Categoria : politologia

Meditazione breve sulla Costituzione prevaricata – di Ange de Clermont

Costituzione Italiana

art. 1 (…) La sovranità appartiene al popolo (…) E NON ALLA MAGISTRATURA!

art. 14 Il domicilio è inviolabile. E I MAGISTRATI NON DEBBONO VIOLARLO A CUOR LEGGERO!

art. 15 La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. I MAGISTRATI NON DEBBONO VIOLARLA E TANTO MENO DARLA IN PASTO AGLI OPERATORI DELL’INFORMAZIONE COME E’ ORMAI NELLA PRASSI DELLA MAGISTRATURA ITALIANA!

art. 27. La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. NE’ I MAGISATRATI NE’ I GIORNALISTI NE’ GLI ORGANI D’INFORMAZIONE DEBBONO EMETTERE SENTENZE PRIMA CHE QUESTE SIANO STATE PRONUNCIATE DEFINITIVAMENTE DAI VARI GRADI DI GIUDIZIO. Si veda la recente sentenza della Cassazione che ha dato una lezione  ad uno sbracato giornalaio giudiziario (che fa rima con sballo, spanish).

La mia meraviglia aumenta di giorno in giorno per il degrado che attraversa non soltanto la vita politica, ma anche il modo di procedere degli operatori dei mezzi mediatici, degli stessi magistrati (spesso protagonisti e pronti a rilasciare dichiarazioni e interviste) mentre dovrebbero stare zitti e svolgere con sacralità e serietà la loro delicata funzione.

La sovranità appartiene al popolo è non alla magistratura che s’insinua nella vita politica con violenza ideologica inusitata, tanto che il loquace portavoce della loro associazione, ( non si capisce bene se sia magistrato o semplicemente un sindacalista mercenario),  non fa che sindacalismo attivo, con sguardo furbo e parola pronta, peggio di un qualsiasi portavoce politico. L’homo insipiens sbraita se qualche ministro accenna alla riforma di una magistratura che non funziona e costa ai cittadini fior di milioni di euro.

Il domicilio è inviolabile, ma con estrema leggerezza viene violato, monitorato, e con esso le persone che vanno e vengono da esso.

Il fascino delle cimici e dei pidocchi informatici, delle microcamere e delle intercettazioni ai telefoni fissi e ai cellulari sono all’ordine del giorno, manco fossimo tutti dei criminali incalliti.

La magistratura italiana ha il primato dell’uso efferato delle microspie, quasi fossimo sotto la dittatura dei giudici (puzzinosi), non certe eletti dal popolo, ma vincitori di concorso e vera e propria casta che perde tempo sui processi ai politici piuttosto che ai criminali. Certi loro successi sulle mafie, grazie ai corpi speciali di polizia , non li autorizza a vessare i cittadini inermi davanti alla loro ignoranza di istituzioni di diritto romano, insiepienza e superficialità.

Non parliamo della mentalità diffusa di eccitare l’opinione pubblica alla condanna sommaria degl’indagati e degl’imputati di qualsiasi reato.

Gli stessi giornalisti, per fortuna non tutti, si son trasformati in mammesantissime ed erogano ogni giorno sentenze, chiedono confessioni pubbliche, frugando ormai nel didietro e nelle patte per controllare organi di deiezione e genitali. Sembra che difendano le donne, ma ogni donna che avvicina qualche politico passa per una prostituta che, con termine inglese, per attutire l’insulto, chiamano escort.

La sacralità dei parlamentari come rappresentanti del popolo è un opinione risibile.

A 150 anni dall’Unità d’Italia abbiamo un presidente del consiglio, ormai leader che ha battuto tutti i record di durata del governo dallo Statuto albertino ad oggi, ma abituati a cambiare governi ogni 6, 9, 18 mesi si suona la grancassa dello scandalo per affossarlo. Un fumus persecutionis di una procu (abbrev,) che dopo l’illustre cavallerizzo, si vanta d’essere presieduta da un “nati non foste a viver come ‘Bruti’, ma per seguir virtude e conoscenza”.

I barboni della carta stampata, svariati narcisi pitocchi di face book, i conduttori miliardari, ebeti e pagliacci di programmi televisivi, intoccabili, possono gettare fango su qualsiasi politico impunemente: l’importante è fare audience e diventare famosi per poi candidarsi alla vita politica o ancor peggio condizionare la vita politica in qualità di quarto potere, puro all’apparenza, nella realtà privo di senso civico, pieno di boria, arrogante e blasfemo e da ultimo osceno. Meriterebbero di essere catturati e catapultati in Cina, in Iran o nell’Arabia Saudita, per un’esperienza variegata di giormalaismo rozzo e da lavatoio pubblico.

La stessa diffamazione della patria è uno sport e l’Italia è presentata come un teatro di avanspettacolo dagli operatori dell’informazione anglosassoni, siano inglesi o americani, siano tedeschi o  altri loro simili, dimentichi del loro lerciume e dei benefici ricevuti dai nostri padri antichi e dal nostro umanesimo e cattolicesimo, espresso nelle opere d’arte e nella lettaratura, altrimenti avrebbero ancora l’anello al naso e le frecce avvelenate  per eliminarsi a vicenda nelle buie foreste del Nord.

Il tarlo, ancora attivo di certe ideologie nefaste, ha portato per decenni, varie fazioni politiche a disprezzare la patria, a massacrare gli uomini di governo, al disprezzo del loro operare, trasformando tutto in avanspettacolo.

Certi noti individui, frustati e insuperbiti, megalomani e  poco autorevoli, amano scuffare nel brago della maldicenza, del pettegolezzo scurrile, della demonizzazione degli uomini di governo fino ad augurarne l’eliminazione. Si pensi all’onesto e integro Prodi, inquisito da un magistrato cretino (oggi deputato di un partito lobby dei giudici), e appellato Mortadella, al buon Bersani, nato a Bettola, appellato Culatello. Non c’è da ridere, c’è da piangere!

Sull’esempio lubrico di certi tabloid inglesi, che hanno coperto di ridicolo il principe ereditario, persona intelligente e anticonformista e amante dell’Italia, procedono i nostri straccioni dell’informazione.

Ben noti giornalai italiani tanto per dire, più che giornalisti, hanno frugato morbosamente sulla vita privata di un leader, gettando a mare per sempre quel principio costituzionale dell’inviolabilità del domicilio, dell’inviolabilità della persona, della segretezza della corrispondenza e in, toto della sua vita privata. Per i peccati privati c’è la segretezza dei confessionale e la misericordia di Dio, se dovessimo tornare ai tempi precedenti alla conquista di questi principi, dovremmo tornare all’Inquisizione, al rogo e alla legge del taglione. L’Islam allora, nelle sue manifestazioni fondamentaliste, troverebbe in Italia un  humus invidiabile! Non serve la malsana genialità di certi noti gnomi puzzolenti della carta stampata romana, del resto carcasse già con due piedi nella fossa e in decomposizione, per imbarbarire questo paese. Evviva l’Italia e la sua Costituzione alla faccia del segalino franceschiello che a tratti crede, con acribia frenetica, davanti ad una telecamera, d’essere il solo a difenderla insieme ai giornalai di “Famiglia Cristiana” che da un pezzo si è data più che alla formazione religiosa dei suoi lettori alla dieseduzione politica, immagino, incrementando le vendite dalla parte ritenuta del diavolo. Evviva l’Italia, in pace, in pace, pace! La rilettura di Francesco Petrarca ci faccia riflettere tutti.

Italia mia, benché ’l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,
piacemi almen che ’ miei sospir’ sian quali
5spera ’l Tevero et l’Arno,
e ’l Po, dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo dilecto almo paese.
10Vedi, Segnor cortese,
di che lievi cagion’ che crudel guerra;
e i cor’, che ’ndura et serra
Marte superbo et fero,
apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda;
15ivi fa che ’l Tuo vero,
qual io mi sia, per la mia lingua s’oda.

Voi cui Fortuna à posto in mano il freno
de le belle contrade,
di che nulla pietà par che vi stringa,
20che fan qui tante pellegrine spade?
perché ’l verde terreno
del barbarico sangue si depinga?
Vano error vi lusinga:
poco vedete, et parvi veder molto,
25ché ’n cor venale amor cercate o fede.
Qual piú gente possede,
colui è piú da’ suoi nemici avolto.
O diluvio raccolto
di che deserti strani
30per inondar i nostri dolci campi!
Se da le proprie mani
questo n’avene, or chi fia che ne scampi?

Ben provide Natura al nostro stato,
quando de l’Alpi schermo
35pose fra noi et la tedesca rabbia;
ma ’l desir cieco, e ’ncontr’al suo ben fermo,
s’è poi tanto ingegnato,
ch’al corpo sano à procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia
40fiere selvagge et mansüete gregge
s’annidan sí che sempre il miglior geme:
et è questo del seme,
per piú dolor, del popol senza legge,
al qual, come si legge,
45Mario aperse sí ’l fianco,
che memoria de l’opra ancho non langue,
quando assetato et stanco
non piú bevve del fiume acqua che sangue.

Cesare taccio che per ogni piaggia
50fece l’erbe sanguigne
di lor vene, ove ’l nostro ferro mise.
Or par, non so per che stelle maligne,
che ’l cielo in odio n’aggia:
vostra mercé, cui tanto si commise.
55Vostre voglie divise
guastan del mondo la piú bella parte.
Qual colpa, qual giudicio o qual destino
fastidire il vicino
povero, et le fortune afflicte et sparte
60perseguire, e ’n disparte
cercar gente et gradire,
che sparga ’l sangue et venda l’alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,
non per odio d’altrui, né per disprezzo.

65Né v’accorgete anchor per tante prove
del bavarico inganno
ch’alzando il dito colla morte scherza?
Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno;
ma ’l vostro sangue piove
70piú largamente, ch’altr’ira vi sferza.
Da la matina a terza
di voi pensate, et vederete come
tien caro altrui che tien sé cosí vile.
Latin sangue gentile,
75sgombra da te queste dannose some;
non far idolo un nome
vano senza soggetto:
ché ’l furor de lassú, gente ritrosa,
vincerne d’intellecto,
80peccato è nostro, et non natural cosa.

Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria?
Non è questo il mio nido
ove nudrito fui sí dolcemente?
Non è questa la patria in ch’io mi fido,
85madre benigna et pia,
che copre l’un et l’altro mio parente?
Perdio, questo la mente
talor vi mova, et con pietà guardate
le lagrime del popol doloroso,
90che sol da voi riposo
dopo Dio spera; et pur che voi mostriate
segno alcun di pietate,
vertú contra furore
prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto:
95ché l’antiquo valore
ne gli italici cor’ non è anchor morto.

Signor’, mirate come ’l tempo vola,
et sí come la vita
fugge, et la morte n’è sovra le spalle.
100Voi siete or qui; pensate a la partita:
ché l’alma ignuda et sola
conven ch’arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle
piacciavi porre giú l’odio et lo sdegno,
105vènti contrari a la vita serena;
et quel che ’n altrui pena
tempo si spende, in qualche acto piú degno
o di mano o d’ingegno,
in qualche bella lode,
110in qualche honesto studio si converta:
cosí qua giú si gode,
et la strada del ciel si trova aperta.

Canzone, io t’ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
115perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l’usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
120fra’ magnanimi pochi a chi ’l ben piace.
Di’ lor: – Chi m’assicura?
I’ vo gridando: Pace, pace, pace. –

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