Nell’antico mondo greco, già in epoca classica e dopo in quella postclassica, riguardo ai poemi omerici e soprattutto riguardo all’Odissea si determinò un movimento esegetico-culturale molto caratteristico: numerosi interpreti, commentatori, storici e geografi si diedero da fare per indicare la rotta esatta del viaggio fatto da Ulisse nel suo peregrinare da una terra all’altra del Mediterraneo e più precisamente per individuare le diverse tappe da lui fatte e cioè le terre da lui toccate. La motivazione di fondo di questa affannosa esegesi di carattere geografico stava nel fatto che – come tutti sappiamo – i due poemi omerici costituivano ormai i “libri” per eccellenza della etnia greca, la loro Bibbia nazionale, gli strumenti essenziali della paideia dei Greci e cioè della loro educazione e della loro cultura. Quelle identificazioni delle varie «tappe» del viaggio di Ulisse pertanto erano promosse dal desiderio di dare decoro e gloria alla propria patria locale, alla propria isola, alla propria città o regione, decoro e gloria che scaturivano appunto dall’essere stata essa raggiunta dall’eroe di Itaca.
Senonché la identificazione di quelle tappe non risultava affatto univoca, bensì variava da interprete a interprete, ovviamente in funzione ed a vantaggio delle rispettive patrie locali; col risultato finale che circa la identificazione di alcune tappe, perfino di quelle fondamentali, venivano indicate decine di differenti località…\1\ Il quale modo di procedere dei vari interpreti fu criticato e anche deriso dal grande filologo e geografo Eratostene di Cirene, con la seguente frase che ci viene tramandata da Strabone (I, 2, 15): «Si ritroverà dove Ulisse ha navigato, quando si troverà il pellaio che ha cucito l’otre dei venti» (evidentemente quello datogli da Eolo). Senonché questa critica e questa derisione di Eratostene non fu affatto recepita dagli interpreti successivi, nemmeno dallo stesso Strabone che ce l’ha tramandata; e molti ancora continuarono nelle loro identificazioni delle varie tappe del viaggio di Ulisse: nel mondo greco, fino al suo trapasso in quello bizantino, e anche nel mondo romano, dopo che Livio Andronico nel secolo III a.C. Aveva proceduto a tradurre in latino l’Odissea.
Non solo, ma i tentativi di ricostruire l’esatto itinerario del viaggio di Ulisse vennero ripresi in epoca moderna, a iniziare dall’età umanistica, di secolo in secolo, fino ai giorni nostri, con innumerevoli e purtroppo assai differenti proposte di identificazione. In epoca recente c’è stato persino chi ha localizzato qualche episodio del viaggio di Ulisse nello Jutland e chi addirittura ha pensato di costruirsi una barca alla foggia di quella usata da Ulisse e, munito di perfezionati apparecchi fotografici, ha deciso di ripercorrere e di fotografare l’itinerario dell’antico navigatore, ovviamente finendo col giurare che quella effettivamente era stata la precisa rotta del peregrinare dell’eroe itacense…
Ma a prescindere da queste amenità, per i tempi recenti sia sufficiente citare due opere molto impegnate, alle quali i rispettivi autori hanno voluto dare tutti i crismi della acribia scientifica: Victor Bérard, Les Navigatione d’Ulysse\2\, e Hans-Helmut & Armin Wolf, Der Weg des Odysseus. Tunis-Malta-Italien in den Augen Homers, con nuova edizione dal titolo Die wirkliche Reise de Odysseus. Zur Rekonstrution des Homerischen Weltbildes\3\. Senonché soprattutto quest’ultima opera dei fratelli Wolf, nonostante ed anzi proprio per l’impegno esegetico profuso nella loro ricerca, si è attirata una sostanziale condanna da parte dei filologi\4\.
D’altra parte il tema della “ricostruzione della rotta del viaggio di Ulisse” è ormai diventato un topos della stampa quotidiana e periodica, tanto che non passa anno in cui non si annuncino le strabilianti “ricostruzioni scientifiche” fatte dagli immancabili capitani di mare o navigatori o ingegneri od avvocati… E tutto questo ha pure avuto le sue ovvie conseguenze pratiche: ad esempio, «nel 1974, il Golfo di Squillace è stato denominato, in base alla localizzazione wolfiana, “Riviera di Nausicaa”, con tanto di lapide nel luogo del fatidico incontro tra Odisseo e la figlia di re Alcinoo»\5\. E pure la nostra Sardegna ha fatto la sua parte: evidentemente a seguito delle indicazioni di Victor Bérard, che aveva localizzato la terra dei Lestrigoni nella Sardegna settentrionale, nella insenatura di Porto Pozzo, di recente è stato ufficialmente trovato e battezzato un «Porto di Ulisse»…
Dal modo in cui ho finora condotto il mio discorso sarà apparso chiaro che io non credo affatto alla “scientificità” dei tentativi di ricostruzione del viaggio di Ulisse; io non ci credo per una grossa difficoltà che espongo subito.
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