Categoria : letteratura sarda

Conclusione del discorso sugli esposti in Sardegna tra settecento e novecento di Cristina Sotgia

 

imagesA completamento dello studio sui fanciulli abbandonati nella città di Sassari e nel suo Circondario , dall’unità d’Italia alla Grande Guerra, riassumiamo per grandi linee i tratti caratteristici del fenomeno dell’infanzia abbandonata.

E’ opportuno innanzitutto evidenziare le analogie e le differenze apprezzabili fra la nostra regione e il resto d’Italia e d’Europa.

Il fenomeno degli abbandoni, dal punto di vista quantitativo, è rappresentato da una linea parabolica. Nella prima fase, tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, gli esposti aumentano vistosamente fino a raggiungere livelli record[i].

Nella seconda fase, dalla fine dell’Ottocento all’inizio del Novecento, si verifica, invece, un regresso costante e significativo del numero degli abbandoni[ii].

Per quanto riguarda la penisola italiana e l’Europa non ci pare siano riscontrabili sostanziali differenze sia in merito al manifestarsi del fenomeno sia al suo evolversi successivo, sebbene ciò avvenga con un ritmo differenziato tra i centri urbani e quelli rurali.

Il tratto saliente che ci pare di poter cogliere da quanto appena detto è il ritardo con cui si manifesta e si evolve in Sardegna lo stesso evento.

Ciò che appare evidente sulla base dei dati rilevati dalla lettura diretta delle fonti è che i fanciulli abbandonati (con particolare riguardo a Sassari) rappresentano una quantità minima per quasi tutto l’Ottocento, soprattutto se rapportata ai valori nazionali ed esteri rilevati nello stesso periodo, per poi aumentare in modo significativo alla fine del secolo XIX e segnare una ulteriore e costante crescita nei successivi primi decenni del nuovo secolo.

E’ altrettanto indicativo sottolineare come la curva, rappresentata dai valori delle esposizioni registrate nell’isola (con lo sfasamento temporale di cui si è detto) risulti, pur nella medesima forma parabolica, meno ampia rispetto a quella tracciata dai valori nazionali ed europei. Questo perché l’evento degli abbandoni in Sardegna, pur segnando un andamento analogo alle altre realtà a confronto, si manifesta e si evolve con maggiore rapidità comprendendo un arco di tempo più limitato.

Tuttavia la diversa cadenza nel tempo delle esposizioni non modifica le caratteristiche del fenomeno che si manifestano i Sardegna allo stesso modo delle altre regioni italiane ed europee. Ci riferiamo alle modalità nella pratica dell’abbandono che si realizzava prevalentemente in luogo pubblico sia in Sardegna che in tutte quelle località ove non esistevano ruote e brefotrofi[iii].

In maniera pressoché analoga alle altre zone del paese era affrontato il problema dell’assistenza ai trovatelli, uniformandosi alle poche disposizioni legislative stabilite in ambito statale (la legge comunale e provinciale e alcuni articoli del Codice Civile e del Codice Penale, già ampiamente citati nei precedenti capitoli), senza peraltro trascurare le diverse sfumature che potevano emergere a livello locale.

A queste ultime si provvedeva in tutte le province del Regno attraverso la predisposizione da parte delle diverse Deputazioni provinciali di regolamenti che consentivano l’effettiva attuazione dell’assistenza agli esposti con la collaborazione delle amministrazioni civiche[iv].

Su questo piano la regolamentazione della materia (sebbene attuato in ambito comunale e provinciale) prevedeva per tutte le località prive di istituti di accoglimento dei trovatelli (e quindi anche per la provincia di Sassari) la pronta collocazione degli infanti abbandonati presso balie esterne.

Chiaramente questo vale per il periodo storico che stiamo considerando.

Se volgiamo invece la nostra attenzione al XVIII secolo quando la presenza dello Stato era pressoché assente e l’esercizio delle funzioni istituzionali era frammentato tra i poteri intermedi in ambito locale, vediamo che i problemi relativi all’assistenza in generale e quelli più specifici riguardanti gli esposti erano essenzialmente delegati ai religiosi.

In questo quadro, tuttavia, emergeva un’istituzione laica, il Padre d’Orfani[v], che rappresentava in qualche misura una risposta dello Stato al problema del pauperismo gestito quasi esclusivamente dagli ordini religiosi. Questa istituzione nasceva in Spagna nel basso medioevo (mentre era sconosciuta nel resto dell’Europa) e successivamente veniva importata in Sardegna (a partire dal 1400, subito dopo la conquista catalano-aragonese) con le stesse modalità che ne avevano giustificato la creazione in Spagna.

E’ tuttavia probabile, considerate le limitate proporzioni in cui si presentava in Sardegna il problema del pauperismo rispetto alla Spagna che il Padre d’Orfani venisse introdotto nell’isola più che altro per uniformare la realtà assistenziale sarda a quella del territorio metropolitano spagnolo.

E’ certo però che in seguito questa benefica istituzione (pur subendo notevoli cambiamenti nel corso dei secoli) si sia radicata nella società urbana sarda rimanendo attiva anche dopo il passaggio della Sardegna ai Savoia nel 1720.

Le sue funzioni erano essenzialmente dirette a proteggere gli orfani e i bambini abbandonati e a “reprimere” la mendicità.

Il Padre d’Orfani in Sardegna era scelto tra i Consiglieri della Città. Con la riforma della legge comunale del 1848 le sue funzioni vennero attribuite al Sindaco o ad uno dei vice-sindaci da quest’ultimo delegato.

L’importante istituzione continuò ad esistere nell’isola con funzioni amministrative fino ai primi del Novecento, quando ormai in Spagna era già scomparsa da più di un secolo[vi].

L’aver ripercorso le fasi storiche più significative dell’evoluzione dell’assistenza ai fanciulli abbandonati nella nostra regione ci permette di proseguire la comparazione in atto, prestando una maggiore attenzione a quegli elementi di comunanza o di diversità rilevabili dall’analisi stessa.

Un altro elemento comune alle diverse municipalità del Regno e a quella Sassarese è la funzione “accentratrice” rivestita dall’area urbana in merito alla pratica dell’abbandono. E’ la città, infatti, che concentrava in modo massiccio gli infanti abbandonati (provenienti probabilmente anche dal Circondario e dalle zone lontane della provincia)[vii] rappresentando per le comunità rurali circostanti una naturale attrazione, motivata forse dall’essere considerata l’unica meta possibile per la soluzione di problemi altrimenti irrisolvibili.

Per contro, i tratti distintivi del nostro territorio rispetto alle altre realtà regionali sono evidenziati essenzialmente alla “peculiarità” della mancanza di ruote. Infatti ciò determinava (questo è anche il parere di varie fonti autorevoli) [viii] un numero limitato di esposizioni, mentre esattamente l’opposto avveniva in quelle regioni come, ad esempio la Sicilia, “…ove in ogni paese v’e(ra) una ruota per accogliere gli esposti[ix].

Un altro elemento di diversità riscontrato nella nostra provincia che ci pare in qualche modo connesso al precedente era la mortalità relativamente bassa in rapporto a quella delle altre regioni d’Italia e d’Europa. Infatti risulta evidente che l’immediato affidamento dei neonati abbandonati a nutrici esterne (in assenza di istituti specifici) in grado di sostituire nell’allattamento la madre naturale rappresentasse per quei bambini maggiori possibilità di sopravvivenza.

Se a ciò si aggiunge la limitata incidenza che la sifilide ereditaria aveva nella nostra regione (vedere in proposito la già citata Relazione del medico della provincia di Sassari dell’epoca, capitolo III, par. 1 e documento N. 29 in appendice) appaiono chiaramente giustificati i valori, più contenuti, registrati sulla mortalità degli esposti nel Sassarese.

Dall’enumerazione dei punti di analogia e di diversità, risultanti dal raffronto tra la nostra realtà locale e le altre al di là del mare emerge una generale e prevalente uniformità di comportamento che evidenzia come la nostra isola recepisca allo stesso modo delle altre comunità gli effetti di un fenomeno così complesso e drammatico quale è quello delle esposizioni che coinvolgeva l’intera società dell’epoca.

Le diversità rilevate, peraltro limitate, riteniamo siano determinate, oltre che dalla mancanza di ruote e brefotrofi, dalla “specificità” geografica dell’isola[x]

Questo però senza perdere di vista la particolarità della storia locale del periodo in esame, che si evidenzia attraverso l’analisi di quelli eventi che avevano caratterizzato la vita politica, sociale ed economica del Sassarese. Ci riferiamo al rapido sviluppo economico degli anni 1860-1885, affiancato dalla fioritura di una vivace vita politica, stimolata dall’emergere di un forte ceto di intellettuali e di professionisti formatisi per lo più nell’Università cittadina, che insieme agivano da collante per una evoluzione in chiave moderna della società e dell’economia sassarese.

Quest’ultima, di natura prevalentemente agricola, si intensificava grazie allo sviluppo di attività commerciali, favorite dalla caratterizzazione di Sassari come “…capoluogo “storico” di un ampio territorio agricolo, in condizioni di raccogliere il surplus del reddito prodotto nel proprio retroterra…”[xi].

Questo processo di sviluppo si arrestava bruscamente negli anni 1888-1890, col verificarsi della “crisi di fine secolo” che coinvolgeva l’intera nazione italiana[xii], e che naturalmente si ripercuoteva con particolare gravità in una regione “…sottosviluppata ed emarginata com’e(ra) la Sardegna e com’e(ra) – seppure in misura minore – il Sassarese[xiii].

Le conseguenze di un tale sconvolgimento finivano per protrarsi nei primi anni del XX secolo, provocando nella popolazione cittadina (passata dai 25mila abitanti del 1862 ai 36mila del 1882)[xiv] una sensibile “redistribuzione del denaro, degli averi e dei ruoli” tra le diverse classi[xv].

Risulta evidente che a soffrire maggiormente nelle situazioni di crisi siano i ceti più deboli ed emarginati che, di fronte a situazioni di grave difficoltà ricorrono a decisioni disperate ed estreme, oppure si appoggiano all’unica risorsa ritenuta accessibile: la carità pubblica.

A partire dal 1899 l’attività economica cittadina conosceva una ripresa (così come d’altra parte avveniva nell’intero paese)[xvi], ma le condizioni generali del Sassarese, per quanto riguardava le classi popolari, si mantenevano nel complesso precarie e i problemi economici restavano quelli di sempre.

Non può perciò stupire che fra i tanti problemi di natura economico-sociale che incombevano sulla amministrazione della città vi fosse anche quello dell’assistenza all’infanzia abbandonata. Infatti, il Comune di Sassari (e gli “Stati Annuali di mantenimento esposti”, redatti in quegli anni, lo dimostrano)[xvii] registrava un aumento costante di bambini che necessitavano dell’assistenza pubblica.

Le vicende belliche del 1915-18 aggravarono certo il problema dell’assistenza che andava affrontato con ampie disponibilità finanziarie.

Queste risultavano invece carenti per l’amministrazione comunale cittadina, costretta ad affrontare subito le difficoltà create dallo stato di guerra.

Per la Sardegna l’esperienza bellica rappresentò un evento epocale che segnò una rottura decisiva col passato da un punto di vista demografico, culturale e politico. L’isola era direttamente partecipe nella vicenda bellica mondiale attraverso il coinvolgimento di tutti gli strati sociali compresi, per la prima volta, quelli popolari.

L’impatto, a livello demografico, si misurò in termini di una sensibile riduzione della popolazione dovuta alla perdita di vite umane, coinvolte nella guerra. D’altra parte il suo coinvolgimento favorì un contatto diretto con altre realtà culturali in ambito europeo e contribuì a rompere l’isolamento culturale e politico determinato dalla naturale “insularità”.

Eppure se guardiamo alla vicenda delle esposizioni rileviamo degli elementi di continuità che sopravvivono all’evento bellico e che si manifestano negli atteggiamenti di generosità e sensibilità di alcuni membri della comunità sassarese, spinti ad agire dalle costanti necessità locali di assistenza all’infanzia abbandonata.

Ne è l’esempio più significativo la nascita dell’opera “Santi Angeli” che rappresenta l’integrazione tra la continuità e il cambiamento.

La sua istituzione può essere considerata sia come la naturale prosecuzione dell’iniziativa privata nell’ambito dell’assistenza, ma anche come un elemento innovativo nella ricerca di una comune partecipazione di intenti e di atti tra ente privato ed ente pubblico.

[i] Alcune cifre sono indicative del fenomeno: il brefotrofio dell’Annunziata di Napoli raccoglieva una media di 110 esposti l’anno nei primi anni del ‘700. Nel 1861 i bambini accolti, sempre all’Annunziata di Napoli, erano 1762 e undici anni dopo erano 2446. Il brefotrofio di Cremona ne accoglieva 600 durante la metà del secolo.

            A Brescia gli esposti raggiunsero il numero di 400 l’anno fino al 1799. A Milano il brefotrofio di S. Caterina alla Ruota accolse, nel decennio 1781-1790, una media di 978 esposti.

  1. Nuvoli, op. cit., p. 46.

[ii] Quando, operando con modalità e tempi diversi nelle varie regioni d’Italia, ma in modo diffuso, verso il 1870 si provvide alla chiusura delle Ruote, regolamentando, attraverso gli uffici di accettazione, l’assistenza solo agli aventi diritto, si ottiene il risultato di arginare il fenomeno dell’abbandono.

            G.Da Molin, op. cit., p. 505.

[iii] Abbiamo avuto modo in precedenza di sottolineare l’assenza di brefotrofi e ruote nell’isola. Vedi i proposito quanto descritto nei capitoli del presente lavoro. Occorre aggiungere che vi erano altre province in Italia, oltre a Sassari e a Cagliari, che nel 1894 non avevano brefotrofi. Esse erano quelle di Sondrio, Belluno, Rovigo, Campobasso e Trapani.

            M.G. Gorni e L. Pellegrini, op. cit., p. 11.

[iv] Abbiamo già evidenziato nel precedente capitolo II, par. 1, sulla base della documentazione reperita nell’Archivio storico della Provincia di Sassari, i contatti esistenti tra le varie Deputazioni provinciali del Regno, tendenti a soddisfare l’esigenza di realizzare una maggiore uniformità anche nella regolamentazione locale della materia. vedi anche i documenti N. 3, 6, 7, 8 e 9 in appendice.

[v] Il tema è stato trattato anche nel precedente capitolo I, par. 1, e nella nota n° 15 dello stesso capitolo.

[vi] C. Nuvoli, op. cit., pp. 102-103.

[vii] Vedere in merito quanto già descritto nel capitolo I e in C. Nuvoli, op. cit., p. 123; G.Da Molin, op. cit., pp. 542-543.

[viii] Così è sottolineato anche in G.Da Molin, op. cit., p. 524; M.G. Gorni e L. Pellegrini, op. cit., pp. 134-135.

[ix] G.Da. Molin, op. cit., p.123.

[x] Per chi viveva nell’isola le uniche possibilità di praticare l’esposizione erano rappresentate dall’abbandono in luogo pubblico, vista l’enorme distanza da ricoprire (e per giunta via mare) per raggiungere nel continente eventuali luoghi specifici di accoglimento dei trovatelli.

[xi] M. Brigaglia, op. cit., p. 12

[xii] Crisi che cionvolgeva soprattutto le regioni meridionali e insulari, colpite nel settore più moderno: quello delle colture specializzare, che si reggeva in prevalenza sulle esportazioni e che vide bruscamente chiudersi il suo principale mercato di sbocco, che era la Francia. La conseguenza fu infatti la rottura commerciale con quest’ultima, poi degenerata in vera e propria guerra doganale.

  1. Giardina – G. Sabatucci, l’Età Contemporanea, Roma-Bari, 1991.

[xiii] M. Brigaglia, op. cit., p. 13.

[xiv] Ibidem, p.11. Nel censimento del 1901 la popolazione di Sassari era di 38268 unità, F. Corridore, op. cit.

[xv] Ibidem, p.16.

[xvi] Grazie all’abolizione, da parte della Francia , dei dazi differenziali a danno delle merci italiane, si favoriva così una certa ripresa delle esportazioni. Ancora più favorevole si rivelava, poi, l’accordo commerciale del 1898, che consentiva l’aumento degli scambi complessivi.

  1. Brigaglia, op. cit., p. 22.

[xvii] A.S.P.SS., Cat. 8, Fasc. 4/18 dal 1900 al 1915.

Commenti sono sospesi.

RSS Sottoscrivi.