18 Dicembre 2016 - Categoria: eventi luttuosi, storia

Paolo Prodi (Scandiano 1932-Bologna 2016): uno storico esimio dell’Alma Mater, maestro esemplare di molti storici e dai filoni di ricerca storica originali di Gian Paolo Brizzi

paolo-prodiPaolo Prodi era nato a Scandiano nel 1932, terzo di nove fratelli, si trasferì dopo il liceo a Milano per frequentare, nell’Università Cattolica, la Facoltà di Scienze politiche. Seguirono, dopo la laurea, soggiorni di studio a Parigi, accanto a Jacques Maritain, e a Bonn ove entrò in contatto con Hubert Jedin, impegnato in quegli anni a scrivere la sua monumentale storia del Concilio di Trento. Fu Giuseppe Dossetti ad influenzare alcune scelte del giovane Prodi, inducendolo a trasferirsi a Bologna ove si stava costituendo il Centro di documentazione – divenuto poi Istituto per le scienze religiose – di cui divenne, accanto ad altri giovani ricercatori, uno dei più apprezzati animatori, collaborando, negli anni del Concilio Vaticano II, allo studio e all’edizione dei decreti dei precedenti Concili ecumenici. Nel vasto studio attorno alla figura del cardinale Gabriele Paleotti, primo e importante impegno di ricerca, sono ravvisabili alcuni successivi sviluppi di un incessante percorso storiografico, condotto con inesausta curiosità intellettuale fino agli ultimi giorni della sua vita. Uno dei suoi studi più noti, Il sovrano pontefice, pone in evidenza come la monarchia papale abbia costituito un modello per incorporare la religione all’interno della politica; da qui scaturì l’attenzione a cogliere nel complesso rapporto fra il sacro e il potere, quella tensione dialettica che ha rappresentato un punto di forza per la storia dell’Occidente ed uno dei caratteri fondativi della civiltà europea. Fin dal 1960, il suo magistero scientifico ha avuto come punto di riferimento principale Bologna, ma anche Trento e Roma, oltre ad alcuni dei più prestigiosi Istituti di ricerca storica in Germania e negli Stati Uniti. Paolo Prodi ha saputo coniugare l’impegno di studioso con un’attenzione costante ai problemi dell’Università e della ricerca, dapprima come preside della Facoltà di Magistero di Bologna, in seguito come rettore dell’Università di Trento dal 1972 al 1976, impegnandosi poi a dirigere l’Ufficio studi del Ministero della Pubblica istruzione e, in anni più recenti, ricoprendo la Presidenza della Giunta centrale per gli studi storici. Ha partecipato alla creazione della Associazione di cultura e politica Il Mulino e a lui si deve la creazione dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, che ha diretto per oltre vent’anni, e che rappresenta oggi una delle principali strutture di ricerca nell’ambito degli studi storici del nostro Paese. Paolo Prodi è stato anche un grande maestro e negli ultimi anni lamentava l’assenza di quel rapporto quotidiano con gli studenti che aveva coltivato con passione per oltre cinquant’anni. Nel rapporto con gli allievi e con i colleghi più giovani, egli sapeva usare una particolare discrezione: favoriva le scelte individuali, anche quando i temi erano distanti dal suo campo di interesse; sapeva attendere che ci si rivolgesse a lui per un consiglio e ti accorgevi allora come non avesse mai trascurato di seguire il tuo lavoro, pronto a trascorrere alcune ore con te per uno scambio di opinioni.

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17 Dicembre 2016 - Categoria: cristianesimo, memoria e storia, recensioni

Padre G. B. Mazella: relazione di una missione nel Centro Sardegna del 1919.

Erminio Antonello e Roberto Lovera, (a cura di), La Carità in azione.Epistolario di Padre Giovanni Battista Manzella, CLV Edizioni Vincenziane, Roma 2014, pp. 780 s.p.

manzellaL’epistolario, d’importanza fondamentale per conoscere la Sardegna dal 1900-1937 percorsa a piedi, a cavallo e in treno da G.B. Manzella talvolta da solo a volte con un compagno. Peccato che manchi l’indice dei luoghi e dei nomi, Un itinerario non solo geografico-missionario, ma anche spirituale e mistico con le corrispondenti. Paesi, fondazioni di asili, delle associazioni vincenziane come quelle della Dame della Carità e cento altre iniziative di ricoveri per anziani, per orfani e orfane. Storie di villaggi come quello di Stintino, di costruzioni di chiese e cento altre iniziative. Opera di evangelizzazione, ma anche di cammino verso la civiltà, Questa relazione, inserita tra le lettere, è un’emblematica descrizione della vita del missionario nel cuore della Sardegna. La pregnanza delle lettere è tale che potrebbe essere utile mezzo di studio per varie discipline universitarie.
Ci limitiamo a pubblicare questa relazione per offrire un assaggio della vita del grande missionario vincenziano. La Grande Guerra era terminata, ma per il missionario la lotta per l’inculturazione cristiana e umana continuava. (A.T.)

Novembre 1919

Si doveva dare la Missione a Santa Giusta, ma non ne sapevamo la data precisa. Mi recai al telefono e dopo sette ore di inutile atte- sa non potei mettermi in relazione con Oristano. Tornato a casa dissi al compagno signor Sategna: “Non ho avuto comunicazione con Oristano ma non importa … Andiamo lo stesso”. Detto fatto. Eccoci alla stazione carichi del nostro bagaglio. Sono le sette del mattino. Alle cinque di sera, arriviamo ad Oristano e una mezz’ora dopo siamo a Santa Giusta. Strada facendo guardavo se si vedesse l’avanguardia. I ragazzi che in tutte le missioni si vedono pei pri- mi, nessuno! Ci avanziamo … non anima viva! Arriviamo … la 1 Padre Manzella guidò spiritualmente Leontina Sotgiu a partire dal 1911 (cf Lettera del 30 giugno 1911) e ne terminò la direzione nel 1919 per obbedienza al superiore (cf Lettera del 3 ottobre 1922). La presente lettera ne è una testimonianza. Lettera 252 – Lettera sotto forma di racconto di padre Manzella sulla visita alle confe- renze della Carità pubblicato in Annali della Missione 28 (1921) 289-299.
266 Padre Giovanni Battista Manzella chiesa chiusa! Il parroco sulla porta della casa ci vede, e fa le me- raviglie. “Come?! Non han ricevuto il mio telegramma?” E noi: “Come?! Non ha ricevuto la nostra lettera?”. Che fare? Ci accor- diamo, il mio compagno ed io, di tornare ad Oristano, salutare mons. Piovella, arcivescovo, e di far ritorno a Sassari il giorno do- po. Fare e disfare è tutto lavorare.1 Ripigliamo il carrozzino e tor- niamo ad Oristano. Monsignore ci attendeva, ben sapendo che la Missione non si poteva dare per allora. Ci ricevette con la solita sua bontà e cordialità. Narriamo l’accaduto, e lui risponde: La Provvidenza! La Provvidenza! La Provvidenza! Lei sig. Sategna darà gli esercizi alle normaliste, e lei sig. Manzella, visiterà le Con- ferenze di Carità su nell’alta Sardegna vicino al Gennargentu. Un telegramma a Sassari per informare il superiore e l’indomani a mezzogiorno eccomi in via per i monti. Saluto il compagno, prendo la benedizione da monsignore, ed eccomi in automobile. Siamo in ottobre. Nelle pianure di Oristano fa caldo ancora, ma a misura che avanziamo si sente il freddo; la pioggia è dirotta, e più in alto ancora si trovano vento e neve. La Sardegna è per lo più montuosa. Due sono i punti principali. I monti del Limbara a Tempio e le giogaie del Gennargentu nel centro dell’isola.

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17 Dicembre 2016 - Categoria: eventi straordinari

“Enzo Espa (Nuoro,1919-Sassari,2015): ricordo di Giovanna Elies

enzo-espa“Enzo Espa è nato il 3/ 3/ 1919 a Nuoro, dove ha trascorso l’infanzia e la giovinezza. Ha seguito gli studi universitari a Pisa e si è laureato a Roma col Prof. Natalino Sapegno, con una tesi sugli scrittori realistici dei primi due secoli.
Dal 1954 vive a Sassari, dove ha insegnato lettere presso l’Istituto Magistrale e dove è stato per anni presidente della locale sezione della Dante Alighieri.
Studioso di tradizioni popolari, con un meticoloso e accurato lavoro di ricerca e attraverso una fitta trama di informatori, ha raccolto fin dal periodo degli studi liceali dati che hanno costituito un prezioso archivio personale che ha contribuito ad approfondire e salvare la cultura e le tradizioni della Sardegna, in particolare dell’area Logudorese.

Ha collaborato per anni presso l’Università di Magistero di Sassari con il Prof. Francesco Alziator nella Cattedra di Tradizioni Popolari della Sardegna.

Si interessa di critica letteraria ed artistica, è autore di romanzi e di racconti e molti dei suoi lavori hanno approfondito problemi di carattere storico e linguistico inerente la Sardegna.” Dal suo blog

“Nessun uomo è un’isola, inteso in se stesso / ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra. / Se una zolla viene portata via dal mare, la Terra ne è diminuita/ come se un promontorio le mancasse / o una dimora amica o la sua stessa casa./ Ogni morte d’uomo mi diminuisce / perché faccio parte dell’umanità”. Così scriveva nel 1500 John Donne, scrittore inglese cattolico e di grande sensibilità. Sono trascorsi ben sei secoli e queste parole suonano più attuali che mai e non solo per tutti coloro che giornalmente lasciano questo nostro mondo ma anche e soprattutto quando si tratta di uomini che nel mondo hanno tracciato sentieri. Fra i tanti, uno in particolare cattura l’attenzione per il suo inconfondibile modo di essere e di fare, professore, uomo e letterato senza sbavature, senza spigoli, in tutt’ uno di grande pathos e signorilità. Come professore, padrone incondizionato della sua materia che esprimeva attraverso grandi capacità comunicative; come uomo, interamente votato a far parte di quella umanità di cui parla John Donne; come letterato, scrittore, giornalista, completamente teso a raccontare la sua -la nostra- terra, le tradizioni, la storia con la saggezza di chi ama davvero e trova in ogni costume o pratica il lato migliore. Laureatosi a Roma, sotto la guida del grande Natalino Sapegno, ne segue quasi le orme, se pur -come tutti sappiamo- il talento non sia così facile da inculcare ma solo da promuovere, ed è ciò che Sapegno ha fatto. Docente presso l’Istituto Magistrale di Sassari, ha saputo – sapientemente- avvicinare tutti i suoi allievi al mondo letterario, ma non come una sorta di mondo immaginario, piuttosto come un universo reale nel quale potersi ritrovare e non solo nei momenti cruciali della vita. Ha usato la letteratura e la storia come antidoto alle crisi ed alle troppe velleità giovanili; oggi vanno di moda i talent, ebbene il prof. già negli anni.

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15 Dicembre 2016 - Categoria: letteratura sarda

Giovanni Brianda, noto Nino (1922-2016) , un uomo e un cristiano trasparente, un educatore e un docente aperto, un cattolico impegnato ed esemplare di Angelino Tedde

giovanni-briandaGiovanni, o meglio, Nino Brianda (Sassari,1922-2016) l’ho avuto come collega presso la Facoltà di Magistero prima, di Lettere e Filosofia, poi  col pensionamento come correlatore delle ponderose tesi di laurea di storia delle Scuola e delle Istituzioni educative. Per anni l’ho conosciuto per la sua buona fama, ma poco frequentato. Abbiamo stretto amicizia quando lui è andato in pensione, perché, in mancanza di colleghi disponibili, lui mi ha dato una mano nella correlazione delle circa 200 tesi di laurea svolte nel corso dei miei ultimi dieci anni d’insegnamento. Posso dire che dai 70 agli 80 anni non mi ha mai  negato la sua generosa collaborazione che consisteva nella lettura puntuale delle tesi e nell’illustrazione e giudizio sul voto di laurea. Abbiamo scoperto un’affinità particolare forse per la vicinanza della sua regione storico-culturale di provenienza, la Gallura, a quella mia, l’Anglona. Ci capivamo al volo e sempre i suoi giudizi sui lavori delle laureande concordavano con i miei.
Ricordo che passai un brutto momento e lui mi fu vicino con una solidarietà fattiva e intelligente.  In genere ci si telefonava per gli auguri. Giunto a 80 anni mi disse che non  se la sentiva più di affrontare la fatica di correlazione delle numerose tesi che ad ogni sessione doveva leggere e presentare. Lo fece con garbo, spiegandomi che cominciava a sentirsi stanco. Ne apprezzai la chiarezza e la sincerità. Adesso se n’è andato alla casa del Padre che certamente lo ricompenserà per la sua vita esemplare di uomo e di cristiano. Ai figli la mia vicinanza e il mio affetto.

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14 Dicembre 2016 - Categoria: eventi luttuosi

Michelino Montesu (1926-2016): un ‘altra feconda memoria storica di Chiaramonti se n’é andata di Angelino Tedde

michelino-montesu-1926-2016Con molto dispiacere abbiamo appreso della scomparsa del caro amico Michelino Montesu, il nostro consulente storico dei personaggi di Chiaramonti. Qualche settimana fa c’eravamo sentiti al telefono per varie delucidazioni su un personaggio storico di paese. Dopo la morte di zio Giovanni Tedde era diventato lui il principale consulente delle nostre ricerche sulla memoria orale circa donne e uomini il cui profilo storico sto affrontando da un pò di tempo sul mio blog. Eravamo prima di tutto amici e lo stimavo per la sua capacità imprenditoriale. Fu lui a costruirmi la prima scrivania in legno e i primi tre scaffali per il mio modesto studiolo di Stintino con l’allora spesa di 13 mila lire. Nel corso degli anni trascorsi a Stintino da sposato (1963-1965) e poi a Sassari in via Filippo Turati, 35, ogni volta che mi sedevo a lavorare mi ricordavo di lui. Era un ottimo falegname, ma non pago del modesto guadagno artigianale si era dato poi al commercio dei mobili che vendeva in tutta la Sardegna e più tardi in Corsica. Era educatissimo, calmo, non pedeva facilmente le staffe, equilibrato. Si era ritirato, ma avev avviato le due figlie Cristina e Daniela verso la stessa professione con lunsinghiero successo.

La domenica ci vedevamo in chiesa e spesso quando mi recavo alla Santa Comunione, passandogli vicino, gli stringevo la mano. Non finiva mai di ringraziarmi per l’insegnamento del metodo di ricerca  al nipote Simone del quale era orgoglioso. Conversare con lui era un piacere perché oltretutto aveva conservato una memoria lucidissima e ricordava luoghi, vie, personaggi locali a partire dal 1936. Era sempre disponibile quando lo chiamavo al telefono per consulenza e un giorno mi disse…forse potresti anche intervistarmi sulla mia vita lavorativa. Gli promisi che l’avrei fatto e poiché speravo che il Signore, doppiati i 90 anni, lo lasciasse in vita almeno fino ai cento non l’avevo ancora intervistato. Se n’è andato rapidamente, per un male latitante nel suo organismo e scoperto forse all’ultimo momento. Per tutti i compaesani è una grande perdita, ma certamente lo è maggiormente per sua moglie Titina, per le sue due care figlie, per i due nipoti e vari parenti. Anche per me è la perdita di un amico con cui si poteva conversare volentieri e con eleganza. Gli volevo un gran bene. Le conceda il Signore il premio che concede ai giusti che hanno creduto in Lui e che soprattutto hanno amato anche il prossimo. Avrò modo, intervistando la moglie, di scrivere quel profilo che gli avevo promesso e che lui avrebbe desiderato. A tutti i parenti porgo le mie più profonde condoglianze, assicurando preghiere.
I funerali si svolgeranno stasera al Carmelo alle 15, 14 dicembre, giorno di San Giovanni della Croce.

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11 Dicembre 2016 - Categoria: memoria e storia

III. “Il paese che non c’è più di Carlo Patatu”, recensione di Ange de Clermont

patatuCarlo Patatu Il paese che non c’è più. Usànzias, còntos, mestièris, buttègas e màstros de Zaramònte in su tèmpus passàdu (Consuetudini, racconti, mestieri e botteghe in Chiaramonti nel tempo che fu). Prefazione di Luisella Budroni, Grafiche Essegi srl, Perfugas, 2016 pp. 400 Offerto in omaggio dall’autore a richiesta.

carlo-3Tutte queste riflessioni danno ampia spiegazione della discreta bibliografia degli scritti di Carlo Patatu tra cui prevale l’interesse per Chiaramonti in particolare nei lavori delle Cronache di Giorgio Falchi, della Scuola Chiesa e Fantasmi, e infine, di Il paese che non c’è più.

Questi tre lavori costituiscono l’ossatura dei suoi interessi, la passione della sua scrittura, il pascolo della sua memoria tenace e non ultimo del suo cuore di uomo che va alla ricerca della sua identità più profonda.

cronacheNel primo volume citato, quasi 400 pagine, oltre ad illustrare il lavoro minuzioso di Giorgio Falchi, egli pare innamorarsi della sua statura di intellettuale, animato da passione civile, talvolta ostile ai chierici, gestori della cultura dominante. In Falchi, che dopo la laurea in Giurisprudenza non si mosse più dal paese, partecipando alla vita civica, ammira la passione per il buon funzionamento delle istituzioni laiche e religiose, la sua passione per la scuola e la cultura, il suo amor di patria con i suoi riti annuali della memoria degli eroi chiaramontesi morti in guerra, la sua costante inculturazione del pur “vil gentame”, svolta con la lettura del quotidiano in Piazza. In breve, il suo donarsi ad un popolo poco istruito, talvolta rozzo, ma suscettibile di miglioramento.

In quest’uomo penso che Carlo Patatu abbia trovato il suo modello da imitare sia pure in tempi ed ambienti mutati.
Il libro, donato a tutti i compaesani, ha voluto essere un momento didattico importante per l’oggi e per l’indomani. Credo che emerga da quello scritto la sua intima passione per essere ricordato come dispensatore di istruzione, di dibattito, di risveglio della coscienza., prima laica che religiosa. Se lui fosse credente si direbbe che esorti come fanno tanti intellettuali e operatori religiosi illuminati: prima educare e formare l’uomo e poi su questa base il cristiano.

L’onestà civica, il corretto rapporto con gli altri cittadini, con la cosa pubblica, con la libertà di pensiero:questo è il suo messaggio fondamentale.

carlo4Alla base di questo messaggio c’è anche l’esortazione a conoscere la storia del borgo, nel bene e nel male, ma sempre nel tentativo di rigenerarsi positivamente. Lo sguardo sociologico non tende ad essere equanime, ma sicuramente a favore delle classi disagiate in netta e rude opposizione ai detentori dei beni materiali e delle loro vere o soltanto percepite ingiustizie.

Le riflessioni fatte nella preparazione alla tesi di laurea sono qui confluite più come dato sociologico che storico del quale egli poco si voleva curare. Non vuol fare storia, ma riflettere sui cahiers de doléances di gente che si è sentita sfruttata e maltrattata.

Un contributo di parte, ma comunque un apporto alla sociologia dei borghi rurali che nel tempo potrà documentare percezioni e sentimenti e risentimenti rivolti dal mondo subalterno ai ceti possidenti e dirigenti.

scuolaIl secondo volume, più limitato, per dimensione: si tratta di circa 230 pagine, esposto in registro colloquiale, tratta di operatori religiosi e laici che hanno affascinato la sua crescita adolescenziale e giovanile, cattolica prima, ostentatamente laica poi.

Da questo mondo paesano, ancora profondamente religioso e contadino, emergono figure contrastanti tra loro: Suor Reverenda, Su Vicariu, Don Cristovulu, Don Masala, con pregi e difetti, da una parte; su Mastru, il Tenente dei Carabinieri, il signor Antonimo Falchi, l’ereo laico, quasi massone, che da filo da torcere ai protagonisti religiosi della vita del borgo, ma anche quella incredibile macchietta del salatore che si crede un grande uomo politico, felice di fare un comizio in trasferta.
Infine, un certo spazio viene riservato alle tradizioni popolari liete e tristi, a eventi di progresso e a tradizioni sulla via del tramonto.

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10 Dicembre 2016 - Categoria: memoria e storia

II. “Il paese che non c’è più” di Carlo Patatu, recensione di Ange de Clermont

patatuCarlo Patatu Il paese che non c’è più. Usànzias, còntos, mestièris, buttègas e màstros de Zaramònte in su tèmpus passàdu (Consuetudini, racconti, mestieri e botteghe in Chiaramonti nel tempo che fu). Prefazione di Luisella Budroni.
Grafiche Essegi srl, Perfugas, 2016 pp. 400
Offerto in omaggio dall’autore, non in vendita, ma su richiesta.

Tra otto e novecento (1850-1950) Chiaramonti come tutti i centri urbani e rurali italiani ha visto svilupparsi una borghesia intellettuale, industriale e agraria; basti pensare ai nobili Grixoni e ai suoi rampolli, distintisi a livello nazionale; ai borghesi agrari e intellettuali Falchi, ugualmente distintisi a livello nazionale e internazionale, ai possidenti Madau, in parte intellettuali e in parte agrari; datori di lavoro a numerosi compaesani per almeno un secolo, ai piccoli industriali dell’ammodernamento (energia elettrica e mulini) Budroni e Rottigni, ai banchieri Schintu a percentuale sui budget concessi.
Strati sociali tutt’altro che parassitari, ma datori di lavoro in tempi di ristrettezza e di vita da sussistenza.
Nobili e borghesi dati all’Italia che si stava formando come nazione. (Si vedano le numerose fotografie che illustrano la trilogia di Carlo Patatu).

Come fiori all’occhiello della borghesia chiaramontese si possono citare in campi diversi l’oftalmologo di fama internazionale Francesco Falchi, il tenente colonnello medico Giovanni Grixoni, professore presso l’Istituto Medico Militare di Firenze e in campo socio-religioso-politico l’avv. Battista Falchi, fondatore in Pavia, con l’allora don Montini (futuro papa) e con Aldo Moro della Federazione Universitari Cattolici Italiani (FUCI) ( da cui il partito dei cattolici ha attinto ampiamente  dirigenti e personale politico) e successivamente eletto alla Costituente da cui si dimise per motivi di salute, nonostante le pressioni reiterate di Aldo Moro. Senza voler elencare tutti e in tutti i campi si può affermare che la nobiltà e la borghesia locale, clero compreso, ha dato il suo cospicuo contributo “a fare gl’italiani” fuori del paese.

Gli homines novi

toreDopo la seconda guerra mondiale, a metà novecento, il paese è stato animato dagli homines novi, provenienti da strati sociali subalterni (artigiani, contadini e operai) che hanno operato nelle istituzioni culturali e politiche (maestri, impiegati, professori, avvocati, dirigenti scolastici,sindaci, consiglieri provinciali e regionali) e che con un faticoso accesso agli studi sono riusciti a dare lustro al paese anche se spesso emigrando come del resto è avvenuto nelle città sarde con l’emigrazione d’intellettuali nobili e borghesi e uomini d’affari emigrati nelle capitali della penisola (i Cossiga, i Savona, i Segni, i Siglienti). Pochi rimasti in provincia come sentinelle del mattino.

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9 Dicembre 2016 - Categoria: memoria e storia, storia

La colonia penale di Tramariglio. “Memorie di vita carceraria” di Stefano A. Tedde

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Stefano A. Tedde, Angelo Ammirati et alii (a cura di), La colonia penale di Tramariglio. Memorie di vita Carceraria, , Carlo Delfino editore, Sassari, 2014.
Con DVD che include videoregistrazioni storiche e interviste a testimoni d’epoca (ex agenti, e nomi, operatori del penitenziario rurale di Tramariglio)

I luoghi recepiscono la storia umana, ne assorbono le vicende, i fatti, le tragedie del passato. E in un certo senso cedono lentamente, a chi vi si avvicina, l’essenza degli avvenimenti trascorsi. A Porto Conte durante il periodo fascista venne istituita una colonia penale. Questa sorgeva in una propaggine di un territorio caratterizzato da un paesaggio rurale arido e brullo, incluso nella vasta regione della Nurra, oggetto, già dalla metà dell’Ottocento, di un intensivo e graduale piano di risanamento e di bonifica.

6-un-acquaiolo-punito-a-pane-ed-acqua-1Nel 1938 con uno specifico accordo, l’Ente Ferrarese di Colonizzazione (che sovrintendeva alle opere di bonifica, all’appoderamento dei terreni e alla loro assegnazione in proprietà ad un discreto numero di famiglie provenienti di preferenza dalla provincia di Ferrara, destinate a lavorare in Sardegna o in regioni a basso indice demografico) e Ministero di Grazia e Giustizia decidono per la costruzione del nuovo «Penitenziario di Porto Conte». Il Ministero avrebbe avuto la concessione per vent’anni: per tutto questo tempo i detenuti avrebbero dissodato, bonificato e messo a coltura le aree marginali della Nurra sulle quali si espandeva la colonia, in un periodo nel quale il regime fascista dava estrema importanza al lavoro all’aperto e al valore di emenda che questo avrebbe potuto rappresentare per i reclusi. Trascorso il citato ventennio il pristino contratto prevedeva la restituzione di fabbricati ed aree bonificate alla “comunità libera” e Tramariglio sarebbe divenuto un borgo di agricoltori e pescatori. Il progetto contemplava la costruzione di un edificio centrale, sul quale si articolavano gli stabili del “villaggio tipo” (chiesa, stalle, forno del pane, scuole, ospedale, alloggi per agenti e funzionari) e tre diramazioni, modelli in scala ridotta dello stabilimento principale di Tramariglio, edifici che presidiavano i territori di Prigionette, Porticciolo e Cala del Vino.

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