Categoria : narrativa

Olita: “Nei romanzi racconto la mia verità” a cura di Giovanna Elies

MADRID – “Intorno a una parola importante quanto impegnativa come verità, ci sono tre dimensioni che Ottavio Olita ci presenta all’inizio di questo romanzo: libertà, rivoluzione, costo”. Questo è quanto scrive don Luigi Ciotti nella prefazione al romanzo “Il costo della Verità”. Ed è la verità, la sua verità, quella che l’autore, Ottavio Olita, calabrese ma sardo d’adozione, espone nei suoi romanzi che nascono da fatti reali di cronaca.

Nei giorni scorsi, per iniziativa del “Circolo Sardo Madrid Ichnusa” che presiede Gianni Garbati, Olita ha presentato la sua ultima fatica: “Il Costo della Verità”, appunto. Abbiamo incontrato lo scrittore, in uno dei locali “madrileños”, poche ore prima del suo rientro in Italia. E con lui abbiamo conversato su eroi anonimi e “le verità”, quelle che emergono dalle indagini giudiziarie e quelle che nascono non dalla fantasia ma dall’analisi riflessiva dello scrittore.

– Nel suo libro parla degli eroi della società civile, quelli che non fanno scalpore. Non sono famosi, il più delle volte passano inosservati, e tuttavia contribuiscono ad arginare la criminalità organizzata; criminalità forse non più così sanguinaria come una volta ma, non per questo, meno violenta.

– In realtà – ci spiega -, quello ch’io sostengo è questo: mentre il potere istituzionale sta molto attento all’immagine, c’è chi si batte e lotta per migliorare le condizioni della comunità. Ci sono soggetti individuali, ma anche collettivi. Io li chiamo eroi civili, ma ci sono anche eroi collettivi. Ad esempio, le associazioni come “Libera” di Don Ciotti.

La politica e la criminalità organizzata

Ricorda la figura di “Peppino” Impastato, giornalista e attivista politico ucciso in modo barbaro dalla Mafia di Cosa Nostra. La sua radio, è doveroso ricordarlo, faceva un’azione straordinaria di presenza nel territorio siciliano. Lo scrittore ci dice che “in tutti questi casi, quelle presenze che aiutano a migliorare la condizione umana, economica e sociale delle popolazioni, sono se non contrastate, quanto meno ignorate dal potere”.

– Chi paga le conseguenze di tutto ciò – commenta – sono le famiglie di questi soggetti. Parlo ovviamente in questo caso dei soggetti individuali. Perché le famiglie pagano un prezzo altissimo? – si chiede per poi, dopo una breve pausa riflessiva, rispondersi:

– Perché questi soggetti spesso erano la loro unica fonte di reddito. Venendo a mancare quella fonte di reddito, i nuclei sono abbandonati a sé stessi. Si disgregano. Vivono una condizione terribile di solitudine. Non ottengono alcun riconoscimento. Non dico un risarcimento, ma almeno un riconoscimento.

La differenza tra il mestierante e il “giornalista di razza” è che il primo, per imbastire la notizia, si accontenta della verità trasmessa dai comunicati mentre il secondo indaga a fondo per scoprire e offrire al lettore o al telespettatore la propria verità. Olita è parte di quest’ultimi. Questa sua capacità di osservare e di indagare si riflette nella maniera in cui tratteggia i personaggi dei suoi libri. Soprattutto, nel modo in cui ne presenta l’aspetto psicologico e sociale. È per questo che chiediamo:

– Come avviene la loro creazione?

– Io mi guardo molto attorno – sorride -. Per 26 anni sono stato giornalista. Ho fatto il giornalista non con le “veline” ma cercando di svolgere il mio lavoro seriamente, guardando a fondo nella società.

Afferma che ha sempre cercato di capire e di andare oltre, a differenza di chi solo “pensa a sé stesso e manda messaggi ad altre strutture di potere attraverso ciò che scrive”.

– È proprio questa diversità di impostazione – spiega – che fa sì ch’io pensassi sempre e soprattutto a chi mi avrebbe ascoltato, al cittadino. Ero cosciente che, con gli elementi di conoscenza che mi venivano messi a disposizione dalle forze dell’ordine o da qualunque altro ente, la mia informazione sarebbe stata parziale. Non per mia disonestà o per mia volontà. Semplicemente perché ero messo in condizione di dare solo quel tipo di informazione. Quando ho smesso di fare il giornalista, mi sono reso conto che non potevo fare lo scrittore con quei limiti. Dovevo superare quelle barriere che condizionavano la capacità del giornalista. Sai come li supero? Con l’abilità dello scrittore che guarda il mondo e non solo i documenti; del narratore che cerca di capire la psicologia delle persone e le relazioni umane per poi raccontare. Nei romanzi, la parte decisiva della mia scrittura è nella seconda metà. Nella prima, mi dedico a informare il lettore su come procedo; nella seconda, invece, sento il bisogno di far capire che quegli elementi di conoscenza che ho messo a loro disposizione sono rielaborati in modo particolare. Li rimaneggio cercando nella mia etica l’interpretazione di quei fatti che non possono limitarsi alla

scrittura documentale ma che devono diventare una testimonianza. Allora, per tornare alla tua domanda, io ho finito di fare il giornalista ma ho conservato uno degli elementi fondamentali di quella professione: l’onestà nell’acquisizione degli elementi. Sono diventato scrittore quando mi sono reso conto che nonostante l’onestà del giornalista, l’informazione che io avrei voluto dare, la narrazione che avrei voluto fare dei fatti era limitata. Nei miei due libri precedenti, ero molto più giornalista che scrittore. Piano piano l’asticella si sta spostando. Cerco di essere meno giornalista e più narratore.

Quando parla della sua esperienza di giornalista e del suo nuovo ruolo di narratore è un fiume in piena. Lo fa con l’entusiasmo di un adolescente. – Nei tuoi libri, quanto c’è di storia e quanto di fantasia? Dov’è la frontiera tra realtà e immaginazione?

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– La realtà finisce dove quei documenti a cui attingo si esauriscono – risponde immediatamente -. Sfrutto al massimo gli elementi che mi vengono messi a disposizione. Li leggo con grande attenzione. Tant’è così che nel “Faro degli Inganni”, scopro un elemento ignorato da Magistratura e Polizia, ma presente negli atti documentali. È il motivo per cui cito quel documento nella parte iniziale del mio romanzo, dopodiché non seguo la via giudiziaria ma la mia. Ritengo che la vittima non sia stata uccisa all’interno di una faida, tra costruttori ed edili. Negli incartamenti trovo un elemento che dimostrerebbe il suo legame con un giro di usura e gioco d’azzardo. È un dettaglio che viene ignorato. La mia costruzione fantastica parte da un elemento reale che sviluppo sulla base della mia conoscenza del mondo, della criminalità o delle relazioni umane. Nell’ “Oltraggio della Sposa”, una vicenda giudiziaria dell’Ottocento, arrivo a una conclusione opposta a quella della giustizia. E non perché a tutti i costi io voglia inventarmi una storia diversa ma perché analizzo i valori umani, non quelli cartacei e giudiziari, che sono in campo; la personalità del soggetto e la cultura delle persone. Interpreto l’umanità senza limitarmi agli atti cartacei. A differenza del poliziotto, come narratore posso orientarmi diversamente. Un poliziotto non può essere un filosofo. Un poliziotto è un poliziotto.

– Oggi tra i poliziotti ci sono bravi professionisti in tutti i campi. Non ne fanno sfoggio, ma ve ne sono tanti. Ne trovi di storici, letterati e anche filosofi, perché no…

– Il poliziotto può avere una grande cultura – commenta – ma come istituzione non può mettere in campo altre competenze. È difficile che con la sua conoscenza filosofica, psicologica, pedagogica riesca a costruire analisi che non si basino sugli atti che riesce a individuare. Il mio non è un disprezzo verso il poliziotto. Quello che affermo è che il limite dell’azione del poliziotto o del carabiniere nasce dalla professione stessa. Non possono fantasticare come può fare uno scrittore.

Cosí nascono i suoi romanzi

– Come costruisce il romanzo. Come nasce l’idea?
Non risponde immediatamente. Sorride. Prende il suo tempo. Poi spiega:

– Le migliori invenzioni, i migliori sviluppi delle mie storie le ho costruite camminando. Quando dovevo chiudere “Il costo della Verità”, avevo deciso che la parte finale, che è la parte a cui tengo di più, sarebbe stata un’altra e non quella che fa riferimento al raggio verde. Quella l’avrei messa altrove. Camminando per la città, mi sono reso conto che per dare una chiusura di futuro al mio romanzo dovevo spostare quell’elemento. Prendi in considerazione che tutto il progetto del libro l’avevo già in testa. Come nasce… nasce così: dalle letture, dai suggerimenti o dall’analisi di un documento. Il primo passo è documentarmi. Ad esempio, l‘”Oltraggio della Sposa” è una storia giudiziaria dell’800. L’aveva raccontata un bravissimo cronista del “Messaggero”, Luigi Arnaldo Vassallo. Ma non mi bastava. Quello era il resoconto di un giornalista. Per saperne di più mi sono fatto mandare gli atti giudiziari dal tribunale di Roma, dove si era svolto il processo. Una volta documentatomi sulla vicenda, ho cominciato a pormi alcune domande. Per quali ragioni la sentenza era stata emessa in quel modo? Per quale altra, dopo 5 anni, quella donna condannata al carcere a vita era stata graziata? Ed ancora, per quale se prima c’era stata la caccia alle streghe, contro questa povera donna, poi c’è stata tanta generosità? Mi sono fatto un’idea, costruita dalla conoscenza del fatto storico: lo Stato Pontificio era stato abbattuto da poche settimane, il processo si svolgeva nella città di Roma e l’unità d’Italia era avvenuta 9 anni prima. Questa realtà stava dettando il codice comportamentale alle donne e questa donna era assolutamente fuori da questi codici. Poteva essere giudicata come tutte le altre? Assolutamente no. Queste sono le mie considerazioni. Un carabiniere o un poliziotto non può farle. Perché? Perché sono ambiti completamente diversi. Sempre tenendo conto della documentazione, vado per la mia strada e racconto la mia storia. Quindi i momenti sono questi: l’informazione sul fatto, che mi può arrivare anche attraverso la conversazione con un amico, e l’acquisizione, analisi e rianalisi dei documenti.

– Qual è il momento più difficile e delicato, la stesura del romanzo o la sua correzione?

– Rileggo la stessa pagina dieci volte ed anche più, prima di andare avanti… Mi spiego. Se un
pomeriggio riesco a scrivere 5 pagine di seguito, il pomeriggio successivo lo trascorro rileggendole.
Sono di quelli che se la passa cambiando anche l’ultima virgola. Quindi può accadere che il giorno
dopo tutto quello che ho scritto mi sembri completamente sbagliato. La mia ossessione è farmi
capire. Poi c’è la correzione collettiva, quella finale, che non è solo mia. Ho due lettrici obbligate.
Sono mia moglie e mia figlia, la più piccola che ha 30 anni. È giornalista professionista…
disoccupata. Per quale ragione io ho bisogno di questi due giudizi? La prima è una persona matura
che mi conosce, che sa come scrivo e come penso. La seconda è una persona esterna, alla quale non ho raccontato nulla, alla quale dico semplicemente leggi e dammi la tua opinione. Non darei alla stampa un qualcosa scritto di getto….

E conclude, con la semplicità e l’umiltà che lo caratterizzano: – Anche quando scrivo un articolo, lo leggo e rileggo… Mauro Bafile

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