“Il Convegno del 4 aprile 2019 all’Uniss di Sassari su Beata Giuseppina Nicòli, madre e maestra di umanità” di Franco Rana

Le relazioni svolte durante la giornata di studio sulla B. Giuseppina e la Sardegna tra Otto e Novecento, tenutosi a Sassari presso la facoltà di Scienze dell’E­ducazione, hanno avuto ognuna un tema che può essere svolto in modo autonomo, concluso e significativo in sé stesso. Mettendole insieme, veniamo a delineare un panorama che è contestuale alla presenza a Sassari della beata Giuseppina Nicoli, suora delle Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli.
Giuseppina Nicoli perché?
A chi studia le scienze della formazione potrà interessare questa storia:

Nel 1901 all’XI Congresso Internazionale di Antropologia Criminale tenutosi ad Amsterdam, venne presentato uno studio dei Dottori Efisio Murgia e Mario Carrara con fondamentali contributi fotografici, dal titolo “Les petits criminels de Cagliari”.

(Vedi internet, digitando Les petits criminels.)

I piccoli criminali di Cagliari erano ragazzi che non avevano né famiglia né casa, vivevano sulla strada e campavano di espedienti. Il piú dignitoso era quello di facchino, che consisteva  nel portare i bagagli di chi arrivava al porto o nel  portare a casa la spesa delle signore che si recavano al mercato, poiché i due siti erano contigui. Lo facevano con il solo strumento di una sporta, in dialetto sa crobi, e perciò erano noti come Is Picciocus de Crobi.

I dottori si interessavano alla dottrina sostenuta dal Lombroso, il quale, come è noto, affermava che dai tratti somatici si poteva prevedere la condotta criminale di un individuo. 

Pertanto gli psichiatri di Amsterdam incaricarono due dottori di esaminare i tratti somatici di quei ragazzi. Vennero in Sardegna, esaminarono i ragazzi di strada di Cagliari e conclusero, saggiamente, che non portavano nessun germe criminale nel cervello, e che bastava si desse loro una famiglia e l’istruzione.

Saggiamente, dico, quanto a dire, perché, in concreto, nessuno fece niente. Questo nel 1901. Ne 1914 la Nicoli giunse a Cagliari, destinata all’Asilo Marina e Stampace, una casa che sorgeva proprio nelle vicinanze del porto e quasi a ridosso del mercato. Notò anche lei quei ragazzi e, senza conoscere il verdetto scientifico, per la sola umanità di sentimenti e per l’intuizione che nasceva dalla benevolenza che rivolgeva sempre verso i piú diseredati, non sentenziò, ma fece ciò che bisognava fare. Quei ragazzi si riscattarono, divennero artigiani, professionisti, e uno pare anche capitano di una nave!

Questo fatto costituisce un paradigma per la validità della pedagogia, perché si deve misurare con le situazioni estreme. 

Chi era Giuseppina Nicoli? Era una ragazza lombarda che sulla soglia dei vent’anni, dopo avere conseguito la patente superiore di maestra del Regno d’Italia, volle farsi suora, presso le Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli. Le suore prendono residenza dove le manda l’obbedienza. E fu cosí che la Nicoli finí per soggiornare in Sardegna quasi tutta la sua vita: a Cagliari dal 1885 al 1899, a Sassari dal 1899 al 1910. Di nuovo a Cagliari dal 1914 al 1924, anno della sua morte che avvenne il 31 dicembre.

La storia di solito ci presenta personaggi che hanno condotto eserciti o governato i popoli, eroi che hanno innescato una rivolta, insomma personaggi di grandi eventi. Ma ci sono nella storia personaggi che hanno educato la gente, hanno influito sulle coscienze, hanno creato comportamenti virtuosi, hanno tessuto una solidarietà indispensabile per vincere momenti difficili, hanno promosso la dignità umana. Queste microstorie rendono vero il detto che la storia è maestra di vita.

La prima cosa da osservare è questa: Giuseppina Nicoli non ha lasciato nessun trattato di pedagogia, ma è lei stessa, la sua persona un trattato di pedagogia. I grandi artisti del Rinascimento, quando ancora non erano state inventate le accademie, andavano a scuola nella bottega del maestro, e sappiamo quali geni abbiamo avuto. Se andiamo a scuola da questa maestra, potremo vedere come si comportava sul campo e scoprire il segreto dei suoi successi. Certamente non erano dovuti a un metodo particolare, ma alla consistenza dei valori che la animavano, al carattere che si era formata, alle motivazioni che la sostenevano nel lavoro. Insomma era credibile, sincera, autorevole e insieme premurosa. Questo per dire che nella docenza e nella formazione conta molto la persona. 

Perciò, a conclusione di questa giornata, proviamo a dire quali indicazioni può lasciare a noi oggi.

1. Nella formazione quello che si dice conta solo se conta la persona. Poiché si tratta di un rapporto tra persona e persona, bisogna sempre ricordarsi che la prima cosa che si propone è sé stessi. La formazione del proprio carattere precede quello degli allievi. L’insegnamento e la formazione si basano su un rapporto di fiducia, e per avere fiducia bisogna essere credibili.

2. Non c’è nessun metodo talmente importante da dover costringere il discente ad adottarlo, ma è il docente che deve adeguare la sua professionalità alle esigenze dell’allievo.

3. Nella scuola, come negli ospedale o nei grandi uffici o fabbriche è facile far coincidere le persone con un numero. Bisogna educarsi ad ascoltare ognuno e a parlare a ognuno in modo umano e non in modo burocratico.

4. L’allievo coglie l’atteggiamento intimo, e sa distinguere chi è ben disposto, chi è indifferente e chi è ostile.  Ci sono stati allievi che hanno conservato immensa gratitudine agli insegnanti che li hanno sempre spronati, anche con severità. Ricordo un ragazzo che, dopo avere cambiato istituto scolastico, tornò nel nostro istituto (Collegio della Missione di Cagliari) per essere aiutato con delle ripetizioni. Alla domanda come si trovava nella nuova scuola rispose: lí non interessa a nessuno se io studio oppure no. Aveva capito che anche le nostre sgridate erano sempre motivate dalla sincera ricerca del suo bene, e le rimpiangeva. La fermezza non si può confondere con la severità immotivata.

5. Limitarsi a quello che spetta a me ed escludere il gratuito, non avere la sensibilità di sapere che cosa fare oltre quello che è dovere fare, incrina il rapporto di sospetto o di diffidenza.

La Beata Suor Giuseppina Nicoli non ha lasciato neppure fondazioni. Ma fondò parecchie associazioni e gruppi operativi che, sul momento, rispondevano a esigenze umane precise ed erano fuori dei compiti affidatele. Quella che ebbe piú fama, riguarda proprio i ragazzi di strada che chiamò Marianelli, abbreviando una espressione che li diceva monelli di Maria. Citiamo quest’opera perché  ebbe un seguito  con la sua collaboratrice suor Teresa Tambelli, che le succedette come superiora all’Asilo Marina di Cagliari e, non ci crederete, quei Marianelli sono ancora insieme  e onorano le loro maestre-mamme riunendosi in quello stesso Asilo della Marina in cui erano cresciuti. Ma non sono una istituzione, sono uomini maturi, padri di famiglia ormai tutti pensionati, uomini liberi e fieri di avere trovato il loro posto nella società. Quelle associazione erano tutte invenzioni di suor Nicoli,  ed esulavano dai compiti che le erano stati assegnati, perché la ricchezza morale di una persona si valuta da quanto sa dare con gratuita liberalità e con disinteresse.

Ricostruire la scenografia che fa da sfondo alla sua attività, significa dare a questa il giusto peso, rendersi conto che in ogni tempo ci sono scarti tra le persone e che basta rendersi responsabili e attenti per superarli. Per questo l’As­so­ciazione Suor Giuseppina Nicòli ha già prodotto un volume dal titolo Cagliari negli occhi e nel cuore, nel quale si delinea, attraverso interventi di  vari studiosi, il contesto sardo e cagliaritano in cui operò la Beata. Questa giornata di studio completerà, speriamo con una pubblicazione delle relazioni, la visione storica, delineando il contesto culturale, sociale, politico, economico ed ecclesiale del periodo sassarese.

Potremo cosí renderci conto che Giuseppina Nicoli, oltre che venerata per gli esempi delle virtú nell’ambiente ecclesiastico e religioso, è certamente per tutta la società sarda, e in particolare per le città dove è vissuta, una preziosa eredità e un messaggio di grande attualità.

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