“La canzone di Marinella in lingua sarda” di Salvatore Patatu

La canzone di Marinella in lingua sarda
Una buona occasione per attaccare… bottone, conclusasi con la traduzione in limba della celebre canzone di Fabrizio De André
di Salvatore Patatu
L’altro giorno, frugando fra le mille scartoffie che conservo disordinatamente in un armadio del mio studio, ho trovato la traduzione in sardo di una famosa canzone, che avevo completamente dimenticato.
Questa traduzione si riferisce a un periodo della mia vita, che, allora, credevo fosse il massimo dello sconforto e che invece ora rimpiango come capita per tutte le vicende vissute quando si era giovani.
Una delle cose gradevoli che mi capitarono quand’ero militare è stato il mio distaccamento, per alcuni giorni, come vicecomandante della polveriera di Anagni, allora la più grande d’Italia. L’area che conteneva questo imponente deposito di munizioni era circondata da sei altane, su ognuna delle quali vigilavano i miei granatieri, che si alternavano con turni di due ore. Questo servizio, però, avveniva solo di notte, in quanto di giorno provvedevano alla guardiania i cani ammaestrati, guidati da personale civile, agli ordini di un maresciallo di artiglieria, che abitava all’interno della polveriera con la famiglia, a pochi metri dalla caserma che ospitava noi.

C’era un piccolo problema: il maresciallo aveva una figlia bellissima, studentessa universitaria in materie letterarie. E questa ragazza era l’obiettivo principale dei granatieri, che le giravano attorno, soprattutto quando il padre non c’era. D’altronde bisognava pure passare il tempo, dato che avevano tutta la giornata libera da impegni di servizio. Naturalmente io non ero da meno, in quanto lei amava parlare di letteratura, materia in cui ero piuttosto ferrato. Il maresciallo vigilava assiduamente sulla castità della figliola, che non disdegnava, però, d’intrattenersi con qualcuno degli aitanti granatieri e quindi anche con me, che, tra l’altro, ero il più intraprendente. Del resto ero il vice comandante ed il comandante, un alto ufficiale, de minimis non curabat.
Questa ragazza si chiamava Marinella e in quel periodo stava preparando l’esame di filologia romanza. Il suo professore le aveva detto che per essere bravi in quella materia bisognava conoscere bene il greco, il latino, il sardo e il catalano.
Una mattina ebbi un colpo di fortuna: nel juke box di un baretto, che c’era nelle vicinanze, sentii per la prima volta La canzone di Marinella, di Fabrizio De Andrè. Non sapevo chi fosse questo nuovo cantautore, allora quasi sconosciuto, ma con facilità trovai il testo, lo tradussi in sardo e lo regalai alla figlia del maresciallo, approfittando del fatto che lui, quel giorno, era andato in missione a Roma. La intrattenni per più di due ore, declinando alcuni vocaboli come beranu, galanu, ermosu, acasazu, frunzas, suerzos e via dicendo, che avevano attirato la sua attenzione e mi diede appuntamento per il pomeriggio per continuare il lavoro di analisi.
Dopo pranzo ci rincontrammo e, sul più bello, arrivò il maresciallo, Il quale non gradì per niente l’interesse della figlia per la filologia romanza e per la lingua sarda e, soprattutto, gradì ancor meno il mio interesse per la figlia, nonostante le mie intenzioni fossero del tutto finalizzate al superamento dell’esame della ragazza col massimo dei voti.
Dopo aver allontanato Marinella, il sottufficiale mi provocò tentando di farmi perdere le staffe e concludendo le sue non celate minacce con la solita frase che i superiori ignoranti dicevano allora ai loro subordinati: “Ti sbatto in Sardegna!”.
Il povero maresciallo, nel pronunciare quella frase, ignorava tre cose. La prima era che io ero sardo e non mi sarei opposto, principalmente per motivi di studio, a un mio eventuale trasferimento nella mia terra! La seconda era che i Granatieri di Sardegna non potevano essere trasferiti nell’isola, di cui portavano (e portano ancora) il nome, in quanto allora l’unico reggimento di granatieri esistente era di stanza a Roma nella caserma di Pietralata e, tutt’al più, potevano essere comandati temporaneamente in altri servizi, proprio come quello di far la guardia alla polveriera di Anagni e questa scelta non dipendeva certamente da lui. Ma la cosa più importante che ignorava l’inquieto maresciallo era che io dovevo essere congedato pochi giorni dopo. Cosa che avvenne regolarmente. Comunque salutai educatamente il preoccupato genitore e rientrai nei miei ranghi.
Ricordo molto bene tutta la vicenda e porto davanti a me la preoccupazione comprensibile del maresciallo genitore. Purtroppo ignoro del tutto il risultato dell’esame di filologia romanza della figlia. E questo mi preoccupa ancora e… non poco.
Testo in italiano
La canzone di Marinella di Fabrizio De Andrè
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella
Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta.
Bianco come la luna il suo cappello
come l’amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue l’aquilone
E c’era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c’era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose le sue mani sui tuoi fianchi
Furono baci, furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle
Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent’anni ancora alla tua porta
Questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose
Tradussione in Limba Sarda de Salvatore Patatu
Su contadu de Marinella
Custu de Marinella est su contadu
ch’in beranu in su riu ch’at illitadu,
ma su ‘entu chi l’at bida gai bella,
dae su riu che l’at pigad’a un’istella.
Perun’ammentu aias de dolore,
vivias chena bisos de amore,
e su re chena corona e chen’iscortas
tzocadu t’at sa gianna pro tres bortas.
Su sumbreri ‘e sa luna at su colore,
ruju at su manteddu chei s’amore,
l’as postu fatu tue chena faeddare,
che unu piseddu chi cheret bolare.
Bi fit su sole e aias ojos galanos
basadu t’at sas laras e sas manos,
suta sa luna aias ojos istancos
e postu t’at sas manos in sos fiancos.
Daboi fin basos e fin acasazos
e solu fin sas frunzas de suerzos,
chi an bidu cun sa lughe ‘e sas istellas
tremende sa carena de carres bellas.
Naran chi daboi tue a sa torrada
in su riu che ses ruta a s’impessada
e isse chi a sa morte no at pensadu,
pro chent’annos sa gianna t’at tzocadu.
Su cantu tou est custu, o Marinella,
chi ti che ses bolada a un’istella,
coment’e totu sas ermosas cosas
vìvidu as una die chei sas rosas!
Coment’e totu sas cosas ermosas
vìvidu as una die chei sas rosas!

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