Categoria : storia

Iniziative per l’infanzia in Sardegna tra Otto e Novecento – di Angelino Tedde

1. STATO DEGLI STUDI

Nell’affrontare il discorso sulla storia delle iniziative educative e assistenziali per l’infanzia tra Otto e Novecento in Sardegna occorre sottolineare che mentre la storiografia nazionale su questo tema ha già prodotto e va producendo dei buoni lavori d’indagine, colmando un po’ le distanze con quella europea, quella sarda procede più a rilento [1].

D’altra parte il tema è strettamente collegato agli studi sulla storia della famiglia sarda che, specie nell’ultimo decennio, almeno in campo più propriamente storiografico, non ha prodotto quei lavori che, invece, sembrano aver avuto più spazio in campo sociologico, antropologico, culturale e psicologico; per cui ad una più ampia trattazione del nostro discorso mancano quegli studi sulla famiglia che ne sarebbero stati il necessario supporto [2].

Altra lacuna è sicuramente la scarsità di studi di storia sociale e di storia sociale e religiosa relativi a questo periodo che interessino l’isola, studi che hanno rilevanza fondamentale per la conoscenza dei percorsi educativi dell’infanzia.

Si avverte l’esigenza di ricerche approfondite, per Otto e Novecento sardo, sui rapporti tra genitori e figli, sugli illegittimi, sugli orfani, come anche sull’avviamento al lavoro dei bambini: per intenderci, sull’educazione del pastore, del contadino, dell’artigiano, sulle confraternite, sui gremi e in generale sulle corporazioni, sui contratti che si stipulavano per l’inserimento dei minori di entrambi i sessi nel mondo del lavoro [3]. Tutti stimoli che ci provengono, del resto, non soltanto dalla produzione storiografica europea, ma anche da quella nazionale [4].

Altra remora, infine, ci proviene dalla scarsità degli studi sull’attività sociale svolta, specie dopo la loro graduale ricostituzione, dagli ordini e dalle congregazioni religiose maschili e dalla diffusione, specie nella prima metà del Novecento, delle nuove congregazioni religiose femminili senza le quali non avremmo avuto una generale diffusione di asili, giardini d’infanzia, scuole materne e istituti assistenziali[5].

 

 

2. LA FAMIGLIA E L’INFANZIA

Ciò premesso, si può affermare che, dato il forte impianto familiare, in vari luoghi documentato, sembrano mancare nell’isola forme di diffuso abbandono dei minori, almeno nelle dimensioni conosciute nelle zone manifatturiere dei vecchi Stati italiani e in quelle industriali del neonato Regno d’Italia. Del resto l’economia isolana è contrassegnata da modelli di vita pastorale, tanto stanziale quanto transumante; da modelli di vita agricola, tanto nelle forme di prestazioni d’opera bracciantile quanto nelle forme di soccida e mezzadria; da modelli di vita artigianale e del commercio fisso e ambulante; da modelli di vita connotati dal terziario, più frequenti nelle zone urbane.

Al centro di questi modelli di vita, per il periodo preso in esame, quale luogo di aggregazione primaria sta la famiglia con i suoi stadi evolutivi e i suoi ritmi quotidiani, diversificati a seconda dei percorsi professionali e dello status socio-economico dei componenti; in secondo luogo, quale altra importante aggregazione a fini educativi, sta la Chiesa, andata incontro anch’essa, dopo l’Unità, alla riduzione del suo ruolo nell’istruzione pubblica, e a quegli eventi traumatici che furono la drastica diminuzione del clero secolare, lo scioglimento e la dispersione di quello regolare, la ritardata nomina dei vescovi nelle sedi vacanti.

A ciò si aggiunga la forte crisi economica dovuta alle leggi protezionistiche e, dopo la  breve ripresa dell’epoca giolittiana, la crisi socio-economica durante e dopo la prima guerra mondiale che allontanò circa centomila uomini, tra il 1914 e il 1918, dalle famiglie sia dei centri abitati sia delle campagne [6].

Si pensi, infine, a tutte le grosse contraddizioni del ventennio fascista, alla seconda guerra mondiale e alla forte crisi dell’immediato secondo dopoguerra, allorquando, all’inizio della ricostruzione, molti sardi emigrarono verso l’Italia settentrionale e i paesi europei. La ripresa graduale degli anni Cinquanta, l’inizio dell’industrializzazione e il boom economico connotano ovviamente gli anni Sessanta e Settanta anche in Sardegna.

E’ evidente che questi eventi, specie quelli negativi, con l’allontanamento della figura paterna  dalle famiglie costrinsero molte madri, già addette allo svolgimento delle funzioni affettive e di custodia verso l’infanzia, ad ogni genere di attività produttiva e al conseguente abbandono quotidiano, sia pure temporaneo, dei bambini, il cui spazio educativo divenne la strada [7].

Le famiglie sarde (che vanno dalle 91 mila alle 172 mila circa tra il 1850 e il 1899 e tra le 172 mila di inizio secolo e le 300 mila del 1960) vivevano in trecentocinquanta aggregati urbani di modestissime dimensioni, salvo i tradizionali centri più popolosi di Cagliari e Sassari, rinchiusi entro mura ormai sbrecciate e in graduale demolizione dal 1830 al 1880; con forte espansione extra moenia dai primi del Novecento fino a giungere ai noti fenomeni dell’urbanesimo negli anni Cinquanta e Sessanta [8].

Perno dei nuclei familiari figura generalmente anche in Sardegna, come del resto avviene in ogni famiglia produttiva di contesto agricolo e pastorale, la madre, la quale, in questo periodo, a seconda dei cicli di fecondità, non sempre costanti (né si può documentare che, nel corso dei cento anni considerati, le famiglie fossero sempre numerose), mette al mondo un certo numero di figli, ma muore più frequentemente in conseguenza del parto.

Suo compito precipuo era effettuare la provvista periodica del pane e quella quotidiana dell’acqua, di badare all’allevamento delle galline e del suino, di provvedere alle provviste della legna o del carbone, alle pulizie del modesto abituro e del misero vestiario; inoltre, doveva farsi carico dell’allattamento, dello svezzamento e dell’educazione dei bambini [9]. Il padre, invece, era costretto a lavorare fuori casa, a meno che non fosse artigiano o negoziante, e, se pastore transumante o commerciante ambulante, era costretto a stare lontano dalla famiglia per mesi, a volte per tutto l’anno e a figurare più come rappresentazione simbolica che come reale presenza educativa [10].

Le tipologie famigliari di questo periodo variavano, per cui nei piccoli centri e nelle campagne erano presenti tipologie allargate, oltre che ai figli adulti e ai collaterali anche ai servi e alle serve; nelle città erano più frequenti tipologie nucleari. Da tutto ciò scaturivano i limiti dell’assistenza all’infanzia in generale in tutti gli ambiti familiari e in quasi tutti i modelli di vita, se si eccettuano, forse, le famiglie aristocratiche che affidavano l’educazione dei figli  a vere e proprie serve-balie [11].

Nel periodo che va dalla metà dell’Ottocento alla metà del Novecento (ferma restando la necessità di più accurate ricerche), non si segnalano così importanti progressi, nelle condizioni igienico-sanitarie, da determinare una diminuzione della mortalità, per parto o per malattie infantili, così da poter dire che, ad esempio, diminuiscano gli orfani di madre, di padre o di entrambi i genitori; né può dirsi che diminuiscano le nascite illegittime.

 

3. LA VITA MATERIALE

Nei piccoli e nei grandi centri La maggior parte della popolazione abitava in case basse, dotate di una o più camere intercomunicanti, con tetti di canne e tegole, un focolare al centro della stanza di soggiorno, finestre estremamente ridotte, camere uniche per dormire, quando addirittura non si dormiva, specie negli stazzi e nelle pinnette, per terra sulle stuoie [12].

Assente l’acqua corrente dalle case, assenti i servizi igienici privati; persistente promiscuità tra animali e uomini, scarsa attenzione anche all’igiene della conservazione e dell’assunzione dei cibi; scarsa l’igiene personale, pochi gli abiti, quasi inesistenti le scarpe per i piccoli e per i grandi. Precari i mezzi per ripararsi dal freddo, sia dentro che fuori casa. Scarsa e incompleta l’alimentazione. Forte presenza di insetti all’aperto e al chiuso, frequenti veicoli di ogni genere di infezione.

Si conviveva nei centri abitati con galline, cani, gatti, asini, cavalli e maiali e nelle campagne anche con ovini, bovini e caprini. Ogni rione paesano o cittadino aveva il suo immondezzaio dove uomini e donne, bambini e bambine dovevano recarsi.quotidianamente. Specie nell’Ottocento le strade, come le case, erano in terra battuta, con fossi e pozzanghere ricettacolo di ogni genere di microbi.

L’Angius, autore delle voci sarde del Dizionario del Casalis (siamo alla metà dell’Ottocento), accenna agli odori nauseabondi che, specie nelle stagioni calde, promanavano da tutti i siti. La stessa pulizia dei pochi e miseri panni e vestiti veniva effettuata o nei torrenti vicini al paese o nelle pubbliche fontane, dove, nella stessa acqua, diverse famiglie erano costrette a lavare e a risciacquare con detersivi naturali la propria biancheria [13].

Questi ritmi di vita richiedevano dalle madri e dalle figlie adolescenti una frequente assenza dall’abitazione, con il conseguente abbandono dei bambini che, non governati da persone adulte, andavano incontro a tutti i possibili mali e incidenti dentro e fuori casa. Bruciature presso il focolare, cadute, assunzione di alimenti non cotti o non lavati, sporcizia personale erano esperienze quotidiane per i bambini sardi. Gastroenteriti, broncopolmoniti, tifo e paratifo, congiuntiviti e tracoma, meningiti, cecità precoce, sordità e mutismo, cretinismo, idiozia ed ogni altro genere di malattia psichica erano di facile e rapida diffusione, per non parlare di cose più ordinarie quali scabbia, tigna, cimici e pidocchi. Periodica, poi, e costante per tutte le età la malaria, specie nei mesi primaverili ed estivi [14].

A ciò si aggiungevano le specifiche malattie professionali più facilmente contraibili nelle famiglie di pastori, contadini, artigiani e viaggiatori. Sullo sfondo di queste miserie materiali si svolgeva la violenza familiare e sociale dovuta alla durezza del clima morale: i conflitti tra uomo e donna, la mancanza di tenerezza nei confronti dei figli, considerati talvolta un pesante fardello da piccoli e già da fanciulli braccia da lavoro [15].

Il quadro sociale, sconvolto dalla fine dell’ancien régime, protrattosi in Sardegna fino alla metà dell’Ottocento (si pensi ai servizi offerti precedentemente alla popolazione dai disciolti ordini religiosi e dal numeroso clero secolare), non poteva rapidamente ricostituirsi. Agli strati più poveri,pareva che oltre alla minestra francescana, fosse stata tolta la fede e inculcato l’odio per il clero e per la religione [16].

In queste condizioni di generale povertà se stavano male gli adulti stavano certamente peggio i piccoli, i più resistenti dei quali erano costretti a crescere nelle strade, in aggregazioni fra coetanei, denominate cricche o piccioccheddus de crobi a Cagliari, greffe o pizzinni pizzoni a Sassari, nelle quali i minori più deviati conducevano tutti gli altri a compiere ogni sorta di piccola delinquenza.

 

4. TESTIMONIANZE SULL’INFANZIA

Scriveva il Sanna Randaccio ai primi del Novecento: << I bimbi?! (…) I miseri bimbi dell’indigenza io li ho veduti nella città costretti a stare da mane a sera, per guadagnare un centesimo che aumenti la meschina economia domestica; io li vedo, i poveri bimbi di 4 o 5 anni, buttati sul lastrico a mendicare e ad apprendere i primi principi della più oscena educazione; io li vedo, questi piccoli paria della società cui non sorridono né baci né amore spesso incatenati tra due sgherri, come se fossero vecchi briganti della Calabria; e nella campagna, (…) li ho visti anch’essi, d’estate, sotto il fuoco d’un sole africano, intenti a spigolare sui campi mietuti; d’inverno, scendere intirizziti dal monte, con le spalle curve sotto il peso d’un fascio di legna, necessario per attizzare il focolare d’una misera casupola>>[17].

Dalla Maddalena a Tempio, da Sassari a Sorso, da Bosa a Suni, da Oristano a Paulilatino, da Nuoro a Orune, da Cagliari a Pirri le immagini di bimbi scalzi, vestiti di cenci, abbandonati spesso a se stessi, educati dalla violenza spontanea della strada si susseguivano come sequenze di un film neorealista.

Agli inizi dell’Italia unita lo spettacolo miserevole di bimbi degli strati sociali più poveri si può dire affolli un po’ tutte le piazze e le piazzette dei centri abitati d’Italia: la Sardegna non fa eccezione [18].

Sembra di ascoltare la vecchia canzone:

“Fanciulli della strada. A voi nessuno bada.

Indifferente passa accanto a voi l’umanità

e mai nessun vi dà sorrisi di bontà

è triste il vostro dramma (…)”.

L’isola, dopo oltre cinque secoli di autonomia istituzionale del Regnum Sardiniae, allo spirare del primo cinquantennio dell’Ottocento era andata a costituire con la Liguria e il Piemonte il primo nucleo del Regno d’Italia. Se dal punto di vista del rinnovamento istituzionale, per via della fusione con il Piemonte e della conseguente adozione dello Statuto albertino, tutto ciò segnava un progresso, dal punto di vista sociale ciò determinò maggiori sofferenze per i ceti più diseredati [19].

 

5. LE INIZIATIVE DELL’ARISTOCRAZIA NELL’OTTOCENTO.

L’immagine che la Sardegna dava di sé, per la sua arretratezza, eccitava per tanti versi l’animo di quelle congregazioni religiose che, dopo la bufera delle leggi eversive, andavano sorgendo o riprendendo vita un po’ ovunque, in modo più conforme ai tempi, in Europa e in Italia [20].

D’altra parte se sul finire della prima metà dell’Ottocento, nel Lombardo-Veneto prima e in Piemonte poi, ecclesiastici sensibili alle problematiche sociali si dedicavano ai diseredati e, tra questi, ai più piccoli, anche in Sardegna non mancarono figure di aristocratici e di ecclesiastici capaci di promuovere iniziative per l’infanzia. Gli asili “inventati” da Ferrante Aporti andavano diffondendosi a macchia d’olio un po’ in tutti gli Stati italiani, ma particolarmente in quelli dell’Italia centro-settentrionale, economicamente più avanzati, dove però anche maggiore era la necessità di provvedere all’infanzia[21].

L’eco di queste iniziative non poteva non giungere anche nell’isola, dove l’esigenza dell’educazione dei fanciulli di entrambi i sessi era fortemente avvertita, anche se le iniziative, non sorrette da finanziamenti costanti e consistenti, spesso si arenavano.

Nel 1808 a Quartucciu Francesca Sanna Sulis Pes aveva fondato un istituto per fanciulle povere [22]. Nel 1830 il prete Matteo Caccioni aveva fatto arrivare direttamente da Roma a Chiaramonti due maestrine per l’educazione delle fanciulle del piccolo borgo dell’Anglona [23].

Nel 1845 a Orune, a Ozieri, a Cagliari; nel 1846 a Cuglieri nell’Oristanese; nel 1847 a San Vito nel Cagliaritano, come documenta una fitta corrispondenza col viceré, vi è il tentativo di istituire  degli asili per bambini o per bambine. Ad Alghero, poi, con una maestrina inviata direttamente dall’Aporti, si riesce a fare funzionare per un anno scolastico, tra il luglio del ’48 e l’aprile del ’49, un vero e proprio asilo aportiano, ideato tra il 1844 e il 1847 da una società di azionisti laici ed ecclesiastici [24].

Si tratta di tentativi coraggiosi non sorretti purtroppo da adeguate forme di finanziamento, tutte affidate alle iniziative di privati, salvo il ferreo controllo civile ed ecclesiastico, causa non ultima della breve durata dell’asilo aportiano di Alghero.

I finanziamenti c’erano, ma solo in parte: l’autorità viceregia voleva precise garanzie di riuscita, per cui di fronte a fondi insufficienti imponeva ai promotori di desistere da ogni ulteriore iniziativa. Non si esclude, tuttavia, che abbia giocato su queste iniziative l’ostracismo “politico” verso gli asili aportiani da parte dell’autorità viceregia. Ad ogni modo per gli esposti in Sardegna provvede la Provincia, che si assume l’onere, insieme ai Comuni interessati, di predisporre il pronto collocamento dei bambini a baliatico esterno, licenziandoli dai brefotrofi per affidarli a singole famiglie, preferibilmente campagnole. La tradizione catalana del Padre degli Orfani (in catalano Pare dels Orfes; in sardo Su Babu de Orfanos) sussisteva ancora non solo nelle sette città regie, ma anche nei piccoli centri, attraverso l’elezione annuale di un consigliere civico, regolarmente retribuito, cui spettava il compito di proteggere i fanciulli orfani e bisognosi [25].

Per adempiere a tale incarico, il Padre degli Orfani si premurava di individuare i datori di lavoro moralmente ed economicamente più idonei ad accogliere, previo contratto, in qualità di apprendista se maschio o di serva se femmina, l’orfano bisognevole di sistemazione, al fine di garantire un qualche futuro ai ragazzi affidati alla sua tutela. In Sardegna si preferiva non utilizzare la ruota per gli esposti, ma si continuava ad abbandonare i neonati in luoghi oculatamente scelti, specie da parte delle donne provenienti dai centri rurali, le quali preferivano esporre i loro piccoli in siti urbani bene individuati [26].

Si incomincia, tuttavia, da parte di benemeriti aristocratici e aristocratiche a sistemare i bambini e le bambine in apposite strutture educativo-assistenziali. A Sassari, per iniziativa del marchese di Putifigari, don Vittorio Pilo Boyl, già nel 1832 era stato fondato l’orfanotrofio femminile delle Figlie di Maria [27]. A Cagliari nel 1844 era stato fondato dalle nobildonne Grazia Salazar e Marianna Musio il Ricovero di San Vincenzo de’ Paoli “allo scopo di redimere i minorenni già traviati o in pericolo di esserlo”[28].

Nel 1850, sempre a Cagliari, il cav. Carlo Cappai diede inizio all’Opera della Misericordia, nella quale furono accolti ed educati inizialmente dei bambini indigenti, successivamente, una volta affidata l’opera alle Figlie della Carità, anche bambine agiate, a pagamento, in apposito stabile, con una scuola femminile e annesso laboratorio, educandato e convitto [29]. Più tardi verrà istituito per i bambini interni ed esterni un asilo infantile.

 

6. LA FAMIGLIA VINCENZIANA E L’INFANZIA

Un più forte impulso a queste iniziative educative ed assistenziali venne dato tuttavia dall’arrivo in Sardegna, da Torino, delle prime Figlie della Carità, esperte, fin dalla metà del Seicento, in attività assistenziali ed educative.

Nel 1856 esse promossero a Cagliari, dove erano appena giunte, la prima Compagnia delle Dame di Carità, tra le nobildonne, secondo il modello parigino; tre anni dopo, seguendo l’esempio delle cagliaritane, si costituirono in  identica associazione alcune nobildonne sassaresi. In un primo tempo le Figlie della Carità si dedicarono all’assistenza agli ammalati e vennero destinate agli ospedali militari di Cagliari e La Maddalena e a quello civile di Sassari; successivamente gestirono e svilupparono strutture educative e assistenziali per l’infanzia e per ogni altra categoria di bisognosi. La collaborazione organica e costante tra le Figlie della Carità e le Dame, loro strumento di penetrazione presso le famiglie agiate, produsse in Sardegna una serie di iniziative per l’infanzia un po’ in tutti i centri. Da questa vera e propria sinergia di mezzi e di persone prese l’avvio non soltanto l’assistenza ai poveri a domicilio, ma la creazione di una fitta rete educativa e assistenziale per l’infanzia nell’intera isola[30].

In quegli stessi anni un giovane aristocratico sassarese, Carlo Rugiu Tealdi, ancora studente di leggi presso l’Università di Sassari, conobbe a Livorno il giovane storiografo francese Federico Ozanam, fondatore delle Conferenze di Signori di Carità tra docenti e studenti universitari parigini, e al suo rientro a Sassari, seguendo il suo esempio, ne costituì una con il fine di soccorrere ogni genere di povertà. Resosi conto della tragica situazione in cui versava l’infanzia abbandonata della sua città, istituì nel 1858 l’Ospizio San Vincenzo de’ Paoli e dell’Immacolata Concezione per bambini abbandonati ed orfani, da educare, istruire e avviare ad attività agricole e artigianali. Egli, per anni amministratore civico, restò alla direzione dell’opera fino alla morte, affidando l’educazione di questi bimbi indigenti alle stesse Figlie della Carità che andavano via via reclutando molte giovani sarde che, inviate a Torino per l’opportuna preparazione, rientravano nell’isola per svolgervi attività educativa e assistenziale [31].

Se nella penisola il periodo che va dal 1848 al 1900 segnò un ristagno nell’istituzione degli asili[32], forse altrettanto non può dirsi per la Sardegna, anche se travagliata da una situazione economica che sul finire del secolo si fece più grave, per le note vicende protezionistiche. Ciò nonostante si istituirono asili a Oristano nel 1865, a Monteponi e ad Alghero nel 1870, a Iglesias nel 1874,  nello stesso anno ad Ales, per opera di donna Elena Salis, a Bugerru nel 1885, nello stesso anno a Ozieri con il lascito di donna Isabella Grixoni, a Sorso nel 1890, a Bonorva nel 1892; nel 1896 si istituirono asili a Sassari, Alghero, Nuoro, Ozieri, Tempio[33].

Con il 1879 erano ritornati in Sardegna (dopo l’esperienza drammatica compiuta tra il 1836 e il 1866 ad Oristano, dove erano stati falcidiati dalla malaria), sollecitati dalle Figlie della Carità, dalle Dame e dai Signori delle Conferenze, i Preti della Missione, i quali per statuto avevano la direzione spirituale di tutta la famiglia vincenziana. Essi presero residenza a Sassari, a Cagliari e, solo per qualche anno, a Nuoro e ad Alghero.

Oltre a dirigere il seminario arcivescovile di Sassari e, per un certo tempo, ad accogliere le vocazioni adulte del clero secolare di Cagliari, essi iniziarono a percorrere la Sardegna in lungo e in largo, predicando le missioni al popolo e mettendo in luce, nelle loro relazioni, le tristi condizioni della gente, i problemi e i bisogni, compresi quelli dell’infanzia priva di educazione e di istruzione e vari casi di abbandono e di estrema indigenza. A volte accennavano anche alle iniziative prese e alle indicazioni date [34].

A conclusione delle loro missioni istituivano l’associazione delle Dame e dei Signori; incoraggiavano iniziative verso i bisognosi con i buoni alimentari e le cucine economiche; suggerivano ai parroci l’istituzione di asili infantili e di oratori; stimolavano la nascita di associazioni giovanili per l’educazione di ragazzi piccoli e grandi. Infine orientavano gli adolescenti e le adolescenti, quando ne verificavano le predisposizioni, verso la vocazione religiosa. D’altra parte sono questi gli anni in cui il movimento cattolico comincia il suo lento, ma incisivo lavoro nelle città di Cagliari e di Sassari [35].

Superato il trauma postunitario con la nomina dei vescovi, anche la Chiesa, specie per opera dei pastori delle diocesi e dei preti cosiddetti “sociali”, talvolta di origine continentale talaltra di origine  sarda ma formatisi in continente, cominciava a dare il suo contributo fattivo alla risoluzione dei problemi degli strati più poveri della società. Nel 1898, dopo trent’anni di pressanti e reiterati inviti a Don Bosco e ai suoi successori, giunsero a Lanusei e successivamente a Cagliari anche i Salesiani. Anch’essi, con l’istituzione degli oratori, si preoccuperanno dei piccoli oltre che degli adolescenti [36].

La maggiore attenzione e l’incessante sviluppo delle iniziative per l’infanzia si hanno in Sardegna, tuttavia, nel corso dei primi sessant’anni del Novecento[37].

Di fronte alla continua assenza dello Stato, che a mala pena riusciva ad imporre ai Comuni l’istituzione prima di due e poi di tre anni di scuola elementare, si muovevano, animate da sentimenti di azione caritativa, tutti i componenti della famiglia vincenziana: le Dame, i Signori, le Figlie della Carità e i Preti della Missione.

Se per tutta la seconda metà dell’Ottocento l’assistenza all’infanzia da parte della famiglia vincenziana era stata caratterizzata da iniziative episodiche e disperse nel vasto territorio isolano, fu col Novecento che essa riuscì a creare una vera e propria rete assistenziale per l’infanzia. Si cominciò finalmente a capire fino in fondo l’importanza che la sua cura avrebbe avuto sulla società del domani. Gli esponenti più attivi di queste iniziative faticarono non poco a far capire alle Dame, che l’istituzione degli asili infantili costituiva un’opera di squisita carità cristiana e che la crescita umana, fisica e intellettuale poteva andare di pari passo con la crescita morale e cristiana.

Questi uomini furono il cremonese Giovanni Battista Manzella con i suoi confratelli Preti della Missione, le consorelle Figlie della Carità, le Dame e i Signori della Carità e, infine, le stesse sue figlie Suore del Getsemani[38]; un suo emulo, il gallurese mons. Salvatore Vico, con la sua prima collaboratrice Maddalena Brigaglia e lo stuolo delle Missionarie Figlie di Gesù Crocifisso da entrambi istituite; l’oblato di Maria Vergine Felice Prinetti con le sue Figlie di San Giuseppe; l’arcivescovo “sociale” di Cagliari mons. Ernesto Piovella, con le Ancelle della Sacra Famiglia [39].

 

7. LE ALTRE FAMIGLIE RELIGIOSE

Simultaneamente operarono altre congregazioni femminili provenienti dal continente quali le torinesi Suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, le bergamasche Suore Orsoline di San Girolamo in Somasca, le baresi Missionarie del Sacro Costato e di Maria Santissima Addolorata[40]. Complessivamente ben 28 congregazioni religiose femminili, tra il 1900 e il 1958, si dedicarono alla gestione degli asili infantili in tutta l’isola. Sembra quasi che le varie congregazioni abbiano diviso il territorio isolano in zone di influenza, alcune operarono al Nord altre al Sud dell’isola, anche se non in modo radicale[41].

È accertato, però, che alla base della maggior parte delle iniziative assistenziali ed educative per l’infanzia in Sardegna ci sono le Dame della Carità; sono esse a costituire i comitati o le società e reperire i finanziamenti, a mezzo di donazioni o legati, per partire con le iniziative. In un secondo momento verranno richieste le Figlie della Carità per la gestione degli orfanotrofi o degli asili, e, quando non basteranno loro, le Dame provvederanno a chiamare altre congregazioni femminili o gli stessi promotori ecclesiastici penseranno loro a mettere su una famiglia religiosa avente come scopo l’educazione dell’infanzia.

Si è già detto che fra tutti i promotori di iniziative assistenziali ed educative per l’infanzia si contraddistinse, nel primo quarantennio del Novecento, il concittadino di Ferrante Aporti Giovanni Battista Manzella Prete della Missione. Egli fu quasi sempre a capo della promozione dei circa 30 asili gestiti dalle sue consorelle Figlie della Carità tra il 1900 e il 1937; personalmente, tra il 1906 e il 1932, ne promosse 25; le sue Suore del Getsemani ne gestirono tra il 1932 e il 1958 circa 15 [42]. Possiamo affermare che il Manzella nel corso dei suoi 37 anni di attività missionaria nell’isola promosse direttamente o indirettamente circa una settantina di asili infantili, specialmente nel Nord Sardegna[43].

Mons. Salvatore Vico, seguendo il suo esempio, disseminò di asili, 25 circa, l’intera Gallura e l’Anglona tra il 1937 e il 1960[44]. Grazie al Manzella e al Vico i circa 100 centri della provincia di Sassari ebbero un’efficiente rete di asili.

Scriveva il Manzella nel 1924: “Qualche signora della carità potrà osservare fin da principio: noi siam fatte per visitare i poveri a domicilio e poco dobbiamo curarci dell’asilo infantile. Ed io rispondo, subito, che nessuna opera buona è estranea alla società della Carità.(…) L‘asilo infantile è una scuola alla quale intervengono i bambini all’età dai tre ai sei anni. Vi si insegnano tutti quegli atti di educazione civile e religiosa dei quali è capace la loro età, vi si imparano poesie, complimenti, canti, e più di tutto le preghiere e i principi fondamentali di nostra santa religione. Ai bambini si insegnano i principi generali della morale, si fa loro conoscere ciò che è bene e ciò che è male, e si dà la preparazione necessaria per scuole elementari, cui possono accedere ai sei anni di età.(…) L’asilo supplisce ai doveri più sacrosanti della  mamma. Poche son le mamme che conoscono appieno i loro doveri. Certe ragazze si maritano per maritarsi, han figli perché li hanno, e verso i loro figli non fanno altro che fanno gli animali verso i loro nati, non pensano ad educarli da cristiani e da veri cittadini. Per la mamma il bambino è sempre bambino e sempre incapace di apprendere qualsiasi cosa. Ho trovato di frequente delle mamme che non insegnano manco il segno di croce ai loro figli e dicono: è piccolino! Non sanno  che dai tre ai sei anni un bambino è capace invece  di molte e molte cose; tra l’altro ha la memoria più sviluppata di un grande. (…) Nelle visite ai poveri vedano se nella casa ci sono dei bambini e si occupino di mandarli all’asilo, pagando loro la rata stabilita, e anche se occorre dando loro dei vestitini, perché possano decentemente intervenire”[45].

In altro passo esorta le Dame di Carità che si recano in vacanza ad istituire in quel luogo un asilo infantile qualora non vi fosse già istituito. Egli arrivò a predisporre le planimetrie dei locali e il disegno dei banchi, a suggerire di utilizzare gli oratori e le chiese pur di dare la prima educazione ai bambini, qualora la povertà del luogo non offrisse l’opportunità di locali adatti. Gli asili per l’infanzia erano un suo chiodo fisso[46].

Per i bambini e le bambine della strada, orfani di padre e di madre, o di famiglie numerose e disagiate, promosse a Sassari, a Tempio, a Olbia, a Bonorva, a La Maddalena, a Oschiri e in altri centri dell’isola la fondazione di orfanotrofi maschili e femminili, gestiti prima dalle Dame e successivamente dalla Figlie della Carità o dalle Suore del Getsemani. Tra questi istituti non mancarono quelli per i ciechi e quelli per i sordomuti con annesse le relative scuole per il loro almeno parziale recupero[47].

Lo stesso discorso può farsi per mons. Vico, che a Tempio,  Sorso, Buddusò, Bitti, Pattada, Orune, Santa Teresa e Golfo Aranci istituì orfanotrofi maschili e femminili negli anni Quaranta e Cinquanta e vari istituti per handicappati.

Si è già visto come l’opera del Manzella, sebbene in prevalenza abbia  creato una rete assistenziale ed educativa a Nord, non trascurò il Sud dell’isola. Nel Sud, tuttavia, in modo più incisivo operarono, come si è già detto, il Prinetti e il Piovella: il primo con le Figlie di San Giuseppe istituì ben 20 asili, il secondo con le Ancelle della Sacra Famiglia 34.

L’iniziativa privata, prevalentemente promossa da uomini di Chiesa, vede in Sardegna, nel 1949, agli albori dell’autonomia speciale, la presenza degli asili per l’infanzia in 252 comuni su circa 350. Il cammino delle iniziative per l’infanzia, durato per quasi cento anni, era stato faticoso e graduale.

 


[1] Per l’Italia cfr.V. HUNECKE, I. PELLEGRINI, Un problema di storia sociale. L’infanzia abbandonata in Italia nel secolo XIX , La Nuova Italia, Firenze 1974; C. A. CORSINI, Gli esposti in Toscana nei secoli XVII e XIX, in “Quaderni storici” 1976, 33; G. DA MOLIN, Illegittimi ed esposti in Italia dal Seicento all’Ottocento , in La demografia storica delle città italiane, Società Italiana di Demografia Storica, Assisi 1980;  G. POMATA, Madri illegittime tra Ottocento e Novecento: storie cliniche e storie di vita , in “Quaderni storici” 1980, 44. Per quanto concerne l’Europa vedi:Enfance abandonnée et société en Europe, XIVe XXe siècle , Ed. École Française de Rome, Roma 1991;  Storie cliniche e storie di vita , in “Quaderni storici” 1980, 44.

[2] Per la Sardegna G. NUVOLI, L’infanzia abbandonata ad Alghero dal Settecento al Novecento , tesi di laurea, Università di Sassari, Facoltà di Scienze Politiche, Anno Accademico 1987-88: M. C. SOTGIA, Il problema degli esposti nella provincia di Sassari dall’Unità alla Grande Guerra, tesi di laurea, Università di Sassari, Facoltà di Scienze Politiche, Anno Accademico 1993-94 . Vedi anche A. TEDDE, Famiglia e Scienze umane, in A. TEDDE, G. NUVOLI (a cura), Psicologia e famiglia in Sardegna. Rassegna di studi e ricerche (1980-1989), Delfino Editore, Sassari 1997 (in stampa).

[3] A. TILOCCA SEGRETI, I contratti di encartament ad Alghero tra il Cinque e il Seicento, in “Revista de l’Alguer” 1990, vol. 1, pp.167-183

[4] “Annali di storia dell’educazione delle istituzioni scolastiche”, 1994, 1, 1995, 2, 1996, 3. Oltre agli ormai noti studi sulla famiglia della rivista francese “Annales. Economies, Sociétés, Civilisations”, 1972, 4-5, p. 799, si vedano: PH. ARIÈS, L’enfant e la vie familiale sous l’ancien régime , Plon, Paris 1960; E. SHORTHER, The making of the modern family, Basic Book Inc., New York 1975; J. L. FLANDRIN, Familles, parenté, maison, sexualité dans l’ancienne société, Librairie Hachette, Paris 1976; L. STONE, The family, Sex and Mariage in England 1500-1880, Weindefeld and Nicolson, London 1977; G. DELILLE, Famille et proprieté dans le Royaume de Naples (XV eXIX siècle), Ed. École française de Rome, Rome-Paris 1985.

[5] Cfr. R. SANI (a cura di), Chiesa, educazione, società nella Lombardia del primo Ottocento, Centro Ambrosiano, Milano 1996; L. PAZZAGLIA (a cura di), Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione e Unificazione, La Scuola, Brescia 1994.

[6] Si vedano in proposito: G. SOTGIU, Storia della Sardegna dalla grande guerra al fascismo, Laterza, Bari 1990; F. COLETTI, L’educazione dei giovani delle classi lavoratrici e medie e il fenomeno dell’occupazione parziale o disoccupazione parziale nell’economia sociale della Sardegna, in “Primo Congresso Internazionale per la lotta contro la disoccupazione”, Tip. degli Operai, Milano 1906, pp. 1-8.

[7] M. C. SOTGIA, Il problema degli esposti nella provincia di Sassari dall’Unità alla Grande Guerra , cit.

[8] A. TEDDE, Per una storia dello sviluppo urbano in Sardegna, Ed. Diesse, Sassari 1989. Cfr. A. BOSCOLO et alii, La Sardegna contemporanea, Della Torre, Cagliari 1974; G. SOTGIU, Storia della Sardegna dalla grande guerra al fascismo, cit.; M. GUIDETTI (a cura di), Storia dei Sardi e della Sardegna. L’età contemporanea dal governo piemontese agli anni Sessanta, Jaca Book, Milano 1990; M. BRIGAGLIA (a cura di), Enciclopedia della Sardegna, Della Torre, Cagliari  1982-1987, vol.III.

[9] S. SOLDANI (a cura di), L’educazione delle donne, Franco Angeli, Milano 1991. Per la demografia, cfr. F. CORRIDORE, Storia documentata della popolazione di Sardegna (1479-1901), Torino 1902. Per la storia urbana vedi A. TEDDE, Per una storia dello sviluppo urbano  in Sardegna, cit.; G. BROTZU, La Sardegna, in Atti del congresso internazionale di studio sul problema delle aree arretrate, Giuffrè, Milano 1954, pp. 621-630 e G. ALIVIA, Economia e popolazione della Sardegna settentrionale, Gallizzi, Sassari 1931.

[10] A.TEDDE, G. NUVOLI (a cura di), Psicologia e famiglia in Sardegna. Rassegna di studi e ricerche. (1980-1989), cit.

[11] A. TEDDE, La famiglia nella storia sarda , in A. TEDDE, G. NUVOLI, Note sulla famiglia in Sardegna, Editrice Diesse, Sassari 1978; G. ORTU, La donna nella società sarda, Fossataro, Cagliari 1975.

[12] P. ATZENI, Il corpo, i gesti, lo stile:lavori delle donne in Sardegna, Ed. CUEC, Cagliari 1988; G. MONDARDINI MORELLI, Spazio e tempo nella cultura dei pescatori. Studi e ricerche in area mediterranea, Editrice Pisana, Pisa 1988.

[13] F. COLETTI, La mortalità nei primi anni d’età e la vita sociale della Sardegna, Fratelli Bocca, Torino 1908.

[14] E. TOGNOTTI, La malaria in Sardegna, Franco Angeli, Milano 1996; G. BROTZU, La Sardegna, cit., pp. 651-674.

[15] Cfr. A.TEDDE, L’attività sociale delle Dame della Carità nel primo Novecento a Sassari. La Casa Divina Provvidenza (1910-1967), Torchietto, Ozieri 1994; E. BRUNO, V. ROGGERONE (a cura di), La donna nella beneficenza in Italia, Botta, Torino 1913, vol. IV; A. TEDDE, Per una storia della donna nella beneficenza in Italia dopo l’Unità , Editrice Diesse, Sassari 1989.

[16] A. TEDDE, “La Carità“ (1923-1934)  di G.B. Manzella, in P. BELLU et alii, Cattolici in Sardegna nel primo Novecento, Associazione Alcide De Gasperi, Sassari 1989.

[17] F. SANNA RANDACCIO, L’infanzia cenciosa e l’istruzione popolare, Muscas di Valdés, Cagliari 1898; F. CHESSA, Le condizioni economiche e sociali dei contadini dell’agro di Sassari, Roux e Viarengo, Torino 1906.

[18] Per l’Italia, si vedano: F. CALANDRA, Storia della società italiana dall’ Unità ad oggi, Utet, Torino 1982; F. DELLA PERUTA (a cura di), Malattia e medicina, in Storia d’Italia, Annali 7, Einaudi, Torino 1984. Per la Sardegna, vedi F. COLETTI, La mortalità nei primi anni d’età e la vita sociale della Sardegna, Fratelli Bocca, Torino 1908.

[19] G. SOTGIU, Storia della Sardegna  dalla  grande guerra al fascismo, cit.

[20] Si rinvia in proposito alle specifiche voci del Dizionario degli Istituti di perfezione, diretto da G. PELLICCIA e G. ROCCA, Ed. Paoline, Roma 1975. Vedi anche A. TEDDE, L’attività sociale delle Dame della Carità nel primo Novecento a Sassari. La Casa Divina Provvidenza 1910-1967, cit.; A. TEDDE (a cura di), Iniziative sociali di G.B. Manzella e delle congregazioni religiose in Sardegna nel Novecento, Il Torchietto, Ozieri 1996.

[21] E. CATARSI, G. GENOVESI, L’infanzia a scuola. L’educazione infantile dalle sale di custodia alla materna statale, Juvenilia, Bergamo 1985; G. GENOVESI e C. PANCERA (a cura di), Momenti paradigmatici di storia dell’educazione, Corso Editore, Ferrara 1993.

[22] E. BRUNO, V. ROGGERONE (a cura di), La donna nella beneficenza in Italia, cit.

[23] E. SPANU NIVOLA, Profilo storico dell’educazione popolare in Sardegna, in “Archivio Sardo”, 1973, 2, pp. 134-170.

[24] Cfr. Archivio di Stato di Cagliari (ASC). Segr. di Stato: 1° S., b. 152, cc. 402-403;  2° S., b. 862, 5 settembre 1845;  2° S., b. 862, 5 settembre 1845;  1° S., b. 158, cc. 189-190; A. S. C., 2° S., b. 862, dall’11 novembre 1845 al 13 novembre 1847;  1° S., b. 153, cc. 232-233; , 1° S., b. 153, cc. 638-639;  1° S., b. 154, cc. 291-292;  1° S., b. 154, cc. 531-532;  1° S., b. 161, cc. 196-197;  2° S., b. 862, dal 4 giugno al 4 novembre 1845;  1° S., b. 153, cc. 154-155;  2° S., b. 862, dal 6 luglio al 29 settembre 1846. In particolare per l’asilo di Alghero si veda, in questo stesso volume, il saggio di Irene Serra.

[25] A. TILOCCA SEGRETI, I contratti di encartament ad Alghero tra il Cinque e il Seicento, cit.; G. NUVOLI, L’infanzia abbandonata ad Alghero tra il Cinque e Seicento, cit.; M. C. SOTGIA, Il problema degli esposti nella provincia di Sassari dall’Unità alla Grande guerra, cit.

[26] Ivi, p. 65.

[27] Cfr. P. DE ANGIOY, Sull’origine e fondazione del R. Orfanotrofio delle Figlie di Maria in Sassari , Stab. Tip. Dessì, 1875.

[28] Cfr E. BRUNO, V. ROGGERONE (a cura di), La donna nella beneficenza in Italia, cit., p.123.

[29] Ivi, p.127.

[30] Cfr. A. TEDDE, L’attività sociale delle Dame della Carità nel primo Novecento a Sassari. La Casa Divina Provvidenza 1910-1967, cit., pp. 22-29. Per una specifica conoscenza delle opere sociali, si vedano le tesi di: A. CAU, La compagnia delle Dame di Carità di San Vincenzo de’ Paoli nella diocesi di Ales e Terralba dal 1900 al 1950 , Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 1988-’89; M. VASA, Vita sociale e vita religiosa ad Aggius nel Novecento, Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno Accademico 1988-’89; G. SEU, Le Dame della Carità a Sassari dal 1900 al 1960, Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno Accademico 1993-’94; M. S. AMATO, L’Istituto San Vincenzo a La Maddalena (1903-1960), Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno Accademico 1993-’94; G. FODDE, Gli ospiti della Casa Divina Provvidenza in Sassari 1910-1967, Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno Accademico 1995-’96. F. AMADU, Il movimento cattolico ad Ozieri (1871-1922), Il Torchietto, Ozieri 1992; M. BRIGAGLIA, La classe dirigente a Sassari da Giolitti a Mussolini, Della Torre, Cagliari 1974; T. CABIZZOSU, Chiesa e società nella Sardegna centro-settentrionale (1850-1900), Il Torchietto, Ozieri 1986; A. CESARACCIO, Sassari e il suo volto. Il passato, C. Delfino, Firenze 1988; F. COLETTI, La mortalità nei primi anni d’età e la vita sociale, cit.; F. CORRIDORE, Storia  documentata della popolazione in Sardegna (1479-1901); cit.; L. DEL PIANO, Politici, prefetti e giornalisti tra Ottocento e Novecento in Sardegna (1861-1914), Della Torre, Cagliari 1975; G. DE ROSA, Chiesa e religiosità in Italia meridionale, Laterza, Bari 1983; P. GIAGU, L’ordinamento della beneficenza pubblica e privata, Ed. Sarda, Cagliari 1954; N. MORETTI (a cura di), Popolari e democratici in Sardegna, Il Torchietto, Ozieri 1992.

[31] Cfr. A. TEDDE, Rugiu Carlo, in (a cura di ) G. CAMPANILE, Dizionario del movimento cattolico italiano 1860-1980, Marietti, Casale Monferrato 1984, p. 754 . Si vedano anche: E. COSTA, Sassari, Gallizzi, Sassari 1913, vol. V, pp. 235-237; C. ARRU, Cattolici e beneficenza a Sassari: l’opera di Carlo Rugiu (1827-1912), Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 1992-’93, pp. 78-109.

[32] Cfr. E. CATARSI, G. GENOVESI, L’infanzia a scuola. L’educazione infantile in Italia dalle sale di custodia alla materna statale , Juvenilia, Bergamo 1985, p. 27.

[33] Le ricerche in corso condotte sotto la mia direzione dalle laureande in Storia delle scuola e delle istituzioni educative e soprattutto da I. SERRA, presso gli archivi comunali e di Stato della Sardegna stanno facendo emergere per l’isola una controtendenza rispetto alla penisola almeno per questo periodo. Ad ogni modo si vedano le tesi delle mie allieve: G. COCCONE, Gli asili infantili di Ferrante Aporti e la loro istituzione nella Sardegna del Novecento, Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 1993-’94; G. CONGIAS, L’impegno educativo-pedagogico di padre Giovanni Battista Manzella in Sardegna, Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 1991-’92; M. MARRAS, L’impegno sociale e religioso di Salvatore Vico in Sardegna dal 1922 al 1976 , Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 1993-’94; L. A. PALMAS, Asili infantili in Sardegna (1900-1958). Repertorio degli asili infantili gestiti dalle congregazioni religiose femminili in Sardegna dal 1900 al 1958, Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 1994-’95; M. L. GRANELLA, Asili infantili in Gallura nel primo Novecento. L’asilo infantile M. Pes di Calangianus (SS) 1927-1950, Tesi di laurea , Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 1995-’96. Si veda, inoltre, A. TEDDE (a cura di), Iniziative sociali di G.B. Manzella e delle congregazioni religiose in Sardegna nel Novecento, cit; La scuola materna in Sardegna, Tipografia Doglio, ESMAS, Cagliari 1957; Consiglio Regionale della Sardegna, Indagine conoscitiva sullo stato della scuola materna in Sardegna, in Quaderni di “Sardegna Autonomia”, 1977, 2; O. ALBERTI et alii, Chiesa e società sarda tra due Concilii regionali 1924-1990, Ed. Della Torre, Cagliari 1990.

[34] Cfr. A. TEDDE, L’attività delle Dame della Carità nel primo Novecento a Sassari. La Casa Divina Provvidenza 1910-1967, cit., p.11-15. Per l’attività educativa svolta dai Preti della Missione nel seminario di Sassari, vedi: A. LORIGA (a cura di), Quattro secoli del Seminario turritano 1593-1993, Tipografia Moderna, Sassari 1993, p. 157. Inoltre preziose notizie circa l’istituzione di asili si ricavano dalle relazioni delle missioni popolari giacenti presso gli archivi delle Case della Missione di Cagliari e di Sassari non ancora proficuamente utilizzate. Si veda in proposito: T. CABIZZOSU, Pensiero della gerarchia sulle missioni popolari, in P. BELLU et alii, Cattolici in Sardegna nel primo Novecento. Atti del convegno sull’attività religiosa e sociale di G.B. Manzella prete della missione (1900-1937), Il Torchietto, Ozieri 1989, p.15.

[35] Cfr. A. TEDDE (a cura di), Cattolici in Sardegna tra l’Otto e il Novecento. Atti del convegno sull’attività politica di Donato Pedroni  1920-1992, Il Torchietto, Ozieri 1995.

[36] A. TEDDE, L’opera salesiana in Sardegna, Edizioni Fossataro, Cagliari 1973; P. BELLU, Presenza salesiana in Sardegna Lanusei-Cagliari 1915, Stampacolor, Sassari 1995.

[37] Ivi, cit. Unione Superiore Maggiori Italiani, Sardegna, Annuario delle Religiose in Sardegna, Cagliari 1986. P. BELLU, Presenza salesiana in Sardegna Lanusei-Cagliari 1915, cit.

[38] Cfr G. ZICHI, L’istituto delle suore del Getsemani, in P. BELLU et alii, Cattolici in Sardegna nel primo Novecento, cit. pp. 103-115. Su S. Vico, si veda: M. MARRAS, L’impegno sociale e religioso di Salvatore Vico in Sardegna dal 1922 al 1976, cit. Su F. PRINETTI, si veda G. M. COSSU, Dono e conquista, Città Nuova, Roma 1991 e anche R. CAMILLERI, Ufficiale sacerdote, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994. Sulle Ancelle della Sacra Famiglia si veda: G. SPAGNOLO (a cura di), Le Ancelle della Sacra Famiglia, Gasperini, Cagliari 1984.

[39] A. LORIGA (a cura di), Quattro secoli del Seminario Turritano 1593-1993, cit. A. TEDDE (a cura di), L’attività sociale di G. B. Manzella  e delle congregazioni religiose in Sardegna nel Novecento, cit.

[40] Cfr. Unione Superiore Maggiori Italiani, Sardegna, Annuario delle religiose in Sardegna, Cagliari 1986.

[41] Si veda in proposito: A. TEDDE, L. PALMAS, Le congregazioni religiose femminili e gli asili, in A. TEDDE (a cura di), Iniziative sociali di G. B. Manzella e delle congregazioni religiose in Sardegna nel Novecento, cit., p.77.

[42] Ivi, p. 45.

[43] Ivi, p. 46.

[44] Ivi, p. 47.

[45] Cfr. “La Carità”, 1924, 2 pp. 26-27.

[46] Cfr. F. MASCI, Gli scritti di G. B. Manzella sugli asili, in A. TEDDE (a cura di), Iniziative sociali di G. B. Manzella e delle congregazioni religiose in Sardegna nel Novecento, cit., p. 121; F. SANNA RANDACCIO, L’infanzia cenciosa e l’istruzione popolare, cit.

[47] Si vedano: Archivio Istituto dei Ciechi in Sassari (AICSS), Archivio Istituto dei Sordomuti in Sassari (AISSS).

 

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