Categoria : politologia

La lunga corsa verso l’Eliseo di Riccardo Brizzi (12/2011)

A quattro mesi dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, fissato il 22 aprile 2012, la corsa verso l’Eliseo si presenta sotto tratti inediti rispetto a quelle che l’hanno preceduta. Il primo elemento di discontinuità rispetto al passato è legato al contesto di crisi in cui si svolge la campagna. La pesante situazione economica, le pressioni sul debito sovrano e le difficoltà dell’euro hanno fatto calare sulla competizione un notevole senso di precarietà: a preoccupare non è soltanto l’annunciato declassamento da parte di Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch della tripla “A”, ma soprattutto la prospettiva di un attacco speculativo in grande stile contro i titoli francesi. Anche le campagne elettorali del 1974, del 1981 e del 2007, in realtà, si sono svolte in un contesto economico difficile, ma senza la prospettiva di crolli improvvisi che potessero far precipitare la situazione e sconvolgere in extremis l’esito elettorale. Il secondo fattore di novità è da ricondurre al calo di popolarità del capo dello Stato uscente che, per la prima volta da quando è stata introdotta l’elezione a suffragio universale del presidente della Repubblica (1962), non è il favorito nella corsa alla propria successione. Anche all’indomani del suo primo grande happening pre-elettorale, tenuto il 1° dicembre allo Zénith Oméga di Tolone, Nicolas Sarkozy (che non è ancora ufficialmente candidato), non è stato in grado di invertire la tendenza che, da mesi, lo vede inseguire il candidato socialista (materializzatosi, dopo le primarie socialiste del 9 e 16 ottobre scorso, nella persona di François Hollande), e sopravanzare di poco il leader del Front national, Marine Le Pen. Le difficoltà del presidente della Repubblica – imputabili a un mix di fattori quali la crisi economica, la mancata “rottura” rispetto all’azione del predecessore Chirac e una gestione poco oculata della propria vita privata (soprattutto nella prima fase del mandato) – aumentano l’incertezza di una campagna che ha già riservato grandi sorprese, a partire dalla clamorosa uscita di scena del grande favorito della vigilia, Dominique Strauss-Kahn. Ad accrescere ulteriormente il tasso di imprevedibilità della competizione è infine l’elevato numero di pretendenti all’Eliseo, ad oggi una quindicina. In attesa che il Consiglio costituzionale, il 19 marzo 2012, ufficializzi le candidature (per candidarsi è necessario ricevere il sostegno ufficiale di almeno 500 “eletti”, ossia parlamentari nazionali ed europei, sindaci e consiglieri generali) è possibile osservare come questo affollamento smentisca definitivamente la tesi gollista secondo cui la designazione del presidente della Repubblica a suffragio universale avrebbe favorito la coesione dei francesi dietro la più alta carica dello Stato. In realtà proprio le presidenziali sono progressivamente divenute (se ne è avuta una conferma in occasione del voto del 2002 quando la frammentazione della sinistra cosiddetta “plurale” aveva “bruciato” la candidatura di Jospin, consentendo a Le Pen di scardinare la dinamica bipolare) assieme ai referendum (vedi quello europeo del 29 maggio 2005), la valvola di sfogo degli estremismi e dei delusi di ogni colore, che si trovano penalizzati dal sistema elettorale maggioritario a doppio turno delle legislative. L’unica certezza, a quattro mesi dal voto, è che Nicolas Sarkozy e François Hollande si troveranno in buona compagnia sulla linea di partenza della campagna elettorale. A sinistra i due candidati trotzkisti, Nathalie Artaud (Lutte ouvrière) e Philippe Potou (Nouveau Parti anticapitaliste), restano praticamente invisibili, al pari del leader del Mouvement républicain citoyen, Jean-Pierre Chevènement, che non pare in grado di grado di rinverdire i fasti del 2002, quando era riuscito a piazzarsi in sesta posizione al primo turno con il 5,33% dei voti. A sinistra i soli candidati che possono ambire a raggiungere la soglia del 3% sono la vincitrice delle primarie “ecologiste”, Eva Joly, che difficilmente tuttavia riuscirà a conquistare consensi al di fuori dalla nicchia dell’ambientalismo oltranzista, e soprattutto il leader del Front de Gauche, Jean-Luc Mélenchon che, complice il talento comunicativo e la disinvoltura con cui ha abbracciato posizioni euroscettiche, è accreditato di circa il 6% delle preferenze. Nonostante l’elevato numero dei concorrenti, a sinistra non paiono esserci figure capaci di sottrarre consensi significativi a François Hollande: la strada del candidato socialista verso il ballottaggio appare piuttosto spianata. Meno lineare, invece, si profila il percorso di Nicolas Sarkozy, che si trova confrontato a rivali temibili tanto alla propria destra quanto al centro dello spettro politico. Sul primo versante Marine Le Pen, accreditata a seconda degli istituti del 18-21% dei suffragi (ma si sa che l’elettorato del Front national è il meno prevedibile), occupa da sola l’intero spazio politico e non lascia margine di manovra ai possibili outsider, siano essi sovranisti come Nicolas Dupont-Aignan o rappresentanti di lobby pur influenti come il candidato del movimento Chasse, pêche, nature et traditions, Frédéric Nihous. L’area centrista è in particolare ebollizione. Figura di riferimento inamovibile resta François Bayrou che, dopo la performance elettorale del 2007 (18,5% dei voti), ha conosciuto una lunga traversata del deserto, ma che in occasione delle presidenziali risorge puntualmente dalle proprie ceneri come una fenice. Benché in costante crescita da diverse settimane (i sondaggi lo accreditano attorno al 10-11%) è difficile che al primo turno possa ripetere l’exploit del 2007 ed è invece probabile che svolga un ruolo centrale soprattutto in vista del secondo, di cui potrebbe essere arbitro dando indicazioni di voto ai propri elettori. Nel campo moderato si è registrata un’inedita proliferazione di candidature che preoccupa Sarkozy, sollevato soltanto dalla rinuncia a presentarsi da parte di Jean-Louis Borloo. Considerate singolarmente le candidature di Dominique de Villepin, Christine Boutin (ambedue avevano sostenuto Sarkozy nel 2007), Hervé Morin e Corinne Lepage (questi ultimi nel 2007 avevano sostenuto Bayrou) hanno poco peso (solo l’ex primo ministro Villepin può ambire a superare il 3%), ma guardate nell’insieme rappresentano una evidente presa di distanza della galassia centrista rispetto all’azione di governo di Sarkozy, cui rimproverano di avere esacerbato le tensioni presenti nella società francese e di avere assecondato troppo le pressioni dell’estrema destra. Benché sfidato all’interno del suo stesso campo e in difficoltà nei sondaggi Sarkozy (che secondo i principali istituti demoscopici sconta oggi tra i 3 e i 5 punti di ritardo rispetto a Hollande) sembra comunque in grado di arrivare al ballottaggio. A profilarsi è dunque la sfida più classica e più attesa tra i leader delle due principali forze politiche francesi. A rendere imprevedibile l’esito è semmai lo scenario inedito in cui essa si colloca: la gravità della crisi economica, finanziaria e bancaria, il suo condizionamento sul calendario e sul dibattito tra i candidati, stravolgono infatti le prospettive di una competizione che difficilmente assomiglierà a quelle passate. È infatti presumibile che la crisi contribuisca a ridurre la distanza ideologica e progettuale tra i due candidati: sia Sarkozy che Hollande dovranno ergersi a difesa della tripla “A” francese, non potranno far altro che promettere un rigore di bilancio che non penalizzi oltremodo le fasce più deboli della popolazione e dovranno porsi come portabandiera dell’interesse francese in un’Europa sempre più caratterizzata dallo strapotere tedesco. L’impressione è quindi che, nell’impossibilità di effettuare significative distinzioni sul terreno economico e sociale, la sfida si ridurrà a uno scontro di personalità, minando il livello di una campagna elettorale nella quale si rischia di privilegiare l’alternanza rispetto all’alternativa.

Riccardo Brizzi
(Università di Bologna)

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