Categoria : memoria e storia

“Tarsilla Mannu (1920-1994), a cento anni dalla nascita” di Ange de Clermont

Tarsilla Mannu
(1920-1994)

Tarsilla Mannu nacque a Chiaramonti il 5 maggio 1920 nello stesso anno in cui nacque Nino Soddu, il fondatore del PCI in paese, e don Giommaria Dettori, a Siligo, parroco per quasi 40 anni di Chiaramonti e come spesso ricordava era anche coetanea di Giovanni Paolo

Quest’anno avrebbe compiuto cent’anni e perciò vogliamo ricordarla cercando di tracciare un breve profilo storico della sua vita che va dal 1920 al 1994, visto che visse 74 anni e mezzo, essendo deceduta il 19 novembre 1994.
Il padre, Sebastiano Mannu (1870-1848) era figlio di Antonio Maria  Mannu che era figlio di Sebastiano Mannu oriundo di Ossi.
La madre era Vincenza Soddu.
I Mannu erano rossicci di capelli e di occhi celesti.

Tarsilla Mannu

La madre, Domitilla Ruiu, era figlia di Giomaria Ruiu e di Giovanna Maria Mura tutt’altro che chiaramontese. Il connubio tra Sebastiano Mannu, vedovo di Rosa Campus con la quale si era sposato a 24 anni nel 1885, e quindi in seconde nozze, a Domitilla Ruiu, ancora nubile, produsse numerosa prole. Elencandoli per ordine, prima i maschi e poi le femmine, Silvio, Tigellio, Daniele; Clelia, Tarsilla, Cesarina. Contrariamente alle leggi di Mendel in questa famiglia nacquero tutti con capelli tendenzialmente biondi o rossi e occhi celesti. Un caso raro perché generalmente gli occhi celesti e i capelli biondi e rossi sono considerati recessivi, per cui pochi figli e figlie nascono biondi e con occhi celesti da una coppia dai capelli biondi e dagli occhi celesti. Non in questa famiglia in cui i capelli rossi e gli occhi celesti paterni combinarono un bel risultato. Probabilmente anche l’antenata Mura doveva essere gallurese con tanto di occhi celesti e capelli rossi o biondi, per non parlare dei Ruiu.
La statura, invece fu varia, il padre piccolo, ma la moglie alta, i figli di alta statura, le donne di varia statura.

Tarsilla e Cesarina

Un giorno capitò a Chiaramonti Aldo Moro, lasciato in macchina dal suo autista in mezzo alla piazza, nessuno dei “feroci” comunisti lo salutò, passò nel mentre Tarsilla, che era comunista come il marito Matteo, e vedendo l’ospite illustre ignorato dai crocchi dello Stradone, fu spinta a gridare, con scandalo dei compagni comunisti:- Evviva Moro evviva la Democrazia Cristiana.- Avvicinandosi a Moro e stringendogli la mano. L’uomo politico le sussurrò:

-Ma lei è di queste parti?- Lei rispose di si.

Tarsilla Mannu aveva una statura superiore alla media delle donne chiaramontesi, occhi celesti e capelli biondi. Era nata nell’anno conclusivo sia della peste spagnola sia del biennio rosso. Crebbe fin da piccola nel clima caotico della fine della prima guerra mondiale in cui gli ex combattenti, i nazionalisti, gli agrari del Sud e gl’industriali del Nord favorirono l’ascesa al potere dell’ex socialista rivoluzionario romagnolo Benito Mussolini che aveva organizzato un partitino, ma anche delle squadracce per interventi punitivi nei confronti degli avversari. Mussolini consolidato il potere, sciolto il Parlamento, fondò nel 1926 la GIL, la Gioventù Italiana del Littorio dove confluirono tanto i ragazzi quanto le ragazze. Tarsilla, purtroppo, perse la madre a 7 anni. Domitilla Ruiu, nata nel 1878, morì improvvisamente nel 1927, lasciando al marito e ai figli, ancora minorenni, due esercizi a Chiaramonti, un bar tabacchi e un vero e proprio bazar dove si vendeva di tutto. La sorellina di Tarsilla, Cesarina, aveva 2 anni. mentre la grandicella Clelia ne aveva 14. Gli altri fratelli erano ancora minorenni e di varia età.

1950: Tarsilla con figlie
         e figlio Marino

Sebastiano Mannu, piccolo di statura, con baffi umbertini, occhi celesti e capelli rossi, non perdette tempo e si sposò in terze nozze con una Spanu di Martis. Dalla Spanu ebbe una figlia, Sebastiana, tuttora annosa, ma vivente.  Questa brava terza  moglie si fece carico della numerosa prole aiutando l’ormai  cinquantasettenne Sebastiano al quale diede appunto una figlia.
Sebastiano era un tipo sveglio, ottimo e artistico ciabattino e bravo vignaiolo e frutticultore oltre che agricoltore come molti artigiani in paese.

 

Sebastiano Mannu
in Codinas

A contare il numero dei figli ne ebbe tre di cui due morti subito dal primo matrimonio con Rosa Campus con la quale si sposò nel 1885 a venticinque anni, lei ventiduenne, sopravvisse Lucio, gran giardiniere della Costa Azzurra e proprietario di una villa invidiabile a Clermont Ferrand, visto che emigrò in Francia, sei da Domitilla Ruiu che era più giovane di lui di 8 anni e una figlia dalla terza moglie, quindi in tutto otto figli viventi.

 

Domitilla Ruiu Mura

Domitilla Ruiu [sulla tomba figura nata nel 1880, invece era nata nel 1878]; dalla terza moglie invece ebbe una sola figlia, alla quale dette il proprio nome di Sebastiana. Anche questa povera donna gli morì precocemente. Lui, scomparve a 78 anni, nel 1948. Alla sua morte Tarsilla, era già sposata, essendo convolata a nozze nel 1936, a 16 anni, con Matteo Satta, figlio di Antonio Satta e di Francesca Mannoni. Antonio Satta era figlio di Giovanni Maria Satta Tedde-Grixoni, figlio di Antonia Tedde Tanca Grixoni, a sua volta figlia di Donna Digna Grixoni che si era sposata con Matteo Luigi Tedde-Tanca.
Tarsilla frequentò le scuole fino alla terza elementare c com’era d’uso allora e la maestra vistala agile e bella si diede da fare per spedirla nel vivaio ginnico delle giovani italiane del Littorio a Roma, ma lei non volle muoversi dal paese anche se amò partecipare a Codinarasa alle manifestazioni ginniche del sabato.
Il primo figlio di Tarsilla Mannu e di Matteo Satta, Benito, nato nel dicembre del 1936 morì prematuramente di lì a qualche mese. I giovani coniugi furono da presto messi alla prova dalla vita perché Matteo, a 19 anni fu chiamato alle armi e  lei nella speranza di poterlo vedere periodicamente, partì a Roma, dove era già residente il fratello maggiore Daniele arruolato nella  Polizia.

Trovò lavoro di collaboratrice domestica presso una famiglia patrizia romana dove ebbe modo di ammirare quadri di autori famosi, piccole sculture e respirare aria di grande cultura. Questi datori di lavoro erano amantissimi dei fiori. Quasi tutti i fratelli e le sorelle Mannu raggiunsero Roma dove ebbero modo di trovar lavoro o adempiere, i maschi, ai doveri militari di leva come Tigellio.
Nel corso della sua esistenza Tarsilla accennò sempre alla raffinatezza dei suoi nobili datori di lavoro  e, data la sua bellezza, agli apprezzamenti che sempre ne ebbe. Questa parentesi per la giovane donna non durò molto perché il marito Matteo fu mobilitato e spedito in Albania. Non avendolo incontrato nel trambusto delle varie stazioni romane, lo raggiunse nelle more  dell’imbarco a Bari.
Per i due giovani fu un incontro davvero felice e lei rimase incinta di quella figlia che avrebbe determinato la salvezza del coniuge.
Si era alle fine del 1940 e Mussolini, viste le imprese di Hitler nel Nord Europa, pensò di imitarlo occupando l’Albania e la Grecia. Tarsilla, rientrata a Roma, visto lo stato evidente di gravidanza dovette congedarsi dalla famiglia nobiliare presso cui prestava servizio e rientrare a Chiaramonti. Il 13 aprile 1941 nacque Maria Teresa. La notifica della nascita raggiunse la burocrazia militare che provvide a concedere al caporale maggiore Matteo la consueta licenza che si dava per la nascita di un figlio. Salutò i suoi compagni, raggiunse Bari e poi Civitavecchia   dove s’imbarcò per la Sardegna. Raggiunse con immensa gioia Chiaramonti dove conobbe la sua secondogenita e nei fatti divenuta primagenita.
Nel frattempo, in Albania, la situazione peggiorò e gl’italiani furono costretti ad andar via  precipitosamente. Mentre la nave con circa 2500 soldati attraversava il canale di Otranto fu silurata da un  sottomarino inglese e così i compagni di Matteo, con l’affondamento della nave, andarono incontro alla peggiore delle morti.
La gioia per la nascita della figlia “salvatrice” e la tristezza per la perdita dei compagni attraversarono il cuore e i sentimenti dei due ancor giovani coniugi. Matteo aveva 25 anni anni, essendo nato nel 1916 e Tarsilla 21 anni. L’incontro fecondo di Bari aveva salvato la vita di Matteo e Tarsilla potè ringraziare davvero il Cielo. I due coniugi si rammentarono per tutta la vita di questi avvenimenti dando merito alla loro figlia per la salvezza del padre.
Terminata la licenza Matteo  fu ricoverato nell’Infermeria Presidiaria di Sassari ed ottenne altri 30 giorni di licenza in tal modo passò tutto il settembre del 1941 tra Sassari e Chiaramonti e rientrò in territorio di guerra soltanto alla fine di ottobre dello stesso anno. Per Tarsilla furono momenti di gioia e di sollievo e anche di miglior sussistenza economica quei 45 giorni che il giovane coniuge passò con lei. In tempo di guerra, tuttavia, anche i momenti più felici sono interrotti dal richiamo e dagli spostamenti repentini.
Infatti, Matteo, sul foglio matricolare viene segnalato ai primi di febbraio del 1942 nell’ospedale da campo 631 nella V compagnia di sanità a Trieste durante l’attacco alla Croazia, ma alla fine del 1942, con grande sollievo per Tarsilla, verso ottobre, previa licenza di 15 giorni,  rientrò al distretto di Cagliari  e subito  trasferito ad Ozieri dove godette di varie licenze in famiglia. Al rientro in Sardegna, durante  15 giorni di licenza, la giovane moglie rimase incinta  della secondogenita  e così nell’agosto del 1943 gli nacque la secondogenita Domitilla.
Così, all’età di 24 anni, Tarsilla si trovò da sola ad allevare due figliolette, con tutti i problemi connessi. Le frequenti licenze da Ozieri permisero a Matteo di stare più vicino alla consorte che poteva agevolmente beneficiare del soldo militare del marito. Da rimarcare che i due coniugi, grazie alla vasta casa dei Mannu, poterono usufruire di un loro appartamentino, ma anche degli aiuti dello stesso padre Sebastiano Mannu. L’andirivieni di Matteo tra Ozieri e Chiaramonti resero meno aspro questo periodo difficile di Tarsilla.
Nel 1945, a guerra finita, Matteo poté rientrare definitivamente  in famiglia e per Tarsilla significò la fine di un incubo. Nel frattempo nel 1944 era nata Francesca e la famiglia cominciava a farsi più numerosa.  Vita di madre e di sposa, ma anche di commerciante nella gestione di un piccolo negozio di abbigliamento costituito da abiti e vestiti americani.
Iniziava ad ogni modo il cosiddetto periodo del secondo dopoguerra, quando la gente, si adoperò per la ricostruzione degli sfasci della guerra. Grazie ai Rockfeller fu eradicata la più che millenaria malaria che come una peste permanente aveva sempre mietuto vittime e danneggiato la salute dei sardi costretti a morire di febbri malariche o ad indebolirsi con varie settimane con la febbre a 40. Ebbero inizio allora anche la costruzione delle prime infrastrutture stradali. Le donne chiaramontesi, madri o figlie adolescenti, erano costrette a recarsi in Funtana Noa per lavare la biancheria e all’acquedotto per rifornire la casa per l’acqua da bere. Un lavoro massacrante che tutte le donne  affrontavano sperando che finalmente com’era arrivata nel 1927 la luce elettrica arrivasse anche l’acqua corrente. Queste infrastrutture furono realizzate negli anni Cinquanta. Dai coniugi, finalmente riuniti, nacquero tra il 1949-1950 altri due figli, Marino e Fausto, finalmente due maschietti, dopo la sfilza di femmine.
La società chiaramontese in quegli anni in concomitanza con altri paesi della Sardegna andò incontro al cambiamento. Alla fine della guerra Americani e Russi si divisero le zone d’influenza sia politica sia economica. L’Italia fu al confine tra l’influenza sovietica e quella americana, ma facente parte del settore americano. Esplose la democrazia, ma l’Italia si divise  in due orientamenti politici  tra il grosso partito popolare della Democrazia Cristiana, d’ispirazione occidentale e il Partito Comunista Italiano d’ispirazione sovietica.  Nel dopoguerra i due grossi partiti concorsero a stilare la Costituzione repubblicana, dopo aver abolito con un referendum la monarchia, e iniziarono a governare uniti, ma la scelta occidentale della Democrazia Cristiana e gli stessi americani pretesero che il PCI fosse messo fuori del governo. La Chiesa, vista l’ideologia materialista e dittatoriale dei comunisti sovietici, si schierò con la grossa associazione dell’Azione Cattolica, capitanata da Gedda, per la Democrazia Cristiana e la ebbero vinta anche se il PCI col controllo delle piazze e del sindacato rosso non diede tregua per le lotte a favore dei ceti popolari e operaistici. I democristiani ebbero sempre l’appoggio dei ceti agrari almeno fino alla Legge Segni del 1953 che espropriò parte dei grossi proprietari terrieri a vantaggio dei ceti contadini. In tal modo i grossi proprietari si allontanarono dalla Democrazia Cristiana.
Matteo, che a Rimini era stato indottrinato al comunismo da un capitano dell’esercito, concorse con Nino Soddu e altri alla fondazione del PCI in paese  La moglie Tarsilla seguì le idee del marito. La scelta operata dalla Chiesa nella battaglia elettorale a favore della D.C. e l’ideologia di stampo materialistico-storico allontanò ovunque in Italia, ma soprattutto in Sardegna, gli uomini degli strati sociali meno abbienti dalla religione vista come oppio del popolo e di supporto al capitalismo agrario e al ceto agro-pastorale che si orientò verso la Democrazia Cristiana. Matteo e Tarsilla, tuttavia, non persero la fede sebbene in polemica dura con la Chiesa e curarono come tutti in paese la formazione religiosa delle figlie e dei figli con l’assunzione sia del sacramento del Battesimo sia della Prima Comunione e la frequenza dell’asilo gestito dalle Povere Suore Scolastiche di nostra Signora di Gorizia che nel pomeriggio impartivano oltre al Catechismo anche canto, teatro, musica, cucito e ricamo.

Matteo Alpino Brigata Iulia

Matteo, imparentato con gli agrari Falchi, non volle lavorare sottomesso ai parenti benestanti e preferì fare la scelta operaia, per cui, offertagli l’occasione presso l’Impresa dei Crovetti che aveva vinto l’appalto della strada che da Osilo doveva raggiungere San Lorenzo e che avrebbe assicurato il lavoro continuativo per cinque anni con la qualifica di Caposquadra, lasciò  Chiaramonti e si trasferì con tutta la famiglia a Osilo.
La famigliola allora era costituita da Matteo e Tarsilla, da Maria Teresa, Domitilla, Francesca, Marino e Fausto.

Saggio-ginnico-a-Codinarasa

Furono cinque anni di serenità e di soddisfazione economica. La scelta per l’industria di Matteo si rivelò vincente perché fu ben pagato e i due coniugi cominciarono a pensare alla grande casa da costruire nel paese alle pendici della collina ancora intatta di San Matteo. Dopo alcuni anni vendettero la casa paterna di Carrela Longa in Chiaramonti   e comprarono nello stesso paese un bel lotto non molto lontano dalla cabina della luce, cominciando a sognare.
Le ragazze ricordano quella stagione come la più bella della loro infanzia e adolescenza. Maria Teresa fu avviata al ricamo presso l’asilo delle Figlie della Carità, mentre Domitilla e Francesca ripresero a frequentare la scuola elementare. La prima frequentò dalla seconda alla quinta, la seconda dalla prima alla quarta. I due piccoli frequentarono l’asilo e parteciparono sovente alle commediole organizzate per i genitori e per il pubblico. Si crearono nuove amicizie familiari e Tarsilla, avendo l’alloggio preso in affitto l’acqua corrente, potè evitare le faticose levatacce alle quattro del mattino per lavare i panni a Funtana Noa. Osilo, da cui vedevano Chiaramonti lontano, sarà sempre ricordato come un periodo felice in cui la famiglia costituita dalla giovane coppia e dai figli non fu disturbata dalla presenza delle famiglie contigue parentelari come a Chiaramonti. Tarsilla fu molto ammirata nel paese data la sua avvenenza e Matteo onorato vista l’influenza che poteva esercitare sui datori di lavoro nel far assumere operai del paese. Furono proficue e calorose anche le amicizie strette nella frazione di San Lorenzo da cui arrivava nel corse dell’anno frutta e prodotti campestri di ogni genere in regalo.

La famiglia

Come tutti i periodi belli delle famiglie hanno una fine e nel 1954, dopo un periodo in cui furono incerti se accettare in appalto a Sassari la mensa universitaria decisero per il rientro a Chiaramonti dove l’area della casa attendeva di essere costruita. Dopo il rientro a Chiaramonti, a Matteo fu offerto un posto di capocantiere a Sassari nel costruendo palazzo degl’impiegati  dell’INPS presso cui doveva resistere giorno e notte. Seguirono quindi altri  quattro anni di sacrifici perché fu costretto a separarsi dalla famiglia resiedendo a Sassari sia pure con frequenti visite di Tarsilla che si può dire non lascio mai del tutto in solitudine il marito andandolo a trovare e a soggiornare a settimane alterne presso di lui.
Il miraggio della casa richiese purtroppo quei sacrifici. Le tre ragazze, ormai grandicelle, sapevano destreggiarsi nel governare sia i due piccoli ormai scolarizzati sia gestendo un negozietto di alimentari e coloniali data la licenza ereditata dai Mannu. Nei fine settimana e nelle ferie intanto iniziavano gli scavi e molti metri cubi di tufo furono scavati e portati via. Si sognava ad occhi aperti nella famiglia che risiedette al rientro ad Osilo in un alloggio dei Coda e successivamente in un minuscolo alloggio delle sorelle Murruzzulu. I tempi si allungavano rispetto al previsto periodo di due anni, ma finalmente nel 1962 la famigliola poté occupare la nuova casa che si ergeva superba nel retro del palazzo scolastico rivolta verso est e s’inerpicava con due bei gradoni di giardino verso ovest. I due coniugi, ormai adulti, ma pur sempre giovani fecondi,   nel 1958 concepirono un’altra figlia, Maria Antonietta che nacque l’anno successivo. Tarsilla tornò così ad allattare, ma grazie alla presenza in casa delle figlie ormai signorinette, il suo ruolo di madre fu fortemente alleggerito. Più tardi resterà incinta altre due volte, ma le gravidanze non andarono a buon fine.
Nel momento in cui la famiglia bene accasata poteva stare tranquilla ecco che nel 1961 Domitilla, la secondogenita, fu chiesta in sposa dal figlio di una cara amica  di giovinezza morta precocemente. Riluttanti in un primo tempo furono costretti ad accettare un evento a cui non erano preparati. Fecero fronte anche a quest’incombenza e nel settembre del 1963 dalla bella casa Matteo con la figlia vestita da sposa poté percorrere col corteo familiare tutta la futura Via San Giovanni, non ancora asfaltata e nemmeno con tante case costruite, per accompagnare la figlia che col corteo di macchine si dirigeva a Sassari con a seguito il  futuro sposo dove nella chiesa di Sant’Agostino i due celebrarono le nozze con un corteggio di parenti e amici.
Anche le figlie e i figli presero residenza a Sassari alcuni anni dopo.
Il Piano di sviluppo sociale ed economico della Sardegna favorì la nascita della Zona Industriale di Porto Torres e le scuole per sfornare tecnici ad hoc favorì l’istituzione delle apposite scuole superiori. In tal modo tutti i figli beneficiarono sia delle scuole sia dei posti di lavoro dato il boom economico e i due coniugi videro ridursi la famiglia a due soli figli, Marino e Maria Antonietta, il primo entrò presto a lavorare nella zona industriale, seguito dal secondo fratello come tecnico. Le ragazze trasferitesi a Sassari trovarono posto rispettivamente in un nido provinciale, all’ospedale, e, l’ultima nata e vivente al Banco di Sardegna. I due coniugi, nell’arco di altri sette anni, restarono soli con Marino che viaggiava da Chiaramonti a Porto Torres e viceversa. Cinque figli tutti ben sistemati e stipendiati, la prima figlia, seguendo l’esempio materno tra i 20 e i 27 anni mise al mondo tre maschietti e una femminuccia. Per  Tarsilla e Matteo la nascita dei nipoti fu davvero una grande soddisfazione, mentre la casa andava arricchendosi di oli sempre più suggestivi, di fiori eccezionali al punto che le fotografie finirono nella rivista degli Sgaravatti e il giardino si arricchì di rose come Claire de Lune, Sofia Loren, Papa Giovanni e altri nomi celebri. Il sogno concepito nella casa patrizia romana si era avverato.
Mobili di pregio, quadri di un certo valore, fiori e rose celebri e l’intera casa arredata. Il poggiolo fatto studiare appositamente da bravi fabbri di Tula e tutta una serie di statue bambole regionali statua grandi e piccole e un’infinità di oggetti e oggettini in vetro e porcellana davvero deliziosi. La rivista Sgaravatti pubblicò la foto delle piamte grasse collocate lungo la scala.
I momenti magici per Tarsilla furono le processioni del ciclo dei Santi e della Vergine. La sua gioia era immensa quando al passaggio di Cristo, della Vergine e dei Santi poteva far piovere dal suo poggiolo i petali delle più meravigliose rose di Chiaramonti. D’altra parte Matteo aveva a disposizione un gradone del giardino dove faceva crescere dei pomodori cuore di bue davvero gustosi, ma il top lo raggiungeva quando realizzata la casa del forno, nelle feste più importanti dell’anno, poteva arrostire agnelli e porcetti dal sapore davvero squisito.
Tarsilla, la madre  prolifica di famiglia, la negoziante esperta, la moglie deliziosa, l’artista delle rose e delle ortensie, dell’arredamento e dei mille ninnoli aveva realizzato il suo sogno di fanciulla spensierata. Donna intelligentissima oltre che bella e fascinosa, da giovane aveva rifiutato l’arruolamento a Roma tra le atlete della Gioventù Italiana del Littorio, ma nel suo bel paese, nella sua casa aveva realizzato le sue aspettative. Matteo a 60 anni andò in pensione con un emolumento doppio rispetto a quello degli artigiani, aveva difeso la dignità del suo lavoro, aveva provveduto alle sue figlie e figli e poteva essere appagato, lei Tarsilla, sempre bella anche all’ingresso dell’anzianità poté godersi per 12 anni la sua deliziosa casa col marito che scomparve a 72 anni precocemente e all’improvviso, lei, in compagnia di un figlio e dei nipoti periodicamente visse ancora per altri sei anni e poi, in seguito ad un’operazione, si svegliò alle sei del mattino, si fece bella pur restando a letto aiutata dal personale delle cliniche, i medici, soddisfatti preparavano i documenti delle dimissioni. Si appisolò per un altra oretta. Quando alle sette l’infermiera si accostò a lei per farla alzare, scoprì il suo bel volto, la scosse, ma non ci fu niente da fare Tarsilla era stata chiamata a coltivare le rose della Regina della Pace di Medjugorie e di San Pio da Pietrelcina a cui era tanto devota. Aveva fatto il suo pellegrinaggio tanto alla prima quanto alla seconda località ora iniziava il suo pellegrinaggio verso le stelle.
Il suo corpo riposa  nella tomba di famiglia accanto a quello del marito  Matteo con cui aveva condiviso gioie e dolori per 58 anni 1936-1988.
Era sopravissuta con malinconia e con tanti mali per altri sei anni e si addormentò per sempre il 4 novembre 1994.

 

 

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