“L’incontro notturno con le anime di Carruzzu de Ballas” in Chiaramonti di Anghelu de sa Niéra

Il carruggio quasi gemello di Carruzzu Longu, che s’inerpica come quello verso Monte de Cheja, è quello che stranamente vien detto Via delle Balle, espressione presumibilmente sorta nel Ventennio Fascista durante il quale l’uso dell’Italiano veniva comandato dai gerarchi, in genere maestri elementari, e di segretari del fascio, ugualmente maestri elementari come il Duce.

Mia suocera Tarsilla Mannu ha insegnato alle figlie e ai figli l’uso perentorio della lingua italiana, disobbedita dalle figlie più grandi, ma obbedita dai figli minori. Dire che Via delle Balle è detta così per le balle che avrebbero raccontato i miei parenti nulvesi che costituivano la maggioranza degli abitanti mi pare una banalità trattandosi di gente semplice e analfabeta, io suppongo piuttosto che fosse la traduzione in italiano di Carruzzu de Ballas, perché le palle di trachite di variegata colorazione rossastra presenti nei muri delle case a piano terra fossero frequenti come resti storici delle battaglie che dovettero tante volte  verificarsi tra i fratelli Doria proprietari originari del Castello e i perfidi catalani e aragonesi che tentarono d’impossessarsi dell’ultima roccaforte dei Doria dopo averli cacciati  da Alghero, Castelgenovese e Casteldoria. Del resto i due documenti rinvenuti nel Codex Diplomaticus Sardinae di Pasquale Tola dal nostro medievalista Gian Luigi Marras parlano chiaro.

Quello riferito al 1348 accenna alla fuga dei Doria da Casteldoria e diretti a creare una piazzaforte sul monte più alto e vasto dei tre visibili dalla valle: Monte che poi sarà detto di San Matteo, Monte Carmelo e Monte Ozastru, tutti e tre boscosissimi, mentre non si scorgeva la piattaforma miocenica del Monte di Codinarasa che era situato all’interno del sistema collinare alto costituito appunto da queste quattro estese colline dette dagli abitanti delle cime più basse monti. C’è da pensare che sia gli abitanti  delle ville romane di Santa Caterina e di San Giuliano, di  Orria Pitzinna e delle altre cime non superiori a duecento, duecentocinquanta metri sul livello del mare, chiamassero queste alte colline monti non solo perché superavano i quattrocento metri, ma anche per la vasta estensione delle loro appendici. Come del resto chiamavano Monte anche Sa Punta Torrione di Monte Ledda di pertinenza chiaramontese di circa seicento  metri, ma accanto ad essa di pertinenza ploaghese, sa Punta de s’Istadu che toccherebbe i 700 mdlm.
Tornando al documento esso ci dice che il giudice d’Arborea, in quel momento alleato con i Catalani e gli Aragonesi, facendo la spia, diceva che i Doria si apprestavano a costruire una rocca forte in quei pressi nella loro fuga da Casteldoria, mentre il documento del 1350 dice chiaro e tondo che gli abitanti del Castello e del  borgo di Chiaramonti si erano bene organizzati e popolati e che facevano scorrerie per depredare le vettovaglie  dirette a Casteldoria e agli altri possedimenti catalano-aragonesi. Non so se da queste latrocinesche operazioni i chiaramontesi presero il blasone di “ladri” anche se si sa che quando due schieramenti sono in guerra non badano  a depredare beni e donne. Si tratta delle inique leggi della guerra in cui homo homini lupus est.
Questo lungo discorso per dire che sarebbe troppo semplice redurre carruzu de Ballas a via delle balle. Certo chi poteva metterne su in quei paraggi di frottole più che i numerosi Pira o Piras era zio Giovanni Andrea Tedde dalla calda fantasia, creduta peraltro dai Piras d’indole buona e raramente litigiosa.
Per tutte queste ragioni lo scrivente preferisce chiamare questa originaria via che condusse un tempo al castello Carruzzu de Ballas. Ogni lettore chiaramontese o no si faccia pure l’idea che vuole, del resto la storia è un tentativo di ricostruzione del passato che tiene conto del tempo e dello spazio, ma anche dell’ideologia e della cultura dello storico, ché la verità genuina delle vicende umane la conosce soltanto il buon Dio, se uno ci crede.
Posso affermare  che Carruzzu de Ballas era tutto nostro e tutto nulvese perché vi si erano installati da tempo sia Giovanni Piras sia Antonia Farre con la loro numerosa prole di pastori di pecore e di capre, emigrati appunto dall’abitato del Monte San Lorenzo in Nulvi, credo che il maggiore fosse nonno Michele e seguissero tra i maschi Antonio e Pietro, mentre le donne erano Pietruccia, Sebastiano, Chica e Peppa. Tutti più o meno felicemente sposati con dei o delle chiaramontesi: Michele con Maria Chiara Soddu, Antonio con Mattea Canu, Pietro non avendolo conosciuto non saprei. Pietruccia con Giovanni Casula, Sebastiana con Giuliano Accorrà, Chica con Gavino Falchi,  e Peppa signorina, poi emigrata in Argentina.
In una notte di luna piena, non molto tempo fa, mi sono levato dal mio letto, dal momento che non riuscivo a dormire e mi son sentito quasi trascinare verso Carruzzu de Ballas. Ho percorso quasi a volo via San Giovanni, ho raggiunto Piatta de s’Ulumu ed eccomi all’ingresso della via, la popolazione delle ombre, quasi viva era affaccendata così come tante volte la osservavo da fanciullo quando dovevo recarmi da nonno e da zia Giorgia o da zio Giovanni Andrea,
Nella prima casa a destra m’imbatto in zio Giovanni Tedde. E’ seduto sul gradino della porta e vedendomi mi dice:- Che ci fai in questa strada alle due di notte?-
-Non lo so zio Giova’ mi ci ha trascinato qualcuno.- Riprende:-Sono qui per penitenza, vedi che vesto il saio del Carmelo! Ad ogni modo ti ringrazio perché ogni volta che sali al Camposanto mi fai visita e mi dici qualche requiem!
Procedo. Ed ecco la colossale zia Bucciana Zigante con accanto, seduto, sul gradino il suo minuscol marito, zio “Ra”. Sento che gli sta leggendo la vita:-Quante volte te l’ho detto che quando i ragazzi si coglionano di te, devi bastonarli come faccio io con te quando ti comporti male. Adesso vai su e portami il bastone che mi pare stia arrivando qualcuno che ci vuole importunare. – A sentire queste parole affretto il passo dal momento che non ho voglia d’essere picchiato da un ombra così gigantesca.
Vado avanti ed ecco zia Chica che parla col marito Gavino Falchi. Sento che borbotta dicendo:-Questo tuo figlio è incorreggibile, io non so perché se ne sta lontano dagli altri giovani e ha sempre da dire. Dovresti fargli capire che la solitudine è cattiva consigliera.-
Avanzo e mi viene incontro zia Bucciana, notoriamente jellatrice, mi guarda, mi riconosce ed esclama:-Angelineddu ses, su fizu de Serefina, accurziadu ca si no ti ponzo oju.- Mi avvicino, mi carezza invano il volto, ma sento il calore della sua mano. Conclude:-Bae in bonora fizu me’ chi gia t’as fatu onore!-
Percorro ancora il carruggio ed ecco zio Antonio, in divisa da guardia del dazio e con la protesi del braccio destro sempre ferma. Sta parlando con la moglie zia Mattea, rossa in volto, che gli dice:-Deves pensare a Tettedda!-Risponde l’uomo:
-Deo già b’apo pensadu, ello non est diventata mastra de asilo! No la ides ch’est setzida accurtzu a sa gianna.- Mi vede e mi dice:-Intra a domo chi ti fatto assazare su rosolieddu americanu!- Rispondo:-No, tiu Anto’, si narat Coca Cola!-
Mi allontano ed ecco l’incontro con zia Paolina, figlia di zia Bucciana, sempre gentile e carina da viva nei miei confronti e vuole che entri a casa sua ora che è un’ombra, ma la casa è chiusa e io non mi avvicino nemmeno. La saluto e mi sento chiamare da Paolino Urgias, grande comunista bonaccione, mi si avvicina e mi dice:
-Ti ricordi quando allo Stradone mi hai fatto la Croce nel petto dopo che ti ho dato che Dio era un’invenzione dei preti? Ebbene sappi che Dio esiste ed è dalla parte di noi poveri comunisti! Mi ha accolto così bene che ho pianto per un mese, quando mi sono presentato a San Pietro con la tessera. Non immagini nemmeno come si sta bene qui, altro che nella vita terrena. Dillo ai miei compagni!-
Abbraccio Paolino, ma le mani mi tornano al petto. Si tratta di un ombra evanescente, ma vera. Gli sussurro: -Paoli’ prega per me!- Mi risponde:-Stai tranquillo, lo dico subito a San Paolo e sei a posto!-
Procedo e mi si presenta tiu Matteu Villa, fattore dei Falchi, mi sorride, entra in casa sua e scompare, mentre tutto felice avanza zio Giommaria Sale che mi dice:- Lo sai quanto ho lavorato in vita mia io e mia moglie per tirare sui i figli, ma adesso in compenso siamo felici! Qui senza fatica ci godiamo la musica e i profumi della Primavera, una grande gioia nel cuore che va aumentando sempre più. Salutami mia nipote la poetessa, Le sue belle poesie le leggiamo anche qui con gli angeli.- Se ne va, a braccetto con la moglie e scompare dentro casa.
Sto risalendo il carruggio ed eccomi venirmi incontro zia Lucia, ah la mia cara zia Lucia, cugina di babbo, che dal giorno dopo l’orfanezza mi ha voluto a Cachile per consolarmi e che per anni mi ha ospitato in casa sua durante le ferie estive. Sempre generosa e ospitale, affettuosa e preoccupata del mio avvenire. Cerco di abbracciarla invano. Ecco uscire da casa sua per salutarmi la cara Santina, la sorella e zio Costantino  zia Marietta morta a cent’anni! Che brava gente del mondo contadino fatto di sudore e di semplicità. Gente veramente buona. Eccomi venirmi incontro compare Giuseppe, sereno, sorridente, biondissimo con Peppa  a braccetto! Cerco di abbracciarli, ma invano. Sorridono e compare mi dice:-Ora sono davvero felice, compa’, dopo i sette anni di purgatorio senza poter parlare e senza tornare al mio podere. Vi vedevo passare, ma ho capito che non potevate visitarmi. Tutto quello che ho passato qui si è trasformato in piena gioia. Non c’è confronto, compa’ con le misere gioie della terra. Qui si vive troppo bene accanto a Dio, alla Vergine a a San Matteo e poi compa’ a tutti i santi che hanno vissuto in paese. Non offendetevi, ma qui in allegrezza facciamo barba e capelli ai ricchi della terra, noi siamo al millesimo piano e loro, a  mala pena a pianoterra compa’!-
Mi commuovo e rischio di svenire, ma ecco venirmi incontro mio nonno Michele, zia Giorgia e nonna Maria Chiara con zio Giuseppe, bellissimi tutti. Cercano tutti di baciarmi, ma io non sento i loro baci, se non un vento leggero che mi dà conforto. Mi sorridono e zia Giorgia mi dice:- Non vediamo l’ora di vederti, ancora sei condannato a soffrire sulla terra, ma poi sarai felicissimo per tutta l’eternità con noi.- Mi scendono le lacrime dalla commozione. Vengo scosso dalla voce alta di mio zio Giovanni Andrea, accompagnato da zia Antonina, che si mette a far poesie finalmente limpide e celestiali:- Innoghe che semus totu/ chena fågher rebottu/ ma solu pregadorias pro Gesusu e pro Maria./ Faghes bene a pregare/ pro sas animas purgantes/ chi  de Deus suni  amantes/ e luego an’a esser cun nois/. Nebode caru nebode/nos as toccadu su coro/ cando ti ses laureadu/ sa zenia as onoradu/ chi Deus siat laudadu!- Allora gli ho risposto:-Tiu Giuannandria amadu/cando non as  in collegiu collocadu/ l’as pensada bene meda/sa vida nostra che .i. sa  seda/ chi totu nos at bestidu/ sa fide nos at frunidu de su saludu a pienu/ Deus siat rengratziadu!-
Abbraccio zio ed ecco Emidio e Tonino che mi sorridono felici è con loro la moglie di Claudio figlio di Emidio che ad appena cinquant’anni il Covid ha portat via.
Mi dice di scrivere spesso al marito che è molto angosciato in Svizzera dove si erano trasferiti coi figli Simone e Alberto.
Sento il tocco delle tre e vedo che le ombre scendono in processione dall’alto verso il basso dirette a Caminu de  Cunventu in abito carmelitano marrone oscuro.
Un canto si leva soave. E’ il salmo del Laudate Dominun omnis terra! Dall’alto osservo la processione e quando questa scompare passo in piazza de s’Ulumu e torno a casa contento di quest’immersione  nel mistero dei nostri cari passati a vita migliore.

 

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