Categoria : recensioni

L’inventario di fine Settecento di Santa Maria degli Angeli di Perfugas a cura di Mauro Maxia, di Angelino Tedde

Mauro Maxia (a cura di), L’inventario settecentesco di Santa Maria degli Angeli di Perfugas. Edizione del manoscritto spagnolo con traduzione a fronte, Parrocchia di Perfugas, “Quaderni di Ericium”, Perfugas (Sassari) 2007, pp. 150.

Che cosa sia un inventario almeno in linea generale credo che voi tutti lo sappiate anche se a guardare la definizione in una qualsiasi enciclopedia storica e attuale c’è da rompersi il capo. A noi basta sapere che l’inventario o il bilancio di cui parliamo  comprende edifici appartenenti alla parrocchia e le loro entrate,  poderi dati a censo e le relative rendite, diritti di primizia sul grano e relativi incassi (per la verità non incassati per mancanza di appaltatori), un certo numero di capi ovini e caprini alle origini rispettivamente 130 e 104 successivamente ridotti a 90 più 79 senza menzione del censo o di altra rendita che a questi si riferiscono.

Quest’inventario però, riporta anche un’elenco delle spese per l’olio, per la cera, per la mutenzione dell’orologio della chiesa, per il donativo regio. Da quest’ottica non si tratta che di un bilancio in cui vengono segnate le entrate e le uscite inoltre indicato minuziosamente il corredo e l’arredo per le cerimonie:vesti sacerdotali e argenteria sacra, crocefissi, statue,  quadri,  candelieri, gli armadi e  confessionali poche sedie di legno, il battistero anch’esso di legno. Viene segnato anche il pulpito p il corredo  con gli ori, le collane  di vario materiale  e gli abiti della statua della Vergine. Infine le campane della torre campanaria e il campanello d’inizio cerimonia vicino alla sacrestia e i campanelli per l’annuncio dei momenti più sacri della Santa Messa. A questi elementi dell’inventario o bilancio si aggiungono gl’inventari della cappella del purgatorio ecc.

Si tratta come già detto di un manoscritto in spagnolo presumibilmente stilato degli anni novanta del Settecento.

Un secolo che per la Sardegna costituisce un riavvicinamento alla penisola italiana e ai suoi Stati. Alla fine del secondo decennio era avvenuta la presa di possesso della Sardegna da parte dei Principi Sabaudi, promossi, re di Sardegna. Da studi approfonditi, portati avanti nell’ultimo decennio, sul secolo dei lumi sta emergendo un quadro vivace sia della politica nelle sue varie branche messa in atto dai ministri degli affari di Sardegna e dai loro più stretti collaboratori sardi e continentali spesso intellettuali illuminati dei quali essi si circondavano  e che miravano con i loro scritti a indicare ai sardi i mezzi attraverso i quali conseguire lo sviluppo e il benessere. A noi qui, interessa però, accenare agli eventi più significativi che si ricollegano al documento illustrato da Mauro Maxia.

Nel 1760 erano state gradualmente rinnovate le Università di Cagliari e di Sassari e i relativi studi, erano stati emanati nuovi regolamenti per i seminari, erano state riformate le scuole medie già dette del Trivio e del Quadrivio, ora ridisegnate dal ministro per gli affari di Sardegna Gianbattista Lorenzo Bogino  le sette classi medie che andavano dalla VII alla I. Nella classe VII viene introdotta la sola grammatica italiana e vietata quella latina.

Ai vescovi spagnoli delle diocesi più importanti subentravano gradualmente i vescovi piemontesi desiderosi di formare un clero più adeguato ai tempi e con uno stile di vita più consono allo svolgimento delle  funzioni pastorali e  didattiche in riferimento all’alfabetizzazione, al progresso  dell’economia e delle tecniche agrarie. Un clero che poteva beneficiare presso i collegi gesuitici, ma anche presso i collegi scolopici di una maggiore apertura alle novità scientifiche e presso le università restaurate di teologi e giuristi, naturalisti e matematici meglio dotati di quelli precedenti: si può affermare che essi posero le solide basi delle più avanzate discipline sia che fossero laici sia che fossero religiosi. Il severo e intransigente riformismo boginiano si era sviluppato tra il 1759 e il 1773. Quando uscirà di scena lui, usciranno di scena anche i gesuiti la cui Compagnia fu soppressa per oltre un cinquantennio. Gli scolopi e le regie scuole pubbliche avranno d’ora in poi il monopolio dell’istruzione media inferiore e superiore.  Si può supporre che il clero, meglio preparato, con la frequenza delle sette classi medie boginiane e graduato nelle università restaurate venga fuori dai tredici ai quindici anni successivi alle riforme, cioè a partire dal 1775. Ciò non significa che durante questi anni non pervenissero a formazione, utilizzando lo spagnolo come lingua veicolare dei loro studi, decine di sacerdoti diocesani e regolari così come abbiamo documentato negli inventari compilati in sede di tesi di laurea dalle nostre brave laureande. D’altra parte nel corso della loro formazione non smettono certe di utilizzare la parlata sarda o nel caso della Gallura della Romangia la sardo-corsa, mentre veniva utilizzata date le presenze degli ordini religiosi provenienti dalla penisola e soprattutto dalla Santa Sede la lingua italiana. Secondo tradizione, abbiamo una Sardegna linguisticamente variegata sia nella parlata corrente come nell’uso scritto. E’ sufficiente consultare gli stessi quinque libri per verificare ad esempio come i vescovi cagliaritani impongano presto l’uso dell’italiano, mentre gli altri lascino più liberi i sacerdoti in cura d’anime di esprimersi variamente sia in sardo sia in castigliano dal momento che questa lingua era stata per secoli la lingua veicolare dei collegi e delle università e il cui uso, per il trattato di Londra, non poteva essere semplicemente eliminato con un editto o con un decreto del re di Sardegna. Il pluralismo linguistico del resto è anche uso corrente anche se ci possono essere luminari che non se ne vogliono  rendere conto. Certo all’epoca del documento infuriava la rivoluzione francese e le sue idee sovversive andavano diffondendosi ovunque, la Sardegna, nonostante i ritmi lenti del mare, non è immune da influssi, anche se caccia i francese da una parte, dall’altra  si rivolta contro i feudatari, certo per una rivoluzione per la pancia, non per l’eversione dell’ordine costituito. Questo naturalmente non ci autorizza a pensare che molti seguaci di Angioy non sentissero nostalgie rivoluzionarie francesi. Con la caduta di Napoleone però venne la Restaurazione anche se con cauti lumi, con caute riforme sulle quali non è questa  l’occasione per soffermarci.

Le turbolenze del primo Settecento per l’Anglona e per la Gallura parevano concluse con la morte  violenta di Donna Lucia Delitala Tedde e delle omonime famiglie grazie anche alla terrificante repressione del vicerè sabaudo Rivarolo che fece impiccare 400 malavitosi sardi, ne fece imprigionare 4000 e fece esiliare anche numerosi nobili compresa Donna Lucia, l’amazzone signora di Chiaramonti che dovette trascorre ben due anni confinata a Villafranca in Piemonte. C’era stata però contemporaneamente la proficua predicazione del gesuita Giovanni Battista Vassallo (1681-1775), morto in concetto di santità, verso la fine degli anni Settanta e promotore delle paci tra clan di famiglie che si uccidevano con le faide. Un apostolo carismatico che per 50 anni  in modo istancabile cercò di rievangelizzare l’isola, quasi anticipando l’opera delle congregazioni maschili e femminili dell’Ottocento e del Novecento che ne favorirono l’ammodernamento educativo e formativo.

Ecco dunque una porzione del contesto storico che in quest’occasione abbiamo voluto rievocare, antecedente e vicino alla compilazione dell’inventario perfughese che fa emergere come sostiene don Pala l’identità storica dei perfughesi, di quando il ciclo della vita e quella del ciclo agrario si svolgeva intorno al campanile e la stessa parrocchia coi suoi beni, doveva far fronte con le entrate correnti al buon funzionamento della parrocchia: 10 scudi dalle locazioni delle case di proprietà, 30 scudi dai censi dei terreni, 25 scudi dal diritto di primizia del grano, e un numero imprecisato di scudi dal bestiame, 40 libbre di cera . A quale scopo è presto detto, 8 scudi per l’olio ritengo della lampada del santissimo, 6 scudi per l’orologiaio, quasi un altro scudo per i canapi dell’orologio, quasi 3 scudi per il donativo regio e  per l’acquisto di 40 libre di cera.

A giusto titolo don Pala, attuale custode dell’archivio parrocchiale, intende dare risalto ai documenti in essi contenuti, perché da essi emergono le opere e i giorni, il dolore e la gioia, la fatica e il benessere dei vostri antenati. Quest’iniziativa non poteva non nascere se non da un operatore culturale e religioso innamorato del suo gregge e dalle fatiche variamente distribuite di Mauro Maxia, appassionato storico e linguista, e dalla collaborazione di Egidio Addis e di Enrico Loche. Passando poi, dalla presentazione breve, ma densa e significativa di don Pala, al lavoro di Mauro Maxia osserviamo che essa è suddivisa in varie sezioni un’introduzione pregevole in cui lo studioso evidenzia la ricchezza di quest’inventario e quanto in dipinti e altri oggetti preziosi è stato tolto nel tempo alla parrocchia sia architettonicamente, sia in statue che sono scomparse, sia in oggetti preziosi, corredo della Vergine, venerata non solo come Madonna degli Angeli, ma anche come la Vergine di Odigitria ,la Vergine dei sette dolori, quella del Rosario e della Raccomandata con le rispettive ormai eliminate cappelle, più le statue e le relative cappelle di San Giuseppe, Santa Lucia e le anime del Purgatorio o de Sas Animas del quale per fortuna è rimasto il dipinto registrato nell’inventario. E’ scomparso anche l’orologio che spiccava alto nelle quattro facciate del campanile, mentre la chiesetta rurale di san Giovanni Battista da campestre allora è stata poi gradualmente compresa dallo sviluppo urbano di Perfugas. In merito a quanto perso e a quanto ritrovato, lo studioso, senza avvedersene esprime poeticamente il valore delle fonti scrivendo:

“ Lo studio delle fonti come un alito di vento spazza le nuvole che nascondono la vista del sole, riporta la luce su aspetti del passato oscurati talvolta dalla fantasia popolare di cui si nutrono le leggende”.

Il documento in lingua spagnola apparentemente fa sorgere un problema: come mai dopo 74 anni dall’inizio del dominio sabaudo si usa il castigliano, quando gli stessi quinque libri venivano prima di allora compilati  in sardo? C’è da ricordare che il trattato del passaggio dalla Spagna ai Savoia imponeva che essi non intaccassero lingua e cultura spagnola e che probabilmente i sacerdoti compilatori si erano graduati presso l’università gesuitica nel periodo in cui  la lingua castigliana era la lingua veicolare dei maestri e qiuindi probabilmente i sacerdoti compilatori erano di vecchia formazione. Giustamente fa osservare Mauro Maxia si hanno documenti in spagnolo fino al 1813. Del resto nei registri parrocchiali di Nulvi, la data di battesimo e nascita di donna Lucia Delitala Tedde viene compilata in lingua spagnola perché nobile, mentre per i non nobili si usa il sardo. C’è nei registri questa varietà d’uso delle parlate linguistiche. Comunque più approfonditi studi chiariranno il problema acutamente da lui posto. Segue quindi l’illustrazione tecnica del documento, i criteri seguiti per l’edizione, la lingua del documento, fertile terreno delle competenze sue più specifiche competenze linguistiche e filologiche di Mauro Maxia. Tra i richiami a cui posso accennare sono l’individuazione che egli fa della fonetica, dei sardismi, degli italianismi, dei catalanismi e dei portoghesismi del documenti in lingua castigliana. Ed eccoci finalmente al documento spagnolo, trascritto secondo i consueti criteri scientifici in uso, con la traduzione italiana a fronte e quindi godibile da chiunque abbia piacere di curiosare su questi beni mobili e immobili appartenenti alla parrocchia leggendo il testo italiano prima e poi se lo desidera in lingua spagnola o viceversa.

Sono elenchi e annotazioni, ma ciononostante emerge dalla loro lettura la quotidianità della vita, la consuetudine di utilizzo delle terre, del bestiame e delle case, per quanto riguarda i beni reali e i capi di bestiame; la rendita delle terre e il censo del bestiame.

Mauro Maxia (a cura di), L’inventario settecentesco di Santa Maria degli Angeli di Perfugas. Edizione del manoscritto spagnolo con traduzione a fronte, Parrocchia di Perfugas, “Quaderni di Ericium”, Perfugas (Sassari) 2007, pp. 150.

Che cosa sia un inventario almeno in linea generale credo che voi tutti lo sappiate anche se a guardare la definizione in una qualsiasi enciclopedia storica e attuale c’è da rompersi il capo. A noi basta sapere che l’inventario o il bilancio di cui parliamo  comprende edifici appartenenti alla parrocchia e le loro entrate,  poderi dati a censo e le relative rendite, diritti di primizia sul grano e relativi incassi (per la verità non incassati per mancanza di appaltatori), un certo numero di capi ovini e caprini alle origini rispettivamente 130 e 104 successivamente ridotti a 90 più 79 senza menzione del censo o di altra rendita che a questi si riferiscono.

Quest’inventario però, riporta anche un’elenco delle spese per l’olio, per la cera, per la mutenzione dell’orologio della chiesa, per il donativo regio. Da quest’ottica non si tratta che di un bilancio in cui vengono segnate le entrate e le uscite inoltre indicato minuziosamente il corredo e l’arredo per le cerimonie:vesti sacerdotali e argenteria sacra, crocefissi, statue,  quadri,  candelieri, gli armadi e  confessionali poche sedie di legno, il battistero anch’esso di legno. Viene segnato anche il pulpito p il corredo  con gli ori, le collane  di vario materiale  e gli abiti della statua della Vergine. Infine le campane della torre campanaria e il campanello d’inizio cerimonia vicino alla sacrestia e i campanelli per l’annuncio dei momenti più sacri della Santa Messa. A questi elementi dell’inventario o bilancio si aggiungono gl’inventari della cappella del purgatorio ecc.

Si tratta come già detto di un manoscritto in spagnolo presumibilmente stilato degli anni novanta del Settecento.

Un secolo che per la Sardegna costituisce un riavvicinamento alla penisola italiana e ai suoi Stati. Alla fine del secondo decennio era avvenuta la presa di possesso della Sardegna da parte dei Principi Sabaudi, promossi, re di Sardegna. Da studi approfonditi, portati avanti nell’ultimo decennio, sul secolo dei lumi sta emergendo un quadro vivace sia della politica nelle sue varie branche messa in atto dai ministri degli affari di Sardegna e dai loro più stretti collaboratori sardi e continentali spesso intellettuali illuminati dei quali essi si circondavano  e che miravano con i loro scritti a indicare ai sardi i mezzi attraverso i quali conseguire lo sviluppo e il benessere. A noi qui, interessa però, accenare agli eventi più significativi che si ricollegano al documento illustrato da Mauro Maxia.

Nel 1760 erano state gradualmente rinnovate le Università di Cagliari e di Sassari e i relativi studi, erano stati emanati nuovi regolamenti per i seminari, erano state riformate le scuole medie già dette del Trivio e del Quadrivio, ora ridisegnate dal ministro per gli affari di Sardegna Gianbattista Lorenzo Bogino  le sette classi medie che andavano dalla VII alla I. Nella classe VII viene introdotta la sola grammatica italiana e vietata quella latina.

Ai vescovi spagnoli delle diocesi più importanti subentravano gradualmente i vescovi piemontesi desiderosi di formare un clero più adeguato ai tempi e con uno stile di vita più consono allo svolgimento delle  funzioni pastorali e  didattiche in riferimento all’alfabetizzazione, al progresso  dell’economia e delle tecniche agrarie. Un clero che poteva beneficiare presso i collegi gesuitici, ma anche presso i collegi scolopici di una maggiore apertura alle novità scientifiche e presso le università restaurate di teologi e giuristi, naturalisti e matematici meglio dotati di quelli precedenti: si può affermare che essi posero le solide basi delle più avanzate discipline sia che fossero laici sia che fossero religiosi. Il severo e intransigente riformismo boginiano si era sviluppato tra il 1759 e il 1773. Quando uscirà di scena lui, usciranno di scena anche i gesuiti la cui Compagnia fu soppressa per oltre un cinquantennio. Gli scolopi e le regie scuole pubbliche avranno d’ora in poi il monopolio dell’istruzione media inferiore e superiore.  Si può supporre che il clero, meglio preparato, con la frequenza delle sette classi medie boginiane e graduato nelle università restaurate venga fuori dai tredici ai quindici anni successivi alle riforme, cioè a partire dal 1775. Ciò non significa che durante questi anni non pervenissero a formazione, utilizzando lo spagnolo come lingua veicolare dei loro studi, decine di sacerdoti diocesani e regolari così come abbiamo documentato negli inventari compilati in sede di tesi di laurea dalle nostre brave laureande. D’altra parte nel corso della loro formazione non smettono certe di utilizzare la parlata sarda o nel caso della Gallura della Romangia la sardo-corsa, mentre veniva utilizzata date le presenze degli ordini religiosi provenienti dalla penisola e soprattutto dalla Santa Sede la lingua italiana. Secondo tradizione, abbiamo una Sardegna linguisticamente variegata sia nella parlata corrente come nell’uso scritto. E’ sufficiente consultare gli stessi quinque libri per verificare ad esempio come i vescovi cagliaritani impongano presto l’uso dell’italiano, mentre gli altri lascino più liberi i sacerdoti in cura d’anime di esprimersi variamente sia in sardo sia in castigliano dal momento che questa lingua era stata per secoli la lingua veicolare dei collegi e delle università e il cui uso, per il trattato di Londra, non poteva essere semplicemente eliminato con un editto o con un decreto del re di Sardegna. Il pluralismo linguistico del resto è anche uso corrente anche se ci possono essere luminari che non se ne vogliono  rendere conto. Certo all’epoca del documento infuriava la rivoluzione francese e le sue idee sovversive andavano diffondendosi ovunque, la Sardegna, nonostante i ritmi lenti del mare, non è immune da influssi, anche se caccia i francese da una parte, dall’altra  si rivolta contro i feudatari, certo per una rivoluzione per la pancia, non per l’eversione dell’ordine costituito. Questo naturalmente non ci autorizza a pensare che molti seguaci di Angioy non sentissero nostalgie rivoluzionarie francesi. Con la caduta di Napoleone però venne la Restaurazione anche se con cauti lumi, con caute riforme sulle quali non è questa  l’occasione per soffermarci.

Le turbolenze del primo Settecento per l’Anglona e per la Gallura parevano concluse con la morte  violenta di Donna Lucia Delitala Tedde e delle omonime famiglie grazie anche alla terrificante repressione del vicerè sabaudo Rivarolo che fece impiccare 400 malavitosi sardi, ne fece imprigionare 4000 e fece esiliare anche numerosi nobili compresa donna Lucia, l’amazzone signora di Chiaramonti che dovette trascorre ben due anni confinata a Villafranca in Piemonte. C’era stata però contemporaneamente la proficua predicazione del gesuita Giovanni Battista Vassallo (1681-1775), morto in concetto di santità, verso la fine degli anni Settanta e promotore delle paci tra clan di famiglie che si uccidevano con le faide. Un apostolo carismatico che per 50 anni  in modo istancabile cercò di rievangelizzare l’isola, quasi anticipando l’opera delle congregazioni maschili e femminili dell’Ottocento e del Novecento che ne favorirono l’ammodernamento educativo e formativo.

Ecco dunque una porzione del contesto storico che in quest’occasione abbiamo voluto rievocare, antecedente e vicino alla compilazione dell’inventario perfughese che fa emergere come sostiene don Pala l’identità storica dei perfughesi, di quando il ciclo della vita e quella del ciclo agrario si svolgeva intorno al campanile e la stessa parrocchia coi suoi beni, doveva far fronte con le entrate correnti al buon funzionamento della parrocchia: 10 scudi dalle locazioni delle case di proprietà, 30 scudi dai censi dei terreni, 25 scudi dal diritto di primizia del grano, e un numero imprecisato di scudi dal bestiame, 40 libbre di cera . A quale scopo è presto detto, 8 scudi per l’olio ritengo della lampada del santissimo, 6 scudi per l’orologiaio, quasi un altro scudo per i canapi dell’orologio, quasi 3 scudi per il donativo regio e  per l’acquisto di 40 libre di cera.

A giusto titolo don Pala, attuale custode dell’archivio parrocchiale, intende dare risalto ai documenti in essi contenuti, perché da essi emergono le opere e i giorni, il dolore e la gioia, la fatica e il benessere dei vostri antenati. Quest’iniziativa non poteva non nascere se non da un operatore culturale e religioso innamorato del suo gregge e dalle fatiche variamente distribuite di Mauro Maxia, appassionato storico e linguista, e dalla collaborazione di Egidio Addis e di Enrico Loche. Passando poi, dalla presentazione breve, ma densa e significativa di don Pala, al lavoro di Mauro Maxia osserviamo che essa è suddivisa in varie sezioni un’introduzione pregevole in cui lo studioso evidenzia la ricchezza di quest’inventario e quanto in dipinti e altri oggetti preziosi è stato tolto nel tempo alla parrocchia sia architettonicamente, sia in statue che sono scomparse, sia in oggetti preziosi, corredo della Vergine, venerata non solo come Madonna degli Angeli, ma anche come la Vergine di Odigitria ,la Vergine dei sette dolori, quella del Rosario e della Raccomandata con le rispettive ormai eliminate cappelle, più le statue e le relative cappelle di San Giuseppe, Santa Lucia e le anime del Purgatorio o de Sas Animas del quale per fortuna è rimasto il dipinto registrato nell’inventario. E’ scomparso anche l’orologio che spiccava alto nelle quattro facciate del campanile, mentre la chiesetta rurale di san Giovanni Battista da campestre allora è stata poi gradualmente compresa dallo sviluppo urbano di Perfugas. In merito a quanto perso e a quanto ritrovato, lo studioso, senza avvedersene esprime poeticamente il valore delle fonti scrivendo:

“ Lo studio delle fonti come un alito di vento spazza le nuvole che nascondono la vista del sole, riporta la luce su aspetti del passato oscurati talvolta dalla fantasia popolare di cui si nutrono le leggende”.

Il documento in lingua spagnola apparentemente fa sorgere un problema: come mai dopo 74 anni dall’inizio del dominio sabaudo si usa il castigliano, quando gli stessi quinque libri venivano prima di allora compilati  in sardo? C’è da ricordare che il trattato del passaggio dalla Spagna ai Savoia imponeva che essi non intaccassero lingua e cultura spagnola e che probabilmente i sacerdoti compilatori si erano graduati presso l’università gesuitica nel periodo in cui  la lingua castigliana era la lingua veicolare dei maestri e qiuindi probabilmente i sacerdoti compilatori erano di vecchia formazione. Giustamente fa osservare Mauro Maxia si hanno documenti in spagnolo fino al 1813. Del resto nei registri parrocchiali di Nulvi, la data di battesimo e nascita di donna Lucia Delitala Tedde viene compilata in lingua spagnola perché nobile, mentre per i non nobili si usa il sardo. C’è nei registri questa varietà d’uso delle parlate linguistiche. Comunque più approfonditi studi chiariranno il problema acutamente da lui posto. Segue quindi l’illustrazione tecnica del documento, i criteri seguiti per l’edizione, la lingua del documento, fertile terreno delle competenze sue più specifiche competenze linguistiche e filologiche di Mauro Maxia. Tra i richiami a cui posso accennare sono l’individuazione che egli fa della fonetica, dei sardismi, degli italianismi, dei catalanismi e dei portoghesismi del documenti in lingua castigliana. Ed eccoci finalmente al documento spagnolo, trascritto secondo i consueti criteri scientifici in uso, con la traduzione italiana a fronte e quindi godibile da chiunque abbia piacere di curiosare su questi beni mobili e immobili appartenenti alla parrocchia leggendo il testo italiano prima e poi se lo desidera in lingua spagnola o viceversa.

Sono elenchi e annotazioni, ma ciononostante emerge dalla loro lettura la quotidianità della vita, la consuetudine di utilizzo delle terre, del bestiame e delle case, per quanto riguarda i beni reali e i capi di bestiame; la rendita delle terre e il censo del bestiame.

Mauro Maxia (a cura di), L’inventario settecentesco di Santa Maria degli Angeli di Perfugas. Edizione del manoscritto spagnolo con traduzione a fronte, Parrocchia di Perfugas, “Quaderni di Ericium”, Perfugas (Sassari) 2007, pp. 150.

Che cosa sia un inventario almeno in linea generale credo che voi tutti lo sappiate anche se a guardare la definizione in una qualsiasi enciclopedia storica e attuale c’è da rompersi il capo. A noi basta sapere che l’inventario o il bilancio di cui parliamo  comprende edifici appartenenti alla parrocchia e le loro entrate,  poderi dati a censo e le relative rendite, diritti di primizia sul grano e relativi incassi (per la verità non incassati per mancanza di appaltatori), un certo numero di capi ovini e caprini alle origini rispettivamente 130 e 104 successivamente ridotti a 90 più 79 senza menzione del censo o di altra rendita che a questi si riferiscono.

Quest’inventario però, riporta anche un’elenco delle spese per l’olio, per la cera, per la mutenzione dell’orologio della chiesa, per il donativo regio. Da quest’ottica non si tratta che di un bilancio in cui vengono segnate le entrate e le uscite inoltre indicato minuziosamente il corredo e l’arredo per le cerimonie:vesti sacerdotali e argenteria sacra, crocefissi, statue,  quadri,  candelieri, gli armadi e  confessionali poche sedie di legno, il battistero anch’esso di legno. Viene segnato anche il pulpito p il corredo  con gli ori, le collane  di vario materiale  e gli abiti della statua della Vergine. Infine le campane della torre campanaria e il campanello d’inizio cerimonia vicino alla sacrestia e i campanelli per l’annuncio dei momenti più sacri della Santa Messa. A questi elementi dell’inventario o bilancio si aggiungono gl’inventari della cappella del purgatorio ecc.

Si tratta come già detto di un manoscritto in spagnolo presumibilmente stilato degli anni novanta del Settecento.

Un secolo che per la Sardegna costituisce un riavvicinamento alla penisola italiana e ai suoi Stati. Alla fine del secondo decennio era avvenuta la presa di possesso della Sardegna da parte dei Principi Sabaudi, promossi, re di Sardegna. Da studi approfonditi, portati avanti nell’ultimo decennio, sul secolo dei lumi sta emergendo un quadro vivace sia della politica nelle sue varie branche messa in atto dai ministri degli affari di Sardegna e dai loro più stretti collaboratori sardi e continentali spesso intellettuali illuminati dei quali essi si circondavano  e che miravano con i loro scritti a indicare ai sardi i mezzi attraverso i quali conseguire lo sviluppo e il benessere. A noi qui, interessa però, accenare agli eventi più significativi che si ricollegano al documento illustrato da Mauro Maxia.

Nel 1760 erano state gradualmente rinnovate le Università di Cagliari e di Sassari e i relativi studi, erano stati emanati nuovi regolamenti per i seminari, erano state riformate le scuole medie già dette del Trivio e del Quadrivio, ora ridisegnate dal ministro per gli affari di Sardegna Gianbattista Lorenzo Bogino  le sette classi medie che andavano dalla VII alla I. Nella classe VII viene introdotta la sola grammatica italiana e vietata quella latina.

Ai vescovi spagnoli delle diocesi più importanti subentravano gradualmente i vescovi piemontesi desiderosi di formare un clero più adeguato ai tempi e con uno stile di vita più consono allo svolgimento delle  funzioni pastorali e  didattiche in riferimento all’alfabetizzazione, al progresso  dell’economia e delle tecniche agrarie. Un clero che poteva beneficiare presso i collegi gesuitici, ma anche presso i collegi scolopici di una maggiore apertura alle novità scientifiche e presso le università restaurate di teologi e giuristi, naturalisti e matematici meglio dotati di quelli precedenti: si può affermare che essi posero le solide basi delle più avanzate discipline sia che fossero laici sia che fossero religiosi.

Il severo e intransigente riformismo boginiano si era sviluppato tra il 1759 e il 1773. Quando uscirà di scena lui, usciranno di scena anche i gesuiti la cui Compagnia fu soppressa per oltre un cinquantennio. Gli scolopi e le regie scuole pubbliche avranno d’ora in poi il monopolio dell’istruzione media inferiore e superiore.  Si può supporre che il clero, meglio preparato, con la frequenza delle sette classi medie boginiane e graduato nelle università restaurate venga fuori dai tredici ai quindici anni successivi alle riforme, cioè a partire dal 1775. Ciò non significa che durante questi anni non pervenissero a formazione, utilizzando lo spagnolo come lingua veicolare dei loro studi, decine di sacerdoti diocesani e regolari così come abbiamo documentato negli inventari compilati in sede di tesi di laurea dalle nostre brave laureande. D’altra parte nel corso della loro formazione non smettono certe di utilizzare la parlata sarda o nel caso della Gallura della Romangia la sardo-corsa, mentre veniva utilizzata date le presenze degli ordini religiosi provenienti dalla penisola e soprattutto dalla Santa Sede la lingua italiana. Secondo tradizione, abbiamo una Sardegna linguisticamente variegata sia nella parlata corrente come nell’uso scritto. E’ sufficiente consultare gli stessi quinque libri per verificare ad esempio come i vescovi cagliaritani impongano presto l’uso dell’italiano, mentre gli altri lascino più liberi i sacerdoti in cura d’anime di esprimersi variamente sia in sardo sia in castigliano dal momento che questa lingua era stata per secoli la lingua veicolare dei collegi e delle università e il cui uso, per il trattato di Londra, non poteva essere semplicemente eliminato con un editto o con un decreto del re di Sardegna.

Il pluralismo linguistico del resto è anche uso corrente anche se ci possono essere luminari che non se ne vogliono  rendere conto. Certo all’epoca del documento infuriava la rivoluzione francese e le sue idee sovversive andavano diffondendosi ovunque, la Sardegna, nonostante i ritmi lenti del mare, non è immune da influssi, anche se caccia i francese da una parte, dall’altra  si rivolta contro i feudatari, certo per una rivoluzione per la pancia, non per l’eversione dell’ordine costituito. Questo naturalmente non ci autorizza a pensare che molti seguaci di Angioy non sentissero nostalgie rivoluzionarie francesi. Con la caduta di Napoleone però venne la Restaurazione anche se con cauti lumi, con caute riforme sulle quali non è questa  l’occasione per soffermarci.

Le turbolenze del primo Settecento per l’Anglona e per la Gallura parevano concluse con la morte  violenta di Donna Lucia Delitala Tedde e delle omonime famiglie grazie anche alla terrificante repressione del vicerè sabaudo Rivarolo che fece impiccare 400 malavitosi sardi, ne fece imprigionare 4000 e fece esiliare anche numerosi nobili compresa donna Lucia, l’amazzone signora di Chiaramonti che dovette trascorre ben due anni confinata a Villafranca in Piemonte. C’era stata però contemporaneamente la proficua predicazione del gesuita Giovanni Battista Vassallo (1681-1775), morto in concetto di santità, verso la fine degli anni Settanta e promotore delle paci tra clan di famiglie che si uccidevano con le faide. Un apostolo carismatico che per 50 anni  in modo istancabile cercò di rievangelizzare l’isola, quasi anticipando l’opera delle congregazioni maschili e femminili dell’Ottocento e del Novecento che ne favorirono l’ammodernamento educativo e formativo.

Ecco dunque una porzione del contesto storico che in quest’occasione abbiamo voluto rievocare, antecedente e vicino alla compilazione dell’inventario perfughese che fa emergere come sostiene don Pala l’identità storica dei perfughesi, di quando il ciclo della vita e quella del ciclo agrario si svolgeva intorno al campanile e la stessa parrocchia coi suoi beni, doveva far fronte con le entrate correnti al buon funzionamento della parrocchia: 10 scudi dalle locazioni delle case di proprietà, 30 scudi dai censi dei terreni, 25 scudi dal diritto di primizia del grano, e un numero imprecisato di scudi dal bestiame, 40 libbre di cera . A quale scopo è presto detto, 8 scudi per l’olio ritengo della lampada del santissimo, 6 scudi per l’orologiaio, quasi un altro scudo per i canapi dell’orologio, quasi 3 scudi per il donativo regio e  per l’acquisto di 40 libre di cera.

A giusto titolo don Pala, attuale custode dell’archivio parrocchiale, intende dare risalto ai documenti in essi contenuti, perché da essi emergono le opere e i giorni, il dolore e la gioia, la fatica e il benessere dei vostri antenati. Quest’iniziativa non poteva non nascere se non da un operatore culturale e religioso innamorato del suo gregge e dalle fatiche variamente distribuite di Mauro Maxia, appassionato storico e linguista, e dalla collaborazione di Egidio Addis e di Enrico Loche. Passando poi, dalla presentazione breve, ma densa e significativa di don Pala, al lavoro di Mauro Maxia osserviamo che essa è suddivisa in varie sezioni un’introduzione pregevole in cui lo studioso evidenzia la ricchezza di quest’inventario e quanto in dipinti e altri oggetti preziosi è stato tolto nel tempo alla parrocchia sia architettonicamente, sia in statue che sono scomparse, sia in oggetti preziosi, corredo della Vergine, venerata non solo come Madonna degli Angeli, ma anche come la Vergine di Odigitria ,la Vergine dei sette dolori, quella del Rosario e della Raccomandata con le rispettive ormai eliminate cappelle, più le statue e le relative cappelle di San Giuseppe, Santa Lucia e le anime del Purgatorio o de Sas Animas del quale per fortuna è rimasto il dipinto registrato nell’inventario. E’ scomparso anche l’orologio che spiccava alto nelle quattro facciate del campanile, mentre la chiesetta rurale di san Giovanni Battista da campestre allora è stata poi gradualmente compresa dallo sviluppo urbano di Perfugas. In merito a quanto perso e a quanto ritrovato, lo studioso, senza avvedersene esprime poeticamente il valore delle fonti scrivendo:

“ Lo studio delle fonti come un alito di vento spazza le nuvole che nascondono la vista del sole, riporta la luce su aspetti del passato oscurati talvolta dalla fantasia popolare di cui si nutrono le leggende”.

Il documento in lingua spagnola apparentemente fa sorgere un problema: come mai dopo 74 anni dall’inizio del dominio sabaudo si usa il castigliano, quando gli stessi quinque libri venivano prima di allora compilati  in sardo? C’è da ricordare che il trattato del passaggio dalla Spagna ai Savoia imponeva che essi non intaccassero lingua e cultura spagnola e che probabilmente i sacerdoti compilatori si erano graduati presso l’università gesuitica nel periodo in cui  la lingua castigliana era la lingua veicolare dei maestri e qiuindi probabilmente i sacerdoti compilatori erano di vecchia formazione. Giustamente fa osservare Mauro Maxia si hanno documenti in spagnolo fino al 1813. Del resto nei registri parrocchiali di Nulvi, la data di battesimo e nascita di donna Lucia Delitala Tedde viene compilata in lingua spagnola perché nobile, mentre per i non nobili si usa il sardo. C’è nei registri questa varietà d’uso delle parlate linguistiche. Comunque più approfonditi studi chiariranno il problema acutamente da lui posto. Segue quindi l’illustrazione tecnica del documento, i criteri seguiti per l’edizione, la lingua del documento, fertile terreno delle competenze sue più specifiche competenze linguistiche e filologiche di Mauro Maxia. Tra i richiami a cui posso accennare sono l’individuazione che egli fa della fonetica, dei sardismi, degli italianismi, dei catalanismi e dei portoghesismi del documenti in lingua castigliana. Ed eccoci finalmente al documento spagnolo, trascritto secondo i consueti criteri scientifici in uso, con la traduzione italiana a fronte e quindi godibile da chiunque abbia piacere di curiosare su questi beni mobili e immobili appartenenti alla parrocchia leggendo il testo italiano prima e poi se lo desidera in lingua spagnola o viceversa.

Sono elenchi e annotazioni, ma ciononostante emerge dalla loro lettura la quotidianità della vita, la consuetudine di utilizzo delle terre, del bestiame e delle case, per quanto riguarda i beni reali e i capi di bestiame; la rendita delle terre e il censo del bestiame.

Mauro Maxia (a cura di), L’inventario settecentesco di Santa Maria degli Angeli di Perfugas. Edizione del manoscritto spagnolo con traduzione a fronte, Parrocchia di Perfugas, “Quaderni di Ericium”, Perfugas (Sassari) 2007, pp. 150.

Che cosa sia un inventario almeno in linea generale credo che voi tutti lo sappiate anche se a guardare la definizione in una qualsiasi enciclopedia storica e attuale c’è da rompersi il capo. A noi basta sapere che l’inventario o il bilancio di cui parliamo comprende edifici appartenenti alla parrocchia e le loro entrate, poderi dati a censo e le relative rendite, diritti di primizia sul grano e relativi incassi (per la verità non incassati per mancanza di appaltatori), un certo numero di capi ovini e caprini alle origini rispettivamente 130 e 104 successivamente ridotti a 90 più 79 senza menzione del censo o di altra rendita che a questi si riferiscono.

Quest’inventario però, riporta anche un’elenco delle spese per l’olio, per la cera, per la mutenzione dell’orologio della chiesa, per il donativo regio. Da quest’ottica non si tratta che di un bilancio in cui vengono segnate le entrate e le uscite inoltre indicato minuziosamente il corredo e l’arredo per le cerimonie:vesti sacerdotali e argenteria sacra, crocefissi, statue, quadri, candelieri, gli armadi e confessionali poche sedie di legno, il battistero anch’esso di legno. Viene segnato anche il pulpito p il corredo con gli ori, le collane di vario materiale e gli abiti della statua della Vergine. Infine le campane della torre campanaria e il campanello d’inizio cerimonia vicino alla sacrestia e i campanelli per l’annuncio dei momenti più sacri della Santa Messa. A questi elementi dell’inventario o bilancio si aggiungono gl’inventari della cappella del purgatorio ecc.

Si tratta come già detto di un manoscritto in spagnolo presumibilmente stilato degli anni novanta del Settecento.

Un secolo che per la Sardegna costituisce un riavvicinamento alla penisola italiana e ai suoi Stati. Alla fine del secondo decennio era avvenuta la presa di possesso della Sardegna da parte dei Principi Sabaudi, promossi, re di Sardegna. Da studi approfonditi, portati avanti nell’ultimo decennio, sul secolo dei lumi sta emergendo un quadro vivace sia della politica nelle sue varie branche messa in atto dai ministri degli affari di Sardegna e dai loro più stretti collaboratori sardi e continentali spesso intellettuali illuminati dei quali essi si circondavano e che miravano con i loro scritti a indicare ai sardi i mezzi attraverso i quali conseguire lo sviluppo e il benessere. A noi qui, interessa però, accenare agli eventi più significativi che si ricollegano al documento illustrato da Mauro Maxia.

Nel 1760 erano state gradualmente rinnovate le Università di Cagliari e di Sassari e i relativi studi, erano stati emanati nuovi regolamenti per i seminari, erano state riformate le scuole medie già dette del Trivio e del Quadrivio, ora ridisegnate dal ministro per gli affari di Sardegna Gianbattista Lorenzo Bogino le sette classi medie che andavano dalla VII alla I. Nella classe VII viene introdotta la sola grammatica italiana e vietata quella latina.

Ai vescovi spagnoli delle diocesi più importanti subentravano gradualmente i vescovi piemontesi desiderosi di formare un clero più adeguato ai tempi e con uno stile di vita più consono allo svolgimento delle funzioni pastorali e didattiche in riferimento all’alfabetizzazione, al progresso dell’economia e delle tecniche agrarie. Un clero che poteva beneficiare presso i collegi gesuitici, ma anche presso i collegi scolopici di una maggiore apertura alle novità scientifiche e presso le università restaurate di teologi e giuristi, naturalisti e matematici meglio dotati di quelli precedenti: si può affermare che essi posero le solide basi delle più avanzate discipline sia che fossero laici sia che fossero religiosi. Il severo e intransigente riformismo boginiano si era sviluppato tra il 1759 e il 1773. Quando uscirà di scena lui, usciranno di scena anche i gesuiti la cui Compagnia fu soppressa per oltre un cinquantennio. Gli scolopi e le regie scuole pubbliche avranno d’ora in poi il monopolio dell’istruzione media inferiore e superiore. Si può supporre che il clero, meglio preparato, con la frequenza delle sette classi medie boginiane e graduato nelle università restaurate venga fuori dai tredici ai quindici anni successivi alle riforme, cioè a partire dal 1775. Ciò non significa che durante questi anni non pervenissero a formazione, utilizzando lo spagnolo come lingua veicolare dei loro studi, decine di sacerdoti diocesani e regolari così come abbiamo documentato negli inventari compilati in sede di tesi di laurea dalle nostre brave laureande. D’altra parte nel corso della loro formazione non smettono certe di utilizzare la parlata sarda o nel caso della Gallura della Romangia la sardo-corsa, mentre veniva utilizzata date le presenze degli ordini religiosi provenienti dalla penisola e soprattutto dalla Santa Sede la lingua italiana. Secondo tradizione, abbiamo una Sardegna linguisticamente variegata sia nella parlata corrente come nell’uso scritto. E’ sufficiente consultare gli stessi quinque libri per verificare ad esempio come i vescovi cagliaritani impongano presto l’uso dell’italiano, mentre gli altri lascino più liberi i sacerdoti in cura d’anime di esprimersi variamente sia in sardo sia in castigliano dal momento che questa lingua era stata per secoli la lingua veicolare dei collegi e delle università e il cui uso, per il trattato di Londra, non poteva essere semplicemente eliminato con un editto o con un decreto del re di Sardegna. Il pluralismo linguistico del resto è anche uso corrente anche se ci possono essere luminari che non se ne vogliono rendere conto. Certo all’epoca del documento infuriava la rivoluzione francese e le sue idee sovversive andavano diffondendosi ovunque, la Sardegna, nonostante i ritmi lenti del mare, non è immune da influssi, anche se caccia i francese da una parte, dall’altra si rivolta contro i feudatari, certo per una rivoluzione per la pancia, non per l’eversione dell’ordine costituito. Questo naturalmente non ci autorizza a pensare che molti seguaci di Angioy non sentissero nostalgie rivoluzionarie francesi. Con la caduta di Napoleone però venne la Restaurazione anche se con cauti lumi, con caute riforme sulle quali non è questa l’occasione per soffermarci.

Le turbolenze del primo Settecento per l’Anglona e per la Gallura parevano concluse con la morte violenta di Donna Lucia Delitala Tedde e delle omonime famiglie grazie anche alla terrificante repressione del vicerè sabaudo Rivarolo che fece impiccare 400 malavitosi sardi, ne fece imprigionare 4000 e fece esiliare anche numerosi nobili compresa donna Lucia, l’amazzone signora di Chiaramonti che dovette trascorre ben due anni confinata a Villafranca in Piemonte. C’era stata però contemporaneamente la proficua predicazione del gesuita Giovanni Battista Vassallo (1681-1775), morto in concetto di santità, verso la fine degli anni Settanta e promotore delle paci tra clan di famiglie che si uccidevano con le faide. Un apostolo carismatico che per 50 anni in modo istancabile cercò di rievangelizzare l’isola, quasi anticipando l’opera delle congregazioni maschili e femminili dell’Ottocento e del Novecento che ne favorirono l’ammodernamento educativo e formativo.

Ecco dunque una porzione del contesto storico che in quest’occasione abbiamo voluto rievocare, antecedente e vicino alla compilazione dell’inventario perfughese che fa emergere come sostiene don Pala l’identità storica dei perfughesi, di quando il ciclo della vita e quella del ciclo agrario si svolgeva intorno al campanile e la stessa parrocchia coi suoi beni, doveva far fronte con le entrate correnti al buon funzionamento della parrocchia: 10 scudi dalle locazioni delle case di proprietà, 30 scudi dai censi dei terreni, 25 scudi dal diritto di primizia del grano, e un numero imprecisato di scudi dal bestiame, 40 libbre di cera . A quale scopo è presto detto, 8 scudi per l’olio ritengo della lampada del santissimo, 6 scudi per l’orologiaio, quasi un altro scudo per i canapi dell’orologio, quasi 3 scudi per il donativo regio e per l’acquisto di 40 libre di cera.

A giusto titolo don Pala, attuale custode dell’archivio parrocchiale, intende dare risalto ai documenti in essi contenuti, perché da essi emergono le opere e i giorni, il dolore e la gioia, la fatica e il benessere dei vostri antenati. Quest’iniziativa non poteva non nascere se non da un operatore culturale e religioso innamorato del suo gregge e dalle fatiche variamente distribuite di Mauro Maxia, appassionato storico e linguista, e dalla collaborazione di Egidio Addis e di Enrico Loche. Passando poi, dalla presentazione breve, ma densa e significativa di don Pala, al lavoro di Mauro Maxia osserviamo che essa è suddivisa in varie sezioni un’introduzione pregevole in cui lo studioso evidenzia la ricchezza di quest’inventario e quanto in dipinti e altri oggetti preziosi è stato tolto nel tempo alla parrocchia sia architettonicamente, sia in statue che sono scomparse, sia in oggetti preziosi, corredo della Vergine, venerata non solo come Madonna degli Angeli, ma anche come la Vergine di Odigitria ,la Vergine dei sette dolori, quella del Rosario e della Raccomandata con le rispettive ormai eliminate cappelle, più le statue e le relative cappelle di San Giuseppe, Santa Lucia e le anime del Purgatorio o de Sas Animas del quale per fortuna è rimasto il dipinto registrato nell’inventario. E’ scomparso anche l’orologio che spiccava alto nelle quattro facciate del campanile, mentre la chiesetta rurale di san Giovanni Battista da campestre allora è stata poi gradualmente compresa dallo sviluppo urbano di Perfugas. In merito a quanto perso e a quanto ritrovato, lo studioso, senza avvedersene esprime poeticamente il valore delle fonti scrivendo:

“ Lo studio delle fonti come un alito di vento spazza le nuvole che nascondono la vista del sole, riporta la luce su aspetti del passato oscurati talvolta dalla fantasia popolare di cui si nutrono le leggende”.

Il documento in lingua spagnola apparentemente fa sorgere un problema: come mai dopo 74 anni dall’inizio del dominio sabaudo si usa il castigliano, quando gli stessi quinque libri venivano prima di allora compilati in sardo? C’è da ricordare che il trattato del passaggio dalla Spagna ai Savoia imponeva che essi non intaccassero lingua e cultura spagnola e che probabilmente i sacerdoti compilatori si erano graduati presso l’università gesuitica nel periodo in cui la lingua castigliana era la lingua veicolare dei maestri e qiuindi probabilmente i sacerdoti compilatori erano di vecchia formazione. Giustamente fa osservare Mauro Maxia si hanno documenti in spagnolo fino al 1813. Del resto nei registri parrocchiali di Nulvi, la data di battesimo e nascita di donna Lucia Delitala Tedde viene compilata in lingua spagnola perché nobile, mentre per i non nobili si usa il sardo. C’è nei registri questa varietà d’uso delle parlate linguistiche. Comunque più approfonditi studi chiariranno il problema acutamente da lui posto. Segue quindi l’illustrazione tecnica del documento, i criteri seguiti per l’edizione, la lingua del documento, fertile terreno delle competenze sue più specifiche competenze linguistiche e filologiche di Mauro Maxia. Tra i richiami a cui posso accennare sono l’individuazione che egli fa della fonetica, dei sardismi, degli italianismi, dei catalanismi e dei portoghesismi del documenti in lingua castigliana. Ed eccoci finalmente al documento spagnolo, trascritto secondo i consueti criteri scientifici in uso, con la traduzione italiana a fronte e quindi godibile da chiunque abbia piacere di curiosare su questi beni mobili e immobili appartenenti alla parrocchia leggendo il testo italiano prima e poi se lo desidera in lingua spagnola o viceversa.

Sono elenchi e annotazioni, ma ciononostante emerge dalla loro lettura la quotidianità della vita, la consuetudine di utilizzo delle terre, del bestiame e delle case, per quanto riguarda i beni reali e i capi di bestiame; la rendita delle terre e il censo del bestiame.

Commenti

  1. Meritoria opera di ricomposizione storica che fa onore per chi si e’ dedicato.Un pezzo di Sardegna dentro un mosaico di avvenimenti storici che esaltano la nostra identita’.Voglio precisare che l’EGIDIO ADDIS richiamato nel documento non sono io,nato a Torpe’ il 09.02.1945.E’ un mio gradevole omonimo.
    Sono anni invece che cerco le origini dei miei antenati ADDIS.
    Senza risultao interpellai il parroco di Budduso’perche’ mio nonno Salvatorangelo ADDIS era li nato nel 1866.Vorrei riproporne il quesito a chi ne e’ in grado essendo pero’ convinto che negli archivi parrochiali e’ possibile una ricostruzione.
    Scusate e vi saluto cordialmente

    Egidio

    egidio
    Agosto 20th, 2010
  2. In modo fortuito sono incorso in questo commento-appello e comunico al signor Addis che ho a mia disposizine un pò di materiale relativo al sopracitato archivio parrocchiale: avendo maggiori informazioni sui dati da ricercare potrei (credo) essere utile, compatibilmente con i miei impegni personali. A Buddusò effettivamente esistevano (ed ancora ne esistono) vari ceppi familiari Addis fin dal XVIII secolo (l’archivio si limita purtroppo agli anni trenta) e non so ancora se esista materiale più antico negli archivi diocesani di Ozieri e Alghero
    Cordialmente, Biagio

    Biagio
    Febbraio 2nd, 2011
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