Categoria : recensioni

L’istruzione in Sardegna 1720-1848 – di Angelino Tedde

Fabio Prùneri, L’istruzione in Sardegna 1820-1848, il Mulino, Bologna 2011
pp. 352

L’autore del saggio non è nuovo alla trattazione di tematiche sulla storia dell’istruzione in Italia e in Sardegna, ma è la prima volta che affronta un discorso sull’istruzione nell’isola di così ampio respiro. Al grande impegno vi arriva preparato sia dalla buona formazione  ricevuta dal suo maestro Luciano Pazzaglia sia dai componenenti della stessa scuola, in primis Luciano Caimi e Angelo Bianchi. Si vedano in proposito i suoi interventi nella rivista ‘Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche’, edita dall’editrice La Scuola di Brescia e diretta dallo stesso Pazzaglia. A monte di questo lavoro bisogna considerare in particolare le monografie: F. Prùneri,  La politica scolastica del Partito Comunista in Italia dalle origini al 1955, La scuola, Brescia 1999; ID., Oltre l’alfabeto. L’istruzione popolare dall’Unità d’Italia all’età giolittiana: il caso di Brescia, Vita e pensiero, Milano 2006 e sulla Sardegna ID., (a cura di ) Il cerchio e l’ellisse. Centralismo e autonomia nella storia della scuola tra XIX e XX sec., Carocci, Roma 2005 e l’altra curatela con F. Sani  L’educazione nel Mediterraneo nordoccidentale. La Sardegna e la Toscana in età moderna, Vita e Pensiero, Milano 2008.   A queste monografie e curatele sono da aggiungere i contributi in inglese  sulla scuola in Italia, Sardegna compresa, nelle annuali partecipazioni ai convegni internazionali.

Allenato da queste esperienze  di studio e ricerca e dai risultati menzionati, il giovane accademico, professore associato di storia dell’educazione presso la Facoltà di Lettere e  Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari, utilizzando una vasta mole di documenti inediti giacenti presso l’Archivio di Stato di Torino e di Cagliari e con lo sguardo a quanto la  letteratura sarda ha prodotto sulla storia dell’istruzione in Sardegna, ha affrontato a tutto campo le vicende sulla scuola popolare e sulla scuola media inferiore e superiore, meglio definita boginiana, del periodo sabaudo, vale a dire da quando i sovrani piemontesi, divenuti re di Sardegna (1720), imposero gradualmente l’uso dell’italiano come lingua veicolare nelle scuole (al posto del castigliano in uso da secoli) e come lingua generalista nella burocrazia e nella vita pubblica accanto al sardo utilizzato precedentemente come lingua parlata dalla popolazione e spesso usata anche negli atti pubblici insieme al catalano, al castigliano . Si vedano in proposito le delibere della Repubblica e Città di Sassari nel corso del Cinquecento e una lunga serie di atti notarili ed ecclesiastici fino al 1848. In quest’opera, tuttavia, l’autore affronta in 5 ampi capitoli: la Sardegna scolastica all’avvento dei Savoia; la riforma boginiana;  ‘un regno di esemplari cristiani, fedeli sudditi ed utili membri della società civile’; la scuola normale di Carlo felice,per ‘rialzare le deplorevoli condizioni intellettuali, per educarli alla consapevolezza dei diritti e alla coscienza dei doveri’; ‘promuovere con  ogni possibile mezzo la pubblica istruzione (…) siccome base primaria ella felicità di ogni popolo.’

Fabio Prùneri con particolare maestria affronta, inserendola nella società sarda del tempo, la storia delle politiche scolastiche sabaude come base per un avvicinamento della Sardegna non solo alla scuola piemontese, ma anche a quella europea. Il governo di S. M. il re di Sardegna cerca in tutti i modi di prendere sotto tutela l’istruzione, dall’alfabatizzazione all’Università, fino ad allora appannaggio degli ordini gesuitico e scolopico nei numerosi collegi e istituti, sparsi nell’isola e che avevano garantito in modo esemplare, tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento la formazione della classe dirigente. Dopo la peste del 1652-58, che aveva falcidiato senza misericordia (castigo de Diòs) maestri e scolari. Le istituzioni scolastiche avevano ripreso a funzionare fossilizzandosi in rituali pedagogici e didattici assai lontani da quanto andava muovendosi in Europa con la diffusione del verbo illuministico, diffuso solo nelle élites dell’isola, passata indenne dalla bufera napoleonica e, si può dire, arenatasi nell’ancien régime fino al 1848. In un certo senso il cauto riformismo dei Savoia e un gruppo di vescovi piemontesi, di teologi e giuristi legati a grosse personalità del Lombardo Veneto, come il Cherubini, quali il teologo educatore Antonio Manunta, il teologo Maurizio Serra, autore del manuale per le scuole normali, il magistrato Stanislao Caboni, autore del catechismo agrario, e numerosi altri, tra cui il gesuita, predicatore e pacificatore di faide, doglianese Giovanni Battista Vassallo e numerosi altri intellettuali, sulla scia delle politiche dei Savoia, (non è il caso di accennare qui alla riforma universitaria, illustrata ampiamente da egregi studi, in primis da quelli di Mattone e Sanna), promossero non solo l’innovazione degli studi e la diffusione della lingua italiana, inserendo così la Sardegna nel contesto del rinnovamento pedagogico e scientifico europeo.

L’autore accenna così alle  “scolette” parrocchiali primosettecentesche  promosse presso i parroci dai vescovi (Lomellini e Delbecchi in primis) per la prima alfabetizzazione, all’inserimento dell’italiano nella prima delle sette classi medie boginiane, alle resistenze dei due ordini scolastici religiosi, ma anche alla costante insistenza dei sovrani e del suo apparato nel rinnovamento degli studi e della società sarda. Sia pure con qualche licenza e testimonianze diaristiche del primo e del secondo ottocento (Spano e Manno), l’autore quasi c’introduce nel mondo della scuola e della sua autoritaria e punitiva pedagogia in contrapposizione alla Metodica del Cherubini non sempre accolta con entusiasmo dai precettori sardi, viceparroci e membri religiosi e soltanto in minor numero laici. L’accentramento pedagogico e didattico della politica sabauda lascia, purtroppo, ai primi abbozzi di Comunità, non ancora Comuni come avverrà nel 1848, l’onere dei costi e quindi la precarietà del funzionamento della scuola normale, decisamente chiamata elementare da un decreto di Carlo Alberto del 1841.

L’autore ci introduce con una certa piacevolezza, direi quasi  con un sottile umorismo ed empatia, in questa rivoluzionaria opera di rinnovamento degli studi dell’epoca sabauda in Sardegna, particolarmente della fondazione della scuola elementare nell’isola, dell’aggiornamento delle scuole medie inferiori e superiori ante litteram. Grazie alle sue competenze non solo storiche, ma pedagogico-didattiche, dopo aver parlato del sistema scolastico, ci introduce nelle classi e ci fa assistere alla severa somministrazione delle punizioni agli alunni e alla noiosa ripetizione di regole in versi latini e a tutto l’armamentario didattico dell’epoca.  Sempre il nostro rimarca lo scopo prefissato dai Savoia per la “felicità” dei sudditi e dalla Chiesa, vista l’alleanza fra trono ed altare, per l’educazione dei buoni cristiani. Si aggiunga a tutto ciò lo scopo di elevare l’istruzione non solo scolastica delle classi contadine e pastorali e di quelle artigiane tra le quali favorire anche la crescita dei giovinetti di buona indole e di buon talento da inviare agli studi universitari. Grazie alla diffusione della Metodica del Cherubini curare altresì la preparazione didattica dei maestri elementari. Infine, tematica preminente, accentrare gli orientamenti ed indirizzi didattici e pedagogici non secondo i precedenti  orientamenti degli ordini religiosi, ma secondo le direttive dello Stato, in termini più chiari, tendere a fare dell’istruzione lo strumento per la formazione dei sudditi, quasi le prime mosse, per dopo il 1848, alla istituzione, con la Casati, di pubbliche scuole controllate dallo Stato che però, fino al 1911, lascerà ai neonati comuni gli oneri del funzionamento della stessa.

L’opera colma una grossa lacuna storiografica sulla società e l’istruzione in Sardegna che, precedenti parziali tentativi (Sotgiu, Spano-Nivola) avevano tentato invano di coprire e, a nostro avviso, ben si gemella con l’opera di  A. Mattone , P. Sanna, Settecento sardo e cultura europea. Lumi, società, istituzioni nella crisi dell’antico regime,Francoageli, Milano 2007.

 

Commenti

  1. Ho iniziato a leggerlo e mi ha colpito subito il rigore metodologico, l’onesta intellettuale e il profondo rispetto dei sardi e delle cose sarde. Alla fine della lettura un commento più approfondito e pertinente.

    Grazie al prof. Tedde per il gradito dono del libro.

    A nos bidere sanos.
    Gianni Marras

    Gianni Marras
    Luglio 18th, 2011
  2. Molto interessante anche per i riferimenti bibliografici; per me rappresenta una buona base per ulteriori riflessioni e analisi dettagliate sull’argomento in rapporto a specifici territori e villaggi rurali dell’interno.
    Grazie !

    Lidia Carta

    Lidia Carta
    Aprile 5th, 2014
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