“Due nel crepuscolo”  di Eugenio Montale “Duos a s’intirinada” di Maria Sale

In occasione del quarantesimo anniversario dalla morte del grande poeta simbolista Eugenio Montale Google gli ha dedicato il doodle e noi vogliamo invece ricordarlo anche in lingua sarda tradotto da Maria Sale, chiaramontese, tra le più maggiori poetesse contemporane sarde che si è formata sia da studentessa sia successivamente alla scuola dei grandi del Novecento italiano. La ringraziamo per la concessione della lirica.
Eugenio Montale nacque a Genova il 12 Ottobre  1896  e morì a Milano nel 1981,quindi ricordiamo i 125 anni dalla nascita e i 40 dalla morte.
Partito come tenore finì per scegliere la poesia come passione della sua vita e oltre agl’italiani Leopardi, Ungaretti, Dante Alighieri, ebbe modelli Schekespeare, Eliot, Rimbaud. Nel 1925 pubblicò Ossi di Seppia, nel 1939 Occasioni. Seguirono numerose raccolte. Ebbe un’esistenza movimentata sia dal punto sentimentale che culturale tra le principali città italiane. Non volle iscriversi mai al PNF benché sollecitato e penalizzato.
Fu nominato senatore a vita e nel 1975 ricevette il premio Nobel per la letteratura «per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni» (A.T,)Duos  a s’intirinada
Iscurret tra nois, in s’isperiadolzu,
custa giarùra intro s’abba, e iscumponet,
cun lacana ‘e muntijos,
fintzas sa cara tua.
Ch’est in fundu,  fuiditu,
isjiantu dae te donzi manizu;
intrat chentza peìta,
e isvanessit in mesu
accolumende donzi sulcu
e serrendesi subra su passu tou:
tue, cun mègus, inoghe,
intro cust’aria falàda
a sizigliare s’assèliu de sas pedras.
E deo, rèndida,in  su podère ch’inghiriat,
tzedo a  sa majia, de no connoschere
de me pius nudda chi bessit dae me;
si peso azìgu su bratzu,
ateru èssu lèat sa mòvida,
trunchendesi che bidru,
isconnotu e liju m’est s’ammentu
e no est pius mia sa miccàda;                      
si faeddo, tràssita, isculto cussa ‘oghe,
iscràdiende a s’iscèra pius antiga,
o istudendesi in s’aria chi no la rèzet piùsu.
Gai, in su giassu chi agguantat
s’ultima isvanessìda ‘e die,
durat su trabùliu, poi, una sùlida
nde pesat sas baddes trinnighende,
e, dae sos ratos, bessit un’ischignàda
de sonu chi s’ispàniat,
in sa fumatza lestra,
e sas primas làntias
pintant sos appròdos.…sas peraulas
tra nois ruent lebias.
T’abbaido in-d’una modde lampizada.
No isco si ti connosco,
isco chi mai mi so istrejida dae te
comente  como,
in custa recuìda tardìa.
Un’istùnda at brujadu totu de nois:
francu  duas caras,
duas caratzas chi s’imprimint,
custrintas, de unu risitu.                                                     


Due nel crepuscolo

Fluisce fra te e me sul belvedere
un chiarore subacqueo che deforma
col profilo dei colli anche il tuo viso.
Sta in un fondo sfuggevole, reciso
da te ogni gesto tuo; entra senz’orma,
e sparisce, nel mezzo che ricolma
ogni solco e si chiude sul tuo passo:
con me tu qui, dentro quest’aria scesa
a sigillare il torpore dei massi.Ed io riverso
nel potere che grava attorno, cedo
al sortilegio di non riconoscere
di me più nulla fuor di me; s’io levo
appena il braccio, mi si fa diverso
l’atto, si spezza su un cristallo, ignota
e impallidita sua memoria, e il gesto
già più non m’appartiene;
se parlo, ascolto quella voce attonito,
scendere alla sua gamma più remota
o spenta all’aria che non la sostiene.
Tale nel punto che resiste all’ultima
consunzione del giorno
dura lo smarrimento; poi un soffio
risolleva le valli in un frenetico
moto e deriva dalle fronde un tinnulo
suono che si disperde
tra rapide fumate e i primi lumi
disegnano gli scali…. le parole
tra noi leggere cadono. Ti guardo
in un molle riverbero. Non so
se ti conosco; so che mai diviso
fui da te come accade in questo tardo
ritorno. Pochi istanti hanno bruciato
tutto di noi: fuorchè due volti, due
maschere che s’incidono, sforzate
di un sorriso.

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