Categoria : recensioni

Il papa Barnaba Chiaramonti a cura di Antonio Filipazzi

Pio VII e la diocesi di Imola

Il vescovo Pontefice che affrontò Napoleone

di Antonio Filipazzi

Durante l’Ottocento la diocesi di Imola vide due suoi vescovi salire sul soglio di Pietro con i nomi di Pio VII e Pio IX. Entrambi ebbero un pontificato piuttosto lungo – quello di Papa Mastai Ferretti fu con i suoi quasi 32 anni il più lungo tra quelli dei successori dell’apostolo Pietro – mentre Papa Chiaramonti governò la Chiesa universale per ben 23 anni e mezzo) e, soprattutto, segnato da gravi traversie, l’uno per lo scontro con Napoleone e l’altro per le vicende connesse all’unità d’Italia. È ben comprensibile che la Chiesa imolese vada fiera di questi due Papi e contribuisca a conservare, studiare e diffondere la loro memoria.

Così il decimo volume della serie “Documenti e Studi” delle pubblicazioni dell’Archivio diocesano di Imola La porpora e la tiara. 1785-1816:  l’episcopato imolese del cardinale Gregorio Barnaba Chiaramonti, poi Papa Pio VII, opera davvero ammirevole del vicedirettore Andrea Ferri (Imola, 2010, pagine 388), è dedicato all’episcopato imolese del cardinale che anche da Papa continuò a governare la sua antica diocesi. Questo libro ci presenta la figura del futuro Pio VII e quella del Pontefice dalla prospettiva dei suoi rapporti con Imola, pur senza dimenticare il quadro generale della sua vita e del suo pontificato e quello della travagliata epoca storica durante la quale gli toccò di vivere e guidare la Chiesa. E ciò nella consapevolezza che, come scrive l’autore, “per comprendere appieno la sua azione pastorale e di governo della Chiesa universale può essere utile l’analisi del suo episcopato imolese”. Va anche notato che l’esposizione testuale è accompagnata passo passo da un abbondante e interessante apparato iconografico, che accresce il pregio della pubblicazione.

Opportunamente e logicamente viene suddiviso in tre periodi l’episcopato imolese di Chiaramonti, che nel 1785 venne là trasferito dalla sede di Tivoli e insignito della porpora cardinalizia da Pio vi, suo concittadino e lontano parente. Una prima fase di ministero episcopale è quella che va fino all’occupazione francese di Imola nel 1796. Vi sono poi i quattro anni di ministero episcopale esercitato “nel turbine francese”. Eletto Papa il 14 marzo 1800, Pio VII mantenne il governo della diocesi di Imola fino al 1816, quando designò a succedergli il cardinale Antonio Rusconi.

Attraverso le fonti d’archivio, i primi undici anni “sulla cattedra di san Cassiano” ci appaiono densi di attività. Infatti, “la titolarità della cattedra episcopale imolese comporta l’esercizio di molteplici funzioni e potestà in ambito ecclesiastico e civile”:  il vescovo cardinale era anche “conte di Bagnara, feudatario di Poggiolo e Torano, giudice delegato della Sede Apostolica, commendatario del monastero di Santa Maria in Regola”.

Nel 1797, scrivendo al Direttorio della Repubblica cisalpina, il cardinale Chiaramonti si presentò come il pastore di una“metropoli rispettabilissima bagnata dai sudori degli Ambrosii e de’ Borromei”. Idealmente egli si rifà, dunque, al tipo del vescovo di matrice tridentina, pastore sollecito della predicazione, del culto e della disciplina (soprattutto del clero, ma non meno della società), che ha il suo modello più alto in Carlo Borromeo. I documenti recensiti dal volume testimoniano appunto l’azione pastorale di uno zelante vescovo ispirato a tali norme e ideali:  visita pastorale, rispetto del riposo festivo, lotta ai disordini carnevaleschi, solenni atti di culto e devozioni popolari, disciplina dei chierici, della vita religiosa e delle confraternite, promozione della carità e della cultura.

Gli ultimi quattro anni dell’episcopato imolese del futuro Papa furono segnati, invece, dal confronto con l’occupazione francese. L’allora bibliotecario dell’abbazia benedettina di San Giovanni Evangelista a Parma era stato tra i sottoscrittori dell’edizione di Livorno dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert e, nell’omelia natalizia del 1797 il porporato citò l’Emile di Rousseau. Sono questi indizi di un interesse, di un’apertura non preconcetta verso i movimenti culturali francesi. Ben presto però vi fu l’impatto con la realtà della Rivoluzione francese, soprattutto nella sua dimensione antireligiosa, grazie all’incontro con gli ecclesiastici francesi che, esuli dalla patria, trovarono rifugio anche nella diocesi di Imola.

Il 22 giugno 1796 le truppe francesi entrarono a Imola, e da quel momento si pose al vescovo la questione dei rapporti con il nuovo potere politico, portatore di un’ideologia e di un’azione politica in contrasto con la Chiesa. Il presente volume offre un valido contributo ad approfondire questo importante e delicato aspetto della vita del futuro Papa Chiaramonti. In tali frangenti il porporato si mosse nell’alveo delle direttive emanate da Pio vi per i territori sottrattigli dall’invasore. Sia gli interventi scritti sia le azioni compiute in tale periodo ci mostrano la sua fondamentale preoccupazione a evitare ogni violenza sia da parte dell’occupante straniero sia a opera degli “insorgenti” locali. Si può ravvisare in lui uno spirito conciliatore, che però mai mette in discussione “la purezza dei Santi Dogmi, i dettami della Morale Evangelica, ed il vigore dell’Ecclesiastica disciplina”, come scriverà nella lettera pastorale del 25 luglio 1799, quando Imola passò in mano austriaca.

Così, da un lato, nell’omelia che il “cittadino cardinal Chiaramonti” pronunziò il giorno di Natale del 1797 – come scrive nella presentazione del volume monsignor Tommaso Ghirelli, vescovo di Imola – egli volle “mostrare che i principi rivoluzionari e l’ordinamento democratico erano riconducibili alla morale cristiana”. Ma, d’altra parte, egli fu fermo nel pretendere da coloro, soprattutto del clero, “che hanno prestato il così detto giuramento civico voluto dal passato governo”, che “notoria (…) sia la loro penitenza”.

Quello del cardinale Chiaramonti fu dunque un atteggiamento articolato, capace di contemperare fedeltà ai principi e duttilità di fronte alle situazioni concrete. Si possono ravvisare qui gli stessi criteri d’azione che egli seguì anche da Papa, nell’aspro confronto con Napoleone, quando mostrerà grande coraggio nel difendere ciò che è irrinunciabile, pur piegandosi fino al limite del possibile per permettere almeno un’esistenza e un’azione minimali della Chiesa.

Con l’elezione al papato, il rapporto di Pio VII con la diocesi di Imola continuò e in una forma del tutto peculiare, perché egli ne mantenne il governo diretto fino al termine della bufera napoleonica e al ristabilimento del potere temporale pontificio (si può ricordare il precedente durante il Settecento di Papa Benedetto XIII Orsini, che aveva conservato il governo dell’arcidiocesi di Benevento). Scrivendo al Capitolo imolese l’8 marzo 1816 per annunciare la scelta del cardinale Rusconi come nuovo vescovo, il Pontefice disse che un tale provvedimento “dalle contrarie circostanze dei tempi ci è stato impedito”. Così per sedici anni la diocesi venne retta da un provicario generale che portava il titolo di “apostolico”.

È significativo che, quando nel 1807 morì il secondo titolare di quell’ufficio e il Capitolo gli elesse un successore, Pio VII non volle ratificare tale nomina, peraltro sanzionata dall’autorità civile, e scelse un altro ecclesiastico come suo delegato a governare la Chiesa imolese. Perciò si può ritenere che la decisione di conservare la responsabilità ultima del governo diocesano sia stata dettata anche dall’affetto che mutuamente legava l’antico vescovo e il suo popolo, come dimostrò l’accoglienza che gli venne riservata nella Pasqua 1814 durante la sosta a Imola sulla via del ritorno nell’Urbe.

Un tale vincolo della diocesi al suo pastore si alimentava anche del ricordo della vita esemplare di lui, e divenne ben presto auspicio che la Chiesa riconoscesse la santità del benedettino divenuto Pontefice Romano. Il volume cita alcune espressioni del Ristretto storico della città d’Imola diviso in tre parti del Cavaliere Avvocato Giulio Cesare Cerchiari imolese (1847):  “Le tue virtù sante nel tuo Episcopale ministero vivono già eterne nel cuore di noi tutti, e sono illustri al pari delle tue sventure e del tuo trionfo nel Pontificato (…) Forse non sarà lungi che la chiesa Imolese dal Vaticano proclamerà Te fra i suoi Santi”.

A un secolo e mezzo di distanza questo auspicio si sta realizzando, perché si è aperta negli anni scorsi in diocesi di Savona-Noli la causa di canonizzazione di Papa Chiaramonti, come era stato chiesto dalla Conferenza episcopale ligure, allora presieduta dall’arcivescovo di Genova, il cardinale Tarcisio Bertone. E proprio a Savona, dove Pio VII fu inviato da Napoleone in residenza  coatta, Papa Benedetto XVI ha reso omaggio – nell’omelia in Piazza del Popolo il 17 maggio 2008 – a questo suo predecessore, additandolo alla Chiesa di oggi:  “L’esempio di serena fermezza dato dal Papa Pio VII ci invita a conservare inalterata nelle prove la fiducia in Dio, consapevoli che Egli, se pur permette per la sua Chiesa momenti difficili, non la abbandona mai”.

Il volume che la diocesi e l’Archivio diocesano di Imola hanno voluto dedicare all’antico vescovo diocesano costituisce un valido strumento per approfondire la vicenda storica di questo grande Pontefice, il quale, secondo Benedetto XVI, “ci insegna il coraggio nell’affrontare le sfide del mondo:  materialismo, relativismo, laicismo, senza mai cedere a compromessi, disposti a pagare di persona pur di rimanere fedeli al Signore e alla sua Chiesa”.

Dall’Osservatore Romano del 7 agosto 2010   www.vatican.va/news_services/or/or…/index.html

Commenti sono sospesi.

RSS Sottoscrivi.