Categoria : letteratura sarda

Storia materiale del paese:”La luce a Chiaramonti” di Carlo Patatu

Essendo nato nel 1937 mi son potuto godere l’illuminazione elettrica fin dalla nascita, visto che quando nacqui a Chiaramonti le turbine la producevano già da 10 anni e quando da piccolo girapaese, mi capitava talvolta di vedere zio Giovanni Patatu entrare in quella cabina che ritenevo micidiale  mi chiedevo come potesse fare a regolamentare quell’energia sconosciuta  e temibile, mamma mia!. La lampada in s’appusentu mannu si acceendeva all’imbrunire e se ne andava all’alba. La gente diceva che l’illuminazione era a frofré visto che il termine a forfait era di difficile pronuncia. In s’appusentu minore dove c’era il focolare per scaldarci, ma anche per la cottura del cibo. si accendeva il fuoco con la legna che prendevamo dalla nostra stalla dove c’era il forno per il pane e “su mannale” da ingrasso che ci forniva lardo per tutto l’anno per i condimenti.
Io miravo spesso la lampadina mentre ricordavo la canzone che cantava mia madre in sardo e che non era altro che Rosamunda. “Rosamunda, Rosamunda,
Rosamunda sa carrela non ch’at  lughe e candela o che felicità!” E’ meritoria e piacevole questa storia della vita materiale del paese ai tempi dell’economia del maiale come la chiamano gli storici della “Nuova storia”. E bravo Carlo, vedi che senza saperlo hai aperto uno squarcio di storia materiale del paese.
(Angelino Tedde)
La luce a Chiaramonti dal 1927 grazie alla Ditta Budroni&R0tt9gni

di Carlo Patatu

E anche a Chiaramonti la luce fu

Una mezza dozzina d’anni dopo la fine della Grande Guerra (1914-18) fecero capolino anche in paese lampadine elettriche, che mandarono in pensione i lumi a olio e le candele steariche
di Carlo Patatu
L’energia elettrica arrivò a Chiaramonti verso la metà degli anni Venti del Novecento.
Si provvide subito a illuminare le strade, sia pure con una luce fioca fioca; quanta ne producevano le lampade da venticinque candele (oggi si dice watt), collocate basse su mensole murate alle facciate delle case.
Le utenze domestiche, nella stragrande maggioranza, funzionavano a forfait; e cioè senza il contatore. Pagando una quota fissa mensile, l’utente aveva l’illuminazione elettrica in casa durante le sole ore notturne. Più o meno dal tramonto del sole fino all’alba. All’accensione e allo spegnimento provvedeva manualmente mio padre, elettricista dell’azienda Budroni&Rottigni, azionando mattina e sera un interruttore rudimentale a coltello installato nella cabina di trasformazione, costruita appena a valle de Su monte ‘e cheja. A breve distanza da quella che era la casa dei Madau.
La quota mensile per la fornitura della corrente elettrica a forfait era rapportata alla potenza richiesta. Chi pagava per venticinque candele poteva utilizzare una sola lampadina di quella potenza. Se di lampadine ne aveva diverse dislocate in più ambienti, poteva tenerne accesa soltanto una per volta. In breve, doveva spegnerla in camera da letto prima di accenderla in cucina. Se, poniamo, il contratto di fornitura prevedeva cento candele, si poteva accenderne una sola di pari potenza, oppure due da cinquanta; o quattro da venticinque.
Agli abusi immancabili, che nei primi tempi furono scoperti e sanzionati severamente solo dietro segnalazione riservata (dei vicini ficcanaso), i gestori del servizio rimediarono poi installando nelle case un limitatore. Che entrava in azione se la potenza utilizzata superava quella contrattuale. In presenza di violazioni da parte di qualche furbastro, quell’aggeggio infernale provocava l’interruzione a singhiozzo dell’energia elettrica. E così le lampadine si accendevano e si spegnevano in continuazione. Tant’è che dopo pochi minuti finivano con l’andare fuori uso. Fulminate irrimediabilmente. Ai malcapitati toccava restare al buio fino a quando non le sostituivano con altre nuove di zecca. Che avevano comunque vita breve. La qualità dei filamenti a carbone non era delle migliori.
Le utenze a contatore funzionavano un po’ come adesso; ma si trattava di un lusso che soltanto le famiglie più agiate, o con salario fisso di un certo peso, potevano permettersi. Ecco perché, in quegli anni, era usuale trascorrere le lunghe serate invernali standosene in casa, seduti a cerchio intorno al focolare e lasciando alla sola fiamma del caminetto il compito di fornire un minimo di luce tremula, che proiettava sulle pareti ombre inquietanti. Quanto bastava per evocare fantasmi e provocare paure irrazionali.
L’accensione della lampada elettrica, dopo cena, era riservata di solito alla camera da letto in cui riposavano i bambini in tenera età. Una luce accesa, diceva mia nonna, allontana il demonio dai giacigli dei neonati.

 

Cfr. CARLO PATATU, Scuola Chiesa e Fantasmi, ed. Gallizzi, Sassaari 2007, pagg. 25-26.

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