“Nasciamo, viviamo e moriamo. E poi restiamo come scie, ombre, echi sempre più lievi nei ricordi degli altri… “di Sarah Savioli
A tavola mio nonno, mio zio generale che era suo fratello minore e mio padre sembravano fatti con lo stampino.
Tutti e tre con gli occhi di un celeste dall’intensità irreale, la struttura vagamente taurina, il tono di voce tonante, il colorito tipico di quelli che passano da allegro a incazzato in 0,00001 secondi.
Mio nonno a capotavola che con un sorriso fiero guardava a noi tre nipoti che facevamo gli idioti borbottando divertito “Ignuranti”, mio zio che proseguiva con “Permettimi, ma io che ho studiato mi sento di dare il mio apporto ai ragazzi dicendo che decisamente non capiscono nulla”, mio padre che ridacchiava nella speranza di non essere tirato in mezzo da quei due fratelli, anche a più di 50 anni e dirigente di una USL con lo stesso timore che aveva da adolescente, ma poi finiva regolarmente che mio zio lo centrava in pieno con “Ma tesoro, ne ho anche per te che sennò poi dici che non ti penso: anche tu sappi che capisci veramente poco”.
Una sera capitò che dormissero tutti e tre sotto lo stesso tetto e che io, allora sarò stata al primo anno di università, avessi la fortuna di esserci. Erano dei russatori leggendari, sembrava che qualcuno stesse tagliando con una sega circolare le fondamenta della casa ogni tanto dandoci giù pure un colpo di compressore. Le tre mogli avvezze al concerto non facevano una piega ormai rassegnate a un destino di notti passate di fianco a dei cinghiali, io invece dopo un’ora di agonia presi il cuscino e andai a dormire sula macchina parcheggiata nel cortile maledicendoli e dicendomi che se avessi sposato uno che russava così, gli avrei tagliato la gola nel sonno.
Alla mattina mio nonno vedendomi che stropicciata come un fazzoletto di carta usato scendevo dalla macchina, dalla finestra cominciò a cantarmi una serenata con “rose, cuori e amori”, poi ovviamente gli andò dietro mio zio e mio padre pure. Gli stronzi… io risposi arruffata con lo sguardo arcigno e il dito medio alzato. Loro continuarono a cantare per poi evolvere come al solito con una roba da osteria che parlava di una qualche Carlona busona e degli imbriaghi e cose così.
Una compagnia così erano, quei tre…
Al funerale di mio padre, mio cugino, mio zio ed io ci mettemmo a dare il meglio della nostra stupidità irridente di tipico marchio Savioli… il fanculo spassionato tipico nostro a un diritto al dolore che non ci siamo mai concesso.
Al momento di andare via, lo zio generale mi disse “Bambina, tu sei una delle persone più forti che io conosca”. E detto da un uomo di famiglia perdutamente maschilista e nei confronti di una nipote sempre fuori da regole e schemi, fu un’ammissione incredibile che mi emozionò come poche altre cose nella mia vita perché so che per lui fu dolorosa quanto darsi una martellata sulle palle. Una rivalutazione ampia di tanti tanti convinzioni e sicurezze, roba da aver coraggio vero.
Mio nonno e mio padre non ci sono più da un po’. Mio zio generale è andato via ieri sera…
Nasciamo, viviamo e moriamo. E poi restiamo come scie, ombre, echi sempre più lievi nei ricordi degli altri… e poi in chi non ci ha conosciuto mai, al più ricostruzioni nei racconti che non rendono mai onore alle nostre profondità, nel bene e nel male.
Ma è così che va, che alla fine siamo fatti per passare, increspare appena la superficie dell’acqua.
Eppure c’è dell’incredibile poesia nel sentirsi esseri umani così minuscoli nel tempo e nello spazio e allo stesso momento essere capaci di contenere così tanta malinconica dolcezza e l’incrollabile certezza dell’eternità degli affetti…
Commenti
Personalmente credo che oltre all’eternità degli affetti godremo di un’eterna beatitudine presso Colui che tutto ha creato e che alla fine, dopo la nostra via Crucis terrena, godremo della gioia eterna coi nostri amati cari. Questa è la mia speranza e la mia certezza.
Angelino Tedde
Aprile 14th, 2019