Categoria : storia

VI. La fondazione della Casa Divina Provvidenza (1910-1970) di Baingia Bellu

La Casa Divina Provvidenza per i Cronici  derelitti di Sassari, iniziò la sua opera nel 1910, per merito delle Dame della Carità, alla cui associazione aderivano in qualità di socie effettive o onorarie, le donne più attive nel caritatismo dell’aristocrazia e della borghesia sassarese, assistite spiritualmente da padre Manzella[1].

In una relazione del 1929, compilata dalla presidente Maria Zirolia Pittalis si legge che ormai da tempo le Signore della Conferenza della Carità di Sassari nelle visite domiciliari ai poveri della città avevano avuto modo di appurare il degrado e l’abbandono in cui molte persone si trovavano, tra le quali molte  anziane, colpite da malattie croniche senza nessuna assistenza morale ed  economica.

Fra i vari casi pietosi c’è da ricordare una signora anziana, trovata  morta nella sua misera casa, in quanto il fuoco del braciere con cui si riscaldava le aveva bruciato i vestiti e quindi la poveretta era morta gravemente ustionata[2].

Di conseguenza risultava sempre più evidente l’urgenza di un ricovero per queste anziane che vivevano in uno stato di deprivazione totale, abbandonate a se stesse e che avevano bisogno dell’assistenza 24 su 24[3].

La signora Teresa Bellieni, allora presidente delle Dame della Carità, propose la creazione di una casa di ricovero per queste vecchie ammalate croniche.

Nel 1909 il Manzella parlò dell’opera mentre si festeggiava il 50 anniversario delle Dame di carità: è possibile così risalire agli inizi del  percorso della fondazione  a partire dal 10 settembre 1909 grazie agli appunti stilati dalla Zirolia.

Sul registro dei verbali si riscontrano le prime annotazioni riguardanti le prime cento lire offerte dalla famiglia Quesada per l’erigenda casa dei Cronici[4].

Detta opera ebbe inizio il 14 settembre 1910 nel momento in cui si prese in locazione a Sassari un’abitazione sita in via Diego Pinna n. 5, per ricoverarvi una povera vecchia abbandonata, di nome G. Farina.

Dopo qualche mese si affittarono alcuni locali siti in via delle Conce n. 59, composti da cinque camere e servizi.

In seguito furono accolte altre povere donne abbandonate: F. Secchi, R. Nuvoli, P. Cossu, R. Secchi e G. Desole.

Per l’assistenza furono impegnate due donne generiche e due infermiere.

Le spese erano a carico delle Dame sia attive che onorarie  che si quotavano. Le socie attive davano delle somme settimanalmente come offerta libera e segreta, le onorarie davano una quota annuale[5].

Il 31 dicembre del 1910 le ricoverate erano sette.

Nel dicembre del 1912 fu  acquistata per nove mila lire un’abitazione nel rione di S. Agostino, confinante con un’area allora destinata all’edilizia popolare.

Nel Maggio del 1914 con un atto di permuta col Comune di Sassari si cedevano aree già acquistate per un altro lotto attiguo alla casa.  L’erigenda casa si trovò così con un’area fabbricabile di 1200 metri quadri con 200 già edificati e 1000 edificabili[6].

Le Dame deliberarono di nominare un Consiglio di Amministrazione e Presidenza e inoltre diedero l’incarico ad un tecnico affinché progettasse l’ampliamento della casa.

Nel 1916, dopo la redazione del progetto, si costruì il muro di recinzione e si edificarono altri locali.

Nel 1918 arrivarono le prime Figlie della Carità: Suor Adelaide Aresi di Treviglio 47 anni, Suor Anna Marongiu di Sassari 34 anni, Suor Maria Besati di San Pietro di Moretto 24 anni[7].

Il 10 febbraio 1922 il consiglio di amministrazione elesse come presidente la signora Maria Pittalis  Zirolia mentre vice fu eletta la nobildonna Teresa Marghinotti di Suni[8].

Attraverso l’istituzione di un consiglio d’amministrazione il ricovero che, in seguito, sarebbe stato eretto in ente morale, fu coadiuvato da autorità enti pubblici e privati, in prima istanza dal comune di Sassari, dalla provincia, dal  Ministero dell’Interno dagli istituiti di credito e dagli stessi reali[9].

Dopo varie perplessità, inerenti l’ubicazione dell’istituzione, su  parere dei tecnici si decise di rimanere nel rione di S. Agostino, in quanto l’area si trovava in un luogo salubre arieggiato e non caotico rispetto al centro della città, per cui sia il consiglio edilizio che quello provinciale sanitario ne approvarono il progetto[10].

Non venivano accolti nel ricovero coloro che erano affetti da malattie infettive, stabilendo che ogni ricoverato dovesse essere sottoposto a visita onde scongiurare qualsiasi malattia contagiosa.

Per quanto riguarda l’assistenza medica questa veniva svolta dall’ufficiale sanitario del Comune Dr. Giommaria Sotgia che svolgeva  il servizio medico gratuitamente[11].

Il consiglio d’amministrazione annualmente presentava all’assemblea generale il conto consuntivo della gestione.

Il compito delle Dame  era quello di gestire al meglio le elargizioni che i privati donavano alla pia istituzione.

Inoltre vi erano le offerte, i sussidi, i ricavati delle lotterie oltre alle azioni delle socie.

Anche i negozianti provvidero donando alla casa Divina Provvidenza una parte delle loro merci: pasta, tela, biancheria scarpe , carne, affinché agli sfortunati ospiti non mancasse nulla[12].

Nel primo  decennio si completò l’intero fabbricato, fino al primo piano e con la donazione dell’area contigua della società edilizia cattolica sassarese si ampliò l’area a disposizione con la  realizzazione di  ampie e soleggiate camere rispondenti a norme igieniche allora richieste.

Mentre i locali con accesso da via G. Angioy, vennero adibiti per le suore e per le infermiere e per le croniche che avessero avuto bisogno di isolamento[13].

Nel 1928 arrivò la superiora Anastasia Biassoni di Binzago che rimarrà nella casa ben 30 anni.

Nel decennio che va dal 1920 al 1930 furono ospitate nella casa ben ottanta vecchie inferme dell’età media di 73 anni e circa una decina di donne dai 18 ai 50 anni, colpite da gravi malattie croniche.

In maggioranza furono ricoverate gratuitamente, una parte dal comune dalla provincia mentre solo qualche caso sporadico risulta essere a carico dei familiari.

Nonostante la richiesta di ricovero anche per gli uomini, la mancanza di locali adatti, almeno  per il primo periodo non li si poté accogliere[14].



[1] A. TEDDE, L’attività sociale, cit.

[2] Ivi, p. 68

[3]  Ivi, p. 133-138

[4] Ivi,   pp. 121-132

[5] Ivi,   pp. 128

[6] Ivi    pp. 130

[7] Ivi, p. 174.

[8] Ivi, p.  169.

[9] Ivi, p. 161.

[10] Ivi, pp. 67-75.

[11] Ivi, p. 72.

[12] Ivi, p. 70

[13] Ivi, p.  15

[14] Ivi, p.  87

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