4 Febbraio 2020 - Categoria: memoria e storia

“Le vacanze estive a Lu Bagnu” tratto da “Le ragazze del Rifugio Gesù Bambino si raccontano” di Eleonora Ortu

Eleonora Ortu, Le Ragazze del Rifugio Gesù Bambino si raccontano, Edes, Sassari, 2017 pp. 265

Riprendiamo a pubblicare i passi più salienti del lavoro succitato  in cui l’autrice racconta  la vita di collegio che va dagli anni sessanta agli ottanta del novecento. Il libro è corredato di fotografie ormai storiche essendo trascorsi dagli anni d’inizio  a quelli della fine ad oggi circa sessant’anni (1960-2020). Si tratta di un’autobiografia narrata e non certo di una serie di affermazioni apodittiche sia sul collegio sia sulle Dame della Carità  amministratrici sia sulle Figlie della Carità educatrici. Il racconto è avvincente e le immagini sono suggestive. (Angelino Tedde)

 Quando ero nella sezione di S. Giovanna per andare al mare si facevano i turni.  Essendoci al rifugio quasi 150 ragazze, la colonia non aveva i locali e arredi sufficienti per ospitarci tutte. Il primo turno partiva appena finivano le scuole e rientrava a metà luglio per far posto al secondo turno che rientrava poco prima dell’inizio delle scuole. I preparativi per poter andare in colonia erano principalmente di natura sanitaria, bisognava fare i “raggi” al torace, per cui ogni suora di sezione portava le sue bambine/ragazze in via Amendola dove c’era un camion parcheggiato all’interno dell’ex istituto di igiene e ad una ad una ci facevano la radiografia. Per tre giorni ci davano una pastiglietta celeste dal sapore dolciastro che io succhiavo piano piano, con parsimonia, per assaporarla meglio, era la vaccinazione antitifica.

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20 Gennaio 2020 - Categoria: memoria e storia

Vita da missionario della Sardegna del 1919 di Giovanni Battista Manzella

Pubblichiamo questa narrazione di Padre Manzella grazie alla generosità del Padre Erminio Antonello che ha curato insieme ad un confratello l’Epistolario del grande missionario vincenziano del primo novecento. Sembrano racconti “africani” più che “sardi”, ma la verità è che ai primi del novecento la nostra isola sprovvista di strade era percorribile a piedi, a cavallo e con qualche rara automobile e corriera e con il treno a scartamento ridotto che si fermava lontano dai paesi e per raggiungerlo bisogna camminare a piedi. I missionari vincenziani non si facevano scoraggiare dalle difficoltà per andare a predicare al popolo, per istituire le conferenze della Dame della Carità che a a loro volta dovevano supportare economicamente gli asili fondati dai missionari nei paesi più lontani. Se era il caso si istituivano anche orfanotrofio maschili e femminili per bimbi poveri e senz’altra assistenza se non quella delle Dame e delle Figlie della Carità. La relazione del Manzella offre uno spaccato dell’operosità dei missionari e dell’intera famiglia vincenziana. (Angelino Tedde)

 

Novembre 1919

Si doveva dare la Missione a Santa Giusta, ma non ne sapevamo la data precisa. Mi recai al telefono e dopo sette ore di inutile atte- sa non potei mettermi in relazione con Oristano. Tornato a casa dissi al compagno signor Sategna: “Non ho avuto comunicazione con Oristano ma non importa … Andiamo lo stesso”. Detto fatto. Eccoci alla stazione carichi del nostro bagaglio. Sono le sette del mattino. Alle cinque di sera, arriviamo ad Oristano e una mezz’ora dopo siamo a Santa Giusta. Strada facendo guardavo se si vedesse l’avanguardia. I ragazzi che in tutte le missioni si vedono pei pri- mi, nessuno! Ci avanziamo … non anima viva! Arriviamo … la chiesa chiusa! Il parroco sulla porta della casa ci vede, e fa le me- raviglie. “Come?! Non han ricevuto il mio telegramma?” E noi: “Come?! Non ha ricevuto la nostra lettera?”. Che fare? Ci accor- diamo, il mio compagno ed io, di tornare ad Oristano, salutare mons. Piovella, arcivescovo, e di far ritorno a Sassari il giorno do- po. Fare e disfare è tutto lavorare.1 Ripigliamo il carrozzino e tor- niamo ad Oristano. Monsignore ci attendeva, ben sapendo che la Missione non si poteva dare per allora. Ci ricevette con la solita sua bontà e cordialità. Narriamo l’accaduto, e lui risponde: La Provvidenza! La Provvidenza! La Provvidenza! Lei sig. Sategna darà gli esercizi alle normaliste, e lei sig. Manzella, visiterà le Conferenze di Carità su nell’alta Sardegna vicino al Gennargentu.

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16 Gennaio 2020 - Categoria: cultura

Massimo Pittau e Castelsardo di Giuseppe Tirotto

 Prif. Pittau

Due giorni fa è venuto a mancare il professor Massimo Pittau, figura importantissima della cultura sarda e non solo. Professore emerito della Facoltà di Lettere e Filosofia di Sassari (della quale è stato anche uno dei fondatori), è stato un intellettuale poliedrico, spaziando dalla linguistica alla filosofia, dall’archeologia all’epigrafia, dalla glottologia alla poesia e molto altro ancora. Io ho avuto la fortuna di frequentarlo in più occasioni: indirettamente come docente, più dappresso facendo parte con lui di    alcune giurie di premi letterari e con la partecipazione a diversi convegni.

Sento il dovere di ringraziarlo dei suoi insegnamenti come operatore di cultura ma soprattutto come castellanese per i suoi studi sul mio paese. Sì, su Castelsardo perché sul nostro territorio ha fatto coincidere la mitica e misteriosa città romana di Tibula, una sorta di Atlantide sarda, centro nevralgico da cui si dipartivano le principali strade dell’isola antica (due verso Olbia, una litoranea e una terrestre; una verso Turris Lybissonis, Portotorres: una verso Kalaris (Cagliari) via Forum Traiani (Fordongianus).
Non una sua ipotesi estemporanea o avventata, ma suffragata da dati attendibili quali la coincidenza delle coordinate geografiche elaborate da Tolomeo nel II° sec. d.C., non uno qualunque, ma astronomo, filosofo e geografo teorico, nientemeno, del “Sistema geocentrico” che ha condizionato l’evoluzione dell’umanità sino all’ Età Moderna. Insomma, grazie al Professor Massimo Pittau l’importanza del ruolo di Castelsardo e del suo territorio può essere anteceduta di un migliaio di anni, e non mi sembra un aspetto trascurabile!
Grazie ancora Professore!

Per chi volesse documentarsi oltre (soprattutto i castellanesi) basta digitare su Google: Pittau, Tibula, Castelsardo. Il primo documento è quello buono.

Immagini tratte dal Web

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9 Gennaio 2020 - Categoria: eventi luttuosi

Ricordo di Massimo Pittau da parte di prof. Mauro Maxia nella commemorazione di Nuoro del 27.XII.2019

 Prof. Mauro Maxia

Desidero porgere le mie sentite scuse ai familiari, agli amministratori e al pubblico in questa giornata dedicata al ricordo del caro prof. Massimo Pittau. Purtroppo un’improvvisa indisposizione mi impedisce di prendere parte, come avrei voluto, a questo importante evento.

Questa foto inedita risale al 2013 quando col prof. Pittau andammo a Erula per la presentazione di un libro. Lui allora aveva 93 anni ben portati e, stando seduti al tavolino di un bar, si parlava del fatto che Erula fosse un paese di centenari. Proprio in quel momento sbucò la vecchietta che si vede nella foto con lui. Quando il professore seppe che quella signora era centenaria si alzò di scatto e andò a parlarle. Lei cercò di schermirsi da quello che forse le sembrava un tentativo di attaccare bottone da parte di uno sconosciuto. Ma poi si lasciò andare e i due chiacchierarono per un po’ scambiandosi delle reciproche impressioni.

Ecco, si può dire che questa foto ritragga in pieno l’uomo Massimo Pittau. Una persona estremamente curiosa che non esitava a intervistare chiunque potesse soddisfare certi quesiti che gli venivano in mente. Così come non esitava ad alzare la cornetta del telefono e a telefonare a persone del tutto sconosciute – magari residenti a Sliqua o a Esterzili – per conoscere l’esatta pronuncia del loro cognome.

Conobbi Massimo Pittau nell’autunno del 1975 quando iniziai a frequentare le sue lezioni di Linguistica Sarda. Ma posso dire che lo conoscevo già da prima perché nel 1973 avevo acquistato un suo libro, ormai quasi introvabile, intitolato “Sardegna al bivio”. Un libro che ha inciso profondamente sulla mia formazione grazie alle sue acute osservazioni riguardo alle cause che erano, e sono tuttora, alla base dei gravi problemi di ordine culturale che affliggono la nostra Isola.

In seguito sostenni con lui ben quattro esami e decidemmo il titolo della mia tesi di laurea. Per qualche anno ci perdemmo di vista. Ma dopo che ci ritrovammo, a un convegno di studi nel 1992, non ci siamo più allontanati stringendo un’amicizia forte e affettuosa. Lui insistette a lungo perché ci dessimo del tu. Ma io non ci sono mai riuscito sia per il livello dell’uomo sia per la sua età. E, come facciamo noi sardi con le persone più anziane, da allora e fino alla fine lo chiamai sempre “tziu Màssimu”. E lui stesso, nelle centinaia di e-mail che ci siamo scambiati, si firmava volentieri  “tziu Màssimu”.

Si potrebbe parlare a lungo di momenti felici trascorsi a Sassari, Nuoro, Olbia, Ozieri, Castelsardo, Perfugas, Sedini, Florinas, Luogosanto, Palau, Tempio, Erula, Oschiri, Isili e in varie altre località in cui presentammo dei libri o prendemmo parte a convegni. Conobbi Massimo Pittau anche in momenti di grande dolore che lo segnarono profondamente e nelle occasioni in cui si lamentava per la salute che pian piano lo stava abbandonandolo. Ma fu sempre forte e lucido fino all’ultimo.

Per me è stato un maestro sia negli studi sia nella vita. E di questo gli sarò grato per sempre, Da lui ho appreso il senso della franchezza, della lealtà, della generosità, della rettitudine e dell’onestà intellettuale. Posso testimoniare che Massimo Pittau è stato, in tutti i sensi, una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto.

È stata una grande fortuna conoscerlo personalmente e a lungo.

Per me è stato veramente il “Massimo”.

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23 Dicembre 2019 - Categoria: versos in limba

“Nàschidu ses Gesus” di Anghelu de sa Niéra

[Si può cantare come Notte de Chelu]

 

Naschidu ses Gesus in sa conchedda
Ue su oe e s’ainu b’istaiant
Chen’aére peruna campanedda
Sa paza solu si mandigaiant.

Tue fizu ‘e Deus e de Maria
Non pianghias mancu pro su fritu
Subra sa paza e subra sa iddia
Sos pastores sas peddes ana gitu.

Attidu gia bos ant late e regotu
A tie, Verghine Santa, e a tie Zuseppe
Non sunt bennidos a faghere rebotu
Ma adorare Gesus in su presepe.

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17 Dicembre 2019 - Categoria: letteratura sarda

“Il mio Natale al Rifugio” di Eleonora Ortu da “Le Ragazze del Rifugio Gesù Bambino si raccontano”

 

 

Per noi ragazze il Natale al Rifugio è sempre stata la festa più importante perché intorno ad essa erano collegati eventi che ci rendevano particolarmente felici.

 

Si iniziava con le vacanze scolastiche e suor Rosalia ci permetteva di stare a letto un’ora in più e il tempo che non occupavamo a scuola veniva sostituito dai i giochi.  I preparativi coinvolgevano tutte, ognuna di noi cercava di aiutare sia nella raccolta del muschio per il presepe sia nelle decorazioni dell’albero.

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30 Novembre 2019 - Categoria: letteratura sarda

Sas ultimas cantones e cantigos de amargura, testamento poetico e politico di Antioco Casula (Montanaru) a cura di Gianni Avorio

 

“Le opere di un autore possono essere intese appieno solo tramite un esame della sua formazione umana e culturale, che tenga conto di tutti i dati, anche psicologici della sua personalità. Senza la vita dell’autore nella sua collocazione anche storica non esisterebbero neppure gli affetti e le fantasie del poeta, non l’opera artistica, non la rifrazione del sentimento nell’opera poetica.” (Natalino Sapegno – Emilio Cecchi, Letteratura italiana, vol. VII, Garzanti, Milano, 1979.)

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28 Novembre 2019 - Categoria: memoria e storia, recensioni

Eleonora Ortu: “Le ragazze del Rifugio Gesù Bambino si raccontano” di Ange de Clermont

Eleonora Ortu, Le Ragazze del Rifugio Gesù Bambino si raccontano, Edes, Sassari 2017 pp. 265

In questo saggio di memoria e di storia autobiografica, suddiviso in sei parti, l’autrice, insieme alle compagne, che prendono la parola nella sesta parte, racconta la vita vissuta in collegio da un anno e mezzo fino al suo ventitreesimo compleanno,1960-1983, quando con rammarico fu costretta a lasciare quella che era stata la sua casa e la sua grande e variegata famiglia con le suore educatrici, delle quali una si comportò con lei come una vera madre e le altre come zie affettuose (1960-1983).

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