclusi alle ore 14.30.

 

IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO

Nino Fois              Antonello Bazzu

 

 

Sassari lì, 14 marzo 2012

 

1° premio

“ Istajones ” di Gonario Carta Brocca – Dorgali

 

Un sogno in crescendo che si consolida nella realtà. Ed è appunto questo onirismo con allucinazioni visive, vissute dal poeta come reali, che arricchisce la poesia rendendola profonda e portatrice di un messaggio universale che il fruitore legge fra i versi come se fossero maturati nel suo pensiero. La purezza della lingua, la musicalità del verso e il lirismo dell’espressione poetica, dimostrano chiaramente la spontaneità dell’Opera. Cantand’ottadas a sas chiriasas / e punghicosos ruos e tirias / chi porrian frorias / carvas de isperas prepotentes / in mundos / ue sonniare fit èssere mere / e èssere mere rider a su sole. Un fiorire di note allegoriche sino all’ultimo verso lasciando la conclusione al lettore. E no isco / si est su bentu chi faghet ischimuzu / peri cavas ispozas / chi m’abbolotan chin su prantu issoro / o s’àlinu grae de su coro / chi reverde / a sa vida l’at postu su pee / e in sa proa / che frusulia s’est stutturau.

 


 

Istajones

Colau est beranu

cantand’ottadas a sas chiriasas

e punghicosos ruos e tirias

chi porrian frorias

carvas de isperas prepotentes

in mundos

ue sonniare fit èssere mere

e èssere mere rider a su sole.

Sèmenes d’armonia

incumandau tando ap’ a sa terra

e su surcu ap’abau

chin prantu ammacchiau

de ìnnidas tzertesas

inchesas

in carreras de chertos chene fine.

Cantos grogos

nuscosos de atonzu

tòccana sa ‘enna ‘e sos ammentos:

càntigos de zente chen’amparu

dae gàrrios de vida pinnicaos;

cantos indaoraos

de marineris mortos

po arribare a s’ìsula bramada

e bardanare sèmenes de luna

irvettande

froriduras de pratta

chi fruttu ‘e pagu dura an intregau.

Affrituriu

in su tele d’ierru

solotzos intendo

chi capu e coa furan a sas oras

e no isco

si est su ‘entu chi faghet ischimuzu

peri carvas ispozas

chi m’abolottan chin su prantu issoro

o s’àlinu grae de su coro

chi reverde

a sa vida l’at postu su pee

e in sa proa

che frusulia s’est istutturau.

Stagioni

 

Passata è primavera

cantando strofe ai ciliegi

e ai pungenti rovi e alle ginestre

che porgevano in fiore

rami di speranze prepotenti

in mondi

dove sognare era come possedere

e possedere era gioire al sole.

 

Semi d’armonia

raccomandato allora ho alla terra

e il solco ho innaffiato

con ammattito pianto

e ingenui certezze

bruciate

su strade di contese senza fine.

 

Canti gialli

odorosi d’autunno

bussano alla porta dei ricordi:

cantici di tanti poveretti

inarcati dai pesi della vita;

cantici dorati

di marinai morti

per arrivare all’isola agognata

e razziare i semi della luna

aspettando

fioriture d’argento

che frutti aleatori han sempre dato.

 

Intirizzito

nel campo invernale

sento un trambusto

che alle ore ruba ogni interesse

e non so

se è il vento che provoca il fruscio

fra denudate fronde

che con il loro pianto mi commuovono

o l’ansimare del cuore

che ribelle

la vita osò sfidare

e nella prova

come un fuscello si frantumò.


 

 

 

2° premio

“ Riu tramposu ” di Domenico Mela – Castelsardo

 

Classica “cantone sarda cumpónnida a taulinu” che nel contenuto diventa poesia. L’autore, non solo è bravo nel costruire il verso secondo i canoni, ma dimostra anche di possedere orecchio alla musica. La satira sottile e l’incessante allegoria sono di una trasparenza cristallina e intelligente che richiamano a “Su bandu universale de Sa cantone de Flora” di Bértulu ‘e Serra.

 


 

Riu tramposu

 

 

Babbu meu m’ha sempri cunsigliaddu

di no gjiumpà lu riu cand’è in piena,

chi jenti di lu loggu e jent’angena

cinn’ha eddhu a lu mari trasgjinaddu

babbu meu m’ha sempri cunsigliaddu.

Si v’è la piena, mancu m’avviginu

pa’ la paura di falacci a mógliu

intendu da luntanu lu digògliu

passendi i’ la chisura i’ l’utturinu.

A folma di un selpenti malandrinu

chi scurri pa’ li tanchi arrinnigaddu,

babbu meu…………………………

No vògliu di sfidà la so’ puddenza

mi po calà una tràppula multali

i’ la me’ tanca, scurri i’ lu fundali

e pìglia umbè di fua i’ la pendenza.

Cun me ha usaddu tanta prepotenza

haia un barraccu e mi ci l’ha pultaddu,

babbu meu……………………………

L’haia fattu cun buda e cannisjioni

e rocci a fulchidda da un aglialtru,

paria fattu a régula di maltru

pa’ riparammi in tempi mali e boni.

No n’ha auddu pa’ nuddha compassioni

a campu viu avà sogg’imbaraddu,

babbu meu……………………….

Eddhu n’ha auddu scjioru e gudimentu

d’essè arrivaddu a fammi lu dilpettu,

era pigliaddu a me puru di pettu

si m’incuntresi inghì pusaddu drentu,

m’è staddu di fultuna lu mumentu

chi fendi eva, mi sogg’aviaddu,

babbu meu…………………….

S’è spalta la nutìzia i’ lu paesi

ch’era fora di càsjia, in dugna vaddhi,

tuccadd’è a me di parà li spaddhi

pa’ tuttu chissu dannu chi mi fesi

e tanti discussioni si so accesi

pa’ no avè la diltanza rilpitaddu,

babbu meu……………………..

Àggjiu lu dannu e chiscjià no mi possu

chi mi so dendi la palti di toltu,

lu me’ barraccu è galliggend’in poltu

viginu a la banchina a lu ridossu.

Eddhu mi s’ha ingudhiddu pulpa e ossu

pa’ lu so gultu chi sinn’ha bugaddu.

Cumenti veni lu tempu lu pìgliu

si a cavaddhu soggu, minni falu

no v’àggjiu a iscjì a fora in tempu malu

chiltu è puru di babbu … lu cunsìgliu.

 

 

Fiume ingannoso

 

 

Mio padre m’ha sempre consigliato

non attraversare il fiume quand’è in piena,

che di gente del posto e forestiera

esso ne ha tanti al mare trascinato,

mio padre mi ha sempre consigliato.

            Se è in piena, manco mi avvicino

per paura di scivolarci dentro

da lontano sento il mormorio

passando lungo la siepe nel sentiero.

A forma di un serpente malandrino

che scorre nella valle prepotente,

mio padre…………………………..

No voglio mai sfidar la sua potenza

può tendermi una trappola mortale

nella mia tanca scorre nel fondale

e prende molta foga in pendenza.

Con me ha usato tanta prepotenza

che una capanna me l’ha portata via,

mio padre ……………………………..

L’avevo fatta con biodo e cannette

e con rami a forca di un olivastro,

sembrava fatta a regola di mastro

per ripararmi in tempi belli e brutti.

Non ha avuto per niente compassione

e son rimasto senza alcun riparo,

mio padre……………………………..

Esso ne ha avuto gioia e godimento

per avermi fatto quel dispetto,

mi avrebbe preso a sorpresa

se mi fossi trovato lì seduto dentro,

m’e stato fortunato quel momento

che pioveva e me ne sono andato,

mio padre………………………….

S’è diffusa la notizia nel paese

            che era fuori dall’argine in ogni valle

            toccato è a me di piegar le spalle

per tutto quel danno che mi ha fatto

e tante discussioni si sono accese

per non aver rispettato la distanza,

            mio padre……………………………

Ho subito il danno e non posso lamentarmi

perché tutti mi stanno dando torto,

la mia capanna sta galleggiando in porto

vicino alla banchina, a ridosso.

Esso mi ha distrutto polpa e osso

per il gusto di farmi del male.

            Come viene il tempo lo trascorro

            se sono a cavallo me ne scendo

            non vado in campagna s’è piovoso

questo pure di mio padre è… il consiglio.

 


3° premio

“ Bola runduledda ” di Maddalena Spano Sartor – Valledoria

 

Ad un inizio venato di un leggerissimo velo di tristezza segue un incalzante climax ascendente decisamente in positivo a descrivere l’incanto della primavera e le bellezze della natura alle quali però la nostra poetessa sembra non essere partecipe come se quell’incanto, quelle bellezze le siano estranee e appartengano solo alla rondinella mandataggia / di lu me’ cori intristutu. La chiusura ne rivela il perché: La me’ parua di campà / è diintata pilea chi sprimi / li me’ ‘eni e trubba lu me’ passu / e lu cori è sùaru ingrughitu / chi saichiggja illu diseltu / di lu scunfoltu.

 


 

 

Bola runduledda

 

 

Se’ turrata runduledda

rimpuddu di branu,

dienta mandataggja

di lu me’ cori intristutu.

Bola

pa’ la cióia di campà

e pòsati a figgjulà

lu baddu di l’unda

chi luscichiggja ill’orizonti

di lu tempu chi no mori.

Bola

undi l’alba è più veldi

e l’alzi cu’ rami attulcinati

comu innammurati, dàcini

accasaggju a ceddi e nidi.

Bola

Undi guttìggjani l’ammenti

e l’ea nasci da la petra

e bii a lu puzzu di la so’ paci.

Bola

undi la frunda riposa liceri

sott’un celi risciaratu

da umbri di tristura

undi zirrìani li griddi

pa’ bancicà lu so’ sonnu.

Fèlmati

e ciàmami, vengaraggju pa’ ripusà

la me’ straccura d’oggj e d’arimani.

La me’ parua di campà

è diintata pilea chi sprimi

li me’ ‘eni e trubba lu me’ passu

e lu cori è sùaru ingrughitu

chi saichiggja illu diseltu

di lu scunfoltu.

 

 

 

 

 

 

Vola rondinella

 

 

Sei tornata rondinella

germoglio di primavera

diventa messaggera

del mio cuore  intristito.

Vola

per la gioia di esistere

e fermati a guardare

la danza dell’onda

che scivola nell’orizzonte

del tempo che non muore.

Vola

dove l’erba è più verde

e gli ontani attorcigliati

come innamorati, ospitano

uccelli e nidi.

Vola

dove gocciolano i ricordi

e l’acqua scaturisce dalla pietra

e bevi al pozzo della sua pace.

Vola

dove la foglia riposa leggera

sotto un cielo limpido

da ombre di tristezza

dove cantano i grilli

per cullare il suo sonno.

Fermati

e chiamami, io verrò per riposare

la mia stanchezza di oggi e di ieri.

La mia paura di vivere

è diventata angoscia che spreme

le mie vene e incatena il mio passo

e il cuore è sughero ingiallito

che galleggia nel deserto

dello sconforto.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Premio speciale per la poesia tradizionale

“ Sa ‘oghe de su mudine ” di Maurizio Faedda – Ittiri

 

Le immagini costruite nel dialogo con la natura, il richiamo agli strumenti da lavoro nei campi (in terras annijinas, arados in sa tula, beraniles e sulcos, biradorzos chena fine, masones in s’istula…) conferiscono a questi versi musicali e rotondi una singolare forza evocativa. Quel dialogo illumina l’essenza interiore dell’uomo e del poeta: un proprio vissuto che assurge a paradigma universale. Al centro, i diseredati che trascinano sas rughes chi t’han postu a palas, i molti inascoltati, ai quali chiede: pone s’atza rebelle totta incrine, per conquistare sa ‘oghe chi no has e dias cherrer. In questo senso irrompe l’efficacia dell’ossimoro nel titolo: Sa ‘oghe de su mudine. Lirismo denso di significati e pregnanza, con endecasillabi in cui si sposano perfezione metrica e contenuto poetico.

Sa ‘oghe de su mudine

Si haisti una ‘oghe a l’alziare,

a la pesare a bentos che chijinas

chi si falen in terras annijinas

a franca abberta a be-i semenare

su cherrer bene, s’amore e s’amare

pro chi fuat su male a perdijinas.

Tue ch’in coro in sos tempos inserras

uras de malu fadu e tribulias,

murrunzos chena seru e balentias,

chiettas possa manna e no inzerras

iscabadas isentas cuntierras

ca ses pro paghe e bene in rialias.

E in su pensu in sentidos funguttos

che tràbanu ti ghindan sos forrojos

e a risu segadu, isfustu in ojos

has incunzadu dolores e luttos

a cantilena sos matessi muttos

pro segare trobeas e trobojos.

Giughe sas rughes chi t’han postu a palas

cun sos framengos chi has in meledu

dadu chi dodes no has in eredu

ma de piantu sas baddes chi falas

a tie chi mutzadu coa e alas

t’han e cagliadu ti tenen masedu.

Sa ‘oghe chi no has e tias cherrer

chi fintza a oe t’est arressa in bula,

ìntrala che arados in sa tula

sos beraniles a sulcos abberrer

ìnnida e bia attesu a che ferrer

a sos masones paschende in s’istula.

Pone s’atza rebelle totta incrine,

campanas e matraccas a tzocheddos

cun son mùrinos frades e nieddos;

faghide a fischinidas su mudine

e in sos biradolzos chena fine

chi bos torret sa ‘oghe e sos faeddos.

A sos chi ‘ettan lua e abba cralta,

càrian sos isciaos in runzones

in sos mares, in padros e chizones,

a lis narrer bazide a boghe alta

chi sensen a sa terra ‘e fagher falta

e tòrrene masedos che anzones.


Premio speciale Maria Chessa Lai

“ Oje… Non so de custu mundu ” di Antonio Brundu – Orani

 

La luna, accabadora de sònnios de poeta, può attendere nel firmamento stellato. Ma Oje… / So tuo poesia / … e de sa jana ammajadora. Ecco, dentro questa contrapposizione di immagini, tra la luna che “uccide” i sogni e la fata ammaliatrice chi dognora mi cossolat, il poeta scioglie le sue meditazioni in una ideale comunione di amore e di poesia. Oje… / Non so de custu mundu, dice rivolto alla realtà che lo ha spogliato (ispampinadu) delle sue attese, disperdendole dentro insondabili misteri… Alla fine, sa luche trampera e matrigna che illumina il cielo, tenderà… la trappola a quei sogni liberi come il vento… Dubbio e amara consapevolezza, verrebbe da dire. Lirica armoniosa e robusta, nella quale l’autore dimostra ancora una volta di essere un poeta… in crescendo.

 


 

Oje… Non so de custu mundu!

 

 

Sa luna

accabbadora ‘e sònnios de poeta,

m’isettat istanotte in s’isteddache…

Ma… Non bi cherjo andare!

 

Oje mi cherjo iscappu che su bentu,

agreste che sas alas de pitzinnu

chi m’an fattu bolare

chin-d unu chelu in punzos

in prados d’assulenu,

a goddire sos nuscos atonzinos

chi lenos m’ingalenan donzi sero.

 

Oje…

Non so de custu mundu

chi m’at ispampinadu

dassàndemi in sas francas de s’iberru

e de sas menzus prendas isfrunidu,

frundidu che siddadu isvaloridu

in-d unu puttu malu a compudare.

 

Oje…

So tuo poesia!

E de s’ànima mia!

So tuo e de sa jana ammajadora

chi gàrriga ‘e affettu

donz’ora mi cossolat e mi ninnat

in bratzos d’una pàsida bijone,

sa chi ponzo a cumone

chin cada versu durche chi mi cantas.

 

Oje…

So de s’amore meu,

affranzadore ‘e sos alenos suos,

su durche laccanarju

de chibberos toccheddos

chi ponen fua a cada pessamentu!

Iscappu che su bentu

chi carignat sos sònnios de poeta

chi non fìnini mai e non si tutan

in sa istizas d’oro

de sa luche trampera…

sa brìdica lumera

chi mi parat su lattu in s’isteddache.

 

 

 

 

Oggi… Non son di questo mondo!

 

 

La luna,

che pone fine ai sogni di poeta,

mi attende stanotte nella volta celeste

Ma… Non voglio andarci!

 

Oggi desidero la libertà del vento,

l’indomabilità delle ali di fanciullo

che mi han fatto volare

con un cielo tra i pugni

in prati di pace,

per raccogliere i profumi dell’autunno

che ogni sera, soavemente, mi conducono al riposo.

 

Oggi…

Non son di questo mondo

che mi ha denudato

abbandonandomi tra le grinfie dell’inverno

e impoverito delle migliori virtù,

buttato come un tesoro arrugginito

in un abisso inesplorabile.

 

Oggi…

Sono tuo poesia!

E della mia anima!

Sono tuo e dell’incantevole fata

che pregna di affetti

mi ammansisce e mi culla

fra le braccia di un placido sogno,

quello che condivido

con la dolcezza di ogni verso che mi doni.

 

Oggi…

Sono del mio amore,

unito ai suoi respiri in un amplesso,

il dolce confinante

di turgidi palpiti

che scacciano via ogni angoscia!

Libero come il vento

che accarezza i sogni di poeta

che non hanno mai fine e non si spengono

negli spicchi dorati

dell’ingannevole luce…

la lanterna matrigna

che mi tende un’imboscata lassù in cielo.

 

 

 

Menzione d’Onore

Domenico Battaglia – La maddalena

 

 

 

Da luntanu

 

 

S’ammanta di giòani fantàsimi a me’ terra

… ghjé di malincunia e rabbî antichi

mentri tu, ommu a stelli e strisci,

da luntanu

da monda luntanu vii a me’ vita

spatrunigghjendi und’i me’ sogni

senza timori d’essi ghjudicatu,

inzemmi a qua m’arruba i spiranzi

e mi pritendi l’ànima.

Ma tu dighila

chi solu du celu sarà u me’ spiritu

… du distinu u me’ corpu.

E nun pruà fastìdiu

si avà ti miru da sutt’a vesti nera

chi m’invurtuligghja,

e chi ancora da me’ mammona è stata;

no! Nun pruà fastìdiu

tu chi supporti Cristu,

u to’ Signori,

musciatu tra i cullini da latti

de’ to’ donni.

Da luntanu, da monda luntanu

viu a to’ vita

quandu tra i rosi du disertu

sciti ogghj botti di primmavera

perché nun saparai mai

ligghj’ l’invernu und’i me’ occhji

o strignì cu’ a to’ manu zaccaddosa

a mea, ruspicosa e liggera,

chi sì, agganta petri

ma sa alliscià i criaturi.

 

Da luntanu, ommu a stelli e strisci,

da troppu luntanu

vivemu i nosci viti,

ingudditi oramai dai silenzi

di notti senza luna

… alluminati, cùrcia mme, da una sola stella.

 

 

 

 

 

 

 

 

Da lontano

 

 

S’ammanta di giovani fantasmi la mia terra

… io di malinconia e rabbia antiche

mentre tu, uomo a stelle e strisce,

da lontano

da molto lontano vivi la mia vita

spadroneggiando nei miei sogni

senza timore d’esser giudicato,

insieme a chi mi ruba le speranze

e mi pretende l’anima.

Ma tu diglielo

che soltanto del cielo sarà il mio spirito

… del destino il mio corpo.

E non provar fastidio

se ora ti guardo da sotto la veste nera

che m’avvolge,

e che anche di mia nonna fu;

no! Non provar fastidio,

tu che tolleri Cristo,

il tuo Dio,

esibito tra le colline da latte

delle tue donne.

Da lontano, da molto lontano

vivo la tua vita

quando tra le rose del deserto

risvegli oggi germogli di primavera

perche non saprai mai

leggere l’inverno nei miei occhi

o stringere con la tua mano sporca

la mia, ruvida e leggera,

che sì, afferra pietre

ma sa carezzare i bambini.

 

Da lontano, uomo a stelle e strisce,

da troppo lontano

viviamo le nostre vite,

ingoiati ormai dai silenzi

di notti senza luna

… illuminate, ahimè, da una sola stella.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Tetta Becciu – Ozieri

In s’aera neulosa…

Su murmuttu sulenu

de s’unda

s’imberghet

in sa mudesa ‘e s’interinadorzu…

sa luna,

suspirat

ispallatende

lunghes mùrinas

subra

domos de penas,

de anneos.

Una fiama istasia

inchijinat s’intrighinu,

a cudd’ala de s’orizzonte

ch’iscolorit in sa notte…

S’alentu treme-treme

si fóscigat,

a bémidas in s’aera neulosa…

arpilat sa carena in s’isprammu

ch’imbojat

s’ànima agghejada,

chi trìsinat in su ludu e annegat,

e a pustis

torrat sa vida

ancora

a colare sas àndalas abrias

de s’anneu sou.

Titilias

chi si perden

chei s’abba in sa rena,

ballende

cun sa mùsica ‘e sa luna

chi s’ispijat guvarda…

intro su mare…


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Pier Giuseppe Branca – Sassari

 

 


 

Jazz

 

 

L’azis intesa sa trumba de oro

ch’a de notte in tancas e corrales

postu non at unu sónniu in coro

pinténdelu cun mùsicas noales?

 

Deo emmo. M’ammento in su mudine

unu sonu de frinas de Limbara,

biu chi nos faghiat a baddine,

inditèndenos, lùghida, sa cara

 

d’unu cras chena jagas in costeras

inue, rea, cada antiga turre

mustret a sos migrantes camineras

abbertas a s’insoro curre-curre;

 

d’unu cras chena bases militares

ue nuscos de liz’e de geràniu

bestan Quirra in àlidos de mares

e li cansen sas fertas de s’uràniu;

 

d’unu cras chena prus pàscher olvidos

giuttos in ojos che pìdiga benda

e punnare pro bìdere tuddidos

briones d’un ispera chi proenda

 

potat esser’in tempos benidores

a redossias anti-nucleares,

a chìbberos beranos de laores,

a custa cherva chinta dae mares.

 

Ue nettos abbarren sos chentales

e birdes energias lassen sanas

in sa tula sas séminas noales

ninnadas dae ósculas de janas.

 

Emmo chi mi l’ammento cussu bisu!

Fanfaras in ruinas antogòrias,

jazz e birombombò, màgicu accisu,

a incantare rios de zentòrias

 

cando s’alenu tou dae laras

cun sa trumba as mudadu in ledre sonu

istrinèndenos sutta sas fiaras,

in chimbanta cuntzertos a s’indonu,

 

sa jae pro atzeder a s’idea

de fagher de Sardigna sa sienda

inue arbescat ìnnida che nea

de sos siddados nostros cada prenda.

 

Jazz

 

 

L’avete sentita la tromba d’oro

che di notte in poderi e anfratti

ci ha instillato un sogno dentro il cuore

dipingendolo con musiche innovative?

 

Io sì. Ricordo nel silenzio

un suono di brezze dal Limbara

vivo che ci provocava il capogiro,

indicarci, luminoso, il volto

 

di un domani senza cancelli sulle coste

dove, imponente, ogni antica torre

mostri ai migranti sentieri

aperti al loro continuo muoversi;

 

di un domani senza basi militari

dove profumi di giglio e di geranio

vestano Quirra con sapori di mare,

curandole le ferite dell’uranio;

 

di un domani senza più nutrire oblii

indossati sugli occhi come picea benda

e lottare per intravedere fioriti

germogli di una speranza che alimento

 

possa essere in futuro

a ribellioni antinucleari,

a primavere colme di messi,

a questa zolla cinta dal mare.

 

Dove puliti permangono gli orizzonti

e verdi energie mantengano sane

nel solco le nuove semine

cullati da baci di fate.

 

Sì che lo ricordo quel sogno!

Fanfare presso antiche rovine,

jazz e birombombò, magica fascinazione,

ad incantare fiumane di persone

 

quando il tuo fiato dalle labbra

con la tua tromba hai mutato in soave suono

regalandoci sotto le stelle,

in cinquanta concerti,

 

la chiave per accedere all’idea

di fare della Sardegna l’eldorado

dove sorga pura come l’alba

di tutti i nostri tesori, ciascuna gemma.


 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Pier Giuseppe Branca – Sassari

 

 


 

Sillabàriu

 

 

Era tutt’arecci e ischranfioni

lu sillabàriu di la to’

pizzinnia, ma abia paràuri

chi, mancarri intunaddi

a ziccudditti, ti pigliàbani

a manu tenta e ti muddàbani

l’infaddu d’imparà a liggì

i’ lu gosu di sabè pintà

a ugna moròdduru di léttari

la so’ cara.

 

Cussì la paràura Turritània,

cu’ li so’ ti intrei che susdhaddi

a aschibusu accoddu in anderi

di ronda e li so’ erre, inquadraddi

che mèruri di basthioni

dananz’a una làccana di regnu,

ti paria l’innommu d’una

sienda d’oru iscrittu in pabiri

di re e funtumaddu che prenda

di siddaddu da custheggi

d’Aragona e di Navarra.

 

Ma a funtumalla oggi

la paràura Turritània è soru

l’insegna rugginosa d’un’usthera

abbandunadda in Postha

Sant’Antoni. Bioddi l’apusenti,

cegghi li baschoni, cument’e zesthi

chintari di chisthi tempi d’abà.

 

Eppuru a Pianu di Castheddu,

sott’un amparu di veddru e azzàggiu,

da lu bùggiu di l’immèntiggu so

turraddi a la luzi fundamenta

d’antigghi turrioni, e si t’accosthi

a la barandìglia, pari s’intèndiani

tunci e ischimuzzi di mamaditti

agliani cuntà a l’infanti

d’Aragona edi Navarra fori

ch’ischumènzani cu’ la paràura

Turritània

 

 

 

Sillabario

 

 

Era tutto orecchi e strafalcioni

il sillabario della tua

infanzia, ma aveva parole

che, sebbene pronunciate

balbettando, ti prendevano

per mano e ti trasformavano

il disagio d’imparare a leggere

nel piacere di saper dipingere

a ciascun groviglio di lettere

il proprio volto.

 

Così la parola Turritania

con le sue ti boriose come soldati

con l’archibugio in spalla sugli spalti

e le sue erre squadrate

come merlature di bastioni

davanti al confine del regno,

ti sembrava il nome

di un eldorado scritto in cartigli

di re e scandito come gemma

di un tesoro da cortigiani

d’Aragona e di Navarra.

 

Ma a pronunciarla oggi,

la parola Turritania è soltanto

l’insegna arrugginita di un albergo

abbandonata a Porta

Sant’Antonio. Vuote le camere,

cieche le finestre, come certi

orizzonti di questi tempi odierni.

 

Eppure in Piazza Castello,

sotto una gabbia di vetro e acciaio,

dal buio dell’oblio, sono

tornate alla luce fondamenta

di antichi torrioni e se ti avvicini

al parapetto, sembra si senta

un sussurrare di balie

loquaci raccontare agli infanti

d’Aragona e di Navarra favole

che iniziano con la parola

Turritania

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Salvatore Fancello – Dorgali

 

 

 

Umbra ‘e monte

O monte chi m’imbias[1] dae puntas

un’arcana figura accuconada

de una ‘etza prechende imbenujada

chin su rosàriu e chin sas manos juntas.

Cussas predas chi ruen a fiottos

dae su trempale tou istatuàriu

paren sos ranos de cussu rosàriu

irgranados a isòrvere sos votos.

E s’intumbu chi istronat in sas attas

de s’astore chi cantat a su ‘entu

paret chi niat chin cussu lamentu

de sas cosas prumintas mai fattas.

Sas àndalas chi surcan su padente

impoveridu dae su seca e pica

paren sas prigas de sa zent’antica

testimonzende su tempus presente.

Sa dispensa in sa pala ‘e sos ghiroes

non bendet pius carburo nen zigarros,

e in sa serra non colan sos carros

falende conca a badde chin sos boes.

Su cuile custode ‘e medas penas

desertu e mesu ruttu in sas murallas

non dat sinnos de sonos de metallas.

Nen de pastores durches cantilenas

s’intenden in sos pàsculos desertos,

e de tidoris[2] sun pacos sos bolos,

in sos passiales ispozos e solos

non colan turdos in chelos apertos.

Eppuru custas trempas anticòrias

campos de tribulia e de affannos

an bidu crescher e fagher a mannos

ómines chi lassadu an sas memòrias.

Ma oie inoghe, a su cantu ‘e sos rios

da cussa punta chi mirat su mare

paret chi isettes a bider torrare

a custos logos sos fizos fuios.

Gasi prechende che figur’arcana

non ti losingan nen frinas nen bentos…

e sola restas chin sos sentimentos

addolorida e trista ‘etza muntana.

 


Menzione d’Onore

Gianfranco Garrucciu – Tempio

 

 


 

A fumà pinsamenti

 

 

A fumà pinsamenti

in chista bitta

cunsumita e tolta

ruggjinosa d’anticu

e di funi isciolta

chi no cunnosci più

lu nuscu di lu sali

e di lu mari

luzzinosu e bruttu

ch’arreca solu aldori

di muntinaggji noi

e venti puzzinosi.

A fumà pinsamenti

o traggji mai cantati

e trami di ciurrati

scunti, irrisolti

undi celta simmai

è la me’ molti

gràida d’aggrai

chi gjugna dì mi polti

chena dammi, risulana

una spiriata di luci

o lu scaldì d’un soli.

A fumà pinsamenti

illi me’ boli

chi so di chist’agghìriu

lu criscimentu gali

a alti piai

e a mal gastati sònnii

chi un tramontu nuali

no sa, a l’intrinata

turrà a vita noa

chist’ànimu

ch’ingrispi

e faci proa.

 

 

 

 

 

 

Fumando pensieri

 

 

Fumando pensieri

in questa bitta

consumata e storta

di ruggine antica

e libera da funi

che non conosce più

il profumo del sale

e del mare

melmoso e sporco

che porta solo il fetore

di nuovi mondezzai

e venti maleodoranti.

A fumare pensieri

o canzoni mai cantate

o trame di giornate

vuote, senza senso

dove certa semmai

è la mia morte

gravida delle pene

che ogni giorno mi dai

senza portarmi, ridente

uno sguardo di luce

o lo scaldare di un sole.

Fumando pensieri

nei miei voli

che sono del veleno

il corrispondente germoglio

di altre piaghe

e di sciupati sogni

che un tramonto nuovo

non sa, all’imbrunire

ridare nuova vita

a quest’animo

che raggrinzisce

messo a dura prova.

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Vincenzo Mura – Pattada

 

 


 

Chirca

 

 

Creschet s’iscuru in sa pioa.

Un’amore chircat gròria.

Unu poeta prammizat sa luna

in chirca de solesa

e de muta.

Unu ‘etzu chircat paghe

istraccu

de reottas e còidas.

Deo, s’ausentu de sentidos

chirco.

Arcanas sun sas camineras ideoltas

dissignadas dae su trementu.

 

Chirco de ammasettare sas dies

de sa chivìglia mia

cun ammentos biados

de oras impreadas

e m’ammanitzo a cuntrastare

s’éremu chi est pro nde falare

subra sas ideas corriattas.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricerca

 

 

Il buio avanza nella pioggia.

Un amore cerca gloria.

Un poeta scruta la luna

in cerca di solitudine

e ispirazione.

Un vecchio cerca pace

stanco

di conflitti e ripieghi.

Io, la quiete dei sensi

cerco.

Misteriosi sono i sentieri contorti

disegnati dalle tenebre.

 

Cerco di ammansire i giorni

del mio scontento

con ricordi buoni

di ore usufruite

e mi preparo a combattere

il deserto che incombe

sulle idee forti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Anna Cinzia Paolucci – Alghero

 

 


 

Les inquietes habitacions

 

 

Dins les inquietes habitacions de la meva ment

s’apleguen espectres sorollosos

com un cavall selvatge piafant.

Dins les inquietes habitacions de la meva boca

un embús de suaus somnis

amb el sabor de mannà i albercoc.

Dins les inquietes habitacions del meu cor

un aldarull de sang

llames de llum i amor.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le inquiete stanze

 

 

Nelle inquiete stanze della mia mente

si affollano spettri rumorosi

come un cavallo selvaggio scalpitante.

Nelle inquiete stanze della mio bocca

un ingorgo di soffici sogni

dal sapore di manna e albicocca.

Nelle inquiete stanze del mio cuore

un subbuglio di sangue

lame di luce ed amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Marinella Sestu – Iglesias

 

 


 

Fràgulas

 

 

M’azzuzzuddat sa peddi

custu merì

de arrosas e suspirus

e de pensamentus

a duus passus de mari

in coro allogu

sperus sinzillus

froccus de bentu

giogus de sali.

 

In manu

riluxint

fràgulas succiosas

chi astèsiant de s’ànima is mudesas

in mesu a is didus

frammas de drucesa

s’ùrtima prenda

innantis de scurigai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fragole

 

 

Mi trema nella pelle

questa sera

di rose e sospiri

e di pensieri

a due passi dal mare

conservo dentro il cuore

sogni sinceri

fiocchi di vento

giochi di sale.

 

In mano

risplendono

fragole succose

che tolgono dall’anima i silenzi

dentro le dita

fiamme di dolcezza

tesoro estremo

prima d’imbrunire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menzione d’Onore

Giuseppe Tirotto – Castelsardo

 

 


 

Primmu schjarià furisteri

 

 

Chissu primmu schjarià chena sonnu

abbandunaddu i’ lu pettu di un mari

accesu da la frina. Mari mari

appena cabuladdu cu’ la bèrtula

d’anni ancora in fiori, e affichi

da sbruccà in logghi noi

e in cari tutti da invintà.

 

Longa la notti longa l’isprisciòria,

più silinziosi d’altri li silenzi

chi avvisavu cumenti da lu cori

pisassi un trinigori stranu

a spaglì in ghjru l’odori d’antigghi

mezzudì d’istaddiali, candu

a li freschi faldali di la murighessa

paria miriaggà cantu imbarava

d’umbra e di muddori in terra.

Trimmulava lu mari cilistrinu

e luntanu, bianchisgina e sviludda

la calura i’ lu caminu,

sbattìani li piggioni l’ali

i’ lu spicchju arruiaddu di la dì.

 

Dabboi un trenu, una fràbbigga, una

càmmara chena fotografii,

un pinsamentu a la terra, cussì

dolci, cussì ùmmula i’ li diddi,

cussì distirradda a paru a l’amigghi

pa’ cidddai e paesi, cussì li rimpienti

e li spiranzi chi ghjà ci murìani

innantu a li labbri in paràuli angeni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima alba forestiera

 

 

Quel primo albeggiare senza sonno

abbandonato sul seno di un mare

acceso dalla brezza. Mare mare

appena varcato con la bisaccia

degli anni ancora in fiore, e speranze

da sciogliere in luoghi nuovi

e in volti tutti da inventare.

 

Lunga la notte lunga l’attesa,

più silenziosi d’altri i silenzi

che avvertivo come dal cuore

levarsi un tremito strano

a spargere attorno l’odore d’antichi

mezzodì estivi, quando

alle freschi fronde del gelso

sembrava riparare quanto restava

d’ombra e di silenzi sulla terra.

Tremolava il mare turchese

e lontano, biancastra e noiosa

la calura sul sentiero,

sbattevano gli uccelli le ali

sullo specchio arroventato del giorno.

 

Poi un treno, una fabbrica, una

stanza senza fotografie,

un pensiero alla terra, così

dolce, così soffice tra le dita,

così in diaspora come gli amici

per città e paesi, così i rimpianti

e le speranze che già ci morivano

sulle labbra in parole straniere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


SEZIONE B

Poesia in lingua sarda, inedita e mai premiata, riservata agli alunni della scuola dell’obbligo

1° premio

“Ti cherzo ammentare” di Giuseppe Era

Classe 2ª – Scuola Secondaria di 1° grado

Istituto Comprensivo di Florinas – Florinas

Insegnante: Vanna Ledda

 

Il ricordo del nonno che non è più, racchiuso in una delicata immagine di serenità, anziché nella triste e spesso dolorosa evocazione della morte. Sétzidu addaenanti de su balcone, / cuntentu mandéndemi in bonora, / pro sempre ti cherzo ammentare. Lirica essenziale, nella sua freschezza e semplicità, che trasmette emozioni e sentimenti.

 

 

Ti cherzo ammentare

Innanti de ch’ ‘essire a iscola,

pro ti saludare falaia in s’iscala.

E tue, cun su risu in laras,

in bonora mi che faghisti ‘essire.

Ma unu manzanu de santandria

mama non mi b’at fattu falare

e deo apo cumpresu.

Non bi falo pius in cuss’iscala.

Sétzidu addaenanti de su balcone,

cuntentu mandéndemi in bonora,

pro sempre ti cherzo ammentare.

 

 

 

 

2° premio

“Àlbure ‘e ierru” di Cristina Borrodde

Classe 4ª elementare

Laboratorio di Poesia e Lingua Sarda Associazione Culturale Elighes ‘Uttiosos – Santu Lussurgiu

Insegnante: Francesca Manca

 

Il tema della speranza trattato con una illuminante ed efficace metafora sull’evoluzione delle stagioni… e quindi della vita. Gli alberi spogli dell’inverno chi spranghen de tristesa e soledade attendono, fiduciosi, l’arrivo della primavera (at a torrare su ‘eranu) per rivestirsi di nuove foglie, nuovi fiori e colori. Uno sguardo al positivo verso il domani… nonostante la difficile contingenza dell’oggi.

 

Àlbure ‘e ierru

Est nua.

At pérdidu su ‘istire suu.

Sos colores de s’atonzu

dd’an abbannonada.

Sos rampos suos erettos

abbàidan car’a baltu,

pranghen

de tristesa e soledade.

Fintzas deo seo trista

po issa.

At a torrare su ‘eranu,

comente maja

amus a bier sas fozas,

an a ispragher sos frores

e at a tenner

unu ‘istire nou.

 

3° premio

“Su nie” di Giulia Chessa

Classe 2ª – Scuola Secondaria di 1° grado

Istituto Comprensivo di Florinas – Florinas

Insegnante: Vanna Ledda

 

Solo gli occhi dei bambini e il cuore dei semplici sono capaci di vedere in Su nie… falende a bellu a bellu e che covaccat tottu, domos e carrelas, un mondo che, si trasforma, cambia d’abito non solo fisicamente, con l’imbiancarsi del paesaggio, ma che si tramudat nell’anima isettende cosas bellas. / De pasu si pienat su coro / e dogni affannu paret chi allenet. Versi ben costruiti, asciutti ed essenziali, intrisi di serenità e speranza.

Su nie

Su nie, lébiu e biancu,

est falende a bellu a bellu.

Covaccat tottu, domos e carrelas.

Su mundu si tramudat

isettende cosas bellas.

De pasu si pienat su coro

e dogni affannu paret chi allenet.

Menzione d’Onore

“S’abba” di Luca Cossu

Classe 2ª – Scuola Secondaria di 1° grado

Istituto Comprensico di Florinas – Florinas

Insegnante: Vanna Ledda

 

 

 

 

 

 

S’abba

S’abba est sa vida.

Su coro mi dolet

cando pesso a chie non nd’at.

Morzende sun in aterue mannos e minores

chena chi chie nd’at meda

si leet pessamentu.

Menzione d’Onore

“Poesia” di Alice Deriu

Classe 1ª media

Laboratorio di Poesia e Lingua Sarda Associazione Culturale Elighes ‘Uttiosos – Santu Lussurgiu

Insegnante: Francesca Manca

 

 

 

 

 

 

Poesia

No est su versu,

no est s’istrofa

chi faghet sa poesia,

ma, sun peràulas

chi ‘essin dae su coro.

Menzione d’Onore

“Su criadu” di Elisa Guspini

Classe 1ª media

Laboratorio di Poesia e Lingua Sarda Associazione Culturale Elighes ‘Uttiosos – Santu Lussurgiu

Insegnante: Francesca Manca

 

 

 

 

 

 

Su criadu

Unu logu illaccanadu,

areste,

prenu de segretos

cuados,

prantas,

animales.

Tottu de iscoberrer

e in continu

cambiamentu.

Tzertos

ddu distruen,

non pentzan.

Non prus campagnas

illaccanadas,

ildes;

solu velenos

e mancàntzia de vida.

ALBO D’ORO

Vincitori prima edizione (2006/2007)

Sezione A:

poesia in lingua sarda                                                                        Antonello Bazzu            Sassari

Sezione B:

poesia in lingua italiana                                                                        Antonello Bazzu            Sassari

 

 

Vincitori seconda edizione (2007/2008)

Sezione A:

lingua sarda, aperta a tutti Angelo Porcheddu Banari

Sezione B:

lingua sarda riservata agli alunni della scuola dell’obbligo            Pietro Giola                        Florinas

 

 

Vincitori terza edizione (2008/2009)

Sezione A:

lingua sarda, aperta a tutti Giovanni Piga Nuoro

premio speciale poesia tradizionale Giovanni Soggiu Bonnanaro

Sezione B:

lingua sarda riservata agli alunni della scuola dell’obbligo            Matteo Brancazzu            Thiesi

Giovanni Messina            Thiesi

 

 

Vincitori quarta edizione (2009/2010)

Sezione A:

lingua sarda, aperta a tutti Anna Cristina Serra San Basilio

premio speciale poesia tradizionale Angelo Porcheddu Banari

Sezione B:

lingua sarda riservata agli alunni della scuola dell’obbligo            Giovanna Guspini            Santu Lussurgiu

 

 

Vincitori quinta edizione (2010/2011)

Sezione A:

lingua sarda, aperta a tutti Vincenzo Mura Pattada

premio speciale poesia tradizionale – ex aequo Gianfranco Garrucciu Tempio

premio speciale poesia tradizionale – ex aequo Angelo Porcheddu Banari

Sezione B:

lingua sarda riservata agli alunni della scuola dell’obbligo            Cinzia Fancello                        Dorgali

Vincitori sesta edizione (2011/2012)

Sezione A:

lingua sarda, aperta a tutti Gonario Carta Brocca Dorgali

premio speciale poesia tradizionale Maurizio Faedda Ittiri

premio speciale Maria Chessa Lai Antonio Brundu Orani

Sezione B:

lingua sarda riservata agli alunni della scuola dell’obbligo            Giuseppe Era                        Florinas



[1] proietti

[2] colombacci

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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