Categoria : memoria e storia

“Puigdemont e l’indipendentismo sardo” di Mauro Maxia

Ancora una volta Carles Puigdemont ha dimostrato di essere un politico scaltro, che sa quel che vuole e come raggiungerlo. Capo di “Junts per Catalunya” (partito di destra che raccoglie il 20% degli elettori catalani) si è messo alla testa di un cartello di indipendentisti che, con la sinistra e il centro, raggiungono il 48% dei votanti. Dunque meno della metà degli elettori catalani. Nelle precedenti elezioni regionali il cartello degli indipendentisti era arrivato al 47,5% ottenendo una risicata maggioranza consiliare.
Nonostante il numero dei votanti fosse minoritario, l’assemblea regionale aveva dichiarato l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna con i soli voti dei consiglieri indipendentisti (70 su 135), convocando poi un referendum il cui esito è noto a tutti. Dichiarare l’indipendenza prima di un referendum almeno consultivo è stato un azzardo, forse giocato con l’intento di provocare la prevedibile reazione dello stato spagnolo e attirare l’attenzione interna e internazionale sulla questione catalana. Che la linea dei nazionalisti catalani sia stata poco lineare lo dimostra il fatto che le altre regioni catalanofone (la Comunità Autonoma Valenciana e quella delle Isole Baleari) non hanno seguito l’iniziativa del governo regionale catalano. Dello stesso avviso si è mostrata la Comunità Autonoma della Galizia ma soprattutto quella del Paese Basco che in fatto di indipendentismo sa il fatto suo. Come mai la ricca Catalogna è rimasta isolata in Spagna e in Europa? In effetti il suo caso ricorda quello della Lega Lombarda che, pur rappresentando la regione più ricca d’Italia, puntava dichiaratamente a separarsene.
Diversi partiti e movimenti indipendentisti sardi hanno accolto Puigdemont come un eroe. C’è da augurarsi che la Catalogna e le altre nazioni senza stato riescano, prima o poi, a rifondare una Confederazione Europea dei Popoli al posto di quella attuale fondata da stati che hanno favorito l’indipendenza di certe nazioni (Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Kossovo, Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia, Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia…) ma che sono del tutto contrarie all’indipendenza delle nazioni senza stato comprese nei loro territori (Galizia, Paese Basco, Catalogna, Paese Valenciano, Baleari, Bretagna, Fiandre, Corsica, Sardegna).
Il presente è figlio del passato. La Sardegna, in particolare, ha un enorme credito storico nei confronti dei catalani che dopo 90 anni di guerra sanguinosa conquistarono la Sardegna rendendosi protagonisti di atrocità, massacri e deportazioni a danno di città, villaggi e popolazioni inermi della nostra isola. Si deve ai catalani se la Sardegna non è riuscita a concretizzare il sogno dell’indipendenza sotto la guida degli Arborea e ha dovuto subire secoli bui di asservimento materiale e morale che ne determinarono il mesto destino. Solo i Savoia si avvicinarono per brutalità ai catalani. Forse i gruppi indipendentisti nostrani dovrebbero riflettere più a fondo sul ruolo ostile avuto dalla Catalogna nella storia della nostra terra che essi per primi definirono “nació sardesca” constatando che era una nazione in diritto e di fatto. Non a caso le riconobbero un ruolo di regno autonomo nell’ambito della Corona d’Aragona.
Sul piano storico Puigdemont rappresenta l’erede politico di quel violento stato conquistatore. Accoglierlo con tutti gli onori proprio nella città dalla quale nel 1354 i catalani cacciarono i sardi è come accogliere con onore l’ultimo erede dei Savoia. Non vi sono le condizioni per definire fratelli gli eredi dei carnefici. Prima di tributare onori, sarebbe più giusto chiedere e ottenere le loro scuse ufficiali per il male e le sofferenze causate ai sardi. Solo dopo si potrebbe parlare, da pari a pari, di un futuro di alleanze e obiettivi condivisi.

 

Mario Unali, Anna-Maria Sechi e altri 41
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