Cenni sull’alfabetizzazione in Sardegna – di Angelino Tedde

In Sardegna, non diversamente da quanto avveniva in Europa, l’istruzione ai rampolli delle classi nobiliari veniva impartita nelle case patrizie da qualche chierico, in genere qualche ecclesiastico degli ordini religiosi (spesso attestati in Sardegna pochi anni dopo la loro fondazione (Francescani, Domenicani, Gesuiti e Scolopi e altri) che spesso vivevano presso le stesse famiglie le cui case erano anche dotate di biblioteca e di cappelle per le cerimonie religiose a cui partecipavano tutti i membri della famiglia.Successivamente i rampolli venivano indirizzati (specie dopo la fondazione dei collegi gesuitici (1562 a Sassari, 1564 a Cagliari, 1581 a Iglesias, 1888 ad Alghero) e scolopici (1640 a Cagliari, e successivamente a Isili, Tempio, Sassari) nei collegi. In questi collegi gesuitici e negl’istituti scolopici essi frequentavano il trivio e il quadrivio, classi corrispondenti alle future sette classi medie boginiane (dal 1760 in poi). Per i non abbienti talentuosi (o a volte perché imparentati con dei sacerdoti) vi provvedeva il clero locale abbastanza numeroso come hanno dimostrato tanti studiosi per le regioni del continente e come stanno rilevando anche per la Sardegna sia il prof. Fabio Pruneri, e in particolare il cultore e borsista della materia dr. Francesco Obinu).

Del resto già il Filia e il Martini, Raimonondo Turtas e Salvatore Loi, hanno accennato a queste scuole dell’abbecedario: leggere, scrivere e far di conto. D’altra parte bisogna tener presente che il concetto di scuola elementare, secondo Luciano Pazzaglia, (si veda l’Enciclopedia Garzanti nella voce scuola), viene appena abbozzato alla fine del Settecento e, a quanto pare, le prime esperienze si avvertono in Polonia con l’istituzione delle scuole parrocchiali e sottoparrocchiali. In Sardegna, dopo il concilio di Trento, oltre all’incremento dei seminari, alle scuole parrocchiali diedero una spinta vescovi benemeriti come lo scolopio Delbecchi, arcivescovo di Cagliari (gli studi sono in corso) nella vasta diocesi di Cagliari, che comprendeva molti villaggi del Nuorese oltre che del Cagliaritano. Altro benemerito vescovo fu Lomellini (vedi profilo in questo sito). La dimostrazione più evidente dell’esistenza di queste scuole parrocchiali o delle collegiata (a Tempio c’era il canonico di Grammatica, a Osilo il canonico scolastico) è il numero di graduati sardi presso le Università europee, a cominciare da Bologna, Padova, Pisa, Parigi, Salamanca (si vedano gli studi del compianto Angelo Rundine). Certamente sono da approfondire il ‘400 e il ‘500 mentre maggior ricerca si è fatta sui graduati del Sette e dell’Ottocento, almeno per l’Università gesuitica di Sassari (Nel Dipartimento di Storia,si vedano le tesi di Posadinu, di Acca, di altre laureate con Gian Paolo Brizzi e con lo scrivente). Si tratta degli inventari dei graduati. Parecchi di questi non nobili hanno ricevuto la prima alfabetizzazio dai loro parroci come del resto affermano nei cenni biografici tracciati da altri o da se stessi (Cossu, Spano, Manunta, Manno).

La maggior parte dei ragazzi veniva avviata ai lavori dell’agricoltura, della pastorizia, dell’artigianato e apprendevano quei saperi (oralmente e con la pratica ) che erano propri dei loro genitori, delle loro mamme o dei tutori a cui venivano affidati spesso con regolari atti notarili (Vedi S. Amadu e altri auori).  Gli stessi genitori del resto non potevano dirsi del tutto analfabeti perché sapevano far di conto, calcolare il valore dei loro prodotti e dei terreni, comprare e vendere sia pure nell’ambito di un economia di sussistenza.

Tutti questi riferimenti vengono fatti per dire che la scolarizzazione non è avvenuta soltanto con l’Unità d’Italia, ma era presente in Sardegna come in Europa anche prima delle riforme sabaude che, bisogna riconoscerlo, diedero maggior impulso al processo di alfabetizzazione nell’ambito delle politiche economiche e culturali da loro praticate. Del resto i sovrani pensavano alla “felicità” dei (buoni) sudditi come la chiesa pensava alla formazione dei buoni cristiani. Il tutto ben compendiato nella frase: (“Re in Chelu e Re in Terra). Si tratta di una concezione statuale propria del periodo della Restaurazione.

Ciò premesso, il re Carlo Felice, servendosi di intellettuali sardi alla Corte di Torino, predispose l’Editto per l’istituzione delle Scuole Normali (1823) in tutti i villaggi della Sardegna. Dette scuole dovevano essere istituite in tutte le Comuni (o Comunità), i sindaci dovevano provvedere ai locali, alle attrezzature scolastiche, allo stipendio del precettore o maestro, il clero doveva fornire i precettori e i parroci avevano la sovrintendenza locale su di essi, essendo questi in genere i viceparroci. Soltanto dove vi erano comunità religiose i precettori dovevano essere scelti tra costoro, che venivano pagati di meno. Il Manuale per queste scuole lo predispose Maurizio Serra, canonico e teologo, già esperto di scuola parrocchiale a Bonnannaro di cui era parroco. Qualche anno più tardi il catechismo agrario lo compose Stanislao Caboni, magistrato (1026), già sovrintende scolastico in provincia di Sassari, mentre di catechismi in lingua italiana e sarda, ispirati al catechismo del Bellarmino e Romano, ne erano stati già composti. Le scuole avevano la durata di tre anni, le lezioni si svolgevano mattina e sera, tutto da 5 a 6 ore, e comprendevano oltre le materie del manuale (leggere, scrivere, far di conto) anche il catechismo agrario e quello della dottrina cristiana. Si trattava di una scuola partorita dall’alleanza fra il Trono e l’Altare, le istituzioni preposte  da parte dello Stato erano il Magistrato Sopra gli Studi di Cagliari e di Sassari e l’intendente provinciale, mentre da parte della Chiesa i vescovi e i parroci.

Si cercava di calibrare la direzione di queste scuole tra potere civile ed ecclesiastico anche se a poco a poco il primo tese a prevalere sul secondo.

Padri di questa scuola dal punto di vista ideologico furono certamente l’enciclopedico Antonino Manunta e Maurizio Serra, entrambi provenienti dall’illustre collegiata di Osili. A questi bisogna aggiungere l’influsso documentato dei pensatori lombardi come il Cherubini e i vari intellettuali che composero i manuali scolastici lombardi ai quali il Serra si ispirò dietro suggerimento del Manunta che gli fornì vari manuali lombardi. Più tardi Carlo Alberto, succeduto a Carlo Felice, si preoccupò della formazione dei maestri (1842), ispirandosi ugualmente alla Metodica del Cherubini di cui il Manunta, avendo vinto una lucrosa causa, comprò dal primo un gran nunmero che distribuì ai maestri in genere ecclesiastici, chierici e in numero assai ridotto laici (scxrivani, chirurghi, notai, maestri d’arte).

Al di là della buona, mediocre o scarsa riuscita di questa scuola su cui gli storici potranno accapigliarsi man mano che gli studi verranno approfonditi, sta il fatto che nel 1823 nacquero anche nell’isola le scuole “popolari” che andarono incontro a successi e ad insuccessi, a seconda delle Comuni dei loro sindaci e parroci e dell’impegno profuso dagl’intendenti e dai vescovi. Esse fin dall’istituzione furono poste a carico delle Comunità che, a seconda delle proprie cappacità economiche, favorirono o lasciarono languire le loro scuole normali che dal 1842 furono dette elementari. Come al solito gli storici piccoli e grandi, passati e recenti, a seconda dell’ideologia giudicano severamente queste scuole non finanziate direttamente dall’erario regio (applicando visioni odierne al passato, diciamolo pure, mettendo braghe alla storia quando le mutande nemmeno esistevano) altri sono più equilibrati.

Sia sulle scuole parrocchiali sia su quelle “popolari” gli studi vanno avanti con l’acquisizione del vasto materiale archivistico giacente presso gli archivi di Stato di Torino e di Cagliari. Si potrà pur dire, a seconda del proprio orientamento storiografico e ideologico, tutto e il contrario di tutto su queste scuola, sta il fatto però che finalmente con esse ebbe inizio l’alfabetizzazione generalizzata dell’Isola, fatte salve le contaddizioni che alla nascita e alla crescita di queste istituzioni non mancano mai. Pertanto sia la Legge Boncompagni del Regno Sardo-Piemontese del 1848 sia la Legge Casati del 1861 non caddero su un terreno arido.  Lo straordinario numero dei graduati presso le due Università Sarde nel Settecento e nell’Ottocento hanno pure qualche significato. La presenza dei sardi (illustri) alla Corte di Torino prima, al Parlamento subalpino, nell’amministrazione sabauda, nelle istituzioni tutte del Regno d’Italia poi denotano che, nonostante ritardi, lentezze, insufficienze, non solo l’alfabetizzazione, ma anche lo sviluppo degli altri gradi della scuola sarda, qualcosa aveva pur prodotto. La borghesia sarda non meno del popolo sardo partecipò con i suoi migliori esponenti delle sue classi sociali all’Unità d’Italia come del resto fu presente  nelle gerarchie della Chiesa cattolica.

Il ponderoso lavoro di Raimondo Turtas, la collana del CISUS, diretta da Gian Paolo Brizzi, gli studi di Salvatore Loi, i miei pur modesti contributi e soprattutto il numero consistente dei documenti trascritti dagli archivi e allegati alle numerose tesi di laurea delle laureate da me dirette, e da ultimo i lavori di Fabio Prùneri (che mi è succeduto nell’insegnamento di Storia della Scuola presso l’Uniss) e in fase stampa presso il Mulino di Bologna “La storia della scuola in Sardegna da 1820 al 1848” , e da ultimo i lavori a cui ha messo mano Francesco Obinu nonché il grosso apporto del PRIN diretto da Angelo Bianchi della Unicatt hanno tolto dall’oblio questo segmento di storia sarda anche a livello nazionale dove finalmente l’Isola, con la cartina degli istituti d’istruzione, a parità delle altre regioni, occuperà il posto vacante per troppi anni nell’ambito della storia patria. Sardi certamente, ma anche italiani. Due bandiere, quella sarda e quella italiana, legati con forti nodi come quella che offrì a Sassari il presidente Cossiga e che volle sulla sua stessa salma nel giorno della sua scomparsa. Le più importanti pubblicazioni su queste tematiche si rintracciano in questo blog. Né mancano gli elenchi delle tesi a cui si è accennato i cui documenti attendono finanziamenti perché possano essere messi a disposizione non solo degli studiosi.

1728 Iniziative del vescovo di Alghero Lorenzo Lomellini per l’istituzione delle scuole parrocchiali.

1763 -70 Riforma delle due Università sarde di Cagliari e di Sassari da parte di Bogino

1777 Riforma del trivio e del quadrivio da parte di Bogino in sette classi dalla VII alla I.

1823 Editto istitutivo delle Scuole Normali in tutti i villaggi dell’Isola.

1842 Istituzioni dei corsi trimestrali a Cagliari, Sassari e Nuoro per il conseguimento della patente di precettore o maestro delle scuole elementari.

1848 Legge Boncompagni di riforma delle scuole del Regno Sardo-Piemontese.

1859 Legge Casati di riforma di tutto il sistema scolastico sardo-piemontese.

1861 Con l’Unità d’Italia la legge Casati viene man mano estesa ai vecchi stati che entrano a far parte del Regno d’Italia.

Per un’ampia bibliografia su queste tematiche, in internet, si veda il sito del prof. Angelo Gaudio, ordinario dei sistemi educativi a Udine.

Per i lavori specifici sull’alfabetizzazione in Sardegna si vedano le pubblicazioni di Sani-Tedde, Fabio Prùneri, compresi i libri a curatela (vedere il profilo di Pruneri nella homepage del sito) e la rivista diretta da Pazzaglia Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche. Per l’Europa si consulti la tradotta Enciclopedia di Cambridge e altri lavori di storici europei.

Commenti

  1. Sono proprio le notizie che cercavo avendo appurato una precoce alfabetizzazione dei miei avi (metà 1600)che pure risiedevano in piccoli paesi isolati e disagiati dell’interno dell’Isola, nel Barigadu. Non mi resta che approfondire per la zona di riferimento, ma certamente, come avevo già supposto, si trattava di una prima alfabetizzazione operata dal parroco/parente che consentiva allo scrivano la pratica presso un notaio per poi accedere a sua volta alla professione notarile. Mi chiedo se, in piena epoca feudale, questa precoce scolarizzazione di pochi non abbia contribuito alla mobilità sociale in un contesto apparentemente rigido come quello del villaggio rurale.

    Lidia Carta
    Febbraio 14th, 2014
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