Categoria : memoria e storia

Sas Pinettas de Chirralza e un angheleddu in Chelu di Antonio Maria Murgia

Sas Pinnettas de Chirralza

Essendoci trasferiti nei nuovi terreni, nel 1943, in Chiaramonti,  presso il nuraghe Chirralza, potevamo disporre dell’unico modulo grezzo di una casa rurale senza intonaco interno ed esterno con tetto spiovente anteriore e posteriore. La casa fu ampliata con un modulo anteriore, con muri a secco ai tre lati, con tetto spiovente di paglia e con porta d’ingresso.

Questa costruzione era stata fatta per la produzione dei formaggi: pezze, perette, ricotta. Tutte forme che potevano stagionare, ricevendo il fumo, collocandole in un piano superiore fatto di canne. Il complesso costruttivo cambiava rispetto al precedente, dotato di tre belle stanze tutte intonacate. Mia madre commentò:

– Siamo finiti come gli Abissini.-

– Mio padre costruì anche quattro pinnettas : costruzioni circolari a secco di grosse pietre di trachite di vario colore, col tetto a capanna di forma conica, supportato da tronchi di olivastro verticali e orizzontali e ricoperto con paglia di frumento, su restuiu, su cui l’acqua poteva scorrere senza penetrare all’interno. Nel fiume Chirralza abbondava il giunco, che veniva raccolto e lavorato per le legature sia dei tronchi verticali che di quelli orizzontali sia per trattenere la paglia di copertura. Ogni capanna misurava circa 30 metri quadrati e potevano ben soddisfare le necessità della nostra azienda agropastorale.

Un angheleddu in chelu

A mio padre si presentò l’occasione di prendere in affitto da un certo Zapalà tra il 1942/43, residente a Laerru, un terreno confinante con i nostri. Fatto il contratto pensò di aumentare il personale, assumendo due famiglie con i rispettivi figli e figlie, per un totale di 20 persone. I ruoli da questi svolti erano quelli di pecorai, caprai, contadini che coltivavano cereali e legumi in particolare grano, orzo, avena e fave. Ricordo che a causa della coltivazione di questo legume venne a morire mio fratello Carlo di 4 anni. Il medico acconsente gli praticò a sproposito un’iniezione che lo portò all’altro mondo. La mattina, prima della morte, ci eravamo recati a giocare in mezzo alle fave in fiore, mio fratello avvertì subito un malessere, divenne pallido, si sentì subito male, ci presentammo in casa, informando i nostri genitori. Mio padre sellò il cavallo, e partirono con mia zia Tomasina in paese dal dottore, la sera rientrarono senza mio fratello, volato in cielo, dissero a noi bambini.

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