Categoria : memoria e storia

Grazia Deledda a 80 anni dal premio e a 70 dalla scomparsa di Pietro Meloni V.E.N. 2006

Pubblichiamo volentieri a 150 dalla nascita (1871) e a 85 anni dalla morte (1936) questa significativa omelia di Mons. Pietro Meloni, allora vescovo di Nuoro. Ricordare i nostri grandi letterati è non solo un omaggio all’altro memoria, ma anche un modo per educare i giovani a quei valori letterari che la nostra isolana anche in lingua italiana ha prodotto.

Mons. Pietro Meloni alla Santa Messa “Benedetta sei tu Maria fra tutte le donne” (Luca 1,42).
Chiesa della Solitudine – 29 ottobre 2006 in occasione degli 80 anni del  Nobel alla scrittrice nuorese  Grazia Deledda di Nuoro

Carissimi fratelli e sorelle, autorità, fedeli, amici e ammiratori di Grazia Deledda! Oggi è la festa di “Maria Regina”. Il bambino che esulta nel grembo della madre Elisabetta annunzia la presenza del bambino Gesù nel grembo di Maria. A lei Elisabetta canta, a nome dell’umanità di tutti i tempi: “Benedetta sei tu Maria”. Il profeta Isaia lo aveva annunziato di lontano: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Isaia 9,1). Luce della festa, luce della gioia perché nasce un bambino. Il bambino agli occhi di Isaia è il figlio di una famiglia del suo tempo, ma nella profezia è il Redentore, Gesù il Messia “luce del mondo”. Dio è luce. Il suo Figlio Gesù dice agli uomini: “Voi siete la luce del mondo” (Matteo 5,14).
Grazia Deledda è una luce per la Sardegna. È una luce per la sua vivacità d’intelligenza, per la sua arte pittorica, poetica e letteraria, una luce per la sua fede. La sua luce veniva dal cielo.
È commovente questa celebrazione per Grazia Deledda, quasi come il cuore di tutte le commemorazioni culturali e letterarie che debbono onorarla in questo tempo del 70° anniversario della sua morte e dell’80° anniversario del Premio Nobel.

È commovente proprio perché siamo qui dinanzi alla spoglia mortale della nostra artista. Lei ci sente e ci ascolta in questa chiesa dedicata alla Madonna della Solitudine, che era uno dei santuari da lei prediletti e che lei ha cantato nel clima della gloriosa religiosità dei sardi. “Nuestra Señora de la Soledad” la chiamano nella Spagna che ha trasmesso alla Sardegna questa fede. Maria vive nella gloria: oggi celebriamo la festa di Maria “Regina degli Angeli e dei Santi”, ma pensiamo a Maria nel tempo della “solitudine”, che lei provò dinanzi al sepolcro del Figlio Gesù in attesa della risurrezione, in attesa della gioia de “s’incontru”.

Grazia Deledda qui riposa dall’anno 1959. Lei morì a Roma il quindici agosto di settanta anni fa (1936), nella festa di Maria Assunta in Cielo. Oggi ricordiamo anche gli ottanta anni della proclamazione di Grazia Deledda “Premio Nobel” per la Letteratura. Il premio le fu conferito dal re di Svezia l’anno successivo il 10 dicembre 1927. Al re Gustavo Adolfo con parole semplici Grazia Deledda rivolse il saluto dei pastori della Barbagia e della Sardegna. Il suo pensiero nel giorno della gloria, che la rese umile, le fece ricordare la sua terra, il suo popolo, i suoi pastori. E Nuoro la ricorda oggi e in questo tempo con affettuosa gratitudine per la sua nobiltà di spirito, perché lei ha cantato la sapienza del nostro popolo, la sapienza delle persone semplici come Efix del romanzo “Canne al Vento”. È proprio il servo delle dame che proclama il proverbio sapienziale: “Siamo proprio come le canne al vento”.

Noemi, dice il romanzo, “quel giorno aveva una istintiva paura della solitudine”. Grazia Deledda ha conosciuto la solitudine e amava venire in questa chiesa della Solitudine perché nella preghiera e nel canto sentiva sciogliersi il giogo del destino di una vita fatta di dolore e di sofferenza e di angoscia: nel canto la vita diventava festa e gioia. Lei poteva dire con un altro grande poeta: “Ognuno sta solo nel cuor della terra trafitto da un raggio di sole”. Sole e silenzio sono le parole magiche che ricorrono nel linguaggio di Grazia Deledda, come vita e morte.

E amore: amore cercato e mai raggiunto. Partendo da Nuoro incontrò l’amore della sua vita per costruire la sua famiglia. Grazia era nata nella casa del rione di Santu Predu, che ora rinnovata risplende, nell’anno 1871. Esultò nel grembo di sua madre – per usare il linguaggio del Vangelo – e poi nel grembo della Chiesa con il Sacramento del Battesimo nella Cattedrale. Era l’antica Parrocchia di Santa Maria della Neve da secoli e secoli: i documenti sono custoditi almeno dal 1600, poi la Parrocchia divenne Chiesa Cattedrale della nuova diocesi eretta nel 1779, erede dell’antica sede episcopale di Galtellì. Nella sua famiglia Grazia conobbe i primi sogni, soprattutto ascoltando nelle notti invernali “sos contos”, i racconti al caminetto.

 

“Affacciata al balcone…”. Grazia Deledda descrive se stessa nei suoi personaggi, tra i quali Lia “affacciata al balcone con gli occhi fissi in lontananza a spiare cosa c’era di là nel mondo”.
E nel mondo andò Grazia dopo aver esplorato il mondo della sua Barbagia, della Baronia e della Sardegna, con una sete naturale e un affetto cordiale verso le feste e i santuari, che quasi inconsapevolmente all’origine la rendevano scienziata dell’etnografia.

Questa “scienza” le consentì di descrivere la vita dei contadini e dei pastori, delle famiglie nella povertà e nella serenità, ascoltando le nenie e i canti della gente che lavorava e trasformandola in poesia, facendo tesoro della sapienza dei proverbi popolari, scrutando il pianto degli uomini e delle donne, dei genitori e dei figli, per capire se era un pianto di gioia o di dolore. C’era sempre il “destino”, quasi una colpa incombente sulle persone e sulle famiglie in questo paese popolato da misteriose ombre. Ma c’era anche il conforto della fede, di una religiosità che diventava esultanza nelle feste e nelle processioni, con i colori variopinti dei costumi della nostra gente.

Grazia nutriva un amore profondo alla sua terra, un amore che trasformò in poesia quando già a diciassette anni scrisse i primi racconti e poi a venticinque anni il primo romanzo in Sardegna: La Via del Male. Ma subito lasciò l’Isola, andò a Cagliari dove conobbe e sposò Palmiro Madesani e con lui andò a vivere a Roma dove sono nati, con l’emozione e l’affetto dell’emigrante i suoi grandi romanzi: Elias Portolu nel 1900, Cenere nel 1903, L’Edera nel 1906, Colombi e Sparvieri nel 1912, Canne al Vento nel 1913, Marianna Sirca nel 1915, La Madre nel 1919, La chiesa della Solitudine nel 1936. E infine l’incompiuta Cosima.

Lei diceva: “Voglio far conoscere la mia terra di là dai nostri mari”. Una vocazione. Una meraviglia che ha fatto veramente conoscere Nuoro e la Sardegna in Italia e in Europa e poi anche nel mondo: “Voglio far conoscere la mia terra di là dei nostri mari”. Si apriva allo “spazio” del mondo anche se il senso del “tempo”, come nei suoi personaggi, rimaneva quello dei passi tardi e lenti del rimpianto. E dal 1911 non tornò mai più nella sua terra. La terra che le aveva dotato il germoglio della sua arte e anche la sua asprezza un po’ silvestre, di grande efficacia nel raccontare e dipingere il mistero vita.

Il suo nipote Alberto Madesani venendo all’inaugurazione del Cristo sul Monte Tuttavista che sovrasta Galtellì nell’anno del Giubileo del 2000 disse che anche lui aveva ereditato questa atmosfera “aspra e magica”. Grazia Deledda anche di lontano sentiva la Sardegna nel sangue. E nomi sardi hanno i suoi personaggi, anche se alcuni hanno nomi biblici Rut, Ester, Lia, Noemi, segno della sua conoscenza della Sacra Scrittura e della sua passione religiosa e umana. E descrive i panorami e insieme gli uomini e le donne, soprattutto le fiorenti donne di Barbagia nella loro primavera.

La “memoria” era la sua forza. La memoria che il poeta Virgilio descrive come un beneficio e insieme un rischio. Memenisse iuvabit: meminisse horret. Grazia Deledda considera la memoria quasi una malattia, ma con il grande poeta latino alla fine riconosce che è una medicina necessaria: meminisse necesse est (Eneide 6,14). Ricordare è necessario all’uomo che costruisce il futuro attraverso la memoria e le radici del passato della sua storia.

E anche noi oggi siamo come “canne al vento”. Perché il vento? chiede alla fine Noemi. Perché ci sradica e ci stronca il vento? Dio solo lo sa. Ecco la risposta del sapiente servo Efix.
La risposta di Grazia Deledda al mistero della vita: “Dio solo la sa”. E lo sa Maria che oggi festeggiamo Regina.

+ Pietro Meloni

Commenti sono sospesi.

RSS Sottoscrivi.