
Eleonora Ortu
In questo capitolo l’autrice mette in chiara luce quella che era l’atmosfera che ebbe modo di resprare presso la madre, purtroppo fino ad allora, un’emerita sconoscita; lo sfruttamento domestico classico di certe famiglie messe su per effetto di gravidanze indesiderate, il ritorno in collegio con lo stigma della fuggiasca che doveva espiare quasi l’atto compiuto con un lavoro pesante, l’atteggiamento della superiora, di probabile origine pastorale, che vestendo l’abito esteriore della Figlia della Carità non aveva affatto mutato il modello educativo proprio di certe famiglie rimaste indietro nel tempo in cui spesso i genitori non si preoccupavano di dire alle figlie: io ti ho fatto e io ti distruggo. L’assenza di un’amministrazione che probabilmente lesinava alle suore i soldi per le necessità delle orfane. Non sono le suore, ma piuttosto le amministratrici che ricevono i contributi dallo Stato, dalla Regione, a volte dai Comuni e che più o meno parsimoniosamente davano alle suore i soldi per provvedere ai bisogni delle ragazze. Questo non significa che nell’esperienza dell’autrice vi sia una evidente denuncia della carenza pedagogica e psicologica di alcune suore che probabilmente, rispetto alla maggioranza di esse, non sentivano per le ragazze da accompagnare nella crescita alcun afflato materno. A tutto questo si aggiunga lo stigma d’essere in collegio dove ti vestivano a seconda delle disponibilità di quanto i privati offrivano senza badare alle misure di coloro che questi abiti dovevano indossare. (Angelino Tedde)
Due mesi di doloroso esilio domestico
La nuova casa di Camilla non l’avevo mai vista, ricordavo molto bene la precedente: una squallida camera in una soffitta, rivestita con una sorta di imbottitura che ne cadeva a pezzi, dove c’era un letto matrimoniale, un cucinino e un comò, illuminata da una piccolissima finestra da cui a malapena potevi vedere il cielo.
Il bagno era sul pianerottolo condiviso con la vicina che dovevo chiamavo zia.
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La legge 107/2015, più nota con la definizione di “Buona Scuola” di cui tanto si è parlato quest’anno, introduce una “dotazione organica finalizzata alla piena attuazione dell’autonomia scolastica di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e successive modifiche”. La circolare del MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) n. 30549 del 21/9/2015 chiarisce che “Il fabbisogno delle istituzioni scolastiche a regime è costituito dal piano triennale dell’offerta formativa da definire successivamente, mentre l’organico aggiuntivo viene assegnato per la programmazione di interventi mirati al miglioramento dell’offerta formativa. Tale organico aggiuntivo, perciò, dovrebbe rispondere agli obiettivi di qualificazione del servizio scolastico previsti dalla legge 107, commi 7 e 85, ed è destinato a confluire nel più ampio organico dell’autonomia, da definirsi, poi, con apposito decreto interministeriale ai sensi del comma 64 della medesima legge 107/2015.
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Maria Sale
Maria Sale è una fine poetessa sia in sardo sia in italiano. L’artista è capace di trasferire i delicati sentimenti del mondo contadino della civiltà sarda in quello della civiltà contadina italiana. Ambiente sobrio quello che lei descrive sul Natale di una famiglia agro-pastorale sarda: i ceppi che bruciano nel camino, rischiarando l’ambiente, l’arrosto e il tavolo già pronto, il padre che racconta le storie del Natale, in attesa che scocchi la mezzanotte per la nascita del Bambinello.
L’anziano padre però non si ferma ai racconti, recita ai figli e soprattutto alla figlia la poesia della “Notte Santa”. La bimba si riempe il cuore di questa visione e non importa che fuori il vento infuri più o meno violento.
Questa visione del mondo contadino è finita da tempo ormai e la figlia, madre con figli e coniuge, attende la mezzanotte di Natale e immagina che il padre stia riposando, perché ormai stanco.
Lei attende il Natale illudendosi che prima o poi l’anziano padre torni.
Il freddo della notte stellata che sfiora le sue labbra forse la rchiamano ad una realtà di un Natale di un tempo.
La visione del mondo del passato pare dileguarsi.
Questa lirica pregna di sentimento c’immerge in quell’infanzia contadina di cui sentiamo una profonda nostalgia. (Ange de Clermont)
ITE FRITTU ISTANOTTE
(Nadale 1995)
Fit Nadale
e-i su truncu ‘e missa ‘e puddu
brujaiat in sa fogulaja manna,
fruscios de temporada
muinaian fora ‘e sa gianna,
intro fit sa banca inghiriada
affacca a s’arrustu coghende.
E incue
bi fit babbu contende
contados de foghile,
pro che trampare s’iscutta
e naschidu esserat Messia,
e donzi tantu in poesia
naraiat:”est notte Santa”.
Cantu tempus a oe
ch’in banca mezus fronida
Nadale mi sò isettende.
E a babbu li sò contende
trampas de tempus passadu,
ammentos chi paren contadu,
pro minter in coro allegria
e gai intrattenner s’iscutta
chi siat mesanotte toccada.
Ma babbu est istraccu
si cheret pasare…
Oe no ch’hat temporada
eppuru s’aera astrada
in laras m’est carignende.
Ite frittu istanotte…
Istanotte est Nadale…
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Speranza Carta

Ragazze al mare
Non ricordo molto bene in che anno divenni ospite del Rifugio e quanti anni avevo, ma ricordo suor Teresa la prima suora della mia prima sezione.
Lei mi ha curato la ferita causatami alla mano dando un pugno alla finestra della cucina, perchè non riuscivo a chiuderla. Ricordo la superiora suor Mameli che mi prese sotto la sua ala. Mi piaceva stare sempre con Suor Assunta nella stireria: mi coccolava e io che la baciavo in continuazione. Non posso dimenticare Suor Rosalia che mi insegnò a cucire e a lavorare all’uncinetto. Lei mi accompagnò in parlatorio la prima volta che venne a trovarmi mia madre. Non sapevo che cosa fare o che cosa dire: guardavo suor Rosalia come per chiedere chi fosse, poi lei mi spiegò chi era, quando me lo disse, mi allontanavo adagio adagio e mi avvicinavo sempre di più a suor Rosalia. Mi guardò e mi disse:
– Saluta la mamma.- Io la guardai e scappai.-
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Dal DIARIO di Facebook della vigilia di San Matteo a Chiaramonti (20 settembre 2015)

Chiesa di San Matteo
La giornata è fresca e promette pioggia proprio oggi che si deve celebrare la S. Messa a San Matteo al Monte tra i ruderi della chiesa cinquecentesca. Se piove la funzione si svolgerà in chiesa e vorrà dire che ci sarà la processione con l’ombrello. Il problema sarà la reazione della classe 1964 obriera della festa. In parole povere si tratta dei ragazzi campati a base di prodotti al Plasmon, la generazione che, essendo nata durante il boom economico, è cresciuta bene, non avendo conosciuto né i rigori della guerra, ma nemmeno quelli del dopoguerra. Ragazzi e ragazze allegre e spensierate. Una generazione fortunata per tanti versi e sfortunata per altri con tutto quello che debbono sopportare ai nostri giorni. Auguriamoci che San Matteo dia loro la grazia di vedere il mondo raddrizzato, perché, a mio modesto parere, ora sta camminando storto..
In casa oggi la nobildonna è tutta presa dalla cucina perché arriva il bamboçaus con la bamboçaa.
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Rifugio marino o colonia
La mia vita dal collegio è un dato di fatto che non posso, ma soprattutto non voglio cancellare, perché mi ha permesso di conoscere persone meravigliose che ho sempre considerato la mia vera famiglia, in primis S. Giovanna, la mia mamma, le suore, le mie zie, e le compagne di collegio, le mie sorelle.
In questo contesto manca la figura maschile, per noi rappresentata dal Prete della Missione di turno, che veniva a celebrare la Santa Messa, a confessarci e che ci formavano alla fede o dai muratori, tutti gli altri “maschi” che si vedevano all’interno dell’istituto erano un evento talmente eccezionale che quando capitava, il grido di “allarme” era:- C’è un uomo! C’è un uomo!-
Numerose accorrevamo per vedere chi fosse l’intruso.
E si, l’intruso, spesso era colui che disgraziatamente osava entrare dal campo sportivo dietro l’istituto e noi tutte, come una sorta di branco, difendevamo il nostro territorio cacciandolo a sassate.
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 Maria Teresa Inzaina
LU ME’ MARI
Lu me’ mari
è l’alcu chjaru d’una spiagghja
a l’appogghju di ‘enti.
Intengu bulbutti di troni
chindi allonga
saetti di luci sirintina
calpini l’orizzonti.
Cramani celtu
a lalgu
uragani e timpesti….
Lu me’ mari
ha una balca pugghjata
tra la rena e l’ea
e illu cunfini
lu cori marinaiu
suspesu
tra boci maiagli di sireni
e la paci sigura di l’oru.
Passani
li viagghjadori di mari
pueti fideli innammurati
amanti d’una sola stasgioni
avventureri eroi pirati
vittimi signalati.
Imprisgiunatu a l’alburu
Ulisse
assaóra tulmenti….
Paltarìa
ma timmu l’Oceanu
troppu mannu e fungutu
e troppu indiffarenti.
Staragghju chici
undi lu mari
è l’alcu chjaru
d’una spiagghja
a l’ appogghju di ‘enti
cu la me’balca pronta
in gana di paltì
e la funi bè strinta
a una bitta
di scogliu.
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Sarah Savioli
Andrea si è suicidato a 26 anni.
Per quelli che chiamano “scherzi”…..
Per isolamento, maltrattamenti, perfidie e tutto ciò che, sfogando le frustrazioni e le emozioni più becere di alcuni, fanno a pezzi persino le montagne, figuriamoci un essere umano.
Cadere vittime di queste cose…non c’è un perchè…solo la sfiga di capitare nel momento sbagliato, con la gente sbagliata per sentirsi sbagliati quando forse si è l’unica cosa giusta e pulita nel raggio di chilometri.
Ed eccoli quelli che sanno come si fa e fanno, quelli che se le pensano proprio di notte e si divertono, uh, come si divertono. Brillanti loro.
Ed eccoli quelli che tacciono, anzi fanno un sorrisetto a mezza bocca, un pò si vergognano e ogni tanto dicono “Ma dai ragazzi, non fate così, poverino”, ma intanto mentre che alla gogna c’è qualcun’altro non ci sono loro. E poi arriva il poverino e “no, qui di posto vicino a me non ce n’è”, “a cena non ti abbiamo invitato perchè….scusa sai ci siamo scordati”.
Ed eccoli i capi che fanno finta di nulla, perchè alla fine se la risolvono poi da soli, così “intanto che hanno il loro circo non scassano i coglioni a me” e poi sicuramente qualcosa di storto quel tipo ce l’ha, non è che poi sia granchè.
Perchè alla fin fine, noi bravi esseri umani, quando siamo in buona compagnia, non ci mettiamo proprio nulla a ritornare ad essere delle scimmie che, urlando, battono ossa spolpate sulle pietre.
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