Categoria : storia

IV. Condizioni socio-economiche della città di Sassari tra Otto e Novecento di Baingia Bellu

Premessa

 Esaminate le varie epistemologie e la psicologia della vecchiaia ci si è soffermati ad illustrare la teoria della formazione permanente per meglio capire come l’invecchiamento umano va trattato alla stessa tregua dell’educazione del bambino e della formazione del giovane  dell’adulto.

L’educazione e la formazione si possono suddividere in educazione fisica, educazione cognitiva, educazione affettiva.

In tutte le età occorre, quindi, praticare questa triplice educazione e formazione in modo proprio delle varie età.

Nel passato si parlava di educazione fisica, educazione intellettuale, educazione morale[1] del fanciullo, oggi i psicologi preferiscono parlare di educazione fisica, cognitiva, affettiva sostituendo cognitiva al posto di intellettuale e affettiva al posto di morale. Nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento si tendeva ad utilizzare questi concetti dalla prima alla terza infanzia, oggi gli stessi vengono utilizzati per tutte le età.

L’educazione o la formazione degli adulti e dei vecchi non è tuttavia un’invenzione dei nostri giorni, ma sia pure inconsapevolmente questa veniva praticata anche nel passato. Allo stesso modo con cui s’impartiva l’educazione presso gli asili aportiani prima, freobeliani o agazziani poi, si impartiva un’educazione o formazione degli adulti e dei vecchi sia pure senza prenderne coscienza. La ricerca sperimentale che qui si vuole portare avanti e l’analisi di una struttura per anziani che fu istituita a Sassari nel 1910 per rispondere alle richieste che emergevano dalla società civile, specie  nell’ambito degli anziani ammalati cronici e abbandonati nella città di Sassari.

Dopo la grave crisi che aveva caratterizzato la fine dell’Ottocento, il ventesimo secolo si apriva con un sottile spiraglio di ripresa economica per la città di Sassari; tra le varie cause della crisi ne  citeremo due: l’epidemia della filossera del 1883 che distrusse tutti i vigneti sassaresi e la chiusura dei traffici commerciali con la Francia, causata dalla guerra delle tariffe e dal conseguente  fallimento di molti istituti bancari [2].

Il settore più colpito dalla crisi fu quello dei  piccoli agricoltori, i quali costituivano il 20% della popolazione attiva. Nonostante la fertilità dei terreni, adatti all’attività agricola, questa veniva praticata con metodi tradizionali, spesso  non consentendo agli operatori del settore una vita dignitosa.

Agli  inizi del Novecento, la popolazione presente nel comune di Sassari era di 32.763. Vi fu un incremento demografico nel primo ventennio, ma col primo conflitto mondiale si assistette ad una diminuzione della natalità ed ad un aumento della mortalità, causata sia dai caduti in guerra, ma anche dalla pandemia influenzale[3].

Circa il fenomeno dell’emigrazione, nel 1913 vi fu il tasso più alto, con ben 868 emigrati, mentre cessò quasi del tutto durante il periodo bellico, per poi aumentare lentamente negli anni successivi al conflitto e quindi ridursi marcatamente dal 1924 in poi.

La maggior parte della popolazione viveva in condizioni precarie sia dal punto di vista igienico sia  dal punto di vista abitativo. La città di Sassari era distinta in due parti: la città vecchia con i suoi quartieri ,(S. Donato, Duomo, Università , Piazza Tola), quartieri più degradati, dove la popolazione viveva in uno stato di indigenza pressoché totale; molte case erano sotto il livello stradale, formate da un unico ambiente adibito sia per dormire che per cucinare, il pozzo nero posto vicino alla porta di casa senza sifone: di conseguenza gli ambienti erano umidi malsani senza ricambio d’aria, veri ricettacoli di microbi, fonti spesso di malattie[4].

In questo degrado  si trovavano persino le botteghe per la vendita di alimentari, frutta, ortaggi, pane, in contrasto con le più elementari norme igieniche. I bambini sporchi e scalzi giocavano per strada dove alle scarse condizioni igieniche private, si sommava anche ancor più la scarsa igiene pubblica; inoltre il tutto reso ancor più grave dalla scarsità d’acqua, la quale veniva utilizzata per lo più per scopi alimentari; i panni venivano lavati nei lavatoi pubblici: le Conce, Rosello e di Mulino a Vento, i quali non erano certo sufficienti in rapporto alla popolazione inoltre non rispondevano alle più adeguate condizioni igienico-sanitarie, in quanto ci si lavava in un ‘unica vasca dove non vi era il rinnovo dell’acqua con la necessaria frequenza per cui è facile dedurre quanto la  salute pubblica risentisse di questo stato di cose, visto il proliferare di numerose malattie. Nel primo ventennio del secolo a Sassari le malattie più diffuse furono il tracoma, la malaria e la tubercolosi; per quanto riguarda la malaria, di cui la Sardegna aveva un triste primato, era un fenomeno plurisecolare, determinato da cause allora poco conosciute.

 Un altro problema che affliggeva la città di Sassari, di cui aveva un triste primato, per mortalità, era quello della tubercolosi. A questo riguardo fu istituito a Sassari intorno al 1918 un dispensario antitubercolare, affinché la lotta contro questa malattia risultasse più incisiva e razionale, per cui ci si occupava delle visite gratuite agli ammalati e della distribuzione gratuita dei medicinali. La clientela del dispensario era composta prevalentemente di donne e bambini; fra le cause concomitanti che determinarono la diffusione della tubercolosi vi erano lo stato delle strade delle piazze, la penuria  d’acqua, la mancanza elementare di una cultura igienica  antitubercolare. Altra  malattia che mieteva numerose vittime era il Tracoma; la sua diffusione era tale che il consiglio Provinciale Sanitario, istituì due diversi punti della città adibiti ad ambulatori gratuiti per i poveri, ma lo strumento più efficace si dimostrò la scuola per tracomatosi, la quale funzionò sempre con successo passando da due classi istituite nel 1902 a ben sedici nel 1920.

In questa situazione già di per sé così grave dal punto di vista igienico sanitario, si aggiungeva la povertà cronica delle famiglie che abitavano nel centro storico; ogni anno veniva redatto per legge, da una apposita commissione comunale, composta dalla Presidente delle Dame della Carità un elenco di poveri; per poveri si intendevano tutte quelle famiglie che pur avendo una misera casa, per varie vicissitudini: numero dei figli, padre ammalato, madre vedova, non potevano provvedere al proprio sostentamento. Appare superfluo dedurre  come di fronte a gravi disagi, come la salute o l’impossibilità, di procurarsi i mezzi per la sopravivenza della propria famiglia, quello dell’istruzione non fosse sentito come un bisogno primario. Gli aiuti consistevano, oltre che nella distribuzione di materiale didattico, anche in  quello di alimenti, calzature, vestiti per cui si ebbe una certa risposta, incoraggiata anche da modesti sussidi. Ma con la prima guerra mondiale 1915-1918 e la conseguente mobilitazione dell’esercito, molti locali scolastici, furono requisiti e su sessantatre solo diciannove continuarono l’attività didattica. Il numero degli alunni, diminuì in maniera drastica, in quanto gli uomini vennero richiamati alle armi, di conseguenza le madri non potevano privarsi dell’aiuto dei figli più grandi.  Si spiega così come il Comune di Sassari nel 1920 avesse un tasso di analfabetismo del 45%. Il problema dell’infanzia abbandonata era molto sentito, nel 1901 il Comune provvide al mantenimento di trecentoventi  illegittimi con notevole spesa, per far fronte a questo problema si decise di realizzare un progetto per istituire nella provincia un’opera che accogliesse i fanciulli abbandonati, dopo il periodo di allattamento, curandone l’educazione e l’istruzione. Tra le principali cause di mortalità infantile nel Comune di Sassari, vi erano: le malattie gastrointestinali, frequenti nel primo anno di vita, malattie dell’apparato respiratorio, infettive, e debolezza organica[5].

La situazione tra il 1920 e il 1940

Col 1929 ebbe inizio per l’Italia e quindi per la Sardegna una nuova fase della sua storia; chiaro indicatore del processo di trasformazione, è il censimento del 1921, dove per la prima volta si ebbe una prevalenza degli addetti all’industria, rispetto agli operatori agricoli; per cui la Sardegna perde quella sua connotazione contadina, accentuando al tempo stesso quel processo di trasformazione economica, che aveva avuto inizio nel Novecento. Sotto il profilo urbanistico in epoca fascista, si assistette, all’espandersi verso i nuovi quartieri, nel Colle dei Cappuccini di numerose villette, a Monte Rosello nascevano le case popolari, e proprio col fascismo che si dà inizio alla edilizia collettiva, con lo sviluppo dei quartieri corporativi[6]. Il Piano regolatore degli anni fra le due guerre furono tre, con essi si  diede chiaramente un’ impronta classista, dello sviluppo urbano. Per cui si tendeva a dividere la città vecchia dai quartieri di nuova formazione, assegnandogli tra l’altro un ruolo ben definito: i Cappuccini, quartiere residenziale della borghesia, Porcellana zona di espansione per il ceto medio”, Monte Rosello, Badimanna quartiere rurale, inoltre un quartiere popolare operaio , presso la zona industriale, da ubicarsi vicino alla ferrovia in pianura. Nonostante lo sviluppo edilizio di cui si è accennato, rimaneva la penuria di case, le gravi condizioni igieniche non aiutavano certo a debellare le gravi malattie, come il tracoma, malaria e tubercolosi. Inoltre vi era anche la piaga dell’alcolismo, della prostituzione con conseguenti malattie. L’alcolismo era molto diffuso a Sassari: nessun Comune della Provincia degli anni trenta raggiungeva percentuali così alte. Le zone più malfamate a questo riguardo erano Via La Marmora, via Sant’Apollinare, via dei Corsi e Porta Rosello, in queste vie trovavano luogo molti spacci e cantine private. I frequentatori abituali erano operai, contadini, ma anche donne e perfino i bambini non erano immuni da questo vizio come dimostra una inchiesta condotta su tutte le scuole, a partire da quelle elementari di Sassari del 1925: su 3614 scolari risultavano astemi solo 639, ossia il 7% mentre risultavano dediti all’alcol , ben 2975 ossia l’82,3%[7].

Le scuole elementari  della città di Sassari, erano per la maggioranza, inadeguate, buie umide, malsane senza riscaldamento, acqua potabile; insomma rispecchiavano in gran parte l’ambiente di provenienza degli alunni.

In epoca fascista, al Clero non  fu consentito occuparsi di politica, ma fu invitato a dedicarsi maggiormente, all’esercizio del ministero e della catechesi; per cui in questo clima di degrado,sia materiale che morale la chiesa ebbe un ruolo di primaria importanza, nel risolvere i problemi più gravi.

Una volta al potere il fascismo, soppresse gli organi creati a questo scopo; attribuendogli manchevolezze quali mancanza di coordinamento, dispersione delle risorse. Con un decreto legge del 30 dicembre 1923, si sostituiva all’espressione “Istituzioni pubbliche di Beneficenza” a quella di “Istituzioni pubbliche di Assistenza e Beneficenza”[8].

In una relazione del Comune di Sassari degli anni 1946-1952 si denunciava la crisi degli alloggi, gl’indici di affollamento elevatissimi, a causa dell’incremento demografico che si aveva proprio nel centro storico. Per quanto riguarda  il resto della città, lo sviluppo edilizio fu caotico in quanto furono ignorate, gli orientamenti del Piano Regolatore Generale..

Grazie all’aiuto americano si poneva fine al problema della malaria; anche la tubercolosi veniva pian piano debellata. Con l’avvento dell’industria e del turismo, non senza contraddizioni, ci si avvicinava al boom economico che contraddistinguerà gli anni Sessanta[9].


[1] Cfr, A. GAMBARO, ( a cura di ), Ferrante Aporti, Scritti pedagogici editi e inediti, Chiantore, Torino 1944

[2] G. SEU, Le dame della Carità a Sassari, Università degli studi di Sassari, Facoltà di Magistero, Corso di Laurea in Materie Letterarie, a. a. 1993-1994

[3] M. BRIGAGLIA, La classe dirigente a Sassari. Da Giolitti a Mussolina, Edizioni della Torre, Cagliari, 1979.

[4] F: GIORDO, La capitale del capo di sopra, Gallizzi, Sassari 1964.

[5] A. TEDDE, L’attività sociale delle Dame della Carità nel primo Novecento a Sassari,. La Casa Divina Provvidenza 1910-1967, Il Torchietto, Ozieri 1994.

[6] A. TEDDE, Per una storia dello sviluppo urbano in Sardegna, Editrice Diesse, Sassari 1989.

[7] A. SIRCA, La mortalità infantile e le sue cause nel comune di Sassari nel periodo 1893-1923. Immacolata Concezione, Modena 1926 pp. 3 e ss.

[8] A. TEDDE ( a cura di),  Leggi e regolamenti sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza 1862-1937, Studium adp, Sassari, 2000

[9] Ivi, pp. 56-58.

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