“La notte in cui iniziò la nostra salvezza” di Maria Cristina Manca scrittrice.

Quella notte lontana, a Betlemme, quando nacque il Bambino che cambiò il mondo, bivaccavano, assonnati e infreddoliti sulle pietrose colline poco più su della grotta della Natività, degli uomini rudi avvezzi alla fatica. Erano pastori, custodi di greggi.
Quella notte, come tante notti, coperti da umidi pesanti pastrani, si scambiavano scarne parole; forse pure i loro pensieri erano scarni, dimentichi perfino di Dio, al cui amore da tempo avevano smesso di credere.
Non ne parlavano, di quella mancanza, la percepivano soltanto come dolore.
Ed ecco, quella notte, e fu davvero all’improvviso, nell’oscurità gelida appena smorzata dai falò in disfacimento, tra i loro rigidi silenzi, avvenne qualcosa. Arrivò qualcuno.
“Un angelo del Signore si presentò
davanti a loro
e la gloria del Signore
li avvolse di luce.
Essi furono presi da grande spavento,
ma l’angelo disse loro:
«Non temete,
ecco vi annunzio una grande gioia»”. (Lc 2,9ss).
Una grande gioia!
Una grande gioia.
Che ne sapevano, loro, della gioia?
Chissà, potrebbe essere capitato anche a noi, in certi momenti di dolorosa oscurità spirituale o psicologica o d’altro tipo, di non ricordare più neanche il sapore della gioia. Di non crederla più possibile. Di non aspettare più niente e nessuno capace di riportarcela o di farcela conoscere.
«Vi annuncio una grande gioia».
A degli uomini spenti, sfiniti. Una grande gioia.
C’era di che aver paura. Un annuncio di gioia fa paura a chi è avvezzo al dolore. Quanta scarnificante delusione può infatti portare un annuncio di gioia se falso?
«Non temete … oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».
Qualunque ebreo, anche il più peccatore o il più dimentico di Dio, era sensibile alla parola Messia, Christós in greco. Lo aspettavano da secoli, il Messia, in Israele.
Poteva apparire in un giorno qualunque, in un anno qualunque, in un secolo qualunque, in una casa qualunque.
(Come mai allora non tutto Israele ha riconosciuto la venuta di Cristo? Un bel mistero, che però nella Bibbia, ad esempio nella lettera di Paolo ai Romani, è spiegato misticamente, con una tenerezza verso Israele che commuove).
Ad ogni modo i pastori di cui parliamo lo riconobbero. Si sollevarono col cuore in gola dai loro gelidi giacigli, si mossero nel buio, seguirono le indicazioni degli angeli, oltrepassarono oscuri dirupi; trovarono il Bambino, avvolto in fasce, che dormiva in una mangiatoia; accanto al Bambino, una Madre dolcissima ed un padre emozionato dai quali emanava santità.
Cos’altro trovarono, i pastori?
Gioia. «Una grande gioia», aveva loro annunciato l’angelo.

E infatti gioia immensa trovarono, una felicità inimmaginabile.

Il loro cuore colmo di gioia esplose di riconoscenza verso Dio, il Messia salvatore, i santi genitori di Lui venuti da Nazareth perché si compisse a Betlemme la Promessa antica: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. … Egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra e tale sarà la pace». (Bibbia: Michea 5, 1-3).
I pastori, quella notte, grazie alla loro umiltà aperta allo Spirito Santo, ebbero in regalo molto amore, profumato di pace; capirono e videro molte cose; poterono entrare nelle vie della sapienza, intuire le leggi dell’universo, rintracciare la struttura della vita, camminare a pieni polmoni con forte fiducia in Dio.

Poco tempo dopo la visita dei pastori, forse furono settimane, forse mesi, giunsero i Re Magi ad adorare il Bambino Divino.
Probabilmente la Sacra Famiglia, allora, aveva già lasciato la grotta di fortuna e fatto un breve trasferimento in una qualche casetta di Betlemme, in attesa di poter ripartire per Nazareth appena il gelo invernale si fosse attenuato.

(Invece gli avvenimenti si svolsero in modo drammaticamente differente ed essi dovettero attraversare ben altri difficili percorsi, costruiti dalla cattiveria umana istigata dal demonio; dovettero fuggire in gran fretta da chi voleva uccidere il bambino, oltrepassare nottetempo le frontiere della propria Patria, nascondersi in Egitto, diventare profughi in mezzo ad altri profughi).
Ad ogni modo, quando i Magi arrivarono a Betlemme, la santa famiglia si trovava ancora lì.

I Magi!

Un altro mistero.

Scienziati, astrologi, letterati, mistici, conoscitori di molto scibile umano, dovevano di sicuro esserlo; eppure da ogni loro appena abbozzata sfumatura si evince profonda umiltà.

Da veri studiosi illuminati, avevano esperienza che la superbia impedisce sempre qualunque sapienza.

Non si meravigliarono di trovare l’Autore della vita nascosto nella povertà.
Gli offrirono oro, incenso, mirra; gli donarono cuore, mente, esistenza; e scoprirono per il resto dei loro giorni di aver avuto in cambio pienezza di ogni cosa.

Auguro anche a me, e a ciascuno di voi, la gioia della Santa Famiglia, dei pastori e dei Magi.
Tantissimi auguri di pace e di gioia a tutti.
Maria Cristina Manca.

 

 

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