Categoria : filologia

Studi storici sui dialetti della Sardegna Settentrionale di Mauro Maxia – Capitolo VIII

L’Anglona fra sardo e còrso durante l’età moderna

795px-Sardinia_Language_MapPer quanto riguarda Castelsardo, i primi accenni sulla sua varietà linguistica sono riferiti da Vittorio Angius che scriveva: “Usasi la stessa (lingua) che parlano la massima parte de’ galluresi” 166. Ma non sappiamo, a causa del periodo e della competenza linguistica dell’Angius, quanto questa osservazione corrispondesse all’effettiva realtà da lui osservata a Castelsardo nel periodo immediatamente precedente al 1837.

Non sembra un caso che nel medesimo articolo egli annotasse un’usanza tipica di Castelsardo, quella cioè di cantare per le strade dei componimenti poetici di sapore popolaresco. Scriveva l’Angius: “Perantonate. Chiamansi cosí certe volgari poesie le piú in stil bernesco che i giovani aggirandosi per le contrade soglion cantare nella sera dell’ultimo dell’anno, e della vigilia dell’Epifania e di s. Antonio presso le case dei signori e dei preti, da’ quali ricevon mancie o doni”.

Ora, la tradizione della perantunádda, attualmente in via di disuso, rimanda all’identica usanza ancora vitale a Sassari, dove un tipo di composizione simile viene detto góbbula, termine derivato dallo sp. Copla167 con anaptissi e normale sonorizzazione e allungamento dell’occlusiva in contesto intervocalico.

Il vocabolo castellanese forse è insorto da una funzione dedicatoria di tale tipo di composizione poetica al patrono del borgo, S. Antonio. Anche da quest’ottica è possibile rilevare l’approssimazione delle annotazioni dell’Angius, quando classificava di “stile bernesco” questo esempio di poesia popolare. Ancora oggi, infatti, la perantunadda viene cantata soprattutto in onore di S. Antonio, da cui sembra desumersi che si tratta di una forma poetica non di basso livello ma anche di ispirazione religiosa.

In ogni caso, nei primi decenni dell’Ottocento la locale parlata di origine còrsa doveva essere profondamente radicata da tempo.

Per quanto concerne Sedini, denominazioni come su FurrágheCampizóluBadu ’e Súes, Pilághi,LittighédduGiánnas, ecc. 168 rendono chiaramente conto di una precedente vigenza del logudorese. Si tratta di toponimi che, talvolta inseriti nella stessa toponimia del centro urbano, sono tuttora pronunciati in logudorese oppure risultano adattati alla fonetica della parlata sedinese.

Come e quando è nata la parlata sedinese? Intanto si sa che il Campo di Coghinas, cioé la pianura oggi denominata “bassa valle del Coghinas”, era rimasto spopolato già a partire dalla metà del Quattrocento. Di lì a poco dovette avere inizio un’onda migratoria di pastori còrsi che portarono il loro dialetto oltremontano, quello cioé che risulta attestato nel settore sudoccidentale della vicina isola e che fa riferimento al centro di Sartèna. Probabilmente a questa fase non documentata corrispondono idronimi come lu riu di li Saldi ‘il rio dei Sardi’  (Trinità d’Agultu e Vignola) e riu Cóssicu riu de Cóssiga ‘rio còrso’ o ‘rio di Corsica’ (Perfugas), i quali insorsero in aree confinarie in un momento durante il quale le due componenti etniche dovettero trovarsi a stretto contatto, prima che iniziasse il processo di fusione.

Di tali presenze si possiedono conferme attraverso i documenti cinquecenteschi conservati negli archivi dell’antica diocesi di Ampurias (Castelsardo). Se ne deve dedurre che gruppi còrsi si fossero stanziati già precedentemente sia a Castelsardo che a Sedini.

La prima testimonianza diretta della vitalità di una nuova parlata a Sedini è relativamente recente e risale soltanto al 1833 ancora ad opera di Vittorio Angius. Nel Dizionario del Casalis, riguardo alla voce “Sedini”, egli scriveva testualmente: “Il linguaggio de’ sedinesi è lo stesso di Castelsardo, che non è diverso dal gallurese; onde appare che in origine questa popolazione fu corsa, come si accenna dal rione detto capo corso” 169.

Ma quanto credito si può dare alla classificazione dell’Angius quando attribuisce la parlata di Sedini al dominio gallurese?

Egli titolava “Setini” l’articolo del Dizionario del Casalis. Da questo elemento sembrerebbe implicito che tale fosse allora la pronuncia del toponimo. In effetti, Vittorio Angius non conduceva direttamente se non una minima parte delle sue inchieste, per le quali si avvaleva dei parroci dei villaggi, così come faceva il canonico Spano per il suo celebre vocabolario.

Esaminando con attenzione il dato in questione, si potrà osservare che l’articolo relativo a Sedini è inserito nel vol. XVIII del Dizionario del Casalis, volume che fu pubblicato a Torino nel 1849. Pertanto le notizie relative al villaggio di Sedini furono raccolte l’anno precedente o ancora prima.

Orbene, per il periodo che va dal 1843 al 1849 (e poi fino al 1860) il Chronicon della parrocchia di S. Andrea di Sedini registra il parroco Giovanni Maria Pes, 170 un religioso di origine gallurese che evidentemente trascrisse il nome del villaggio secondo la pronuncia gallurese che corrisponde appunto a Sétini. Ed ecco spiegato il motivo della grafia “Setini” che, diversamente, risulterebbe problematica, posto che già nel 1321 questo centro è documentato con l’odierna forma Seddini. 171

Da un documento settecentesco, in cui sono riportati alcuni toponimi del territorio sedinese, si rilevano infatti dei tratti fonetici che differiscono sicuramente da quelli del dialetto gallurese. Nella relazione di Vicente Mamely de Olmedilla 172, compilata nel 1768, compaiono fra gli altri i toponimilu Saraguina (trascrizione con desinenza errata dell’attuale denominazione lu Saraghínu, in cui si osserva la sonorizzazione della velare intervocalica) e Pedra Mayori (oggi Péddra Majóri, il cui primo membro presenta la dentale sonorizzata mentre il gallurese ancora ha pétra). In queste due forme, dunque, si osservano delle chiare interferenze fonetiche di “tipo” sassarese.

Gli esiti saragínu pédra differiscono dai corrispondenti galluresi sarakínu pétra. Da ciò si deduce che l’Angius, riportando la forma Setini comunicatagli dal parroco Pes, registrò una grafia che non corrispondeva alla locale pronuncia del toponimo (Séddini).

In ogni caso, il fatto che la toponimia del territorio sedinese registrasse già da allora delle forme non logudoresi dimostra con evidenza che nella zona il dialetto còrso era in uso da molto tempo prima.

Tradizionalmente è invalsa la tesi che la parlata corsa di Sedini sia dovuta ad un fatto traumatico. Si racconta che fra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento i precedenti abitanti, essendo stati scacciati da parte di banditi aggesi, si sarebbero rifugiati a Bulzi. Questa tesi, in reltà, può essere accolta soltanto in parte poiché sia i Quinque Libri della parrocchiale sedinese di S. Andrea sia quelli del distrutto villaggio di Speluncas, un tempo situato a due chilometri da Sedini, documentano la presenza stabile di gruppi di origine còrsa già prima della metà del Seicento. Né appare privo di importanza rilevare l’elevato livello sociale di taluni individui aventi cognomi di origine còrsa 173. Questo aspetto depone a favore di una presenza radicata da tempo.

La tradizione del fatto traumatico forse è da collegare col ricordo di case rovinate nel rione di Cábbu Sáldu, un aspetto documentato già nel 1769. Diceva, infatti, Vincenzo Mameli de Olmedilla: “Nei tempi antichi (Sedini) doveva essere molto piú popolato, secondo la tradizione che corre e secondo ciò che indicano le rovine e le fondamenta di numerose abitazioni, che ancora si scoprono. Tuttavia le lotte civili di questa regione, che hanno spossato e rovinato tutto il principato di Anglona, quasi piú che qualsiasi altro hanno travagliato questo villaggio, il quale dopo fu bersaglio dei banditi e malviventi, particolarmente degli aggiesi, che come Vandali e Visigoti si impossessarono di Sedini, fecero gran carneficina dei loro avversari e occuparono i beni degli stessi sorveglianti e abusando della prepotenza comprarono anche dagli altri abitanti con la violenza e a vilissimo prezzo molte proprietá e si stabilirono particolarmente nel territorio di Coghinas, ove occupparono molti terreni e quelli e questi sono ancora oggi posseduti dai loro successori” 174.

A fianco di questa tradizione è ben viva una variante che, pur non essendo meno drammatica, appare forse più verosimile. Essa riferisce di un episodio che ebbe per vittime alcuni abitanti di Cuncája, toponimo che designa un tratto del villaggio immediatamente sottostante la parete calcarea di Mònti Rudu. Costoro vennero travolti con le loro abitazioni da un crollo della sovrastante falesia calcarea, che anche durante questo secolo ha dato più volte segno di cedimento.

La zona denominata Cuncája, in realtà, corrisponde all’antica denominazione di Cabbu Sáldu. È probabile, quindi, che l’abbandono di quelle case sia dovuto originariamente alla obiettiva situazione di instabilità e di pericolo venutasi a creare piuttosto che all’azione di delinquenti che, pure, non dovette essere esente dal provocare grosse turbative sociali.

Sotto l’aspetto linguistico la teoria del ricambio traumatico di popolazione viene smentita in modo abbastanza netto. Intanto si è già accennato alla persistenza di toponimi logudoresi e ciò non può essere un dato casuale. Non solo, ma gran parte dei toponimi foneticamente “sassaresi” oggi attestati sono essi stessi degli adattamenti di precedenti denominazioni logudoresi. Tutto ciò presuppone una lenta dinamica di sovrapposizione linguistica che si completa normalmente nell’arco di alcuni secoli.

La parlata sedinese è essa stessa una testimonianza di quanto lunga dovette essere la convivenza fra l’elemento logudorese e quello còrso prima che dal loro incontro nascesse quella varietà dialettale che rappresenta, se ciò è sociologicamente consentito, il sunto e lo spirito dell’Anglona attuale. Ciò costituisce un dato obiettivo in quanto la parlata sedinese costituisce in effetti un coacervo linguistico in cui sono quasi equamente rappresentati i diasistemi logudorese, sassarese e gallurese.

I tempi richiesti dalla realizzazione di un risultato così articolato dovettero essere necessariamente lunghi. Volendo portare un esempio, dovette trattarsi di una dinamica non del tutto dissimile da quella che ha determinato il passaggio della parlata di Bortigiadas dal sistema logudorese a quello gallurese.

È possibile che nel caso di Sedini abbiano agito altre concause come quelle cui si è accennato. A grandi linee, comunque, si potrebbe prospettare l’ipotesi che il passaggio dall’uno all’altro dialetto si sia completato nell’arco del Settecento.

Una tradizione locale riferisce che in un periodo corrispondente a quello di cinque generazioni nel rione di Carréla di la Mòla gli anziani parlassero ancora in sardo 175.

Orbene, cinque generazioni, considerando la brevità della vita in Sardegna almeno fino all’ultimo dopoguerra, corrispondono all’incirca a duecento anni. Questo dato confermerebbe che verso la fine del Settecento a Sedini si parlava già una varietà affine al corso, ma che il logudorese non si era ancora completamente estinto. Tale particolarità sembra trovare un parallelo nella situazione linguistica di Sassari riferita dal Tola per la fine del quel medesimo secolo. E d’altra parte si deve considerare che nel 1663 e nel periodo immediatamente successivo, quindi poco più di un secolo prima, l’intera popolazione di Speluncas, forte di almeno un centinaio di individui 176, si trasferì a Sedini, portando con sé la sua parlata presumibilmente logudorese. Anche da questa prospettiva risulta del tutto verosimile che ancora verso la metà del ’700 fossero attivi a Sedini discreti nuclei sardofoni.

È verso la fine del Settecento che, dunque, andrebbe inquadrata la definitiva sovrapposizione del nuovo dialetto su quello precedente.

Con ciò risulta fortemente indebolita, se non confutata, la tesi della cacciata dei sardi originari da parte dei còrsi. È probabile che episodi di contrapposizione violenta non siano mancati e che in seguito essi siano stati amplificati attraverso dinamiche di tipo affabulatorio. Un esempio potrebbe essere quello della disamistade fra le fazioni degli Anchita e dei Brundanu, verificatasi nel Seicento contemporaneamente ai torbidi politico-sociali che ebbero l’epilogo nell’assassinio del viceré Camarassa 177, avvenuto nel 1668. Peraltro leggende locali che riferiscono di rifondazioni, spesso motivate con abbandoni causati da pestilenze oppure dall’insicurezza determinata dalle scorrerie saracene, si possono riscontrare con svariate modalità in quasi tutti i villaggi dell’isola.

Trova conferma, invece, la testimonianza dell’Angius che, evidentemente, passò a Sedini quando il processo di sovrapposizione linguistica si era già realizzato compiutamente da qualche tempo.

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Note:

166 DSRS, vol. IV, p. 229.

167 DES I 377-378.

168 Cfr. NLAC, ss.vv.

169 Cfr. CASALIS G., Dizionario geografico, cit., vol. XIX, pp. 768-775.

170 Ringrazio don Francesco Tamponi per la consulenza prestata nell’occasione.

171 ASGCart. N. 265, f. 24.

172 Cf. ‘La relazione di Vicenzo Mameli de Olmedilla…’, pp. 312 segg.

173 Un caso emblematico è quello relativo al cognome sedinese Delitala, il quale nei Quinque libri di Speluncas segnala individui di rango equestre, spesso registrati come padrini nelle annotazioni dei battesimi.

174 Cf. La relazione di Vincenzo Mameli, cit., p. 292.

175 Notizia riferita dall’amico Salvatore Denau, che ringrazio.

176 Il dato si rileva in modo approssimativo dalla lettura dei Quinque Libri dell’antica parrocchiale dedicata all’Annunziata.

177 Su tale contrapposizione confr. il romanzo storico ottocentesco di G. Cossu, Gli Anchita e i Brundano.

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