“Mons. Damiano Filia (Illorai,1878-Sassari,1956): sacerdote e storico insigne” di Mons. Pietro Meloni, Vescovo Emerito di Nuoro, già professore di Letteratura antica presso l’Uniss.

Pubblichiamo con vero piacere su accademiasarda.it il contributo del già Prof. dell’Uniss e Vescovo emerito di Nuoro  Mons. Pietro Meloni pronunciato  il 23 gennaio 2018 presso il Seminario Vecchio di Ozieri, nel corso della commemorazione di mons. Damiano Filia, a 140 anni dalla nascita, già sacerdote plurilaureato in Teologia e in Utroque jure e storico insigne, autore della Sardegna Cristiana, III, Edizione Anastatica,  Carlo Delfino Sassari  1995. Cogliamo l’occasione per porgere a Mons. Meloni i nostri auguri per il Giubileo Sacerdotale che cade in questi giorni.

 “Il nome di Mons. Filia rimane come uno dei più illustri, non solo dell’arcidiocesi di Sassari, ma della Sardegna tutta negli ultimi 50 anni”. Queste parole di Mons. Francesco Spanedda sono risuonate nella chiesa cattedrale di Sassari all’indomani della morte del vicario generale della Diocesi, avvenuta il 22 maggio 1956. Il futuro vescovo mostrava che proprio dallo studio della storia della “Sardegna Cristiana” il Filia “traeva gli auspici per la sua rinascita nel segno luminoso della fede avita”.

       L’arcivescovo Mons. Arcangelo Mazzotti manifestò  in quel giorno il rimpianto della comunità diocesana di Sassari, e di tutta la Chiesa Sarda, per la morte di “un sacerdote dalle qualità eccezionali”. Mons. Attilio Ingolotti sottolineò la sua umiltà e la sua modestia, ricordando che il Filia sempre aveva “sfuggito plausi e onori”, convinto dell’antica verità: “apostoli gloria Christi”. Nella celebrazione la Polifonica Santa Cecilia eseguiva la “Messa da Requiem” di Lorenzo Perosi.

       La Sardegna e la sua storia erano state la grande passione di Damiano Filia, sacerdote e studioso. Nella celebrazione liturgica del trigesimo della morte, il suo “maestro e amico” professore Mons. Sebastiano Pola lo ricordò come grande predicatore, giornalista, polemista, umile, generoso, leale, docile ai vescovi e amorevole con i sacerdoti, fedele nelle amicizie con tutti. Era dotato di un “ingegno forte e nutrito di sicura e soda erudizione”, e soprattutto era uno “storico coscienzioso” dal “carattere fiero e ruvido alle volte”, uno scrittore animato da spirito poetico e artistico.

       Damiano Filia era nato a Illorai il 4 novembre 1878. Lo zio Mons. Damiano Masala, priore di Nostra Signora di Bonarcado – dopo essere stato parroco di Bono e della Chiesa Cattedrale di Ozieri – lo aveva ospitato nel Santuario di “Bonaccattu” per inviarlo ad Oristano a compiere gli studi ginnasiali. Poi lo aveva presentato all’Arcivescovo di Sassari Mons. Diego Marongio Delrio, il quale lo accolse nel Seminario Arcivescovile e nell’Istituto Teologico. All’età di 24 anni il Filia conseguì la laurea in Teologia a Sassari e fu ordinato sacerdote in Cattedrale il 19 settembre 1903.

        La sua ammirazione per Grazia Deledda e la grande nostalgia per la sua terra lo avevano condotto un anno prima, quando era ancora studente, a scrivere il bel romanzo “Nel Goceano. Profili e macchiette sarde” (Sassari, 1902). La prefazione l’aveva affidata al suo coetaneo sacerdote-scrittore Don Giovanni Antonio Mura, nativo di Bono e parroco di Dorgali, che lo aveva incoraggiato a sfatare la convinzione di alcuni “continentali”, convinti che i Sardi appartenessero a una “razza inferiore”, e lo aveva incoraggiato al gusto della ricerca: “Studia sempre la nostra terra e vivi per lei!”.

       “Sono fatti della stessa pietra” – Damiano Filia e il Goceano – scriverà più tardi Leonardo Sole: “Il Goceano non è semplicemente un luogo, ma il luogo: un tesoro di sensazioni fresche e sorgive, esperienze ed immagini che la memoria custodisce con amore”.

       Fu nominato professore di “Teologia Dogmatica” nell’Istituto Teologico nel 1904 e tenne la cattedra fino a quando  nacque nel 1927 il “Pontificio Seminario Regionale” a Cuglieri. La sua conferenza sulla “Letteratura mariana in Sardegna” suscitò grande interesse al “1° Convegno mariano sardo” nei giorni 14-15 dicembre 1904 a Cagliari. E nel 1905 fu nominato socio ordinario dell’Archivio Storico Sardo. Quando l’arcivescovo, vedendo il suo ingegno e la sua “volontà d’acciaio”, lo nominò professore nel Collegio Teologico Turritano, al Filia parve che al pensiero teologico fosse opportuno unire lo studio della storia cristiana della Sardegna, fino ad allora poco conosciuta. Egli offriva ai discepoli i primi frutti della sua ricerca storica, custodita nei suoi “appunti”, che volle chiamare così anche quando sfociarono nei poderosi volumi de “La Sardegna Cristiana”.

        La Chiesa di Sassari aveva necessità che i suoi sacerdoti più dotati andassero a fare la specializzazione a Roma e il Filia si iscrisse nel 1906 in “Diritto Canonico e Civile” alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Apollinare, andando ad abitare al Collegio Leoniano, e ottenne la laurea nel 1907. Era il tempo del rinnovamento della Chiesa nella dottrina teologica e nella dottrina sociale, sull’onda della “Rerum Novarum” del Papa Leone XIII del 1891. Il Filia respirò l’atmosfera che condusse sacerdoti di grande valore, come Romolo Murri e Ernesto Buonaiuti, e il sardo di Bolotana Bachisio Motzo, al rischio dell’eresia modernista. Era agli studi a Roma anche Don Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, al quale forse si ispirò Filia per custodire la fedeltà alla dottrina della Chiesa e del Papa Pio X.

        Al ritorno a Sassari, nel suo  “esilio sardo” – come lo chiama Ottorino Pietro Alberti – fu nominato vice-parroco della nuova parrocchia di San Giuseppe, dove operò solo per breve tempo. Il  29 novembre 1908 il nuovo arcivescovo Mons. Emilio Parodi lo nominò “canonico penitenziere” della Cattedrale. Sembrava però che gli incarichi pastorali lo distogliessero dagli studi e la diocesi aveva necessità che lui si dedicasse all’insegnamento della teologia e della storia. Il Prof. Sebastiano Pola lo incitava a darsi totalmente agli studi e all’insegnamento.

       Nell’anno 1910 fu tra i consiglieri di Padre Giovanni Battista Manzella, che stava per fondare il giornale cattolico “Libertà”, sostenuto dall’avvocato Zirolia. Filia per qualche anno ne fu il “direttore” (dal 1912 al 1917 secondo Cabizzosu, Pastori e intellettuali nella Chiesa sarda del Novecento, p. 234), anche se ai primordi la direzione per opportunità rimaneva anonima. Prima che nascesse Libertà, Filia aveva scritto alcuni articoli sul giornale “Armonia Sarda” e aveva fondato e diretto la “Voce di Sardegna”, che furono editi a Sassari ed ebbero una breve durata. Scrisse poi  sul giornale “Sardegna Cattolica” di Cagliari e pubblicò una conferenza su Santa Teresa d’Avila, tenuta a Oristano alle Monache Clarisse.

        Era il tempo in cui la Massoneria spadroneggiava in Italia, e anche in Sardegna, e intendeva monopolizzare l’educazione della gioventù e l’azione sociale e politica, insieme ai fautori del Socialismo. Avvenivano spesso conflitti e scontri tra gli anticlericali e i cattolici, che giungevano agli insulti, agli sputi, alla violenza, anche durante le processioni religiose.

         Erano sorte a Sassari le Associazioni giovanili “Silvio Pellico” per gli studenti nel 1907, animata dal missionario Padre Genta con Nicolò Frazioli, che divenne poi vescovo di Bosa, e la “Robur et Virtus” per gli operai nel 1908, animata dal Padre Giuseppe Deligia, dei Francescani Minori Conventuali di Santa Maria. Erano palestre di riflessione e preghiera, di studio e formazione religiosa, di attività ricreative e sportive. I giovani della Silvio Pellico “venivano insultati e derisi nella scuola dai compagni e assaliti e bastonati nelle loro passeggiate ginnastiche”, testimoniò il Prof. Sebastiano Pola. Uscire per la città era pericoloso per i giovani cattolici, vittime di giovani facinorosi, inquadrati nei circoli anticlericali. Il giornale di Sassari “La Nuova Sardegna” non nascondeva la sua tendenza massonica e infieriva nella propaganda anticlericale.

       Furono organizzate in ambito cattolico le “Conferenze di San Giacomo”, molte delle quali furono tenute dal Filia, con l’arte oratoria che si ispirava anche al “De Oratore” di Cicerone, e alcune venivano stampate e diffuse, anche se oggi sono introvabili. Un episodio importante avvenne quando le autorità ispirate dai Massoni inaugurarono – dinanzi alla Stazione Ferroviaria – una lapide dedicata a Giordano Bruno, simbolo del “libero pensiero” contro il pensiero “oscurantista” della Chiesa. I cattolici organizzarono un corteo e una riunione in Seminario, nella quale brillò il discorso tenuto sulla gradinata dal giovane Don Filia.

        Egli tenne anche discorsi sulla dignità della donna, parlando della “nuova missione femminile”, anticipando in un certo senso il pensiero e l’azione di Armida Barelli, fondatrice della “Gioventù Femminile di Azione Cattolica”.

        Un giorno accolse la sfida ad un contradditorio con il socialista Avv. Catta sullo scottante tema de “L’Inquisizione”, al Teatro Civico. Filia parlò per due ore e ottenne un trionfo, riconosciuto anche dagli avversari, perché mostrava la mitezza del Diritto Canonico rispetto alla durezza del Diritto Criminale. Veniva invitato a tenere panegirici in tutta la Sardegna. Una volta fu chiamato a fare la predica di Sant’Isidoro a Ossi e non ricordando bene la vita del santo, ricordò che era un agricoltore e se la cavò parlando dell’agricoltura e della “santità della vita dei campi”.

       Nel 1914 ricostruì la storia del “Convento delle Monache Cappuccine” di Sassari, in un articolo che le suore conservano ancora gelosamente.

       L’invito del Papa Leone XIII ai cattolici di studiare la storia del cristianesimo lo spronò alla ricerca con sapiente entusiasmo.

       Nel 1909  pubblicò il 1° volume della “Storia della Chiesa in Sardegna” dalle origini a Gregorio Magno, nelle edizioni “Satta” di Sassari. Prof. Sebastiano Pola scrisse che il suo stile era “smilzo e secco”, ma il contenuto era ben documentato, anche se influenzato da studi di autori precedenti, con il coraggio di sfatare molte antiche leggende sulla vita dei martiri sardi. Nel suo linguaggio si esaltava dinanzi ai santi della Sardegna e nelle pagine dedicate al vescovo Lucifero di Cagliari.

       Nel 1913 pubblicò il 2° volume, da Gregorio Magno fino a Amedeo II di Savoia, rifacendosi alle fonti, anche se non aveva a disposizione i documenti scoperti più tardi negli archivi a Roma, Pisa, a Barcellona e in Spagna. Riconosceva il grande merito dell’arcivescovo di Sassari Alepus, che nel ‘500 portò in Sardegna le novità del Concilio di Trento.

       Nel 1929 vide la luce il 3° volume della Storia della Chiesa in Sardegna dal 1720 a 1929. Il suo tono acceso si elevava all’epopea quando trattava dei nuovi santi, come fra Ignazio da Laconi, il Padre Vassallo gesuita e Padre Francesco Carboni latinista di Bessude.  Il tono era vibrante, polemico, brillante, commovente, affscinante. La sua “Storia” rimane ancora “un autentico classico della storiografia ecclesiastica sarda”, scrisse Mons. Alberti nella introduzione alla ristampa dell’Opera nel 1995, pubblicata dall’editore Carlo Delfino (p. V).

       Il Filia ha “raccolto quanto di più autentico e di più prezioso era stato scritto nei secoli passati” rinnovandolo “secondo i canoni di una metodologia che ne frattempo si era andata maturando” (p. VIII). Egli “dimostra di avere le qualità e le doti del grande storico, che ben merita di essere ricordato anche come maestro” (p. XVIII).

        Damiano Filia era consapevole fin dai primi passi della difficoltà dell’impresa e riconosceva i limiti della sua ricerca. Egli si domandava: “è possibile uno studio organico, scientifico della Sardegna cristiana?”. E rispondeva: “Per l’età antica, no” (I, p. 5). Considerava le opere degli storici sardi del passato “non più in armonia coi metodi rinnovati della cultura storica”. Sentiva che la storia della Chiesa sarda era da riscrivere, con rispetto e gratitudine per i suoi valenti pionieri Giovanni Fara, il De Vico e il Mattei, Francesco Mannu, Domenico Alberto Azuni, Pasquale Tola con il Codex diplomaticus, Giovanni Siotto Pintor con la “Storia civile popolare di Sardegna” e la “Storia letteraria”, Pietro Martini con la “Storia ecclesiastica della Sardegna”, Giovanni Arca, Giovanni Antonio Spano.

       Lo studioso Arrigo Solmi, che per primo recensì l’opera storica del Filia, affermò che lo studioso aveva rinnovato la storiografia sarda “con intenti e mezzi moderni” (Ottorino Pietro Alberti (p. xv).  La sua era una storia “aliena da sterile retorica”, diceva Gaetano Bellieni, che lo elogiava per aver giustamente trascurato le Carte di Arborea, che si palesarono un clamoroso falso (Cabizzosu, p.241). Lo storico Mons. Raimondo Bonu elencò 50 suoi titoli di libri e articoli in “Scrittori sardi del secolo XIX”. Angelo Cesaraccio, grande editorialista de “La Nuova Sardegna”, nel Convegno per il 20° anniversario della morte del Filia, lo definì “uno dei più rigorosi cervelli della Sardegna a cavallo dei due secoli”.

        La sua modestia lo induceva a chiamare “appunti scolastici” le tracce della sua opera. Egli confidava il suo intento: “il mio umile contributo alla cultura del clero”, consapevole che “il lavoro non può certo avere carattere del tutto originale” (I, p. 5). E aggiungeva: “il lettore … non si meraviglierà se qualche volta il sentimento avrà cercato d’illuminare una figura o un episodio. Perché la storia sia maestra della vita è d’uopo entrare negli avvenimenti con tutta l’anima e con tutto il cuore” (I, p. 6).

       Diceva, pensando in modo equilibrato alla storia dei martiri: “son riuscito a cercare le fonti più remote delle leggende nel culto, nelle cronache e nelle memorie locali” (I, p. 6). “Con gli scarsi sussidi bibliografici che, lontano dai grandi centri di studio, mi erano possibili ho tentato accurate indagini intorno alla costituzione ecclesiastica dall’esordio del secolo IV, a traverso il periodo vandalico, fino a S. Gregorio Magno” (I, p. 6). “E sarò gratissimo agli amici che vorranno manifestarmi le loro osservazioni intorno a queste pagine” (I, p. 7). “Ho una sola speranza: che altri ingegni più vigorosi, onde è florida la Chiesa di Sardegna, compiano con miglior fortuna, quanto nella mia pochezza m’argomentai di fare” (i, p. 7).

       “L’hai conosciuto?”, mi ha domandato Don Tonino Cabizzosu nell’invitarmi a tenere questa relazione. Sì, lo ricordo nelle celebrazioni episcopali in Cattedrale e a San Giuseppe, dove da giovane chierichetto facevo il “turiferario” dell’incenso e il “caudatario” della lunga “coda” dell’abito dell’arcivescovo, mentre lui accompagnava il vescovo in qualità di vicario generale dal 1933 fino alla morte. Era amico di mio padre, che morì nello stesso anno 1956, pochi mesi dopo di Damiano Filia.

       Quando morì la mia sorellina Teresa nel 1942 all’età di cinque anni, mi accompagnò nella campagna di Donna Rita  e Donna Nada Solinas, all’Eba Ciara di Sassari, per un periodo di tranquillità, ma ben presto dovette riportare a casa quel “monello” che a sette anni ne combinava di tutti i colori, facendo disperare le nobili signorine, e così perdette il dono della bicicletta che gli avevano promesso. Rivedo ancora oggi i suoi “occhi di fuoco”, amabili e severi, segno di una vivacissima intelligenza e di una grande attenzione alle persone.

       Lo ricorda bene il Prof. Angelino Tedde, che da ragazzo stava alla Casa della Divina Provvidenza, gli serviva la S. Messa e lo accompagnava alla vicina casa. A lui ho chiesto una testimonianza su Mons. Damiano Filia. Eccola:

       Lo conobbi appena inserito tra gli orfani della Casa Divina Provvidenza a partire dal 17 marzo 1947, avevo perso da un mese i miei genitori e d’altra parte avevo scarsa dimestichezza con i preti, non invece con le suore che avevo avvicinato all’asilo Falchi Madau di Chiaramonti.

       La suora dei ragazzi non mi fece aspettare molto per servire la Messa ogni mattina. La celebrava Mons. Filia, allora vicario generale di Mons. Mazzotti, abitante in una casa adiacente alla Casa Divina Provvidenza. Pensare che nei pressi ci abitava anche il prof. Brigaglia, padre del non più giovane attuale Brigaglia.

       Cominciai a servirgli la Messa. Mi colpì subito il suo modo di comportarsi mentre cominciava a vestirsi stirandosi prima una gamba poi l’altra. Salito all’altare sbarrando quegli occhi grandi e un pò arrossati, chiaro segno di pressione alta, diceva Messa in latino tranquillamente, ma quando giungeva alla consacrazione, a pronunciare le parole di Gesù faceva: -Hoc est, hoc est corpus meum…-. Aveva qualche dubbio?

       Forse voleva concentrarsi meglio o lo spaventava la consapevolezza del grande mistero eucaristico? Non lo seppi mai.

       Prima della Messa, una volta conosciutomi, mi chiedeva:
-Ho gli occhi rossi?-
Gli rispondevo sempre di no, perché per istinto avvertivo che se gli avessi detto di sì l’uomo si sarebbe spaventato. Col tempo, forse qualche annetto, incerto nel camminare, suor Luisa mi chiese di accompagnarlo in Curia e così appoggiando la mano sulla mia spalla, andavamo per via G. M. Angioy verso la Curia, a Porta Nuova. Io chiacchierone come al solito gli facevo delle domande e lui rispondeva, ma quando toccavo l’argomento morte, l’uomo si agitava e bloccando il tabacco che di solito masticava, mi dava dei pugni sulla spalla invitandomi a non parlare della morte. Si vede che l’argomento non gli garbava e da allora non gliene parlai più.

       Dal 1948 in poi le suore ci portavano ad Alghero per un lungo periodo di colonia marina. Per qualche giorno arrivava anche lui ed io ero designato ad accompagnarlo nei vicini giardini e credo che non gli diedi motivo di rimproveri dal momento che censuravo l’argomento morte. Più in là volle scendere anche nella spiaggia. Si sedeva su una sedia, prendevo un gran secchio d’acqua marina e glielo portavo davanti ai piedi. Lui, come un bambino che ha paura dell’acqua, faceva svariati tentativi di mettere i piedi nel secchio, facendo, al tocco dell’acqua; – Ah, ah, ah!- e finalmente gradualmente piazzava i piedi dentro il secchio. Io tra me dicevo: questo bagno è tutto da ridere.

       L’ultimo ricordo a Saccargia: si doveva festeggiare il vescovo Mazzotti, per qualche anniversario e si celebrava la Messa. Al momento della predica, Mons. Filia, salì su una predella più alta del pavimento e cominciò a parlare:

       – Sacris solemniis iuncta sint gaudia, et ex praecordiis sonent praeconia; recedant vetera, nova sint omnia, corda, voces et opera-. Arrivato a questo punto restò come imbambolato e dopo aver ripetuto per due o tre volte, tacque e non proseguì! Lui grande oratore, conosciuto in tutta l’isola oltre che forbito scrittore era arrivato al capolinea. Aveva smarrito in chissà quali meandri del cervello la solenne predica che s’era preparata. Tutti capirono a cominciare dal vescovo.

       Che cosa fece per me? Entrato in seminario a Cuneo nel 1950,tra gli apostolini vincenziani, vi frequentai il primo anno, ma sia per il freddo sia per altri piccoli disturbi fui ricoverato tre volte all’ospedale e, finita la I Media, fui rispedito a Sassari con la dichiarazione del Rettore che  diceva che quel clima non mi andava. Tornai a Sassari e volevo continuare il seminario. I preti della Missione furono titubanti nell’accogliermi, ma suor Luisa che era capace come una buona madre di saltare gli ostacoli andò direttamente dal Vicario Generale che era appunto Mons. Filia che ben mi conosceva e forse apprezzava. Probabilmente intervenne presso il vescovo ed io fui accolto nel seminario diocesano di Sassari e forse devo a lui se potei continuare lì fino alla V ginnasio, prima di entrare tra i missionari del PIME.

       Forse ero a ad Aversa quando a 78 anni morì, lo appresi da Libertà e debbo dire che mi dispiacque.

       All’Università dando gli esami scoprii la grandezza dello storico, cosa che ignoravo. Si diceva di lui che l’avessero proposto come vescovo, ma aveva rifiutato. Allora lo avevano nominato nientedimeno che Cameriere Segreto di Sua Santità! Certo è che, da seminarista, a Chiaramonti, quando venne col vescovo per le Cresime, a tavola, in casa dell’allora parroco, qualche bicchiere di vino  se lo ingollò e memore del passato scoprii che la sclerotica era circonfusa di rosso. Ovviamente non glielo andai a dire.

       Alla sua morte l’alloggio che si era costruito attiguo alla Casa Divina Provvidenza lo lasciò alla Casa con un legato: costruire una cappellina alla Vergine nella Parrocchia di Illorai.

       Angelino Tedde mi ha mandato una poesia dedicata a Mons. Filia il 12 ottobre 1953 da Don Giovanni Maria Dettori, parroco di Chiaramonti, che inizia così:

Fiore de Sardigna, innamoradu
de su misticu incantu ‘e sa natura,
disizosu ‘e onore e de cultura
a Tatari ses teneru faladu.

   Nel vivo ricordo di Damiano Filia, vorrei esortare tutti a rileggere la sua commemorazione del Padre Giovanni Battista Manzella, tenuta nel trigesimo della morte del santo missionario il 23 novembre 1937 e la commemorazione tenuta nella cattedrale di Sassari per il 50° anniversario di sacerdozio di Mons. Arcangelo Mazzotti il 26 aprile 1956. Un mese dopo, il 22 maggio, Damiano Filia morì e nella stessa chiesa cattedrale l’arcivescovo pregò per lui e lo definì “un sacerdote dalle qualità eccezionali”.

+ Pietro Meloni
Vescovo Emerito di Nuoro

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