Padre Paolo Gilbertini OSB, abate e vescovo, di Mons. Pietro Meloni vescovo emerito di Nuoro

E’ tornato al “monastero del cielo” il Padre Paolo Gibertini, grande artefice del ritorno dei monaci benedettini in Sardegna e fondatore dell’abbazia di San Pietro di Sorres. Era veramente “un uomo di Dio”.

       Gi0vanni Gibertini era nato in Emilia a Ciano d’Enza (Canossa) il 4 maggio 1922 in una famiglia sinceramente cristiana. All’età di 13 anni bussò alla porta del glorioso monastero benedettino di “San Giovanni Evangelista” di Parma, dove affidò la sua vita al Signore seguendo l’itinerario della formazione monastica, nei faticosi anni della seconda guerra mondiale, sotto la sapiente guida del padre abate e dei maestri monaci, che lo accompagnarono alla sua professione solenne nel 1939. E fu ordinato sacerdote nella chiesa della Badia di Torrechiara, insieme al fratello monaco Padre Stanislao, dal vescovo Mons. Evasio Colli il 12 agosto 1945.

       L’abbazia di Parma aveva visto fiorire molte vocazioni monastiche, anche di giovani provenienti dalla Sardegna, che manifestavano il desiderio della fondazione nell’isola di un monastero benedettino, per far rifiorire la spiritualità monastica di San Benedetto da Norcia. Era ancora vivo il ricordo dell’antica stagione monastica, che nel Medioevo aveva creato una miriade di comunità, le quali avevano portato il vento dello spirito, la bellezza della liturgia e dell’arte sacra, la civiltà dell’agricoltura, ma dopo qualche secolo erano scomparse. La Sardegna da mezzo millennio ne sentiva la nostalgia. L’abate del monastero di Parma, Padre Carlo de Vincentiis, accolse l’invito dell’arcivescovo di Sassari Mons. Arcangelo Mazzotti a inviare dei monaci nel suo territorio diocesano.

       Fu scelta la cattedrale dell’antica Diocesi di San Pietro di Sorres, per ispirazione del vescovo e di Donna Ninetta Arru Bartoli, sindaco del vicino paese di Borutta, che si era prodigata per la preparazione del monastero nei locali abbandonati da secoli. E venne il giorno dell’arrivo dei monaci da Parma, guidati dal Padre Paolo Gibertini, monaco ardito ed entusiasta nel fiore dei suoi 33 anni. Sulla nave partita da Civitavecchia il “monastero viaggiante” era composto di monaci, novizi e studenti, e di una montagna di valigioni, bauli, scatole, pacchi e borse, che approdarono al porto di Olbia il 7 settembre 1955. Affacciandomi al ponte della nave, nella quale anch’io avevo viaggiato di ritorno da Roma per un Convegno della Gioventù di Azione Cattolica, vidi questo singolare corteo che discendeva dalla scaletta e mi precipitai a dare una mano ai monaci sovraccarichi.

       Padre Paolo in testa al corteo cercava di individuare il treno per Sassari, per non correre il rischio di prendere quello che andava a Cagliari. A Sassari infatti li attendeva l’arcivescovo con il segretario Don Enea Selis, Donna Ninetta di Borutta, e un pranzetto ristoratore al Convento dei Frati Minori Conventuali di Santa Maria di Betlem. Nel pomeriggio molti credenti della Chiesa di Sassari si unirono al corteo che si dirigeva a San Pietro di Sorres, al seguito del camion che per il viaggio aveva innalzato la statua della Madonna “Regina Monachorum”. La Sardegna benedirà sempre il giorno del memorabile avvenimento del ritorno di San Benedetto, che portava nell’isola uno stile nuovo di vita cristiana.

      A San Pietro di Sorres i monaci trovarono una magnifica chiesa per la preghiera ed una abitazione  un po’ precaria in via di ricostruzione, nella quale vissero nei primi anni come in un accampamento, attorno alla cucina e al refettorio, radunandosi nell’ Aula Capitolare per la lectio divina. Dio solo sa quali sacrifici abbiano affrontato per far respirare a noi Sardi l’aria nuova della spiritualità benedettina: Ora et labora! La devozione a Maria indusse Padre Paolo a innalzare all’ingresso del monastero la statua della Madonna con la scritta, che ricordava anche l’essenza della vita monastica: Silentium Dei.

       La preghiera sosteneva la fatica del lavoro e il lavoro diveniva preghiera. I monaci si misero subito all’opera per abbellire la chiesa, per arredare la casa, per trasformare la terra. Padre Paolo si rimboccava le maniche e orchestrava il tempo del lavoro, distribuendolo secondo le capacità: a Don Gregorio il laboratorio per il restauro del libro, a Don Bernardo la falegnameria, a Don Modesto la vigna e la campagna, a Don Silvestro il campo degli acquisti alimentari e dei rapporti esterni, a Don Bruno il servizio liturgico e l’accoglienza agli ospiti, a Don Ugo la formazione musicale e spirituale dei giovani, a Don Placido la cucina. Tutto era da inventare in questa terra nuova e in questa nuova chiesa. E Padre Paolo era di esempio a tutti nel lavoro e nella preghiera.

       Nihil amori Christi praeponere ! L’amore di Cristo era il sole che illuminava la giornata, impregnandola di preghiera e di laboriosità: nella chiesa, nell’orto, nella vigna, nella falegnameria, nel laboratorio, il lavoro s’intrecciava con la preghiera,  condita dalla concordia e dalla fraternità. Ad ogni persona che domandava preghiere e buoni consigli, Padre Paolo dispensava il suo sapiente incoraggiamento, infondendo  serenità e fiducia, con la sua mite paternità, con la sua grande capacità di ascolto, con lo sguardo semplice e sereno, guardando negli occhi e leggendo nei cuori con i suoi occhietti azzurri e sorridenti. E un sorriso speciale aveva per i bambini e per i giovani. Sempre raccomandava alle persone e alle famiglie di affidarsi a Dio, che con la sua presenza trasforma la povertà in ricchezza dello spirito.

       Ben presto i sacerdoti  e i vescovi della Sardegna volsero lo sguardo a quel faro di luce che risplendeva sul monte e cominciarono ad abbeverarsi a quella sorgente di spiritualità e di preghiera. Molti invitavano Padre Paolo e i Monaci a tenere incontri di formazione nelle loro comunità, ma insieme capivano che la luce monastica risplende soprattutto a chi si accosta al monastero per sentire il profumo della preghiera, con il desiderio di essere partecipi di questa esperienza inebriante. Padre Paolo accoglieva i pastori e i credenti con il suo mite sorriso e invitava tutti alla melodia dei salmi, guidando i più assetati di Dio alle profondità della liturgia e della “lectio divina”, che diviene splendore dell’estasi nel canto, poiché il canto unisce la terra al cielo.

      Il monastero è una famiglia. E da questa famiglia monastica di San Pietro di Sorres per sessantacinque anni si è irradiato sulla Chiesa di Sardegna e sulla società civile il profumo della sapienza e della carità. Padre Paolo per diciotto anni fu il superiore e poi il Priore del monastero, guidando instancabilmente Corsi di Esercizi Spirituali ai sacerdoti, alle religiose, ai laici: tre mesi dopo l’arrivo a Sorres era sul Monte Limbara per predicare gli Esercizi a noi giovani dell’Azione Cattolica, nel gennaio 1956 con un freddo glaciale, che sfociò nella famosa “neve del ‘56”. Organizzava poi Convegni di spiritualità, Settimane Bibliche, Incontri dei monaci d’Italia, Giornate di preghiera. La fedeltà all’Ufficio Divino lo vedeva sempre per primo nel coro, memore dei tempi in cui per cantare il “Mattutino” bisognava alzarsi alle tre di notte.

      Nel 1973 il monastero fu elevato alla dignità di “abbazia”, e il capitolo dei monaci chiamò come Abate dall’abbazia di Praglia il Padre Bruno Marin. Padre Paolo umilmente rimase a San Pietro di Sorres come semplice monaco, fece il Parroco a Borutta negli anni 1977-1979, finché fu nominato Abate del “suo” monastero di “San Giovanni Evangelista” a Parma.

       Il 23 marzo 1983 il Papa Giovanni Paolo II lo nominò vescovo di Ales  e il Cardinale Sebastiano Baggio lo ordinò nella storica chiesa monastica di Parma il 25 aprile 1983. Egli scelse come motto episcopale il programma di San Benedetto “Quaerere Deum”, sentendosi sempre foris episcopus, intus monachus. Sei anni dopo, 1’11 giugno 1989, fu nominato vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, aprendo il cuore alla gente della sua terra, fino al 27 giugno 1998 quando divenne vescovo emerito, ritornando semplice monaco a Parma per poi ritirarsi nella Casa del Clero di Montecchio Emilia. La storia del suo servizio episcopale la racconteranno certamente i suoi figli spirituali di Ales-Terralba e di Reggio Emilia-Guastalla.

       Dalla Casa “San Giuseppe” di Montecchio Emilia è tornato alla casa del Padre il 3 aprile di quest’anno dopo 85 anni di vita benedettina e 81 anni di professione monastica. La Chiesa della Sardegna sarà sempre grata al Padre Paolo Gibertini, e a tutti i monaci, perché la storia dell’evangelizzazione nelle comunità cristiane dell’isola ha ricevuto dal monachesimo di Sorres un vivo alimento spirituale di fede e cultura, che ha rinnovato la linfa della sua azione apostolica. E custodirà per sempre questa preziosa eredità spirituale.

 

+ Pietro Meloni

vescovo emerito

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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