Categoria : memoria e storia

“Francesco Spanedda (Ploaghe,1910-Sassari,2001) già vescovo di Bosa e Oristano” di Pietro Meloni

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.  La promessa di Gesù diviene oggi il nostro canto: beati sono dinanzi a Dio tutti gli uomini che sono poveri, mansueti, affamati e assetati di giustizia, costruttori di pace e puri di cuore. Beato dinanzi agli occhi di Dio è oggi il nostro fratello vescovo Mons. Francesco Spanedda, che è stato “mite e umile di cuore” e ora vede Dio e riceve da lui il premio della sua sollecitudine pastorale per la Chiesa di Cristo.

Gesù per annunziare al mondo l’altezza delle beatitudini salì sulla montagna e parlò al cuore dei suoi discepoli e a tutta la gente della terra di Israele. Noi ora nella parola della liturgia abbiamo ascoltato il profeta Isaia, che si è fatto voce di Dio (Is 25,6): al termine della giornata terrena “il Signore preparerà sulla montagna un banchetto”. Una festa. E’ la festa alla quale sono invitati tutti i figli di Dio. E’ la festa alla quale è accolto, oggi che celebriamo il trigesimo della sua morte, il nostro fratello buon pastore Francesco.

Dio “solleverà il velo che copriva il volto di tutti i popoli”. La voce del profeta mostra che durante la vita terrestre un velo impedisce agli amici di Dio di vederlo faccia a faccia (Is 25,7). Ogni uomo nel giorno della morte invece proclamerà: “Tu, o Signore, sei il mio Dio. Io desidero esaltare le meraviglie del tuo amore. Io ho sperato in te e ora attendo da te il dono del tuo amore per sempre”. Ogni sacerdote ed ogni vescovo che nella celebrazione liturgica sale sull’altare per la consacrazione del pane e del vino, legge il libro della parola di Dio per proclamare le meraviglie del Vangelo. Anche ogni battezzato è sacerdote che annunzia con la parola e con la vita la gioia dell’amore di Cristo. Ma il vescovo  sale più in alto, sulla cattedra, segno dell’autorità di Gesù, per annunziare la parola che salva, che incoraggia, che conforta, che guida, che svela le strade del cielo.

Lassù nella montagna del Paradiso oggi al nostro fratello Francesco, teologo di Cristo, è tolto il velo del mistero e può contemplare Dio con i suoi occhi. Noi vogliamo pregare il Signore, in questa Santa Messa a lui dedicata, perché manifesti anche a noi un raggio della luce di questo amore eterno. “La morte non ci sarà più” (Apoc 21,4): ecco la fede che nella celebrazione funebre della Chiesa Cattedrale ha proclamato l’arcivescovo di Sassari, insieme ai vescovi concelebranti e ai sacerdoti, nel giorno successivo alla morte del vescovo Mons. Spanedda. Noi guardiamo in alto, come le donne di Gerusalemme, al sepolcro di Cristo: Cristo  è vivo. Il nostro vescovo Francesco è vivo. Tutti i nostri cari che sono morti nella fede vivono in eterno.

Noi per questo vogliamo ricordare la vita di chi ci ha preceduto nella fede, ed oggi la vita del vescovo Francesco, per far tesoro del buon esempio del Vangelo. Francesco Spanedda era nato nell’anno 1910 il 21 giugno. Ha segnato nella sua azione pastorale un secolo ed è giunto anche al traguardo del secolo nuovo e del Nuovo Millennio. Era  fiero di essere nato nella sua piccola Ploaghe, che era stata anticamente anche diocesi, e fra i suoi figli illustri annoverava il famoso  archeologo e scienziato Can. Giovanni Spano. Nella propria famiglia certamente il piccolo Francesco ha respirato il Vangelo, e ne è esempio anche la vocazione del  fratello Gavino al sacerdozio. La parrocchia è stata la culla liturgica del suo ascolto della voce di Gesù, che un giorno lo chiamò al Seminario per  essere suo sacerdote. Era il Seminario Vescovile di Sassari, guidato dai Padri Vincenziani, tra i quali rimane nella memoria di tutti il Padre Manzella, maestro dei sacerdoti. Vedendo la vivacità intellettuale e la bontà del seminarista Francesco, e la sua piccola statura, molti forse sorridevano, ma ricordavano l’antico proverbio che “nelle botti piccole c’è il vino migliore”. E si manifestò questa sua dote nel Seminario Maggiore di Cuglieri, e poi nel Seminario Lombardo a Roma, al quale volle mandarlo il vescovo Mons. Cleto Cassani, scelta che fu confermata poi nel breve tempo dell’episcopato di Mons. Maurilio Fossati e infine di Mons.  Arcangelo Mazzotti.

Mons.  Arcangelo Mazzotti è il vescovo che nell’anno 1934 impose sul capo di don Francesco Spanedda le sue mani per l’ordinazione sacerdotale, nella Chiesa Cattedrale di Sassari il giorno 15 agosto, festa della Madonna Assunta in Cielo. Questo è proprio il giorno nel quale avremmo dovuto celebrare il 30° giorno della sua morte, avvenuta il 15 luglio. Forse nel cielo lo hanno celebrato nella festa dell’ Assunta.

Noi oggi rinnoviamo la nostra preghiera e ringraziamo il Signore per questo nostro fratello vescovo, pastore di anime. Nel suo messaggio il giorno dopo la morte, il nostro arcivescovo Mons. Salvatore Isgrò lo ha definito “un dono prezioso per la Chiesa Turritana e per la Chiesa della Sardegna”. Nel 1935 Mons. Spanedda  ottenne la Laurea in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana (in quell’anno io sono nato e trent’anni dopo anch’io fui inviato dal vescovo per gli studi alla Pontificia Università  Gregoriana). Alla scienza teologica Mons. Francesco univa la sua formazione giuridica con la Laurea in Giurisprudenza. Manteneva l’umiltà nel suo servizio pastorale di vice parroco nella Chiesa di San Sisto, di Assistente dell’Azione Cattolica della Parrocchia di Santa Caterina, di Assistente dei Maestri Cattolici, Docente di Lettere nel Seminario, canonico della Cattedrale e insegnante di religione alle Magistrali e poi all’ Istituto Tecnico. Anche oggi i suoi vecchi alunni lo ricordano come un amico indimenticabile, che li richiamava all’amore di Dio.

La sua perla preziosa prima dell’episcopato fu la collaborazione e poi la direzione per dodici anni del Settimanale “Libertà”, dal 1945 al 1957. Posso dire che proprio in quegli anni l’ho conosciuto anch’io, quando mio padre collaborava al giornale Libertà, e mi prendeva per mano per andare alla redazione. Ed ora comprendo uno dei segreti di Mons. Spanedda, che poi il Papa Giovanni Paolo II ha fatto risplendere come un valore universale: il Vangelo deve essere comunicato con tutti gli strumenti della comunicazione sociale per essere accolto come il valore più grande e più bello della vita.

Venne per Mons. Spanedda l’elevazione all’episcopato nel 1956 per la Diocesi di Bosa. Egli scelse il significativo motto episcopale: “Caritate et veritate”. Fu consacrato nella Chiesa Cattedrale di Sassari da Mons. Arcangelo Mazzotti con i vescovi concelebranti Mons. Giovanni Pirastru e Mons. Antonio Tedde. Nella sua prima Lettera Pastorale ricordò che pochi mesi prima, nella Cattedrale di Sassari, alla celebrazione del 25° di episcopato di Mons. Mazzotti doveva tenere l’omelia Mons. Nicolò Frazioli, sassarese e vescovo di Bosa; ma era ammalato e inviò la sua omelia, che venne letta proprio dal canonico Francesco Spanedda. Questi scrisse che non avrebbe mai immaginato che pochi mesi dopo il Papa l’avrebbe chiamato a succedere a Mons. Frazioli nella Diocesi di Bosa.  In quella diocesi, che poi fu unita alla diocesi di Alghero, prestò il suo servizio pastorale per ventidue anni fino al 1979. Nella lettera pastorale confidenzialmente manifestò il suo timore dinanzi a una missione così alta, e insieme anche la sua gratitudine al Papa Pio XII e un pizzico di nostalgia nel lasciare la sua Chiesa di Sassari.

Furono anni di servizio ai sacerdoti, al seminario che volle rinnovare, alla liturgia, alla carità, all’incontro con gli anziani, gli ammalati, i bambini, i poveri. Ebbe anche la fortuna, lui la chiamava proprio così, di partecipare al Concilio Vaticano II, dal quale imparò molto per il suo episcopato, e al quale donò molto della sua scienza. Fu l’unico vescovo della Sardegna a far parte di una commissione conciliare, proprio la Commissione Teologica che preparava la Lumen Gentium: il mistero della Chiesa con il suo sguardo di apertura al mondo contemporaneo.

Gli anni di Bosa e di Alghero, e poi dal 1979 i sette anni che trascorse nella Diocesi di Oristano,  sono da meditare e da contemplare come il segno della sua obbedienza a Cristo, al Papa  e alla Chiesa;  ed anche i tempi del suo faticoso servizio di Amministratore Apostolico nella Chiesa di Sassari, di Iglesias, di Alghero. Finalmente, a un anno della sua giubilazione come vescovo diocesano, fu eletto dai vescovi sardi Presidente della “Conferenza Episcopale Sarda”. E in quella veste fu lui il primo ad accogliere il Papa Giovanni Paolo II  in Sardegna nel mese di Ottobre del 1985. C’ero anch’io all’aeroporto di Decimomannu, quando il Papa scese dall’elicottero ed il primo ad abbracciarlo fu Mons. Francesco Spanedda.

Giunse infine il tempo della quiescenza e del meritato riposo, dal 1986 fino a quest’anno, maternamente e fraternamente assistito dalle Pie Sorelle, prima nella casa a Luna e Sole, poi in quella di Piazza d’Armi, proprio vicino a San Giuseppe. Ma non era un tempo di riposo per lui. Il suo attivismo si esprimeva qualche volta anche nell’azione pastorale  esterna, ma soprattutto nella direzione spirituale, poiché era sempre circondato da persone che desideravano il suo consiglio. Molti sacerdoti, come ha scritto Don Antonio Musina, suo successore dopo Mons. Virdis alla direzione di “Libertà”, cercavano una parola paterna nei momenti della difficoltà e trovavano in Mons. Spanedda  “una persona squisita che si dedicava al bene delle anime”.

In quegli anni egli partecipò al “Concilio Plenario Sardo”, fino all’ultima sessione nell’anno del Giubileo. La sua parola di incoraggiamento, le sue omelie alla Messa di mezzogiorno nella chiesa parrocchiale della Mater Ecclesiae, come ai vecchi tempi nella chiesa di Santa Caterina, confermavano la sua grande sensibilità verso i problemi della gente e svelavano la sua arte della parola concisa e sostanziale. Era un uomo di preghiera, che ha fatto anche della sua stanzetta nella casa della sofferenza dell’ospedale un’oasi di preghiera. Sempre invitava i suoi amici, che andavano a visitarlo, sacerdoti e vescovi, a pregare insieme con lui dicendo: “Grazie, Signore, tu sei il mio Dio e hai compiuto in me le tue meraviglie”.

Chi era Mons. Francesco Spanedda? Se lo chiede in un articolo l’ultimo presbitero da lui ordinato nel 1978 nella diocesi di Alghero-Bosa, don Raffaele Madau. Questo sacerdote ricorda il suo sorriso, la sua affabilità, la sua dedizione, la sua capacità di ascolto; e il sacerdote don Antonio Niola, che è stato il primo ad essere ordinato da lui, ricorda il suo spirito di preghiera e la sua paternità sacerdotale; e don Antonio Francesco Spada la sua confidenziale e amorevole capacità di comunicare, che su “Libertà” don Salvatore Simula definisce “capacità inesauribile di comunicazione”. E Mons. Pier Giuliano Tiddia, che ha elevato l’elogio funebre nella Messa del giorno dopo la morte, dice che la sua umanità era veramente profonda:  era un pastore e un padre che ai suoi sacerdoti non imponeva mai, ma proponeva le linee della pastorale, arricchendole della sapienza del Concilio Vaticano II, con l’equilibrio di chi sa che la  tradizione del popolo ha un significato profondo nell’esperienza della fede.

E infine il vescovo suo successore ad Alghero-Bosa, Mons. Antonio Vacca, ha raccolto le sue ultime confidenze, che si concentrano soprattutto nel ricordo del Concilio come il momento più esaltante della sua vita cristiana e apostolica. Mons. Spanedda ha vissuto il Vaticano II  come un avvenimento grande di grazia, aperto ad abbracciare il mondo insieme con tutta la Chiesa. E’ stato scritto che anche al Concilio Plenario Sardo ha messo la sua firma, e l’ha messa soprattutto nelle ultime giornate di vita offrendo il suo dolore e la sua morte. E noi speriamo e abbiamo fede che questo chicco di grano che muore sotto la terra, e si unisce a tutte le persone che hanno sofferto e pregato in questi anni,  guiderà la Chiesa della Sardegna ad attuare i bei progetti del Concilio Plenario Sardo.

Potremo ricordare Mons. Francesco Spanedda con la beatitudine dell’ Apocalisse: “Beati i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono” (Apoc 14,13).

E lo seguirà certamente anche il nostro affettuoso ricordo e la nostra preghiera.

Da ricordo di Mons. Francesco Spanedda. Omelia di Mons. Pietro Meloni nel trigesimo della morte.

Sassari 17 agosto 2001. Parrocchia San Giuseppe

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